Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Tadako    28/10/2016    1 recensioni
Non so perchè ci si innamora sempre della persona sbagliata.
So che, nonostante tutto, sono felice di avere Andrea nella mia vita.
-
In tutta sincerità non ho scritto questa storia con l'intenzione di pubblicarla: scrivo perchè ci sono cose che non riesco a dire e la tastiera è la mia amica più silenziosa. Ho provato a creare un racconto autobiografico partendo da un ammasso di pensieri e sfoghi scollegati, un po' per noia, un po' per sfida.
-
Dedicato al mio migliore amico, che non entrerà mai in questo sito.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Odio l'amore. 
Senza bisogno di dimostrare più niente
che quello che siamo lo siamo da sempre 
e va bene così.
-Quindi ti piace scrivere?- 
Non mi sono mai piaciuti i silenzi imbarazzati, lui sembra averlo notato e probabilmente è per questo che ora mi sta facendo tutte queste domande.
-Si, ma non ho mai concluso un racconto... ogni volta ne comincio uno piena di ispirazione e buoni propositi per poi accantonarlo dopo pochi capitoli.-
-Anch'io ho questi problemi quando inizio un racconto.-
Lui scrive? Mi chiedo piacevolmente sorpresa.
-Poi ho capito che è meglio l'improvvisazione sul momento: scrivere solo quando si ha voglia senza porsi dei limiti di tempo-
-Si, io di solito faccio così, il problema è che se smetto di scrivere non continuo più.- accenno un timido sorriso e lui ricambia. 
C'è di nuovo silenzio.
-Ti piace il calcio?-
-No, veramente lo detesto.-
-Ma come?!-
-Non trovo il senso di quattro tizi strapagati che corrono dietro ad un pallone.-
-Con questa logica allora nessuno sport ha senso.-
-Esattamente.-
Mi guarda: ha degli occhi nocciola molto espressivi.
Dopo tutto è piuttosto carino come ragazzo: alto, biondo e neanche particolarmente magro. 
Abbassa timidamente lo sguardo, si fa improvvisamente serio e riflessivo. Balbetta qualche parola -Io... ecco...- e torna in silenzio.
Non capisco perchè improvvisamente si comporti così, ma non ho il tempo di chiederglielo perchè lui, con uno scatto impulsivo e impacciato, mi appoggia una mano sulla spalla e si avvicina alle labbra.
Il cervello smette di ragionare e tutto quello che vedo sono i suoi occhi, ma non sono più castani: ora sono colorati di uno splendido azzurro cielo con delle inconfondibili pagliuzze dorate.
Andrea. Dice il mio cervello, e quella sola parola basta a far scattare il mio corpo: con un balzo improvviso mi tiro indietro e sfuggo al suo bacio. Lui mi guarda spaesato: le guance sono lievemente arrossate e nei suoi occhi c'è solo confusione.
-I-io... devo andare adesso.-  senza dargli il tempo di rispondere o metabolizzare quel che è accaduto mi alzo dalla panchina su cui ci eravamo seduti e mi dirigo a grandi passi verso la stazione. Gli occhi lucidi.

-Cos'hai fatto?!-
-Hai capito bene...-
-E dove sei ora?-
-Sto aspettando il treno, torno a casa.-
-Ma sei impazzita?! Vai da lui subito!-
-Dopo la figura che mi sono fatta? Mai. Probabilmente non riuscirò neanche più a guardarlo in faccia.-
-Non riesco a capire perchè l'hai fatto, pensavo ti piacesse.-
-Ed è così, credo, ma...-
-Ma?-
Lascio cadere la conversazione nel silenzio per qualche secondo, poi sbuffo. Come posso spiegare quel che ho provato senza sembrare stupida? Come posso far capire qualcosa che io per prima non capisco?
Per fortuna con Martina le parole sono sempre state superflue: lei capisce e basta.
-Non puo' influenzare in questo modo la tua vita, non è giusto.-
-Lo odio.- scandisco con rabbia.
-Sei tu che ti fai condizionare così tanto da lui-
-Tu non capisci... non è una cosa che scelgo io.-
-So che non è facile, ma non puoi andare avanti così.-
-Lo so...-
-Senti ora devo proprio andare. Ne parliamo sta sera, okay?-
-Va bene... a dopo.-
Pensavo che parlarne mi avrebbe tirato un po' su il morale, invece sto ancora peggio di prima. I problemi che ci poniamo sembrano sempre meno gravi, inconsistenti, finchè non è qualcun altro a mostrarceli.
Andrea è un problema, un gigantesco problema.
Ci siamo conosciuti in prima liceo, a quattordici anni: lui era basso e con i tratti del viso così infantili da sembrare un irritante moccioso infilato dentro una felpa di marca e io ero decisamente brutta, oltre al fatto che non mi curavo assolutamente del modo in cui ero vestita.
Ci odiavamo così tanto che non riuscivamo a stare vicini per più di dieci minuti senza litigare. In tutta sincerità litighiamo molto spesso anche ora che siamo migliori amici, ma i nostri battibecchi hanno un significato diverso, sono più un particolare modo per dimostrarci il nostro affetto l'uno per l'altra.
Non abbiamo mai avuto quel tipo di rapporto pieno di abbracci e cuori nelle chat di whatsapp, sono veramente rare le volte in cui messaggiamo, ma siamo capaci di stare al telefono per intere ore dopo la scuola e ci sentiamo almeno una volta tutti i giorni.
Un rapporto un po' particolare, pieno di dispetti e litigi, ma perfetto nella sua imperfezione.
E' difficile riassumerlo in poche righe, forse impossibile, ma per descriverlo in modo preciso soffermandomi su ogni aspetto di questo legame impiegherei troppo tempo.
Un'amicizia bellissima comunque, senza dubbio, con un unico particolare che però la danneggia notevolmente, una nota stonata, un'orribile macchia d'inchiostro su un foglio bianco.
Sono innamorata di lui.
Una delle cose più difficili della mia vita è stata proprio ammetterlo. I ricordi del giorno in cui me ne sono resa conto sono stampati nella memoria in modo dolorosamente limpido, assieme alle lacrime.


La casa era silenziosa, tutti dormivano accoccolati sotto le lenzuola per far fronte al freddo invernale, tutti tranne me.
E' strano pensare a come una bella serata tra amici possa trasformarsi in maniera tanto orribile per colpa di una sola frase.
L'idea di trovarci per andare a mangiare gamberi era piaciuta a tutti fin da subito, anche se era stata proposta in modo del tutto casuale. 
Ero seduta vicino ad una ragazza piuttosto alta: bellissimo fisico, viso fine e gentile, capelli neri e un gran sorriso. Si chiamava Alessandra.
Di fronte a loro un elegante Andrea in camicetta nera rigorosamente Armani puliva il pesce con l'agilità di chi lo fa per mestiere, accompagnando la cena con un gigantesco bicchiere di birra. Non mi è mai piaciuta la birra.
Fuori il tipico gelo dei mesi invernali scoraggiava ogni idea di uscire a fare una passeggiata per le stradine del paese silenzioso.
-Perchè non andiamo tutti da Andrea?- aveva esclamato Alessandra finito di mangiare, seguita dalle frasi acconsenzienti degli altri. 
Non ero mai andata a casa sua. Andrea accettò e in pochi minuti ci stavamo avviando verso la piccola villa ai margini della strada.
Le stanze erano immacolate: la cucina con il grande televisore a plasma, il tappeto ed il lungo divano davano un senso di perfezione alla stanza, qualcosa che si aveva quasi paura di toccare.
A rovinare quell'ambiente ci pensarono i giubbotti gettati malamente sopra i cusini.
Anche la camera fece la stessa fine: le coperte del basso letto da una piazza e mezza ci misero poco a disfarsi una volta che, stremati dal freddo, ci gettammo sopra.
Andrea non è mai stato particolarmente interessato alla lettura, ma conservava comunque un notevole numero di libri in un mobile che si conformava all'ordine del resto della casa, i vari romanzi divisi per spessore e genere. Sul ripiano più alto troneggiava una piccola collezione di pacchetti di sigarette, tutti di marche diverse, e due flaconi dorati di One Milion che, accuratamente lucidati, risplendevano fieri sotto la luce bianca del lampadario.
La serata passò in modo scorrevole e senza neanche accorgergene si erano fatte le undici di sera. Uno dopo l'altro erano tornati tutti a casa e nell'immacolata stanza bianca eravamo rimasti solo io, Andrea e Alessandra.
-Mio padre viene per le undici e mezza.- aveva dichiarato quest'ultima, che mi aveva gentilmente offerto un passaggio per il ritorno. Le sorrisi in risposta.
 Le luci si spensero, l'atmosfera divenne più silenziosa.
Andrea si appoggiò allo schienale del letto, le spalle leggermente volte verso Alessandra.
Io me ne stavo dall'altro lato, le gambe accavallate al petto ed il cellulare appoggiato sopra mentre sfogliavo annoiata qualche immagine su facebook.
-Ma lo sai che hai un bel culo?- Iniziò a dire Andrea, la voce lievemente roca.
-Mmh si, ma non mi interessa- rispose ironicamente Alessandra.
Una mano andò dritto contro una sua natica, provocando l'improvviso movimento dei fianchi da parte della giovane, intenta a far terminare quel contatto il prima possibile.
-Andre!- esclamò sconvolta.
Rimasi immobile ad osservare la scena di sottecchi, il viso apparentemente neutrale.
-Ale-
-Che vuoi- 
-Me lo dai un bacio?-
-No!- 
-Dai ti prego, uno solo-
L'atmosfera buia del luogo contribuì a nascondere l'ombra di fastidio che cominciava a crescere sul mio volto.
-Ma smettila!-
Andrea si sporse di scatto verso le labbra della ragazza, che gli sfuggirono solo grazie al movimento repentino di quest'ultima che nascose il volto nello scaldacollo grigio.
-Cosa fai!-
Una risatina divertita riempì l'aria.
-Ti ho baciata.- 
-No non è vero!-
-Si- 
-No. Mi hai beccato la guancia.- quel tono cominciava a diventare insopportabile.
Fu un attimo.
Andrea balzò con uno scatto improvviso sopra la ragazza, immobilizzandole i fianchi con le ginocchia: le mani ad afferrarle i polsi.
-Andre! Che fai!-
Un'altra risata.
Abbassai la luminosità del telefono al minimo così da poter nascondere gli occhi, ora leggermente lucidi.
-Aiutami!- esclamò la ragazza verso di me. 
Tentai un sorriso spostando il telefono contro il petto, in modo da rendere il mio volto il meno visibile possibile. Sapevo che stavano solo giocando, a modo loro, e io dovevo stare al gioco.
-Andre sei un pervertito.- dissi col tono più ironico che riuscii a trovare. Non volevo far trasparire in alcun modo le mie emozioni.
La ragazza alzò una gamba come per proteggersi.
-Ma io non faccio sul serio, mi diverto solo a vederla diventare pazza.- disse come a voler scusare quelle azioni. 
Alessandra l'aveva sempre attratto fisicamente, la conosceva dalla prima media e avevano sempre avuto quel particolare tipo di rapporto.
Quella sera però cominciava ad esagerare.
L'ora del cellulare scoccò i trenta minuti e per me fu un inspiegabilente sollievo. Non riuscivo a spiegarmi razionalmente per quale motivo quella scenetta mi avesse dato così fastidio.
-Ale dobbiamo andare, vado a predere il giubbotto.- dissi quasi fuggendo dal letto per poi avviarmi verso la sala.
-Si arrivo! Andre levati.-
-Guarda che culo, magari tu.- disse rivolto a me. Fu come una frustata a schiena nuda. Mi fermai per qualche secondo, la mano sulla cornice della porta, poi mi costrinsi ad uscire. Presi il giubotto con il volto stizzito che avevo dovuto nascondere fino a quel momento. Rimasi qualche secondo immobile, i pugni chiusi, poi provai a calmarmi con un un sospiro e tornai dentro. Il viso sereno, il corpo coperto da brividi di rabbia.
Dalla porta comparve la figura di Andrea, gli occhi ricaddero immediatamente su di me.
Mi scrutavano, sembravano leggermi dentro, scavare fin nel punto più profondo del mio animo.
Era bellissimo. Che pensiero stupido e inappropriato.
-Che hai?- chiese.
-Niente.- sorrisi.
Mi prese alla sprovvista quando mi racchiuse un un abbraccio. Era caldo, rassicurante. In contrasto con il mio corpo scosso dai tremiti.
Il collo odorava di One Milion.
Quando quel breve momento finì venni pervasa da una serie di emozioni contrastanti: avevo paura che si rendesse conto di quanto ero tesa, per questo fui sollevata quando interruppe il contatto, ma subito dopo sentii la mancaza di quel calore tanto intenso e mi rattristai.
Alessandra uscì dalla stanza con le scarpe ai piedi e le mani intente a sistemare la chioma spettinata. Era bella anche col trucco sbavato e i capelli in disordine.
-Mio padre ha chiamato, andiamo.-
Annuii, lo sguardo fisso sul pavimento.

 
Ero gelosa.
Ero gelosa di Andrea.
Ero gelosa di quel ragazzo che avevo sempre considerato come un amico. Un insopportabile amico pieno di difetti.
Non potevo neanche concepirlo, figuriamoci ammetterlo. Era una cosa che non doveva succedere e basta. Forse era così, forse era solo tutto frutto della mia mente.
Sapevo che Fulvio sarebbe stato un'ottima valvola di sfogo, cosa di cui in quel momento avevo un estremo bisogno, ma allo stesso tempo mi vegognavo delle emozioni che mi avevano travolto come un fiume in piena, prendendomi alla sprovvista, per questo quando lessi il suo messaggio esitai sulla risposta.
"Mi rispondi a monosillabi, non è da te. E' successo qualcosa?"
"No niente" se avesse insistito gli avrei raccontato tutto, senza pensare alla sua reazione, senza aver paura di sembrare un'idiota. Ma non lo fece.
"Okay. Oggi Elisa si è addormentata sulle mie gambe... poverina era davvero stanca."
quella risposta fu come uno sputo in faccia. In fondo, però, non era certo colpa sua e se fossi stata abbastanza lucida da poterlo capire non ci sarebbero stati problemi, ma quella sera la mia testa era invasa da un turbine di emozioni che rendevano insostenibile ogni tipo di ragionamento.
"Scusami, ma sono stanca... ci sentiamo domani, notte." risposi fredda, ma neanche questo insinuò il dubbio nella mente del ragazzo, ignaro di tutto.
"Notte"  scrisse. Lanciai il telefono vicino a me sul divano.
Fui colta da un attimo di tristezza, mi sentii sola, abbandonata da tutti. Nessuno capiva quello che veramente provavo, perchè a nessuno interessava. Le lacrime cominciarono a rigarmi il viso mentre queste convinzioni si ripetevano nei pensieri.
No, nessuno capiva come mi sentivo.
E la colpa era solo mia.
Il telefono vibrò ancora, lasciai passare qualche secondo prima di trovare la voglia per afferrarlo e controllare il mittente.
"Ce l'hai con me." Il messaggio era di Andrea. Una piacevole ma al tempo stesso imbarazzante sensazione mi invase tutto il corpo.
"Cosa te lo fa pensare?" la risposta era volutamente ambigua: non sapevo cosa dire.
Lui aveva capito come mi sentivo veramente.
Come poteva una persona essere così incredibilmente stronza e dolce nello stesso momento.
"... cos'hai?"
"Niente.. sto solo piangendo, tranquillo" digitai senza pensare, ma al momento di inviare non ebbi la forza di premere quel tasto. Cancellai tutto, vinta dalla paura.
"Perchè dovrei avercela con te, non ne avrei motivo"  mentire nei messaggi era così semplice... Bastava uno smile.
"Okay"
Un altro okay da aggiungere alla lista, più doloroso del precedente.
Soffrivo, stavo male, ed era solo colpa mia e del mio carattere.
Ripensai ad ogni istante di quella serata, soffermandomi sulle parti più dolorose.
Magari tu
La rabbia per me stessa diventò rabbia per lui.
-Idiota...- bisbigliai con la voce rotta dalle lacrime. 

 
Odi et amo affermava Catullo per la bella Lesbia.
E' strano pensare a come un poeta di un periodo così lontano riesca a descrivere perfettamente cio' che ho provato per Andrea.
Sono arrivata ad odiarlo. Lo odiavo perchè ero innamorata di lui, e lui non ricambiava.
Gliel'ho detto una sera di febbraio nel modo più vigliacco possibile: per messaggio.
Avevamo litigato, come al solito. Questa volta però il motivo era che non volevo fargli leggere dei messaggi in cui parlavo di lui: avevo confessato a Fulvio quel che provavo e l'ultima cosa che volevo era che lui lo scoprisse in quel modo.
"Perchè non posso leggerli? Cosa mi nascondi?"
Fu davvero difficile rispondere.
"Mi piaci, contento?"
'Mi piaci' era un eufemismo per descrivere quello che provavo, ma ancora non me ne rendevo conto. Sebrava stupido da dire, infantile, ma fu liberatorio.
Passarono tre interminabili minuti prima di ricevere una risposta. 
Non ricordo le esatte parole che mi scrisse, ma ricordo i concetti, era stato insolitamente dolce considerando il suo naturale carattere scontroso.
"L'avevo intuito... ascolta, io non voglio che tra di noi le cose cambino, per me possiamo benissimo rimanere amici come prima. Ma devi decidere tu: se non te la senti, io mi farò da parte. So come ti senti, io ci sono passato tante volte."
Ma in quel momento tutto si riduceva ad un'unica parola: No.
Ci avevo sperato veramente, volevo più di ogni altra cosa sentirlo dire che ricambiava ciò che provavo, ma non andò così.
Ora sono in quarta liceo: ho passato un anno a cercare di fingere di star bene, ma non sto bene.
Quanto puo' essere doloroso stare tutti i giorni vicino alla persona che ami sendendola distante, lontana. Quanto puo' essere insopportabile avere ciò che vuoi davanti a te, dietro uno spesso muro di vetro che non si romperà mai. 
Non lo odio più, non voglio odiarlo, perchè la nostra amicizia è troppo bella per finire. 
L'unico modo per smettere di soffrire per amore è stare lontani dalla causa del problema, smettere di pensarci. Ma come si fa a stare lontani da una persona a cui si vuole così bene.
Non c'è soluzione al dolore che l'amore provoca, non rimane che asciugarsi le lacrime e andare avanti con la propria vita, un passo alla volta.

Il treno finalmente si scuote, pronto a partire, il movimento improvviso mi fa sobbalzare e mi riporta alla realtà.
Accendo il telefono e leggo i messaggi di Andrea che mi chiede com'è andata l'uscita. Contro ogni logica sorrido, ironizzando sulla situazione.
Non so per quale motivo ci si innamora sempre della persona sbagliata.
So che, nonostante tutto, sono felice di avere Andrea nella mia vita.
 
Dedicato al mio migliore amico.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Tadako