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Autore: Jade Tisdale    30/10/2016    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 8: 
The love of a mother is forever

 

 

 

 

La galleria era piena di persone, molte delle quali Nyssa aveva già visto la sera dell’esplosione al teatro: almeno la metà degli acquirenti aveva partecipato al galà di pochi giorni prima, eppure, le donne e gli uomini che erano stati testimoni di quella catastrofe sorridevano e scambiavano convenevoli con amici e conoscenti come se nulla fosse mai accaduto.
Li osservò da lontano, posando una mano sulla gonna del vestito. Stringeva. Quando aveva aperto l’armadio, furente con Sara, aveva afferrato il primo abito che aveva trovato, senza rendersi conto che si trattava di un vecchio vestito che la fidanzata utilizzava quando andava alle superiori. Lei e Sara portavano la stessa taglia, ma evidentemente all’epoca la bionda era molto più magra di quanto Nyssa potesse immaginare.
Nello stesso istante, May ritornò con un bicchiere colmo di champagne. «Scusa il ritardo, ma al banco delle bevande c’era una fila assurda.»
Nyssa le sorrise. «Fa niente. Pronta per il secondo giro?»
L’altra annuì, mandando giù un sorso di spumante. «Certamente. Tu, piuttosto, come mai non bevi?» domandò, indicando il calice che le aveva porto[1] quasi mezz’ora prima, e che Nyssa aveva continuato a rigirarsi nervosamente fra le mani.
La diretta interessata fece spallucce. «A dire la verità, non ho molta sete.»
May annuì ancora, finendo il proprio champagne in pochi secondi. «Che ne dici di parlare in un posto un po’ più… appartato?»
La figlia di Ra’s le dedicò una lunga occhiata, ricordando le stesse parole che le aveva detto Josh al ricevimento di beneficenza qualche giorno prima.
«Ovviamente torneremo in tempo per l’inizio dell’asta» la tranquillizzò la ragazza dai capelli corti con un sorriso.
Nyssa ci pensò su per un po’, dopodiché sorrise e, ancora con il bicchiere in mano, seguì May con un brutto presentimento.



Nyssa rimase in silenzio per tutto il tragitto. Fu May a intrattenerla coi suoi discorsi sull’arte e su come se ne fosse innamorata da bambina. E nonostante sapesse che le sue erano tutte menzogne, non osò interromperla neanche una volta.
May la condusse davanti all’entrata del magazzino, e fu allora che Nyssa strinse più che poté le mani intorno al proprio bicchiere. Non appena ebbero messo piede all’interno del deposito, l’Erede del Demonio lo poggiò sopra ad uno scatolone, e attese che May si voltasse verso di lei prima di fare la sua mossa. Estrasse il coltello che teneva nascosto sotto alla gonna e lo puntò alla sua gola mentre la spingeva contro al muro. La donna osservò a denti stretti la lama puntata contro la propria pelle, il respiro affannato e gli occhi sbarrati.
«Credevi che non ti avrei riconosciuta?» esordì la mora, con un sibilo sprezzante. «Credevi che bastasse cambiare taglio di capelli nel giro di un pomeriggio e mettersi le lenti a contatto per ingannarmi?»
«Non so di cosa tu stia parlando» ringhiò l’altra, deglutendo a fatica.
«Vuoi dire che la ragazza bionda che oggi pomeriggio mi ha consegnato il volantino della mostra di quadri non eri tu? E che quel vino in realtà non è avvelenato? Pensavi non avessi capito che mi stavi spiando?» Aumentò la pressione sul suo collo, dalla quale colò una goccia di sangue scarlatto. «Credevi davvero che fossi così tanto stupida, Incantatrice
Sul volto della donna si formò un ghigno di sfida. Nyssa ci aveva azzeccato in pieno. «Perché non mi hai ancora uccisa?» sussurrò, velenosa. «Sei la figlia di Ra’s al Ghul. Avresti già dovuto tagliarmi la testa da ore.»
Nyssa non la ascoltò. «Che cosa vuoi da me?»
«Da te, nulla» rispose l’altra, inarcando un sopracciglio. «Ma da Arrow... beh, molte cose.»
Con uno scatto, l’Incantatrice colpì Nyssa all’addome e riuscì a liberarsi dalla sua presa, afferrando il manico di un mocio che utilizzò come se fosse un bastone. Nyssa si scagliò su di lei e tentò di colpirla in pieno viso, ma la donna evitò il suo attacco con un’agilità invidiabile. La mora le tirò un calcio, strappando appena un lato del vestito di Sara, e riuscì a colpirla in un fianco. Nel mentre, l’Incantatrice fece roteare il manico e compì un passo indietro, pronta ad attaccare di nuovo.
Dopo pochi istanti, Nyssa sembrava avere la meglio, e ciò la convinse che non ci avrebbe messo molto a vincere la battaglia. Mentre combattevano, però, l’Erede si rese conto di una cosa piuttosto strana: riusciva a prevedere le sue mosse. L’Incantatrice era abile, veloce, e sapeva utilizzare il bastone con una destrezza degna dei mercenari della Lega degli Assassini. Tuttavia, non ricordava di averla mai vista a Nanda Parbat.
«Chi ti ha addestrata?» domandò, evitando appena un colpo diretto alla propria schiena.
La donna sogghignò ancora, ma non rispose. Ciò non fece altro se non aumentare l’ira di Nyssa. Lasciò andare il coltello a terra e le strappò il bastone di mano, dopodiché glielo puntò all’altezza dello stomaco e premette più forte che poté. L’Incantatrice gemette, ma un attimo dopo, prima che Nyssa potesse prevederlo, riuscì ad evitare che quest’ultima le perforasse il ventre riappropriandosi del manico. La colpì alla fronte e non appena Nyssa ebbe abbassato la guardia, lo strinse intorno al suo collo.
Bastò un istante affinché le finestre del magazzino si rompessero e una freccia sfiorasse la spalla dell’Incantatrice. Giusto in tempo, pensò Nyssa fra sé e sé, sorridendo appena.
«Lasciala andare!» tuonò Oliver, la voce completamente modificata dal suo congegno.
La donna, ancora con l’Erede in ostaggio, si voltò, cosicché entrambe potessero vedere coi loro occhi l’arrivo dei giustizieri. «Finalmente sei arrivato.»
«Lasciala andare o giuro che‒» scattò Sara, ma prima che potesse compiere un solo passo, Arrow la bloccò con un gesto della mano.
«È me che vuoi, vero?» domandò l’uomo, abbassando il proprio arco. «Bene. Sono qui. Ma lei non c’entra. Non ti costa nulla liberarla.»
L’Incantatrice sorrise lievemente, aumentando la stretta intorno al collo della figlia di Ra’s. «Non è così semplice» rispose. Nel mentre, Sara continuava a spostare rapidamente lo sguardo da Nyssa al pavimento, ma la loro nemica sembrava non essersi accorta di nulla. Aveva occhi solo per Arrow. L’aveva cercato a lungo, e ora che se lo era finalmente ritrovato davanti non poteva sprecare la sua occasione.
«Dimmi che cosa vuoi e facciamola finita, Caroline!» sbottò l’ex miliardario, avvicinandosi a lei di qualche passo.
«Tutto quello che voglio è la tua collaborazione» esordì lei, con gli occhi che le brillavano. «Ormai avrai scoperto tutto quello che c’è da sapere su di me, così come io so molte cose su di te, Oliver.» L’uomo digrignò i denti, ma in fondo se lo aspettava un simile colpo basso. «So tutto del taccuino di tuo padre. Per più di un anno hai dato la caccia alle persone i cui nomi erano scritti su quel libretto, e vorrei farti una proposta.» Il ghigno sul suo volto si ampliò a dismisura. «Tu mi aiuterai ad uccidere quei bastardi che hanno fatto fuori mio marito, e in cambio io collaborerò con te per sbarazzarti delle persone su quella lista.»
«Sei una combattente formidabile» disse Oliver, con cautela. «Non mi sembra che tu abbia bisogno di aiuto.»
«È qui che ti sbagli» replicò, lasciando andare lentamente la presa sul collo di Nyssa. «Ho da poco scoperto che anche alcuni esponenti della mafia russa erano coinvolti. E indovina un po’ chi è in contatto con quei figli di puttana?»[2]
Arrow serrò la mascella, apparentemente incapace di prendere una decisione. Tuttavia, gli bastò ricevere un’occhiata glaciale da parte di Sara per capire quale strada prendere. «No» disse seccamente, stringendo la mano intorno al proprio arco. «Non ho intenzione di collaborare con un’assassina che ha ucciso delle persone innocenti per raggiungere i propri scopi.»
Caroline alzò il capo con fierezza. «Non mi sembra che tu sia molto diverso. In ogni caso, hai fatto la tua scelta.»
Un attimo dopo, prima che l’Incantatrice potesse muovere un muscolo, Nyssa le pestò il piede col tacco; approfittando del momento di debolezza, si riappropriò in fretta del bicchiere di vino e glielo scagliò sulla nuca. Nello stesso istante, Sara lanciò una delle freccette della Lega direttamente nel collo della donna: ciò bastò per farle perdere i sensi nel giro di un paio di secondi.



«Mi hai fatto prendere un colpo.»
Nyssa, seduta su uno dei tavoli dell’Arrow Cave, strinse leggermente i denti mentre Sara le disinfettava la ferita sulla fronte. Si assicurò che il resto della squadra fosse abbastanza lontano da non poter udire la loro conversazione, dopodiché deglutì. «Se ti avessi parlato del mio piano non mi avresti permesso di andarci da sola.»
La bionda passò lentamente il batuffolo di cotone sul taglio pieno di sangue, un piccolo broncio a contornarle le labbra. «Certo che no, idiota» sussurrò, abbassando lo sguardo per un istante. «Non farlo mai più.»
L’altra scosse la testa, ma entrambe sapevano che, se ce ne fosse stata l’occasione, Nyssa lo avrebbe rifatto senza pensarci due volte.
«Quindi, ricapitolando» esordì Felicity, avvicinandosi a loro seguita dal resto del team «come hai fatto a capire che l’Incantatrice ti stava seguendo?»
«Sono stata addestrata dalla Lega degli Assassini» disse ironicamente, passandosi una mano sulla fronte sudata. «Sapevo di essere pedinata, così come sapevo che c’erano delle telecamere nascoste in giro per la casa. Quello che non sapevo era chi mi stesse spiando. L’ho capito solo oggi, quando una ragazza al bar mi ha consegnato il volantino dell’asta di quadri. Ci ho messo un istante a riconoscerla: l’avevo vista la sera dell’esplosione nella sala principale del teatro, e il giorno successivo le sono finita addosso mentre salivo le scale del nostro palazzo. Ho subito capito che c’era qualcosa che non quadrava, perciò ho agito d’istinto.»
«Avresti comunque dovuto parlarcene» la rimproverò Laurel. «Sarebbe stato più sicuro.»
«Non era sicurezza che cercavo, ma risposte» disse, puntando lo sguardo verso di lei. «Se avessi incontrato la stessa donna all’asta, avrei confermato ogni mio dubbio. E così è stato.»
«In ogni caso» la interruppe Oliver, prima che scoppiasse un qualche tipo di lite tra le due «siamo riusciti a catturare l’Incantatrice senza causare ulteriori vittime. Ed è solo merito tuo.» Sorrise a Nyssa, che ricambiò senza pretese. «Perciò, grazie.»
«Ho fatto solo il mio dovere» rispose semplicemente l’altra, scrollando le spalle. Non lo diede a vedere, ma essere ringraziata da Oliver in parte le faceva piacere.
Anche Diggle le sorrise, probabilmente per la prima volta da quando la conosceva, e quel gesto la fece sentire leggermente a disagio.
«Direi che ci meritiamo tutti un po’ di riposo» commentò Felicity, mimando uno sbadiglio. «Che ne dite di radunare le nostre cose e andarcene a dormire?»
Ci fu un lieve mormorio di assenso, dopodiché il gruppo si disperse all’interno della stanza e Sara e Nyssa rimasero di nuovo sole. Canary fece una smorfia, dopodiché poggiò entrambe le mani sulle cosce della fidanzata, accarezzandogliele dolcemente.
«Quindi… non eri davvero arrabbiata con me?»
Nyssa sorrise, scoccandole un bacio sulla fronte. «Certo che no, stupida.»
«Sbaglio o ci stiamo allargando un po’ troppo con gli insulti oggi?» ridacchiò la minore delle sorelle Lance, solleticando appena i fianchi dell’amata.
«Mi sembra il minimo» rise Nyssa, osservando la schiena di Sara mentre si allontanava. «A proposito, non sei arrabbiata perché ho strappato il tuo vestito, vero?»

*

Il rumore dei tacchi di Laurel si disperse nel vociare diffuso nella centrale. Pareva essere una giornata diversa dalle altre: gli agenti si muovevano freneticamente da una parte all’altra della stanza, chi con delle cartelle in mano, chi completamente preso da una telefonata.
«Che cosa sta succedendo qui dentro?» domandò a Quentin non appena fu entrata nel suo ufficio.
«Non ti hanno informata? Hanno anticipato il processo dell’Incantatrice. Inizia tra mezz’ora.»
La castana sussultò appena. «No, non me l’hanno detto» rivelò, leggermente sconcertata. «Ma sappiamo tutti quale sarà il verdetto. Perché agitarsi così tanto?»
«Perché quando Arrow l’ha consegnata alla polizia alcuni cittadini hanno minacciato di ucciderla per tutti i problemi che ha causato. Ho dovuto tenere a bada anche alcuni dei miei agenti, altrimenti le avrebbero sparato in testa senza alcun ritegno.»
«Non avrebbero neanche fatto male» commentò Laurel, incrociando meccanicamente le braccia.
Quentin bevve un rapido sorso di caffè dalla sua tazza. «In ogni caso, molte persone vogliono partecipare al processo. Ti va di venire?»
La donna soppesò sulla richiesta per qualche secondo. «Avrei dei casi da ricontrollare, ma direi che questo è più importante.»
Il Capitano annuì. «Bene» disse, dirigendosi verso la porta che conduceva all’esterno del suo ufficio. «È giunta l’ora di chiudere questo capitolo.»

*

Quando Nyssa mise piede all’interno del Mystery Café, Josh, Adam e un’altra decina di clienti stavano osservando il televisore con gli occhi sbarrati; alcuni commentavano sottovoce, borbottando parole che l’Erede non comprese, mentre altri si limitavano a scuotere il capo amareggiati.
«Che mi sono persa?» domandò non appena giunse davanti al bancone.
«Hai sentito l’ultima sull’Incantatrice?» chiese Josh, lo sguardo fisso sullo schermo.
«Che è stata condannata all’ergastolo?»
«Questo ieri mattina. Stanotte è stata trovata morta nella sua cella. All’inizio pensavano si trattasse di un suicidio, ma adesso la polizia esclude già questa teoria.»
Nyssa deglutì, sentendo l’ira crescere dentro di lei. Con tutta la fatica che avevano fatto per catturare l’Incantatrice senza torcerle un capello ‒ per modo di dire, ovviamente ‒, dopo nemmeno un giorno di prigione c’era chi aveva pensato a sbarazzarsi di lei?
«Comunque, meglio così, almeno non c’è più il rischio che possa evadere e mietere altre vittime» affermò Josh, voltandosi finalmente verso la donna. «Ehi, che ti è successo?» esclamò preoccupato, indicando la ferita sulla fronte di Nyssa con lo sguardo.
«Sono caduta» rispose la donna, massaggiandosi lentamente il collo. «Ieri pomeriggio stavo facendo le pulizie di casa, sono inciampata sul pavimento bagnato e ho sbattuto contro lo spigolo del tavolo.»
«Deve far male» commentò lui, aggrottando le sopracciglia. «Credo di aver sbagliato a concederti subito un pomeriggio di riposo dopo il tuo primo giorno di lavoro.»
«Può darsi» continuò Nyssa, legandosi il grembiule dietro la schiena. «Ma sarebbe comunque potuto succedere qui al lavoro.»
«Vero» annuì Josh, sorridendo a fatica.



Sara digitò il codice che conduceva al nascondiglio segreto del Team Arrow con un groppo in gola. Da quel giorno, molte cose sarebbero cambiate, perché tutti sarebbero venuti a conoscenza del fatto che era incinta.
Si era svegliata con quella convinzione. Dopo averci rimuginato sopra tutta la notte, aveva finalmente deciso: lo avrebbe detto a Oliver quella mattina stessa.
Mentre apriva la porta, prese un respiro profondo. Era pronta a compiere il grande passo.
Tuttavia, quando giunse davanti all’enorme scrivania di Felicity e non vi trovò nessuno, l’ansia che provava crebbe ulteriormente. Oliver aveva passato le ultime mattine ad allenarsi, per questo aveva dato per scontato che lo avrebbe trovato appeso alla salmon ladder. Si sedette sul bordo di uno dei tavoli, decidendo di aspettare il suo arrivo; tuttavia, pochi secondi dopo, la porta si aprì di nuovo e Sara udì dei passi lungo la scala di metallo.
«Finalmente abbiamo chiuso questa faccenda.» Era Oliver.
«Te l’avevo detto che sarebbe andata bene!» trillò una voce femminile. Felicity.
Sara si voltò di scatto, col cuore che batteva a mille. Non aveva considerato il fatto che ci sarebbe potuta essere anche lei, e adesso si sentiva una completa idiota a non averci pensato prima.
Non appena i due ebbero oltrepassato l’ultimo gradino, se la ritrovarono davanti e le dedicarono un’occhiata allegra.
«Ciao, Sara!» esclamò la bionda, con un sorriso. «Hai saputo la buona notizia?»
La diretta interessata deglutì. «Quale notizia?»
«Felicity, la riunione è appena terminata. Non ho informato nessuno» le disse cautamente l’ex miliardario.
L’altra fece una smorfia. «Beh, avresti dovuto. È davvero una bella notizia.»
«Ragazzi, mi dispiace interrompervi, ma devo parlarvi di una cosa importante e non posso proprio aspettare» disse Canary tutto d’un fiato, cercando di farsi forza.
Tuttavia, Felicity proseguì il suo discorso come se niente fosse. «Oliver non perderà la Queen Consolidated!»
Sara, colta alla sprovvista, fece un passo indietro. «Che cosa?»
«C’era un solo potenziale acquirente, ma siamo riusciti a stringere un accordo» spiegò Oliver, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. «Nessuno mi voleva più come amministratore delegato poiché non mi ritenevano un buon soggetto. Per questo motivo ho fatto in modo che Felicity diventasse mia socia prima della riunione.» Sorrise a labbra strette, rivolgendo uno sguardo al tecnico informatico. «Ray Palmer, l’uomo che nelle ultime settimane ha tentato di portarmi via l’azienda, non ha potuto fare niente contro di noi. Felicity ha una buona reputazione nella ditta, ci lavora da quando io ero su Lian Yu e ha delle doti indispensabili affinché la Queen Consolidated vada avanti. Così, la scorsa settimana abbiamo firmato un contratto secondo il quale ognuno di noi avrebbe amministrato il trentatré per cento dell’attività.»
«E che ne è stato del restante uno per cento?» domandò Sara, incuriosita.
Felicity sorrise misteriosamente. «I membri del consiglio hanno votato questa mattina la persona che ritenevano più adeguata per guadagnarsi il restante uno per cento, e‒»
«Felicity ha vinto con una differenza invidiabile» concluse Oliver per lei.
La minore delle sorelle Lance sorrise, unendo le mani davanti al viso. «Ragazzi, è una notizia meravigliosa.» Si avvicinò ulteriormente al tecnico informatico e quest’ultima la abbracciò. «Sono veramente felice per voi.»
«Ho avuto più soddisfazioni nel catturare Slade Wilson e combattere contro il suo esercito, ma…» scherzò Arrow, mettendo il proprio braccio intorno alle spalle della fidanzata «devo ammettere che anche questo è appagante.»
Felicity scosse lievemente la testa, per poi chinarsi verso Oliver e baciarlo. Fu in quell’istante che Sara capì che non poteva dirgli della gravidanza. Avrebbe rovinato per sempre la sua relazione con Felicity, e l’ultima cosa che voleva era creare ulteriore disagio nella vita di Oliver. Aveva appena fatto un passo avanti nel riprendersi l’azienda di famiglia, e dargli una notizia del genere avrebbe sconvolto la sua intera esistenza.
«Anche tu avevi qualcosa di importante da dire, o sbaglio?»
Sara alzò nuovamente lo sguardo verso Felicity, deglutendo. «Io…» iniziò, sentendosi svenire. Le bruciava la gola dalla paura. Dopo pochi istanti, non sapendo cosa dire, esclamò: «Avete sentito cos’è successo questa notte?» Aveva di nuovo il cuore al galoppo. Notando i loro volti spaesati, proseguì: «L’Incantatrice è stata uccisa.»
I due si scambiarono uno sguardo confuso, mentre Sara si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Ringraziò mentalmente Nyssa per averle mandato un messaggio al riguardo non appena lo aveva scoperto poche ore prima.
«Com’è possibile?» scattò Oliver, mentre Felicity si affrettava a cercare informazioni al riguardo sul suo tablet.
«Non ne ho idea» rispose Sara, scrollando le spalle. «A volte accadono delle cose che sono più difficili da spiegare di quanto pensiamo.»



«…E così gli ho detto, “No, signore, si sta sbagliando. Questa non è casa sua, è l’ufficio del procuratore distrettuale.” Roba da matti» ridacchiò Laurel, intingendo le patatine fritte nel ketchup. «Insomma, capisco che era ubriaco, ma arrivare a così tanto… Sara, mi stai ascoltando?»
La diretta interessata alzò di scatto la testa, spaesata. «Sì. Sì, ho capito.»
«Certo, come no.» L’avvocato fece una smorfia. «Non mi sembri molto in forma. C’è qualcosa che non va con Nyssa?»
«No, con Nyssa è tutto okay» balbettò la sorella, sorseggiando lentamente il suo milkshake alla fragola. «Sono solo un po’ pensierosa riguardo a una cosa. Ma non è nulla di serio, non preoccuparti.»
Laurel scosse leggermente il capo, sorridendo appena. «Non cambi mai.»
«Che intendi dire?» replicò Sara, con la cannuccia a un lato della bocca.
«Indossi ancora quella maglietta degli Star City Rockets che ti ho regalato al liceo, bevi solo frullati alla frutta e diventi nervosa quando mi nascondi qualcosa» osservò, guardandola dritta negli occhi.
Sara sbuffò, stringendo il bicchiere intorno alle dita. «Non è niente, davvero. Tu, piuttosto, come mai sei così euforica oggi?»
La maggiore si mordicchiò il labbro, assumendo un’espressione maliziosa. «Ho una bella notizia.» Fece una pausa per creare un po’ di suspense, ma non riuscì a trattenersi a lungo. «La mamma è in città. È arrivata stamattina.»
Canary inarcò un sopracciglio, visibilmente seccata. «Cosa? Perché non me l’hai detto prima?»
«Perché volevo farti una sorpresa» rispose l’altra, con un sorriso. «Ho invitato lei e papà a cena da me questa sera. Preparerei qualcosa con le mie mani, ma devo lavorare tutto il pomeriggio, perciò credo che prenderò qualcosa a quel take away dove cucinano cibo cinese che papà adora. Ti va di unirti a noi?» Sorrise dolcemente, accarezzandole il dorso della mano nel tentativo di persuaderla ad accettare l’invito. «È da un bel po’ che non ci concediamo una serata in famiglia.»
Sara si strinse nelle spalle, fingendo di valutare l’offerta. «Non lo so, Laurel. È tutto così complicato.» Sospirò, passandosi una mano sul viso. Poi, scosse la testa in segno di diniego. «Mi dispiace, ma non posso venire. C’è Nyssa e… poi c’è papà, insomma…»
«Papà sarebbe comunque venuto a sapere che eri tornata in città, prima o poi» affermò la castana, addentando una patatina. «È un caso che tu sia riuscita ad evitare le telecamere quando agivi come Canary, ma lui non è stupido. E Nyssa non è un problema, era sottinteso che l’invito fosse esteso anche a lei. D’altronde, ormai è di famiglia.»
Nel sentire quelle parole pronunciate dalla sua stessa sorella, Sara provò una forte emozione all’altezza del cuore. Le era grata in un modo inimmaginabile, ma al tempo stesso, sapeva che era una follia.
«Dopo quello che è successo con la mamma, ho paura a farle rivedere Nyssa, soprattutto come mia… partner» ammise la bionda, ripensando con vergogna a quando l’Erede aveva rapito Dinah per far sì che lei tornasse alla Lega.
«Non preoccuparti per la mamma. Posso parlarci io» proseguì la donna, ma Sara continuava a non essere convinta dell’idea. «Promettimi almeno che ci penserai» la pregò Laurel.
Sara sbuffò ancora, alzando gli occhi al cielo. «Ci penserò» disse allora, ricevendo una forte stretta da parte della sorella.



«L’hanno sgozzata» spiegò Quentin, sospirando. «Quando abbiamo trovato il corpo, la scientifica si è messa subito all’opera, ma per ora è come cercare un ago in un pagliaio. Niente impronte digitali, nessuna persona sospetta nelle registrazioni. Chi ha agito aveva programmato tutto in ogni minimo dettaglio, ed è un esperto. Non ha lasciato la minima traccia.»
Oliver soppesò sulle parole del capitano per un istante. In vita sua aveva conosciuto una marea di killer professionisti, ma questa volta la faccenda si stava complicando più del previsto. Era chiaro che chiunque avesse ucciso l’Incantatrice stava attendendo che finisse in prigione prima di colpire. Aspettavano che qualcuno la catturasse per poi ucciderla senza problemi, pensò l’ex miliardario.
«Grazie mille, capitano. Le faremo sapere se scopriamo qualcosa.» Abbandonò il telefono sulla scrivania, ricevendo un’occhiata storta da parte di Felicity.
«Hai qualche teoria?» gli chiese quest’ultima.
Oliver serrò la mascella. «Forse. Ma non ne sono sicuro al cento per cento.»
«Puoi sempre chiedere ai tuoi amici della Bratva» suggerì Roy, mettendosi le mani in tasca. «Loro sanno sempre tutto di tutti, no?»
«Non ho più contatti con la Bratva da un po’» ammise il giustiziere, voltandosi verso Arsenal. «Però c’è qualcuno che potrebbe aiutarmi.»
Senza dare ulteriori informazioni, si diresse a passo spedito verso il piano superiore.



Oliver poggiò il cellulare sul bancone del bar, allargando con le dita la foto che gli aveva mandato Quentin poco prima. Ritraeva il corpo privo di vita dell’Incantatrice.
«Non qui» lo schernì Nyssa, cercando di non guardarlo negli occhi. Prese in mano un sacco della spazzatura mezzo vuoto e lo chiuse con un nodo. «Vieni nel vicolo sul retro fra due minuti.»
Mezzo minuto dopo, Oliver raggiunse Nyssa nel luogo stabilito, porgendole nuovamente il telefono con insistenza.
«Quindi?» domandò lei, inarcando un sopracciglio.
«Quindi voglio sapere se c’entrate voi.»
«Perché la Lega degli Assassini avrebbe dovuto uccidere una donna come lei?» chiese la mora, intuendo l’antifona.
«Non ne ho idea. Sei tu la figlia di Ra’s al Ghul» la punzecchiò Arrow, incrociando le braccia. «Sei tu quella che dovrebbe sapere quali sono i bersagli di tuo padre.»
«Dubito fortemente che sia opera della Lega.»
«Ma “dubito” non è una certezza. Non mi basta.»
Nyssa digrignò i denti, seccata. «Ci sono un’infinità di organizzazioni segrete piene di killer meticolosi. Perché punti il dito proprio contro di noi?»
«Perché fino ad oggi la vostra setta è stata l’unica ad attaccare Starling City» spiegò Oliver, abbassando il tono di voce. «Voglio solo che tu mi dia la conferma che‒»
«Non posso dartela» rispose in fretta lei, dirigendosi verso la porta sul retro del locale. Prima di sfiorare la maniglia con le dita, però, si voltò. «Mi dispiace, ma non c’è niente che possa fare.»
«Nyssa.» Oliver le si avvicinò, lo sguardo terribilmente serio. «Se a te e Sara… se vi sta succedendo qualcosa, lo voglio sapere. Se vi siete messe in qualche casino, se la Lega vi ha cacciate, io‒»
«Non c’è niente che non vada» replicò lei, ricambiando l’occhiata. «Ora devo tornare al lavoro. Non dire a Sara che ci siamo incontrati. Non serve.» E sparì dietro la porta come se niente fosse.



Tornò a casa alle sei passate, coi piedi doloranti e il mascara colato a causa del sudore. Era stata una giornata molto intensa al Mystery Café: nelle ultime otto ore aveva fatto una pausa di soli dieci minuti, ovvero quando si era incontrata con Oliver nel retro del locale. Si diresse verso il corridoio a grandi passi, ma prima che riuscisse a raggiungere il bagno si ritrovò di fronte Sara con indosso il pigiama.
«Che ti è successo?» domandò quando la vide, indicando gli angoli degli occhi di Nyssa con l’indice.
«Che hai fatto?» chiese la figlia di Ra’s al tempo stesso, sovrapponendo la propria voce a quella di Sara.
«Ho fatto un pisolino pomeridiano» rispose l’altra, sfregandosi gli occhi con le nocche delle mani. «E tu?»
«Giornata piena» spiegò l’Erede, togliendosi la t-shirt rossa e abbandonandola sul pavimento. «Ho bisogno di una doccia.»
Tuttavia, prima che potesse compiere un solo passo, Sara la bloccò stringendole l’avambraccio. La guardò intensamente negli occhi per un paio di secondi prima di riprendere a parlare.
«Andiamo a cena da Laurel, questa sera?» Prese un respiro profondo, cercando di farsi forza. «Ci sono anche i miei genitori.»
Al sentire la parola “genitori”, Nyssa s’incupì. «Neanche per idea.»
La bionda aumentò con forza la stretta. «Andiamo, è solo per una sera.»
«Non è questo il punto, Sara. Lo sai bene» sbottò Nyssa, divincolandosi dalla presa con un gesto rapido. «Tu va’, se vuoi. Io resto qui.»
«Ma‒»
«Devo farmi una doccia» ripeté, dirigendosi rapidamente verso il bagno e sbattendo la porta alle proprie spalle.
Sara sospirò, passandosi una mano sulla fronte. Quando Nyssa prendeva una decisione, era irremovibile.



Maseo attraversò la stanza con il cappuccio sul capo, lo sguardo fisso in direzione del proprio padrone. Quando giunse davanti a Ra’s, si inchinò come faceva sempre, ma questa volta attese che il Demone gli facesse segno di alzarsi in piedi prima di assecondarlo.
«Hai fatto ciò che ti ho chiesto?»
Lui annuì lentamente. «Sì.» Alzò lo sguardo, incontrando quello di Ra’s. «Dubito che Ta-er al-Sahfer e sua figlia torneranno a casa molto presto.»
La Testa del Demonio serrò le labbra, iniziando a camminare intorno alla stanza con le mani dietro la schiena. Rimase in silenzio per qualche istante, dopodiché, si rivolse nuovamente al suo braccio destro. «Sai quello che devi fare.»
Il giapponese annuì ancora, per poi lasciare il santuario a passo svelto.



Quando Nyssa uscì dal bagno, avvolta nell’accappatoio nuovo di zecca che aveva comprato la settimana precedente, trovò Sara accucciata sul divano con un’espressione malinconica stampata in viso. Se lo aspettava. Ci aveva riflettuto a lungo nell’ultima mezz’ora, ma la sua risposta non sarebbe cambiata. Come avrebbe potuto sedersi allo stesso tavolo di Dinah Lance e fingere che sei mesi prima non l’aveva rapita? Non avrebbe mai sopportato il peso dell’imbarazzo che provava al solo pensiero di quello che aveva fatto.
Si avvicinò lentamente a Sara, trattenendo un sospiro. Era al quarto mese di gravidanza. Non vedeva i suoi genitori da settimane, addirittura da prima che scoprisse di essere incinta. Magari parlare con sua madre le avrebbe fatto bene: in fondo, lei che aveva avuto due figlie ne sapeva qualcosa in più. E poi, non avrebbe mai potuto negare a Sara l’opportunità di trascorrere una serata in compagnia della sua famiglia, anche se sapeva benissimo che non ci sarebbe mai andata senza di lei. Perché ora, anche Nyssa faceva parte della famiglia di Sara, nonostante per lei fosse ancora strano da pensare.
Quando fu a meno di un passo dall’amata, Nyssa le mise le mani sulle spalle e le diede un bacio sulla guancia da dietro. «Ehi» canticchiò, cercando di apparire serena.
La bionda si voltò, dedicandole un sorriso stanco, per poi fissare nuovamente un punto nel vuoto davanti a sé. La figlia di Ra’s si sedette allora al suo fianco, stringendo le sue mani calde fra le proprie. «Andiamo da Laurel?»
Sara scrollò le spalle, affranta. «Non voglio obbligarti a venire.»
«Non mi stai obbligando» puntualizzò l’altra, dandole un buffetto sulla guancia. «È una mia scelta.»
Canary alzò lo sguardo, osservandola a lungo con le sue iridi di ghiaccio. «Perché…»
Nyssa la anticipò prima che potesse terminare la frase. «Lo faccio per te.»
Sara si bloccò per un istante, riflettendo su quelle parole. Subito dopo, piena di gioia, si chinò in avanti per abbracciare strettamente Nyssa. Poggiò le labbra sulla sua spalla lievemente scoperta, inspirando a pieni polmoni il profumo del bagnoschiuma, mentre la mora prese ad accarezzarle delicatamente la schiena. Entrambe amavano quei momenti di tranquillità. Essere stretta fra le braccia dell’altra, senza pensieri, era piacevole. Immaginare di essere in un mondo vuoto, in cui esistevano soltanto loro due e non c’era nessun problema a perseguitarle, era una delle loro fantasie più sfrenate. Avrebbero fatto di tutto affinché quel loro desiderio si avverasse, ma sapevano che, prima o poi, la realtà si sarebbe comunque scagliata su di loro e le avrebbe inghiottite con la sua crudeltà.
Sara sciolse di malavoglia l’abbraccio, e Nyssa le dedicò uno sguardo malizioso. «Hai intenzione di uscire in pigiama?»
La bionda sorrise e scosse il capo al tempo stesso, ignorando volutamente l’osservazione dell’amata. «Dobbiamo nascondere la ferita con del fondotinta.»
Nyssa inarcò un sopracciglio. «Cosa?»
«Mia madre» sospirò Sara. «Sarà già dura presentarti come la mia ragazza, perciò è meglio non darle ulteriori preoccupazioni. Se vede il taglio sulla tua fronte potrebbe farsi delle paranoie.»
«Non potevi pensarci questa mattina, prima che andassi al lavoro?»
«A cosa?»
«Al fondotinta.»
La minore delle sorelle Lance fece una smorfia. «Stavo dormendo.»
Nyssa annuì. «Giusto.»
«Potevi pensarci da sola.»
La mora si sporse appena in avanti, baciandole dolcemente la punta del naso. «Non sono furba come te, habibti.»



Sara fece un respiro profondo, stringendo l’indice della mano sinistra di Nyssa con il proprio. Le due donne compirono gli ultimi passi nel corridoio che conduceva all’appartamento di Laurel, e quando si ritrovarono davanti alla porta, Sara lanciò uno sguardo a Nyssa. Quest’ultima sorrise. Era il suo modo per cercare di tranquillizzarla, facendole capire che, qualsiasi cosa fosse accaduta, lei sarebbe stata al suo fianco. Sara si fece coraggio e bussò alla porta.
La prima cosa che udirono fu la voce fioca di Quentin chiedere ironicamente a Laurel se aspettava visite. Non ci fu risposta. Pochi secondi dopo, la porta si spalancò, e la maggiore delle sorelle Lance le accolse con un sorriso a trentadue denti, passandosi le mani sudate nel lembo della maglia a righe. «Siete venute.»
Sara si strinse nelle spalle, sorridendo appena. Nyssa le fece un cenno col capo in segno di saluto. Laurel si spostò per farle entrare, e quando Sara ebbe messo piede nell’atrio, l’ansia si impossessò di lei. Aveva il timore di poter rivivere la serata di cinque mesi prima, quando aveva cenato con la sua famiglia dopo sei anni di assenza da casa, e il risultato era stata l’ennesima lite. Ma allora era stato Oliver ad accompagnarla, mentre adesso c’era Nyssa. E magari, con lei al suo fianco, quella cena avrebbe preso una piega diversa.
Strinse ancora le sue dita in cerca di supporto, e un istante dopo udì i passi di Quentin nel salotto. E quando se lo ritrovò davanti, si rese conto di non essere pronta. Suo padre indossava una camicia rossa, un paio di jeans logori e il suo orologio preferito. Si era tagliato i capelli, e non era per niente sconvolto nel vederla, anzi, sembrava quasi che se la sarebbe aspettata una sua apparizione improvvisa.
D’istinto, sorrise. Poi spostò lentamente lo sguardo dalla figlia minore a Nyssa, e quest’ultima si sentì mancare il respiro. Ma Quentin non ebbe alcuna reazione negativa nel vederla.
Dopo alcuni attimi passati in silenzio, il capitano trovò la forza di parlare. «Perché non mi avete detto che eri tornata in città?»
«Perché doveva essere una sorpresa» rispose Laurel, mettendo un braccio intorno alle spalle della sorella.
«Diciamo che ci siamo prese una vacanza e… beh, quando Laurel ci ha detto che la mamma sarebbe venuta in città, abbiamo pensato di passare a salutarvi» esordì cautamente la bionda, guardando le gambe di Nyssa con la coda nell’occhio. Stava tremando.
Quentin aggrottò la fronte. Non se l’era sicuramente bevuta. E infatti, aggiunse: «Quindi i miei colleghi non avevano le traveggole quando mi dicevano di aver visto Cana‒»
Per fortuna, Lance si zittì appena in tempo. Dietro di lui, Dinah guardava dritto in direzione di Sara. Aveva gli occhi gonfi di lacrime per l’emozione. «Sara…» sussurrò, superando Quentin di qualche passo.
Nyssa si irrigidì di colpo nel vederla. Le prudeva dappertutto. Avrebbe tanto voluto correre via, scappare da quell’assurda realtà, ma non poteva farlo. Doveva affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Doveva farlo. Per Sara.
Il cuore le batteva all’impazzata. Si frappose fra Sara e la madre prima che potessero toccarsi, ricevendo la completa attenzione da parte di tutti i presenti. «Signora Lance, sento il dovere di scusarmi con lei» esordì, cercando di apparire meno agitata possibile. «Quello che le ho fatto mesi fa è imperdonabile. Sono profondamente dispiaciuta. Ho fatto una cosa orribile, e me ne vergogno. Potrei darle delle spiegazioni, ma non avrebbe senso. Non capirebbe. Non perché dubito che lei potrebbe comprendere le mie motivazioni, semplicemente vengo da un mondo… diverso dal vostro. È complicato da spiegare. Non ha senso che le dica perché l’ho rapita, semplicemente non avrei dovuto. Purtroppo non ci sono scuse per quello che ho fatto. La prego, mi per‒»
Nyssa si zittì all’improvviso. In un istante, fu come le qualcuno le avesse strappato via lo stomaco. Si sentiva vuota come mai prima d’ora. Spalancò di colpo gli occhi e la bocca, incredula che stesse succedendo davvero.
Dinah la stava abbracciando. La madre della sua ragazza, la donna che aveva rapito e tenuto in ostaggio per ventiquattro ore quasi sei mesi prima, la stava abbracciando. Nyssa era confusa e sconvolta, ma non ebbe il tempo di pensare a come reagire che Dinah si era già ritratta. «Non devi darmi alcuna spiegazione, cara» disse, abbozzando un sorriso. All’udire quel “cara” Nyssa si sentì svenire. Era un sogno, per caso? «Laurel mi ha spiegato tutto. E sebbene tutta questa storia sia un po’ contorta… credo di capire perché lo hai fatto. Credo» ripeté, come se una volta non fosse abbastanza.
L’Erede del Demonio si voltò verso la maggiore delle sorelle Lance, che stava sorridendo sotto ai baffi. “Laurel mi ha spiegato tutto.” Chissà perché proprio oggi.
Subito dopo, per spezzare l’atmosfera imbarazzante che si era venuta a creare, Sara si avvicinò alla madre e la abbracciò a sua volta. Nyssa, invece, non mosse un muscolo: era ancora intontita per le parole di Dinah.



Dopo essersi tolte i cappotti ‒ sebbene fosse agosto fuori c’era parecchio vento ‒ Sara e Nyssa si accomodarono nella sala da pranzo, seguite a ruota dal resto della famiglia. Quentin si sedette a capotavola, con Sara alla sua sinistra, mentre Dinah si mise di fronte a lei e Laurel al suo fianco, davanti a Nyssa.
Dopo non molto, Quentin iniziò a parlare animatamente di uno strano caso a cui stava lavorando, mentre Dinah raccontò alcune storie divertenti riguardo alla sua vita quotidiana all’università. Laurel e Sara ridevano a ogni sua battuta, e Quentin controbatteva a sua volta con qualche freddura, come se quella fosse una normalissima cena di famiglia. Nyssa spiluccò a lungo il suo maiale in agrodolce senza dire una parola, fino a quando Dinah non la interpellò.
«E tu, cara? Non hai niente da raccontare?»
La figlia di Ra’s alzò lentamente lo sguardo. Colta alla sprovvista, aprì un poco la bocca, pensando rapidamente a qualcosa da dire. Perché continua a chiamarmi “cara”?
Non trovando niente di interessante da raccontare, tirò fuori la prima cosa che le venne in mente: «Al lavoro non si parlava altro che dell’Incantatrice.»
Il capitano annuì in silenzio, poggiando con cautela le posate sul tavolo. Sembrava che volesse dire qualcosa, ma Dinah lo precedette, ignorando il riferimento all’assassina. «Hai trovato lavoro?»
«In un bar» rispose in fretta Sara. Troppo in fretta, pensò Nyssa, lanciandole una rapida occhiata.
«Anche Sara faceva la barista ai tempi del college, lo sai?»
«Sì, me l’ha detto» annuì la mora, sorridendo appena. «Mi ci è voluto un po’ per imparare. Non avevo mai…» Si morse l’interno della guancia con forza. Cosa poteva dire, che non aveva mai usato una macchina per il caffè in vita sua? Che non aveva mai imparato a pulire un pavimento? Che non aveva mai lavorato? Per fortuna aveva chiuso la bocca un attimo prima di rovinarsi ulteriormente la reputazione con i genitori di Sara.
Tuttavia, Dinah intuì quello che avrebbe voluto dire e annuì a sua volta, unendo le mani sul tavolo. «Già, nemmeno io avevo mai lavorato prima di laurearmi. Ho sempre e solo insegnato. Era l’unica cosa che mi riusciva bene.»
«Beh, non eri male neanche a fare la mamma.»
Al commento di Laurel, Dinah sorrise amorevolmente. Sara, invece, avvampò. Nyssa non capì se era stata la parola “mamma” a provocare in lei quella reazione, o se si trattava semplicemente di uno degli effetti collaterali della gravidanza, come la stanchezza eccessiva e la fame senza fine. Ma la risposta era chiaramente stampata sulla faccia di Sara.
Effettivamente, prima d’ora nessuna delle due ci aveva pensato seriamente. Avevano sempre etichettato la “questione bambino” come il loro unico pretesto per poter cominciare a vivere come due persone normali. Ma era anche vero che stavano prendendo la situazione sottogamba.
Sara sarebbe diventata madre molto presto. E anche Nyssa, a modo suo, la sarebbe stata. Solo l’idea le fece venire la pelle d’oca.
Era ovvio che prima o poi si sarebbero dovute responsabilizzare, cominciando a ragionare come due donne e non come due assassine in fuga. Avrebbero dovuto trovare un accordo con Ra’s, convincerlo a lasciarle andare anche se era un’idea assurda e irrealizzabile, ma ci dovevano provare. E avrebbero dovuto amare quel bambino con tutte le loro forze, donandogli affetto ed essendo la loro guida lungo il suo cammino.
Tutto questo, ovviamente, nell’ipotesi che Oliver concedesse loro di tenerlo. E che loro due non venissero ammazzate prima.
Sara iniziò ad annaspare, in ansia. Si pulì la bocca con il tovagliolo, dopodiché si alzò di scatto dalla sedia, facendola strisciare sul pavimento. «Devo andare in bagno.»



Sara si richiuse in fretta la porta alle spalle, stringendo a lungo la mano intorno al pomello. Stava sudando in modo esagerato. Prese qualche respiro profondo, dopodiché aprì il rubinetto e si passò dell’acqua fresca sul viso.
Sta’ calma.
Sospirò, le gote ancora rosse per l’imbarazzo. Si sentiva svenire e non sapeva nemmeno lei il perché. Tutta quella storia la stava consumando da dentro. Cosa avrebbe pensato la sua famiglia di lei? Che era rimasta la stessa stupida ragazzina di un tempo? Che non era riuscita a prevenire di restare incinta? Che aveva tradito Nyssa andando a letto con un altro uomo?
Non era la verità e lo sapeva bene, perché lei e Nyssa si erano lasciate quando era stata con Oliver, ma riflettendoci ora, si sentiva una traditrice. Quando l’Erede del Demonio era tornata a Nanda Parbat, Sara non ci aveva pensato due volte a rimettersi con Oliver. Era persino arrivata a compromettere il rapporto con sua sorella pur di mandare avanti quella relazione senza futuro. Si era convinta che riconquistare l’unico uomo che aveva amato prima di Nyssa sarebbe stato il modo migliore per dimenticarla, ma alla fine aveva ceduto ed era tornata da lei. E ora che era incinta, la mora aveva accolto la notizia a braccia aperte, come se fosse stata una cosa che aspettava da tempo. Come se non desse peso al fatto che quel bambino era il figlio di Oliver. Come se non fosse mai successo nulla.
È questo l’amore, lo capisci?, pensò Canary, guardandosi allo specchio con un velo di malinconia a contornarle gli occhi. In vita sua, lei aveva amato soltanto Oliver e Nyssa. Prima di salire sullo yacht con Arrow, aveva avuto una breve relazione con un ragazzo alle superiori, dopodiché gli altri erano stati tutti flirt. Tuttavia, a differenza di quello che credevano in molti, non si era mai permessa di andare a letto con degli sconosciuti. Le piaceva ammaliare i ragazzi con il suo fascino, sedurli fino a farli impazzire, ma non era mai andata oltre al bacio e a qualche “toccatina” occasionale. Il suo lato romantico l’aveva sempre bloccata appena in tempo, ricordandole che avrebbe dovuto permettere di toccarla nel profondo solamente a qualcuno che amava davvero.
Con Oliver era stato amore a prima vista. Si erano conosciuti da bambini e non era mai riuscita toglierselo dalla testa: più e più volte si era ripromessa di dirglielo, credendo che quel sentimento fosse ricambiato, ma non trovò mai il coraggio di farlo. E quando lui e Laurel si fidanzarono, fu come se il mondo le fosse crollato addosso. Sara cominciò a credere di non essere abbastanza bella e intelligente come Laurel per poter conquistare Oliver, sebbene alla fine lo avessero perso entrambe: lui aveva scelto Felicity.
Con Nyssa era stato diverso. Il loro amore era nato gradatamente, permettendo a entrambe di scoprire che cosa fosse quello strano sentimento che condividevano. Quando aveva capito di essere innamorata di lei, aveva anche compreso che quell’amore era molto più grande di quello che aveva provato nei confronti di Oliver. Era più passionale, più affettuoso, più vero. Lo aveva capito dopo la loro prima notte d’amore, perché non era stata neanche lontanamente emozionante come le innumerevoli passate con Oliver. Al solo ricordo le venne la pelle d’oca.
All’improvviso, Sara udì due leggeri colpi sul legno della porta, che la fecero sussultare. «Tesoro, posso entrare?» Dinah fece una pausa, mentre Sara iniziò a respirare più velocemente di prima. «Devo lavarmi le mani. Sono unte di pollo.»
Dopo un primo momento di esitazione, Sara si avvicinò al gabinetto, tirò lo sciacquone e si schiarì la voce. «Puoi entrare.»
Dinah spalancò la porta un secondo dopo. Sara la guardò mentre le si avvicinava di qualche passo, un sorriso dolce a contornarle le labbra. Le sue mani erano perfettamente pulite, e solo allora la donna si ricordò che era stato suo padre a mangiare il pollo, mentre la madre si era limitata ad assaggiare la zuppa di granchio.
«C’è qualcosa che non va, tesoro?»
La bionda serrò la mascella, a disagio. «No, mamma. Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va?»
L’altra scrollò le spalle. «Non lo so. Dimmelo tu.»
Sara abbassò lo sguardo nervosa. Per un attimo si pentì amaramente di aver insistito per andare a quella cena; ma poi, comprese che quella era la sua occasione per poter finalmente chiarire con sua madre quanto accaduto mesi prima con Nyssa.
«Mamma, io…» esordì titubante, passandosi una mano sul braccio. Deglutì appena, sentendo l’ansia aumentare ad ogni respiro. «Nyssa ed io... ti posso spiegare. Quando il Queen’s Gambit è affondato‒»
«Sara, no» scattò sua madre, facendosi seria in un attimo. «Non voglio saperlo. Non devi dirmelo solo perché ti senti obbligata. Non farlo.»
La ragazza si strinse nelle spalle. Aveva la gola secca e le bruciavano gli occhi.
Dinah si passò una mano sul volto, sospirando sommessamente. «Adesso ascoltami bene» disse cauta, facendo un altro passo. «Non pretendo di capire quello che hai passato negli ultimi sette anni. Non so cosa ti sia capitato, non ho la più pallida idea di dove tu sia stata e non mi interessa. Mi basta sapere che ora sei qui, a casa, sana e salva. So che la tua vita è complicata. So che sei Canary» sorrise, ma Sara non fece in tempo ad interromperla per controbattere. «Non negarlo. Da cosa l’ho capito? Perché sono tua madre. Non basta una maschera per fregarmi. Ti conosco come le mie tasche da prima ancora che nascessi, eri la mia bambina e la sei ancora, e io ci sarò sempre per te. Mi racconterai quello che ti è successo quando ti sentirai pronta, e allora io ci sarò. E se invece non vorrai mai farlo, andrà bene così. Sei un’eroina. Come lo sei diventata non ha importanza. In ogni caso, non potrei essere più fiera di te e della splendida donna che sei diventata.»
Sara riuscì a trattenere a stento le lacrime durante il discorso di Dinah, ma aveva comunque gli occhi lucidi. Un singhiozzo le morì in gola mentre trovava finalmente la forza di aprire la bocca: «Io non sono un’eroina.»
Dinah le prese entrambe le mani e gliele strinse, e Sara notò che anche lei era sul punto di scoppiare a piangere. «La sei eccome. Non dubitare di te stessa. Volevi salvare il mondo e ci sei riuscita, Sara. E se Nyssa ha contribuito a farti diventare un’eroina, allora non posso fare altro se non esserle grata.»
«Mamma, lei…»
«Aspetta, lasciami finire» disse, tirando su col naso. «Laurel non mi ha detto molto, soltanto che è stata lei a prendersi cura di te in tutti questi anni e che se mi ha rapita sei mesi fa c’è un motivo. Non ha potuto dirmelo, ma ora mi è tutto più chiaro. Nyssa voleva riaverti con sé perché ti ama. Non so perché sia arrivata al punto di mettere in mezzo anche me, non lo voglio sapere, è acqua passata. Ma se anche tu la ami, a me sta bene. Non è un problema, Sara, non lo è affatto.»
Non riuscì a resistere a lungo. Una lacrima le attraversò rapidamente la guancia, e fu subito seguita da un’altra, e un’altra ancora. Dinah la abbracciò, stringendola con forza a sé, accarezzandole dolcemente la schiena come faceva quando, da bambina, faceva un brutto sogno. La bionda inspirò a pieni polmoni il suo dolce profumo alla pesca, ricordando con amarezza tutte le volte in cui sua madre le era stata vicina, anche quando si era trovata lei stessa ad essere dalla parte del torto. Non poteva non essere grata a sua madre per essere così comprensiva, e in parte si sentiva in imbarazzo per non averle detto prima della sua relazione con Nyssa. Ma adesso, capì che non aveva alcuna importanza.
Chiuse gli occhi e sorrise senza rendersene conto, beandosi di quel contatto per un tempo che le parve indefinito. E inconsciamente, pregò che quell’abbraccio non finisse mai.



Nyssa batteva nervosamente il piede destro sul pavimento, e continuò a farlo fino a quando Quentin non ricevette una telefonata che lo costrinse ad alzarsi per rispondere e ad andare in un’altra stanza. Tirò un sospiro di sollievo, per poi alzare lo sguardo in direzione di Laurel. Stava ancora mangiando il suo riso alla cantonese con tutta calma.
«Che cos’hai detto a tua madre?» domandò ad un tratto la figlia di Ra’s, forse con più enfasi di quanto si aspettava. L’avvocato le lanciò un’occhiata inespressiva, per poi bere un sorso d’acqua dal proprio bicchiere.
«Vuoi del vino?»
«Spero per te che tu non ne abbia in casa» rispose ironicamente Nyssa.
Laurel sorrise. «No, infatti. Stavo scherzando.»
La mora ricambiò leggermente il sorriso, ma non riuscì a nascondere l’ansia che provava.
«Non le ho detto più di tanto, non ti preoccupare» fu la schietta risposta di Laurel, prima che ricominciasse a mangiare.
«E questo cosa vorrebbe dire?» chiese ancora Nyssa, inarcando un sopracciglio. «Come faccio a restare calma se non so‒»
«Fidati di me e basta.»
Un attimo dopo, Quentin ritornò nella sala da pranzo, e nel giro di qualche istante ricomparvero anche Sara e sua madre. A Nyssa bastò un’occhiata per capire che l’amata aveva pianto, ma non osò fare domande; quando la ragazza fu seduta nuovamente al suo fianco, le mise invece una mano sulla gamba, e Sara gliela strinse con un sorriso.
«Chi era al telefono?» domandò Laurel, con la bocca piena.
Quentin sospirò. «Un mio collega. Voleva che tornassi in centrale per aiutarlo con un problema non grave, ma io gli ho risposto che ero con la mia famiglia e che se ne poteva tranquillamente occupare il mio vice, che oltretutto è in servizio.»
«Che tipo di problema?» chiese istintivamente Sara, accarezzando il palmo della mano di Nyssa da sotto il tavolo.
Quentin le fece un occhiolino. «Segreto professionale.»



Quando tutti ebbero finito di cenare, più o meno mezz’ora dopo, Sara si accasciò sulla sedia e prese a massaggiarsi lentamente la pancia. «Non ho più mangiato così tanto dal nostro ultimo Natale insieme.»
Laurel arricciò il naso. «Era nel 2006, giusto? Alla festa del tuo diciannovesimo compleanno.»
«Sì, anche se non è che si potesse proprio definire festa» ridacchiò Sara. «Essendo Natale non è venuto nessuno, come al solito.»
«Oliver e Tommy alla fine sono stati gli unici ad essersi presentati a cena. Sono stati proprio carini» esclamò Dinah, senza accorgersi della smorfia di Laurel. Ma Sara la notò all’istante.
L’avvocato scivolò lentamente lungo lo schienale della sedia, a disagio. Deglutì e iniziò a fissare inspiegabilmente un punto nel vuoto. Quando si accorse della reazione della figlia, anche Dinah si irrigidì.
«Che dite, passiamo al dolce?» disse ad un tratto il Capitano Lance, anche lui con lo sguardo rivolto verso Laurel. Sara si strinse nelle spalle. Cosa stava succedendo? C’era qualcosa che lei non sapeva?
«Sì, vado a mettere i piatti sporchi nella lavastoviglie e porto i dessert. Ci sono le pere al vapore, il budino di tofu e i biscotti della fortuna!» affermò la madre di Sara, afferrando subito il proprio piatto.
Nyssa si alzò in piedi con l’intenzione di aiutarla, ma Dinah le lanciò un’occhiata che la fece bloccare. «Non preoccuparti, cara. Ci penso io.»
«Voglio aiutare» insistette la mora. «Abbiamo deciso all’ultimo minuto di venire, perciò non abbiamo avuto il tempo di comprare qualcosa da portarvi per ringraziarvi dell’invito. Permettetemi almeno di fare qualcosa per ricambiare.»
«Oh, no, tesoro, davvero, non ti devi scomodare. Tu sei un’ospite. Ma forse Sara ha voglia di aiutarmi, non è così?»
Canary riemerse dai propri pensieri in un secondo, per poi annuire freneticamente e seguire la madre in cucina con diversi piatti fra le mani. Li inserì nella lavastoviglie uno ad uno, ma prima che riuscisse ad accendere l’elettrodomestico, sentì la mano calda di Dinah sulla sua schiena.
«Tu sei incinta.»
Sara alzò la testa di scatto, confusa e sconvolta. Il panico di pochi minuti prima si impossessò nuovamente di lei e non riuscì a non strabuzzare gli occhi. «Eh?»
«Sei incinta» ripeté Dinah, col fiato sospeso. «Tu sei…»
«Piena. Sono piena, mamma» rispose, massaggiandosi nuovamente il ventre da sopra la maglietta. Se avesse potuto, l’avrebbe alzata per mostrarle che aveva ragione, ma in quel modo si sarebbe rovinata da sola. «Ho mangiato troppo.»
La donna scosse rapidamente la testa in segno di diniego. «Non trattarmi come se fossi una stupida. Si vede benissimo.»
«Mamma, non sono incinta, come fai a‒»
«Quando ti ho abbracciata, prima, avevi il seno gonfio.»
«Ho semplicemente preso una taglia in più?»
«Hai consumato ininterrottamente una pietanza dopo l’altra, come se non mangiassi da mesi.»
«Avevo solo fame. Non è la prima volta che mangio più di tutti!»
«Bevi sempre del vino durante i pasti, eppure stasera non l’hai nemmeno chiesto…»
«Perché Laurel e papà sono degli alcolizzati, mamma, non mi sembrava il caso. E poi dubito che abbiano del vino in casa.»
«…Ed è tutta la sera che ti massaggi la pancia, come se ci fosse qualcosa che non va dentro di te.»
Sara prese un respiro profondo, sfinita. Per quanto ancora poteva andare avanti con quella farsa?
«Sara, voglio solo sapere che cosa sta succedendo» la rassicurò Dinah, accarezzandole la spalla sinistra. «Se sei finita in qualche guaio, io…»
«È di Oliver» disse senza pensare, col cuore che batteva a mille. Le pizzicavano di nuovo gli occhi. «Il bambino è di Oliver.»
Fu come se le avessero tolto un macigno dal cuore.



«È successo tutto così in fretta» sussurrò Sara, sul punto di scoppiare a piangere per la seconda volta in quella sera. «Te lo ricordi, vero? Quando Nyssa se n’è andata noi non stavamo più insieme, per questo mi sono rimessa con Oliver. Non l’ho tradita, giusto?»
«Ma no, tesoro. Certo che no» rispose Dinah, cercando di apparire il più tranquilla possibile. Era seduta davanti a lei al tavolo della cucina e le stava stringendo la mano.
«Oliver lo sa?» aggiunse.
Sara scosse la testa.
«E quando hai intenzione di dirglielo?»
Fece spallucce. «Non lo so. Quando sarò pronta.»
Dinah annuì appena, assimilando in fretta il significato di quelle parole. «Vuoi abortire?»
La bionda si passò la mano libera sul viso, sospirando. «No. Non potrei neanche volendo. Ho superato il tempo massimo.»
«La mia domanda era un’altra.»
Sara scosse il capo, affranta. «Certo che no. No. Non lo so» sospirò ancora, massaggiandosi il collo con entrambe le mani. «È solo che… io non volevo diventare madre. Non adesso. Non era nei miei programmi. Non so nemmeno io come sia potuto accadere» rivelò, tirando su col naso.
Sua madre la guardò intensamente negli occhi per qualche istante. Sara sperava che le dicesse che aveva sbagliato, che era colpa sua e che doveva affrontare le conseguenze da donna adulta e matura: sarebbe stato il suo unico modo per mettersi l’anima in pace e comprendere finalmente che non poteva fare nulla per cambiare gli errori commessi in passato. Ma Dinah non fece niente di tutto ciò. Si alzò in piedi, mise un piatto pieno di biscotti della fortuna in mano a Sara e disse: «Andiamo a finire questa cena come si deve.»



«“Se l’opportunità non bussa, costruisciti una porta”» esclamò Laurel, leggendo la frase scritta nel suo biglietto. «Che cosa significa secondo voi?»
«Che non devi farti delle paranoie sul lavoro e che devi semplicemente guadagnarti i risultati con le tue forze» spiegò Quentin, delineando un sorriso.
La castana fece una smorfia. «Come se non lo sapessi già.»
Quando Sara e Dinah erano tornate nella sala da pranzo, Laurel aveva insistito affinché leggessero i bigliettini contenuti nei biscotti della fortuna: si erano così spostati tutti in salotto, sempre su richiesta di Laurel, e ora stavano confrontando i propri messaggi l’uno con l’altro.
«Bene, tocca a me» affermò Quentin, spezzando il proprio biscotto con uno schiocco. «“Sii padrone di te stesso, e commetterai pochi errori.”»
«Ah, questa la so» lo punzecchiò Laurel, alzando la mano come una giovane scolara. «Si riferisce al fatto che eri uno schiavo della bottiglia, e adesso ti sta esortando a continuare a mantenere il controllo e a non cedere nuovamente alla tentazione di bere.»
Al sentire le parole più che vere della figlia, sul volto di Dinah si formò un’espressione stupita, mentre Quentin serrò la mascella. Laurel lo osservò con un sorrisetto beffardo, ma il capitano non trovò le parole adatte per replicare. «Direi che è meglio proseguire. Su, a chi tocca?» disse invece.
«A me» rispose la signora Lance, alzando in aria il suo biscotto. «“Chi vivrà, vedrà.”»
«Breve ma intenso» scherzò Sara. Le ci era voluto pochissimo tempo per riprendersi dall’ultima conversazione avuta con sua madre e fingere che non fosse successo nulla. D’altronde, era stata Nyssa a insegnarle come essere disinvolta anche nelle situazioni peggiori, ma sapeva che a lei non avrebbe mai potuto mentire perché la conosceva troppo bene. Per questo aveva cercato di evitare il suo sguardo nella seconda parte della serata: per paura che notasse il suo malessere.
«Dinah, c’è qualcosa che devi dirci?» proseguì Quentin, inarcando un sopracciglio.
La donna accartocciò il bigliettino tra le proprie dita. «Certo che no. Sarà solo un presagio» rispose lei.
Sara sospirò, osservando a lungo il biscotto che teneva tra le mani prima di parlare. «Tocca a me.» Lo aprì in mezzo secondo, estrasse il bigliettino e lasciò cadere le due metà del biscotto sulle proprie gambe. «“Un problema è una possibilità che ti viene offerta per fare meglio.”»
Quando lesse la frase, per un attimo sentì lo stomaco contorcersi. Aveva paura. Ne aveva avuta fin dal primo istante, quando la Dottoressa Kawamura le aveva rivelato della gravidanza, ma mai come in quel momento si era sentita così terrorizzata. Nemmeno quando Ra’s l’aveva ricevuta la prima volta si era sentita così indifesa.
Possibile che anche uno stupido bigliettino le stesse dicendo quello che doveva fare? Possibile che a ventisette anni non fosse in grado di capire che ormai non poteva fare più niente per tornare indietro? Doveva rassegnarsi all’idea che un giorno, presto o tardi, le cose si sarebbero complicate. E non importava che lei e Nyssa desiderassero quella vita, perché Ra’s o qualcun altro gliel’avrebbe rovinata. Non erano destinate ad essere due persone normali, e non lo sarebbero mai state. Eppure, ora, erano sedute su quel divano come una qualsiasi coppia che passa la serata in compagnia della propria famiglia, come due donne che si erano conosciute per caso in un luogo comune, come un parco, una boutique o un bar, quando invece erano due assassine che non avevano idea di come crescere un bambino. Ma non ci avevano mai pensato perché quella gravidanza era stata la loro unica possibilità di scappare da quel mondo che avevano temuto per anni, e ora, l’idea di tornare a Nanda Parbat spaventava entrambe.
«Aspetta» disse ad un tratto Nyssa, prendendo in mano una delle due metà del biscotto di Sara. «Guarda» aggiunse, mettendogliela sotto al naso.
La bionda osservò meglio il contenuto del biscotto, per poi constatare che al suo interno c’era un altro bigliettino.
«Uffa» sbuffò Laurel, stringendo le braccia intorno a un cuscino. «Perché sei sempre tu quella più fortunata?»
«Fortunata? Dipende da quello che c’è scritto qui» sorrise Sara, aprendo lentamente il secondo pezzetto di carta. «“Ascolta il tuo cuore. Esso conosce tutte le rispose.”»
Nyssa raddrizzò la schiena, inspirando profondamente. Perché quei bigliettini erano così accurati? Perché sembrava che fossero stati scritti apposta per Sara e la sua situazione?
«Nyssa, l’ultimo è tuo» la incitò Laurel, facendola riemergere dai suoi pensieri.
La figlia del Demonio spezzò in due il proprio biscotto col cuore in gola. Si schiarì la voce un paio di volte prima di leggerne il contenuto: «“Non è mai troppo tardi per essere ciò che avresti potuto essere.”»
Sara si voltò verso di lei, ma prima che potesse aprire bocca, un rumore attirò l’attenzione di tutti i presenti. Laurel afferrò il proprio cellulare sul tavolino e lo fece smettere di vibrare digitando un codice sulla tastiera. «Scusatemi, prima ho messo dei vestiti in lavatrice e ho programmato la sveglia per ricordarmi di spostare tutto nell’asciugatrice.»
A quelle parole, Sara diede una rapida occhiata allo schermo del cellulare della sorella. «Sono quasi le dieci» esordì, stringendosi nelle spalle. «Nyssa ha lavorato tutto il giorno e onestamente sono stanca anch’io. Se non vi dispiace, andiamo a casa.»
Quentin e Laurel si scambiarono uno sguardo inespressivo, per poi voltarsi nuovamente verso di lei. «Ma no, non c’è problema» disse la maggiore delle sorelle Lance, abbozzando un sorriso.
Si diressero tutti e cinque nell’atrio in silenzio, e mentre Sara terminava di allacciarsi i bottoni del cappotto, Nyssa percepì una mano stringerle il gomito. Si voltò, incontrando lo sguardo serio del capitano, e per un attimo temette che le avrebbe gridato in faccia quello che pensava di lei ‒ che era una maledetta, schifosa assassina, secondo la sua idea ‒ e che non si sarebbe mai più dovuta presentare in casa sua.
«Hai la mia approvazione» disse invece, lasciando Nyssa a bocca aperta. Sospirò prima di proseguire e di mollare la presa sul suo braccio: «Da oggi in poi sarai sempre ben accetta in casa Lance. Ma vedi di non prenderla per un’abitudine.»
Sara inspirò a fatica, assimilando il significato delle parole del padre col cuore in gola. Nyssa era la prima persona che Sara presentava alla famiglia come fidanzata ‒ sia alle superiori che al college non aveva mai portato a casa nessuno dei suoi ragazzi, che aveva sempre definito come “gente che frequentava” ‒, ma quando Laurel stava con Oliver, il Capitano Lance non gli diede mai la sua approvazione. Sara aveva sempre creduto che gli servisse tempo per conoscerlo meglio. In fondo, anche sua madre le raccontava sempre che, quando lei e Quentin si erano fidanzati, ci erano voluti anni prima che suo padre accettasse a sua volta la loro relazione. E dopo anni e anni di fidanzamento tra Laurel e Oliver senza che Quentin accettasse la cosa, Sara aveva capito che suo padre avrebbe fatto lo stesso con lei. Non avrebbe permesso a un uomo di entrare tanto facilmente nella sua vita, e il pensiero che ora Quentin avesse addirittura dato la sua approvazione ad una donna, la fece sentire più orgogliosa di lui di quanto avrebbe mai immaginato.
«E cosa più importante, anche se non ho dubbi al riguardo, trattala bene» aggiunse, indicando la figlia minore con lo sguardo. «Non farmi pentire della mia decisione.»
Nyssa non aveva idea di cosa significasse quella frase. Corrispondeva a quando suo padre le diceva che, secondo lui, un mercenario sarebbe stato o meno all’altezza di prenderla come moglie? Non ne era certa, ma sapeva che era la cosa più bella che Quentin Lance avrebbe mai potuto dirle. E lo sguardo pieno di allegria di Sara le fece capire che aveva ragione.



Sara si slacciò il reggiseno con un rapido gesto della mano, per poi lasciarsi andare ad un sospiro di sollievo. Si infilò la t-shirt del pigiama e si passò una mano tra i capelli, dopodiché si voltò verso la portafinestra. Nyssa era appoggiata al parapetto e le dava le spalle.
Quando erano rientrate, la mora era uscita in terrazza per bere un bicchiere di vino e, a distanza di quindici minuti, era ancora lì, sola e pensierosa.
La bionda sospirò ancora, afferrò il proprio cappotto e raggiunse l’amata sul balcone.
«Ehi» esordì, incrociando le braccia.
L’Erede le rispose con un sorriso stanco. «Ehi» replicò senza voltarsi. Iniziò a giocherellare col bicchiere mezzo vuoto, osservando il proprio riflesso nel liquido viola, per poi mandarne giù un altro sorso. Rifletté qualche secondo chiedendosi se parlare con Sara di quello che la affliggeva fosse la cosa giusta da fare, e quando trovò la risposta a quella domanda le parole le uscirono di bocca senza che se ne accorgesse. «Credi che le frasi contenute nei biscotti della fortuna avessero una sorta di significato veritiero? Insomma, so che sono solo delle stupidaggini e delle casualità, ma sembravano calzare a pennello con la nostra situazione attuale.»
Sara si strinse nelle spalle, a disagio. «Non ne ho idea. Ma spero sia così.»
Nyssa deglutì sommessamente. «Anch’io.»
Il vento si era attenuato, ma faceva ancora molto freddo. Un brivido attraversò la schiena di Sara, ma la donna, intenzionata a scoprire che cosa passasse per la testa della fidanzata, non osò prendere in considerazione l’idea di tornare all’interno dell’appartamento senza di lei.
«Mia madre sa tutto» disse poi col fiato sospeso, come se temesse che fosse quello il motivo dell’inspiegabile silenzio di Nyssa. «Non volevo dirglielo, giuro, l’ha capito da sola. Non so nemmeno io come ha fatto, solo‒»
«Lo so, Sara. Lo so» disse cautamente l’Erede, svuotando completamente il bicchiere. Lo posò a terra e si leccò le labbra. «Era chiaro che ci sarebbe arrivata prima di tutti. È tua madre, ti conosce meglio di chiunque altro.»
Canary non seppe in che modo replicare. Quella conversazione stava diventando sempre più strana, ma decise di non arrendersi. Osservò a lungo le punte delle sue pantofole rosa prima di udire nuovamente la voce dell’altra donna.
«Tuo padre mi ha… sorpresa.»
Sara si avvicinò ulteriormente all’amata con le braccia strette intorno alla vita, sorridendo appena. «Lo so. Ha sorpreso anche me.» Fece una pausa, inspirando profondamente, per poi proseguire: «Quando ero piccola mio padre mi diceva che un giorno, quando avrei avuto una miriade di ragazzi ai miei piedi, lui avrebbe dato la sua approvazione solamente a colui che avrebbe ritenuto idoneo per chiedermi la mano. Non lo aveva mai fatto con nessuno prima d’ora.»
«Quindi è un privilegio per me?» chiese maliziosamente l’altra.
«Può darsi» rispose Sara, abbracciandola di slancio da dietro.
Nyssa annuì senza un motivo, riponendo lo sguardo nel vuoto senza ricambiare la stretta. Sara si allontanò senza dire una parola, ma era visibilmente confusa.
«Sicura di stare bene?»
Ancora una volta, la mora non osò alzare il capo. Sembrava solo stanca e assonnata, ma in realtà c’era ben altro sotto. Eppure, per la prima volta dopo tanto, sembrava che Nyssa facesse fatica ad esternare ciò che provava con Sara. Poi, come se le avesse letto nel pensiero, cominciò a parlare.
«Tua madre è stata gentile con me. Forse troppo.»
A Sara bastò quella frase, o meglio, il modo con cui l’aveva pronunciata, per capire. Come aveva fatto a non pensarci prima?
Si avvicinò a Nyssa di qualche passo, poggiandole cautamente una mano sulla spalla. «Amore, io…»
«Non credevo che avrei reagito in questo modo» proseguì, gli occhi gonfi di lacrime pronte a cadere «ma non riesco a controllarmi. È più forte di me, capisci? Mi manca troppo. Non ce la faccio ad andare avanti senza di lei. Non ci riesco.»
«Ehi» ripeté Sara, prendendole il viso tra le mani e costringendola in questo modo a guardarla negli occhi. «Sei più forte di così. Se sei sopravvissuta fino ad oggi riuscirai a farlo ancora per molto tempo. Tua madre non vorrebbe che ti abbattessi, lo sai.»
«Non voleva neanche che diventassi un’assassina, eppure nessuno le ha dato ascolto.»
Le dita di Sara iniziarono a bagnarsi delle lacrime calde di Nyssa, ma la minore delle sorelle Lance non se ne curò minimamente e continuò ad accarezzarle le guance. «Non farti del male in questo modo, ti prego. Smetti di ricordare.»
«Ma è Dinah che me la ricorda un sacco» rivelò infine, iniziando ad ansimare. «Erano entrambe così dolci, così gentili e delicate… l’unica cosa che le rende diverse è che lei è viva e ti ha vista crescere, mia madre no.»
«Nyssa‒»
«Mi sono sempre domandata come fosse avere una madre al proprio fianco. Tornare a casa e raccontarle com’è andata la giornata a scuola, chiederle un consiglio quando si ha un problema, parlarle del primo amore… ma lei se n’è andata troppo presto affinché capissi che cosa significasse avere una persona pronta a guidarti e ad aiutarti a distinguere le cose giuste da quelle sbagliate.»
«Hai avuto tuo padre. Ti ha cresciuta lui, Nyssa, non eri sola. Non sei mai stata sola.»
«Ma era come se lo fossi.»
Si asciugò le lacrime con la manica della giacca, costringendo Sara a ritrarre le proprie braccia. Tirò su col naso e rivolse nuovamente lo sguardo alla città che si estendeva davanti a lei.
«Se mia madre non fosse morta, a quest’ora non sarei qui. Se fosse ancora viva non sarei mai diventata un’assassina. È colpa di mio padre se non ho mai avuto la possibilità di vivere una vita normale. È solo colpa sua.» Afferrò il bicchiere più in fretta che poté e sentì il bisogno di lanciarlo giù dal palazzo, ma fortunatamente riuscì a trattenersi. «Tu sei fortunata, Sara. Non hai visto tua madre morire davanti ai tuoi occhi.»
E come se un uragano si fosse abbattuto su di loro, Nyssa tornò di corsa dentro casa, seguita a ruota da Sara. Tuttavia, quest’ultima si fermò a metà del corridoio, bloccata da una forte sensazione di malessere. Tentò di reprimere il conato, ma non ci riuscì. Si diresse così più in fretta che poté verso il bagno e, una volta davanti al gabinetto, vomitò la sua cena. Si liberò di tutto quello che aveva trattenuto quella sera, dalle emozioni represse alla sensazione di inadeguatezza all’idea di diventare madre. Come avrebbe fatto a crescere un figlio se non era nemmeno in grado di capire cosa turbasse la donna che amava più di ogni altra cosa? Ormai quel dubbio si era impossessato di lei. Sarebbe mai stata in grado di essere una buona madre? Non lo sapeva. Ma l’unico modo che aveva per scoprirlo, era andare avanti.







[1] Participio passato del verbo porgere.
[2] Noi sappiamo che durante la seconda stagione Oliver ha perso i suoi contatti con la Bratva, ma l’Incantatrice non lo sa.
[3] È una pura casualità (volutamente inserita da me, obviously) che nello stesso capitolo sia l’Incantatrice che Roy abbiano chiesto a Oliver di mettersi in contatto con la mafia russa. Roy può semplicemente non essere stato messo al corrente della cosa, o può essersene dimenticato. In ogni caso i due fatti non sono in alcun modo collegati.


 




Ormai aggiorno così di rado che quando lo faccio è un evento xD
Okay, questo è in assoluto il capitolo più lungo che abbia mai scritto e devo ammettere che è stato un vero e proprio parto. Non so come sia riuscita a scriverlo in tre mesi ma ce l’ho fatta, e adesso mi sento molto più sollevata. And, oggi abbiamo imparato che:
1. Sara non dirà mai a Oliver che è incinta se continua a procrastinare in questo modo.
2. Maseo e Ra’s stanno tramando qualcosa ma non si sa cosa.
3. Dinah è la mamma più buona del mondo.
A tal proposito, il titolo in italiano rendeva di più secondo me, ma dato che la mia idea iniziale era che tutti i capitoli avessero un titolo scritto in inglese non ho potuto fare altrimenti :/
Il prossimo capitolo dovrebbe (e sottolineo dovrebbe perché di sicurezza con me non ce n’è mai) essere mooolto più breve di questo, anche perché se continuo così la long la dovranno finire i miei bisnipoti ahahahah
Un bacio e alla prossima!

P.S. Le scommesse per il sesso del futuro pargolo Queen/Lance/Raatko sono ancora aperte ;)

   
 
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