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Autore: John Hancock    31/10/2016    0 recensioni
- Special di Halloween per la pagina Facebook "Pokémon Courage" gestita da Andy Black.
- Si consiglia l'ascolto della soundtrack "Pairbond - Bioshock 2" durante la lettura.
Introduzione:
Non sempre ci è concesso spingerci più in là di quanto l'essere umano possa. La natura ci ha imposto dei limiti e, per quanto arroganti possiamo essere, non ci è concesso infrangerli. Noi non siamo nessuno per poter rivendicare il nostro dominio in luoghi a noi non appartenenti e, soprattutto, non possiamo domare creature selvagge di cui non comprendiamo a pieno potenza e grandezza. È per questo che, quando si prova ad imporsi su di una forza superiore, se ne viene inevitabilmente travolti.
Questa volta il mare non perdonerà. Stanotte, rivendicherà ciò che è suo.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
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Notte Blu




 

Nel buio e la piccolezza della sua stanza, la musica che fuoriusciva dalle cuffie rimbombava nella mente, eliminando ogni tipo di rumore o disturbo. L’unico elemento che ne infastidiva il riposo era il continuo scontrarsi dello scafo con l’acqua cristallina del mare, provocando qualche sobbalzo di tanto in tanto. Ma nulla di rilevante, niente di non sopportabile.
Anzi, in quel caso era addirittura piacevole. Si addormentò così, dopo il suo lungo turno di lavoro, fra una rima e l’altra di 2Pac; l’ultimo suo ricordo era il ritornello di “To Live & Die In L.A.” prima dell’oblio della fase Rem.
Dopo un arco temporale che va dalle poche decine di minuti ad intere ere geologiche, qualcosa lo riscosse dal sonno; c’era molto più trambusto di quanto ce ne dovesse essere in quella porzione di oceano ed il suo corpo era costantemente scosso avanti e indietro, con violenza.
Aprì mezz’occhio, ancora pieno di sonno. La luce dei led gli stuprò la pupilla facendolo urlare internamente per il dolore subito; una figura indistinta si trovava a pochi palmi dal suo viso, sembrava molto elettrizzata.
Si sforzò, dunque, di mettere a fuoco l’individuo, riuscendo dopo una decina di secondi ad aprire anche l’altro occhio.
Era il suo superiore, ovviamente. Lì era una recluta, quindi anche il tizio coi baffi che pulisce i bagni cantando e che viene scambiato per il Giardiniere Willie dei Simpson, era il suo capo.
Gli stava urlando qualcosa e sembrava anche che andasse di fretta e che fosse incazzato, come sempre.
Cercò di sforzarsi di capire ma era tutto inutile, Apollo Brown regnava sovrano nel suo padiglione auricolare, facendolo venire a livello spirituale.
Alzò la mano per far capire di aspettare ed indicò, successivamente, le cuffie. Spense la musica e liberò la testa, stiracchiando il collo.
-… e potevi morire, tutto per cosa, delle cuffie del cazzo! – gli diede il benvenuto, il suo superiore.
Gli venne un’improvvisa voglia di rimettere le cuffie e mandarlo a fanculo ma sapeva benissimo che questo sarebbe significato accompagnare Willie per qualche mese, usando le mani al posto dello spazzolone.
- Che c’è? Il mio turno era finito e devo essere di nuovo sul posto fra… tre ore, più o meno.
- Siamo arrivati, idiota! – urlò quello.
- Va bene, va bene, arrivo Sergente.
Quello sembrò soddisfatto; gli fece altre raccomandazioni che entrarono da un orecchio ed uscirono dall’altro, passando indisturbate.
Mentre il Sergente si chiudeva la porta alle spalle, lui si dedicò a rivestirsi ed a svegliare il suo compagno di stanza che, nel frattempo, aveva dormito come un sasso. Neanche una lotta fra Groudon e Kyogre l’avrebbe svegliato a quello lì.
Si alzò dalla cuccetta e scese, chinandosi per chiamarlo.
- George, svegliati. Siamo arrivati – urlò direttamente, conoscendolo.
Provò a ripetersi più volte, sommando spinte occasionali e schiaffetti sul viso ma niente. Sembrava morto, non si muoveva nemmeno il petto.
- George! – urlò ancora più forte, battendo il pugno sullo sterno dell’amico.
- Sono sveglio, sveglio!
- Sbrigati, siamo arrivati e dobbiamo metterci subito all’opera sennò Kyogre non lo troviamo più.
- Ma figurati, Wesker. Dormirà come ogni leggendario che si rispetti.
- Ah quindi se la metti in questi termini, tu saresti il supremo dei leggendari, vero?
- Plausibile.
- Dai, muoviti, io ti aspetto fuori dal sottomarino. Ricorda l’attrezzatura – Wesker uscì, incamminandosi verso la zona di sbarco.
 
 
L’ingresso della grotta era davanti ai loro piedi. L’intero plotone del Team Idro puntava al rifugio di Kyogre.
Ivan in persona, affiancato dai suoi possenti Crawdaunt e Mega Blastoise, stava in questo momento presenziando il briefing poco prima dell’inizio della missione.
- Quindi, la prima squadra a scovare Kyogre dovrà IMMEDIATAMENTE avvisare me ed i miei sottotenenti, chiaro?
- Sì, signor capitano! – gli fecero coro tutti i presenti.
Ogni singolo membro del Team era lì presente, escluso il minimo numero necessario per essere posto a guardia della loro base segreta. Erano passati otto mesi da quando avevano rubato il sottomarino dal Capitano Remo ed i loro ingegneri si erano messi all’opera per costruirne delle copie, in modo da poter portare un maggior numero di elementi. In totale c’erano ventotto sottomarini, per un totale di trecentoventisei teste, Ivan escluso.
Erano tutti lì per poter finalmente scovare e catturare Kyogre, non sarebbe mai riuscito ad eliminarli tutti, prima o poi si sarebbe dovuto arrendere.
­- Mi raccomando, dividetevi in squadre e comunicate ogni vostro movimento, sono stato chiaro? – Ivan li fissava con sguardo omicida, l’ossessione per il leggendario lo stava portando verso la follia.
Risposero nuovamente in coro, prima di mettersi in marcia.
- George, ricordami dove dobbiamo andare, noi due.
- Corridoio A6-342-Ovest, un paio di ore di cammino e poi ci dividiamo dalla squadra Echo.
- Merda, così profondo?
- Già, ho portato una decina di torce, per essere sicuri. Ho paura del buio.
- Io ho un Rotom, farà luce lui.
- Sì, giusto. Tu sei quello col culo enorme che trova un Rotom nella propria Xbox, ecco perché mi batti sempre a Call Of Duty.
- Non riaprire questo discorso, sai che fai più schifo di un paraplegico a quel gioco.
- Sì, sì, come no… - rise lui, tornando serio pochi attimi dopo.
L’ingresso della grotta si avvicinava, era il loro turno. La squadra Echo fece il suo ingresso, George e Wesker erano i due chiudi fila ed iniziarono a camminare con le teste basse, illuminando il sentiero, fidandosi dei loro compagni poco più avanti per la giusta via.

 
Poche ore più tardi, angolo del tunnel A6-342-Ovest.
 
- Bene ragazzi, voglio tre squadre da due, così controlleremo contemporaneamente ogni ramo del tunnel. Ramirez, tu vieni con me nel principale. Christopher con Daniel lato destro. Wesker, tu e Thompson a sinistra. Niente scherzi, non fate errori e comunicazioni ogni cinque minuti. Intesi? – ordinò il caposquadra.
- Sì, signore – risposero all’unisono.
I tre team si divisero, ognuno entrando nel cunicolo loro spettante.
L’aria che giungeva dalla galleria era gelida e colma d’umidità, tanto che rendeva difficoltoso respirare a pieni polmoni.
Wesker si asciugò la fronte, madida di sudore mista ad acqua calcarea che cadeva con ritmo costante dal soffitto. Alzò lo sguardo, notando centinaia di piccole stalattiti che ornavano ogni singola parete, come tanti villi intestinali.
Sbuffò, annoiato per lo stupido compito assegnatogli. Sapeva benissimo che avevano dato alle reclute i percorsi dove sicuramente non avrebbero incontrato altro che fottuti Zubat per chilometri e chilometri, lasciando per gli uomini migliori le vie più sicure. Quella era solo perdita di tempo, giusto per scongiurare ogni possibilità.
- Allora, George, quindi il tuo cognome è Thompson, giusto?
- Sì, Wesker. Tu invece un nome lo tieni oppure sei nato dalla terra come un nano?
- Wesker basta e avanza. Quanto tempo è che sei qui, tu? – chiese lui, stringendosi i lunghi capelli corvini in un foulard rosso scuro.
- Circa tre anni, tu?
- Due mesi e già ne ho le palle piene – scavalcò un’enorme trave in ferro incastonata fra le rocce - Ci hanno mandato anche stavolta a perdere tempo.
Si girò per aiutare il suo collega, più goffo dato che trasportava lo zaino con il grosso dell’equipaggiamento per scavare.
- Grazie – disse lui – Ma quel pezzo di ferro non mi sembra per niente naturale. È… è stato lavorato.
George si calò sul ferro sporgente, illuminandolo con la potente torcia da campeggio.
La trave sembrava essere lì a prendere polvere da centinaia di anni, uno strato di sporcizia l’aveva ricoperta completamente, mentre la ruggine ne divorava le interiora.
Prese un coltello dal cinturone ed iniziò ad eliminare il primo involucro, riportando in vita lo scheletro ormai completamente color rame.
Vi passò sopra le mani e la ruggine si sgretolò all’istante e con essa buona parte della trave. Le sue dita passarono in rassegna lo strato sempre maggiore di ferro che veniva alla luce, ormai la sporcizia si staccava come pelle morta, aveva perso il suo appiglio.
I polpastrelli andarono ad incontrare delle rientranze nello scheletro, George cercò di seguirne i contorni e decifrarle, con scarso successo.
- Ehy, Wesker, qui ci sta scritto qualcosa.
- Cosa cazzo dici? – fece lui, sbalordito.
Si avvicinò velocemente al pavimento, inginocchiandosi di scatto – E che ci sarebbe scritto, qui?
- Non lo so, è troppo malridotto. Sicuramente la prima lettera è una “R”, nel resto della frase c’è qualche “D” o “C” sparsa ma non riesco a capirci niente.
- Fa provare me – disse il corvino – Hai ragione, è una grossa erre… non credo sia opera di Kyogre, qualcuno è stato qui.
George si girò verso di lui, la luce della torcia faceva sembrare il suo viso come quello di un cadavere.
- Credi che questa non sia una galleria naturale? – George rabbrividì.
- No, affatto.
I due iniziarono a discutere sul da farsi, quando provenne dal profondo della galleria uno strano rumore: metallo contro metallo, ripetuto con la stessa frequenza.
George, visibilmente morto di paura, fece per alzarsi e fuggire in direzione opposta, lo si leggeva in volto. Wesker voleva invece cercare di farlo ragionare ma nessuno dei due ebbe tempo di esprimere una singola parola. Il terreno sotto i loro piedi franò, trascinandoli nelle viscere della grotta.
 
 
Dopo un tempo indefinito, Wesker riuscì a riprendere i sensi. Aprì gli occhi ma vedeva null’altro che tenebre attorno a sé.
Cercò a tastoni le sue Pokéball, notando con gioia di averle ancora con se; il braccio destro doleva per la caduta ma era operativo, riusciva a muoverlo. Raccolse la sfera del suo Rotom e lo chiamò in aiuto.
- Rotom, amico mio, serve un po’ di luce qui – disse fra i denti, non riusciva a sentire gran parte del suo corpo.
Il Pokémon comparve poco più avanti dei suoi piedi, emanando un debole chiarore nell’oscurità.
- Cerca di illuminare quanto più possibile, voglio capire dove siamo – Wesker si mise a sedere, mentre una fitta lancinante lo colpì al polpaccio destro.
La zona iniziò a prendere vita, mentre la luce bluastra del Pokémon rifulgeva tutt’intorno.
Nere rocce colme di spuntoni vennero illuminate, con esse travi e corpi in ferro che sorreggevano la galleria. Guardando indietro non c’era altro che una montagna di massi franati; il passaggio era sbarrato.
Wesker si alzò a fatica ma la gamba resse. Una volta in piedi aspettò qualche istante prima di sforzarla ulteriormente, constatando con entusiasmo che era operativo a tutti gli effetti.
- Almeno non ho niente di rotto… ma dove cazzo sono finito?
Si guardò intorno, alla ricerca di George e di un qualsiasi aiuto per ritrovare la strada.
- George, sei qui? – urlò forte, la sua voce si ripercosse sulle pareti per chilometri e chilometri, rimbalzando da una roccia all’altra.
Restò in attesa per un tempo che parve infinito, senza riuscire ad ottenere la minima risposta.
- George! Avanti bello, rispondimi! – iniziò a guardare fra i massi, sperando di non trovare nulla che possa rivelare la presenza del suo compagno, sepolto vivo dalla frana.
Trovò il suo zaino vicino ad uno dei pilastri, come se fosse stato messo lì di proposito. Troppo strano che si trovi lì, senza il minimo danno, dopo la caduta prima subita.
Al momento non ci pensò molto e si precipitò verso di esso, aprendolo. Cercò e trovò la sua torcia ma, ovviamente, era completamente distrutta; così come le tre che aveva portato di riserva.
- Porca puttana, qui è tutto rotto. C’è almeno qualcosa che funziona? – si chiese ad alta voce mentre rovistava nei resti del suo equipaggiamento.
Rotom si avvicinò al suo allenatore, donandogli più visibilità. Il Pokémon riconobbe, poco lontano dallo zaino, uno dei pezzi di equipaggiamento fornito dal Team Idro per segnalare la presenza di Kyogre. Lo indicò a Wesker, volteggiandoci sopra freneticamente.
L’attenzione di questo venne rapita dalla strampalata danza del suo Pokémon – Che c’è, trovato qualcosa? – si alzò e raggiunse il punto da quest’ultimo indicato. Trovò un rivelatore di materiale organico altamente evoluto, come ad esempio un organismo vivente. Uno dei progetti decenti rubati poche settimane prima dal Team Magma. Non perse un attimo e lo puntò in direzione della frana, sperando in qualche segno di vita.
- Niente, non c’è nulla qui sotto… sono solo, adesso – riflettè lui, un po’ rincuorato dato che il suo amico non era sepolto lì sotto.
Si girò verso la parte restante della galleria, chiamando Rotom e chiedendogli di fluttuare al suo fianco, in modo da illuminare il cammino.
I due iniziarono così a scendere ancor più in profondità nelle viscere dell’oceano, ignari del fatto di aver già superato di gran lunga il nascondiglio del Pokémon Leggendario.
 
 
Man mano che si addentravano all’interno della galleria, rocce e stalattiti, lasciavano sempre più spazio a strutture in ferro più o meno complesse utilizzate per puntellare il soffitto. Wesker pensò di star andando sempre più a fondo nello stomaco di un’abnorme creatura composta da ferro e terra.
La luce di Rotom veniva riflessa dalle ormai innumerevoli carcasse di pareti e pavimenti, riuscendo così ad illuminare porzioni di spazio molto più ampie: Wesker era in grado di vedere per centinaia di passi oltre il suo naso e benché fosse rassicurante in quanto possibile visualizzare un pericolo molto prima, questo non faceva altro che aumentare l’inquietudine che provava sempre più a fondo nel suo cuore. C’era uno strano rumore in sottofondo, metalli adiacenti le cui superfici scorrono l’una sull’altra, piene di spuntoni che creano acuti spezza fiato. L’intera grotta sembrava gemere e lamentarsi mentre si stiracchiava ed allungava sempre più, per poter inghiottire i suoi abitanti e trascinarli nell’oblio.
L’ansia nel cuore della Recluta cresceva sempre più, stringendolo in una morsa impossibile da eludere, costringendolo a ritirarsi nei più nascosti meandri della sua mente. Fu così che vagò per un tempo indeterminato, completamente sommerso dai pensieri. Sapeva che stavano calandosi sempre più nel cuore della grotta e quindi non stava, almeno per il momento, dirigendosi verso un’uscita. Cercò disperatamente di mettersi in contatto radio con il resto della squadra più e più volte, senza però alcun successo. Neanche Rotom, dopo averne preso il controllo, riusciva ad amplificare abbastanza il segnale, erano come isolati dal mondo esterno. E quelli erano gli attimi peggiori, quando la luce del suo Pokémon scompariva ed era costretto a restare al buio, in quel silenzio assordante interrotto solo dal ritmico rumore ormai sempre più vicino. C’era qualcosa alla fine di quel tunnel, se lo sentiva fin dentro le ossa.
Rotom, invece, si sentiva molto più a suo agio lì sotto, gli era sempre piaciuta la solitudine ed il silenzio. Volteggiava senza sosta, aumentò sempre più l’intensità della luce sprigionata dal suo corpo, esplorando ogni singolo angolo nascosto dietro le più disparate rocce e lamine in acciaio e ferro. Dovevano essere strutture recenti, i segni di ruggine erano pressoché inesistenti.
- Rotom, abbassa un po’ la manovella, amico. C’è troppa luce – disse Wesker, improvvisamente resuscitato dai suoi pensieri da un picco improvviso di aumento di luce.
Notò solo in quel momento di trovarsi in un’area molto ampia dalla forma di una mezzaluna, il tunnel spuntava esattamente al centro, la sala sembrava una zona d’accettazione di un albergo di lusso. Benché gli arredi fossero molto malandati, era possibile esalare l’aria di pomposità che quel luogo emanava: c’erano tappeti di velluto vicino i possenti banchi in legno lavorato a mano, la moquette era innestata in qualsiasi punto del pavimento, c’erano tavoli e sedie e numerosi bar e isole di ristoro, con tanto di forno e zona cottura per ogni tavolo. Le panche in legno erano rivestite da spessi cuscini pregiati, quadri raffiguranti soggetti antichi decoravano le pareti, c’erano statue raffiguranti antiche divinità, lampadari in cristallo ormai fuori uso erano fissati al soffitto, riccamente decorato ed intagliato con marmo e pietre preziose.
Ma la cosa che più attirò l’attenzione di Wesker, in quel preciso istante, fu un giardinetto collocato al centro dell’atrio: benché l’erba fosse ormai incolta, al centro si ergeva un bonsai decisamente fuori misura, talmente anziano da essere ormai alto quanto un uomo adulto di alta statura, su di cui era fissato un enorme diamante che rifletteva la luce catturata dalla stanza e la rifletteva tutt’intorno, creando una meraviglia di spettacolo per gli occhi.
- Aspetta, questa luce non è di Rotom – osservò Wesker, ormai ai piedi dell’albero.
Alzò lo sguardo, spingendolo oltre il tronco dell’albero, vedendo l’impossibile.
- Oh… porco Giratina – spalancò gli occhi, incredulo e credendolo fisicamente impossibile.
C’era un’immensa vetrata al posto della parete più grande della sala, ne occupava il tutto. Dei colossali pilastri in acciaio fungevano da cardini fra le varie sezioni di vetro, grandi abbastanza da far sentire Wesker un piccolo bambino fuori luogo. All’esterno si trovava l’oceano immenso, con tutta la sua flora e fauna.
Si avvicinò, poggiando una mano contro il vetro freddo ma solido. Vide molte altre strutture tutt’intorno, come a costruire una città sottomarina: c’erano palazzi, fabbriche ed enormi serre da cui erano visibili le piante che le abitavano; Pokémon nuotavano indisturbati tutt’intorno.
Volse lo sguardo verso l’alto, notando che si trovavano in una fossa oceanica le cui pareti rocciose andavano chiudendosi man mano che si saliva, lasciando un cerchio di zona libera che, nonostante la distanza, era comunque molto grosso, da cui penetrava la luce solare che ora illuminava la zona in cui si trovava Wesker.
- Non ci credo, è impossibile… - le parole erano come scomparse dal suo dizionario personale, lasciandolo privo di difese emozionali contro lo spettacolo che si apriva ai suoi occhi.
Proprio quando credeva di aver visto l’inimmaginabile, apparve nel suo campo visivo l’Onnipotente Pokémon dominatore degli oceani: Kyogre.
L’orca preistorica fece il suo ingresso, oscurando col suo corpo tutta la città sottomarina per qualche attimo, per poi lanciarsi in picchiata verso le strutture artificiali. Era seguita da branchi di varie specie di Pokémon marini, dai Remoraid ai Tentacruel, che gli nuotavano tutt’attorno.
Wesker rimase senza parole, emozionato ed impaurito allo stesso momento, quando Kyogre stazionò proprio davanti ai suoi piedi, al di là del vetro. Il suo enorme occhio scrutava l’interno, analizzando il ragazzo. Wesker si specchiò nella sua enorme pupilla, colto da improvviso timore riverenziale.
Kyogre emise il suo richiamo, lungo e dolce e prolungato, come una delicata melodia emessa dalla voce più soave presente al mondo, lasciandolo senza parole.
- Sei… meraviglioso… - riuscì a dire, Wesker, prima che l’orca si rimise in moto, portando lontano la sua potenza.
Wesker la seguì per pochi minuti con lo sguardo, mentre quella volteggiava e nuotava fra i palazzi in acciaio.
Fu allora che, debole e impaurita, una voce chiamò da uno dei tanti corridoi che nascevano dalla sala in cui al momento si trovava Wesker.
- Pa… pà…? – chiese qualcuno, le sillabe interrotte dai singhiozzi del pianto.
Wesker, terrorizzato, estrasse la sua Glock dal cinturone. Le mani gli tremavano, ebbe difficoltà a rimuovere la sicura e mise il colpo in canna solo decine di secondi più tardi.
Puntò l’arma verso ogni corridoio, saltando da uno all’altro con lo sguardo.
- Rotom! Vieni subito qui, illumina dove miro! – urlò, in preda al panico.
Il Pokémon si avvicinò al suo padrone, convergendo tutta la sua luce verso i punti a lui indicati dalla canna della pistola. Improvvisamente le ombre parvero ingigantirsi a dismisura, diventando nuovi demoni pronti a saltargli addosso e divorarli entrambi in pochi attimi.
Il rumore dei passi si faceva sempre più vicino, mentre il pianto continuava, imperterrito, esplodendo ogni tanto in singhiozzi e picchi improvvisi di paura. Sembrava quasi che quel qualcuno fosse in pericolo e cercasse aiuto.
Wesker sudava copiosamente, cuore martellante nel petto e la vista appannata. Era in preda ad un attacco d’ansia. Si obbligò a respirare lentamente, chiudendo gli occhi per qualche attimo ed appoggiandosi ad una panca alla sua destra, spostando tutto il peso del suo corpo lungo lo schienale di quest’ultima, affondando nella pelle morbida ed umidiccia dei cuscini. Lentamente ritrovò le forze, si alzò nuovamente sui suoi piedi e mise online i vari sensi per capire cosa diamine stesse succedendo.
Fu allora che capì la provenienza dei rumori: il corridoio che portava all’ala Est dell’edificio, il quarto da sinistra.
Mosse i primi passi in quella direzione, dando ordine a Rotom di caricare un attacco Tuono alla massima potenza e prepararsi a colpire al suo via, oltre che illuminare il corridoio.
La luce, dopo essersi avvicinati, illuminava ora buona porzione del corridoio, fendendo violentemente l’oscurità. Svelò uno spesso strato di tessuto vellutato rosso scuro su tutte le pareti; nei punti in cui era venuto meno si notava il legno marcio fissato per dare un minimo di linearità al tutto. C’erano diverse rappresentazioni di Kyogre e Pokémon marini in gran quantità, inseriti in cornici dorate o argentate, fissate sulle pareti. Notò sulla destra una camera con il simbolo di un uomo sulla porta, probabilmente la toilette maschile. Fu lì che vide il perché di tutto quel trambusto.
Ai piedi dell’ingresso, seduta per terra con in grembo una bambola di pezza, una piccola bambina piangeva la scomparsa di suo padre.
Wesker non credeva ai suoi occhi; già era per lui impossibile trovare una città sottomarina, presente lì da chissà quanti anni e con chissà quanti abitanti che vivono a contatto con Kyogre.
Era tutto surreale. Stava sognando, non c’erano dubbi, la sua mente gli aveva fatto un bruttissimo scherzo.
Rimase in piedi, a poca distanza dalla bambina, fissandola con la pistola ancora puntata. Era in pericolo, non c’erano dubbi e si vedeva benissimo, qualcosa in lui però gli stava ordinando di eliminarla. Non era normale quello che stava succedendo lì, sembrava uno dei tanti giochi horror con cui si divertiva quando era più piccolo; c’era una bella differenza fra finzione e realtà, però.
Senza accorgersene, aveva puntato la pistola all’altezza degli occhi della bambina e abbassato il cane, l’indice iniziò a tendere il grilletto, mentre le mani tremavano. Chiuse gli occhi, troppo debole per opporsi a quell’impulso e troppo codardo per guardare.
 
“È solo una bambina… perché lo sto facendo? Beh qui sotto, da sola, non potrebbe durare molto…” pensò, ormai non più padrone delle sue azioni.
 
Serrò la mascella, trattenne il respiro e si preparò mentalmente alla deflagrazione a cui sarebbe seguita l’esplosione d’ossa. Aprì un’ultima volta gli occhi, per assicurarsi di non sbagliare colpo e farla soffrire inutilmente.
Lei alzò i suoi piccoli occhi, incrociando il suo sguardo. Non aveva paura, anzi, lo guardava con curiosità ed interesse, ignara dell’oggetto fra le mani del suo ospite.
A Wesker sfuggì una lacrima, stava per iniziare a piangere. Fu allora che lei indietreggiò, impaurita dall’acqua salata che iniziava a sgorgare dagli occhi di lui.
- Anche tu hai perso il tuo papà? – chiese lei – Per questo stai piangendo?
Wesker sentì come sciogliersi il ghiaccio che bloccava il suo corpo; espirò profondamente, alzando il cane e riponendo l’arma nel fodero. Si asciugò gli occhi con le mani, ancora tremanti. Rotom si avvicinò incuriosito a lei.
- Sì, l’ho perso anche io, molto tempo fa. Ero più piccolino di te – cercò di abbozzare un sorriso, per rincuorarla.
- Io invece l’ho perso da poco – strinse forte la sua bambola, sembrava raffigurare un personaggio di un videogioco o un qualche film: una qualche specie di sommozzatore vintage, di quelli con la tuta in metallo scuro tipo ottone.
- Ma che è successo qui, piccola?
- Non lo so, è così da quando sono nata e papà non mi ha mai detto niente. E Non sono piccola, mi chiamo Ellen, io.
- Va bene, Ellen – Wesker sedette di fronte a lei, con le gambe incrociate – E tu cosa ci fai qui?
Rotom si avvicinò ai due, poggiandosi fra le gambe del suo allenatore, diminuendo l’intensità della luce.
Ellen parve non ascoltare più, lo sguardo rapito dal piccolo essere luminoso e sorridente. Wesker si accorse dell’improvviso picco d’attenzione della piccola, ormai era passato in secondo piano.
- Lui è Rotom, è un mio Pokémon.
- Anche lui è uno dei cattivi da cui scappavano tutti prima di scomparire?
- No, tranquilla, è buono. Ci sono dei Pokémon cattivi, qui? – chiese lui, allarmato.
- Sì, sono tanti, per questo papà mi diceva sempre di non giocare da sola e di stare sempre con lui: per non sparire per sempre anche io. Però stanotte l’ho perso, c’è stato di nuovo il buio e non l’ho più visto.
La sensazione di freddo e paura tornò ad impossessarsi dei nervi della recluta, sapendo che quelle non erano per niente delle buone notizie.
- Il buio – continuò la piccola – Va e viene, c’è quel coso elettrico che non funziona tanto bene. Papà dice che lo deve aggiustare ma non abbiamo ancora trovato i pezzi.
- Sai che Rotom può aggiustare “i cosi elettrici”? – indicò il suo Pokémon – Se mi ci porti, lo aggiustiamo, così possiamo cercare tuo padre e poi ce ne andiamo.
- Senza il buio cattivo? – una scintilla di speranza comparve negli occhi della piccola che strinse ancor di più la sua pezza.
- Sì, senza niente di cattivo. Vuoi farmi vedere?
- Ok! Tu sei un bravo signore, penso che piacerai a papà.
- Lo spero… - disse Wesker, molto dubbioso di poter ritrovare suo padre.
 
“Numero uno, far funzionare la corrente. Numero due, correre come dei beduini fino a un’altra uscita, non credo che suo padre ce l’abbia fatta se l’ha abbandonata così”.
 
La bambina balzò in piedi, entusiasta. Lo prese per mano ed iniziò a trascinarlo per gli oscuri corridoi, con Rotom ad illuminare il proprio cammino.
- Amico, tieniti sempre pronto al combattimento, hai sentito cos’ha detto la piccola, vero? – sussurrò, Wesker, vicino dove pensava si trovasse l’orecchio del suo Pokémon.
Rotom annuì, emettendo brevi scintille e piccoli acuti di approvazione, per poi ridurre al minimo la luce emessa per evitare di attirare attenzioni indesiderate.
Non ci volle molto per raggiungere la zona manutenzione, pochi corridoi e svolte più in là, Ellen sembrava conoscere molto bene quei luoghi.
Ovunque erano visibili i segni del tempo e di diverse lotte avvenute con gli anni, c’erano oggetti e arredi distrutti praticamente ovunque e spesso furono costretti a farsi strada in montagne di detriti che ostruivano il passaggio.
- Eccoci qui – esordì sorridente, la piccola, indicando una grossa porta blindata – Lì dentro c’è il coso elettrico, puoi aggiustarlo?
- Ma certo, ci penserà Rotom. Compagno, vai dentro e vedi di ripristinare la corrente, se puoi.
Rotom annuì e passò attraverso la porta in acciaio, diventando immateriale per brevi attimi. Dalla finestra rinforzata lì accanto lo videro osservare con minuziosa attenzione il tutto, per poi entrare all’interno della rete elettrica.
Passarono i minuti, Rotom continuava ad emettere strani rumori dall’interno della sala, e loro due al buio, all’esterno. Ellen si strinse sulla gamba di Wesker, chiudendo gli occhi per la paura. Lui, invece, non faceva altro che spostare lo sguardo a destra e a sinistra del corridoio, sfruttando la poca luce lì presente e il suo udito per cercare di capire possibili avvicinamenti di creature della grotta, con la Glock fra le mani non più tremanti. Aveva qualcuno da proteggere, non poteva permettersi di aver paura anche lui.
Ci fu un gran fragore in lontananza, seguito da interminabili cigolii metallici. Le luci nel corridoio brillarono per un istante, per poi ricadere nel buio e riaccendersi, ad intermittenza. Wesker aspettò, col cuore in gola, finché una manciata di secondi dopo l’energia elettrica diventò stabile, illuminando l’intero edificio sottomarino. Rotom riapparve davanti ai loro occhi, ormai esausto.
- Riposati pure, te lo sei meritato amico – Wesker allungò la sua Pokéball, permettendo a Rotom di ritornare in un luogo di conforto dove poter riprendere le energie perse.
Ellen era euforica, saltava in ogni parte, osservando con stupore i lampadari dorati.
- C’è l’hai fatta! Possiamo trovare papà, adesso! – urlò, abbracciandolo.
Wesker non poté non sentirsi male per ciò che disse la bambina, non aveva il coraggio di dirle che probabilmente suo padre non c’era più. La guardò, cercando di mostrarsi forte e sorridente, per cercare di non indurirle il tutto.
Lei parve accorgersene, chinò la testa di lato, come un Growlithe che cerca di capire la fonte di un rumore a lui sconosciuto.
- Che c’è? Pensi che papà sia morto, vero?
Lui rimase di stucco, gli vennero meno le parole per la schiettezza della piccola che poteva avere al massimo sei, sette anni.
- Guarda che non lo è, ho questo orologio qui che mi dice sempre dov’è. Io avevo paura di andare da lui perché c’era il buio ma ora non c’è più. Avevi promesso di accompagnarmi – allungò il polso, mostrandogli una specie di piccolo palmare da polso molto vecchio.
Sul display era visualizzata una mappa stilizzata dell’edificio, almeno così pensò Wesker, su cui lampeggiava un led rosso in movimento.
- Vedi? È papà, deve aver notato che si è accesa la luce e ora mi sta cercando.
- So già che me ne pentirò ma… dimmi dove andare, ti accompagno – disse Wesker, poco fiducioso. Era meglio restare in guardia in quella situazione, poteva succedere di tutto.
Ellen cominciò a camminare tenendo alto il polso, per orientarsi, trascinandolo per decine e decine di corridoi; c’erano molti cadaveri sparsi in giro, ormai ne restavano nient’altro che le ossa. Umani e Pokémon giacevano gli uni accanto agli altri, il loro sangue era ormai diventato un tutt’uno con i colori dell’arredamento, vestendo il tutto di un macabro nero chiaro che rifletteva, flebile, la luce che vi si scontrava. Il pavimento era la zona maggiormente intaccata, tanto che le suole subivano resistenza nel momento in cui si provava a staccarle dal suolo, emettendo un rumore simile al camminare sui chewingum, ad ogni passo.
Wesker sudava freddo, le gambe molli e le orecchie gli fischiavano perennemente. Sentì la testa girare ed un senso di vuoto l’attanagliò nel ventre, costringendolo a fermarsi e respirare. Fece per appoggiarsi alla parete, notando però che non era messa meglio del pavimento e quindi preferì restare in piedi, immobile e in silenzio.
Il mondo iniziò a vorticargli attorno, mentre lui subiva il suo primo attacco di panico mai avuto in vita.
La cosa più folle era Ellen, completamente non curante della morte e distruzione attorno a sé.
Lei cantava, una dolce melodia dal ritmo lento e delicato, le cui parole portavano speranza e gioia.
Ed era insopportabile.
Era tetra, in quelle condizioni.
Era del tutto folle.
Più lei cantava, immobile ad un incrocio cercando il corridoio giusto, più Wesker si sentiva stuprato dal seme della pazzia che stava nascendo in lui.
Voleva urlarle di stare zitta e smettere di cantare quell’orribile canzone ma dalla sua gola non uscì alcun suono, le parole gli morirono in bocca. Provò con tutte le sue forze di urlare, in cambio ottenne solamente un’ulteriore fitta allo stomaco.
Ellen si voltò, accortasi che lui era rimasto molto indietro. Iniziò ad avvicinarsi, tornando indietro.
Pronunciò qualcosa ma lui non sentì.
Chiuse gli occhi, il cuore martellante nel cranio.
Respirò lentamente e profondamente.
- One batch, two batch, penny and dime – ripeté a sé stesso, più volte, il mantra adottato da uno dei suoi personaggi preferiti.
Il mondo riprese a tornare su basi solide, i suoni ricomparvero lentamente. Ellen era lì che lo fissava, con i suoi occhi ghiacciati ed i capelli neri liscissimi che le scivolavano sulle spalle. Il vestito simile a quello dei pazienti ospedalieri, che prima era completamente bianco, ormai era pieno di chiazze rosso scuro, quasi nero, dovute al suo inerpicarsi fra gli oggetti, alla perpetua ricerca di qualche segno del padre. Lei gli stava facendo qualche domanda che non era ancora in grado di capire.
- Sto bene, sto bene… - Wesker si rimise in piedi, con un ultimo respiro.
- Vieni, ho trovato papà! – urlò lei, prendendogli una mano e tirando con tutta la sua forza.
- Ok, ok, calmati sto camminando, vedi? Dov’è tuo padre?
- Di qui, a destra! – corse, svoltando l’angolo mentre Wesker era ancora a metà tragitto.
Contro ogni suo principio e sensazione, si mise a correre anche lui, non volendo lasciare sola la bambina.
Voltò, anch’egli, nel corridoio di destra, restando in un primo momento abbagliato dalla troppa luce presente in quel luogo. Era un salone da gala le cui pareti e soffitto erano completamente composte da centinaia di vetri con altrettante colonne possenti a reggerli, nel bel mezzo della fossa in cui si trovava il tutto. La luce solare aveva quindi modo di illuminare perfettamente il tutto.
Wesker venne investito da una folata di aria fetida e pestilente, i suoi occhi iniziarono lentamente ad abituarsi alla differenza dalla luce offuscata dei lampadari pieni di decenni di polvere.
Ai suoi occhi apparve il più orribile spettacolo macabro a cui avrebbe mai potuto immaginare.
L’intera sala, ovale e con lunghi gradini che andavano scendendo man mano che ci si avvicinava al centro dove si trovava un’ampia zona pianeggiante, era sottosopra, tavoli e sedie rovesciati e distrutti, bar svaligiato, cocci di bottiglie e piatti sparsi ovunque, mitragliatrici e fucili sparpagliati sul terreno, rotti in più parti.
Corpi senza vita erano disposti, ordinati, in fila al centro della sala, ai piedi di un pianoforte bianco, l’unico oggetto non colpito dal sangue schizzato anche sull’alto vetro del soffitto.
Wesker si fece spazio fra vari pezzi di legno lasciati per terra, avvicinandosi alla fila, notando che i corpi erano letteralmente svuotati dei loro organi. Lo stomaco di tutti era stato completamente dilaniato, le loro interiora ed i vari organi principali tutti accatastati alla sinistra del piano, sangue scorreva dalla macabra montagna. Sangue visibilmente ancora fresco.
Non resse, fu costretto a piegarsi su se stesso e vomitare sul pavimento.
Si rialzò a fatica, messo in allerta da rumori di passi provenienti da dietro l’enorme catasta di interiora.
Impugnò la Glock, tenendola saldamente davanti il viso.
Fece brevi passi tenendosi a debita distanza, aggirandola.
Inginocchiata davanti un cadavere, Ellen stringeva in mano uno strano oggetto simile ad un tubo di Pringles in miniatura terminante in un lungo ago. Conficcò quest’ultimo, con violenza, nel bulbo oculare di uno dei cadaveri ed iniziò ad estrarne uno strano liquido.
Alzò lo sguardo, cantando, fissandolo negli occhi.
- Papà mi ha lasciato molto lavoro da fare. Mi ha detto che ora deve occuparsi di te. Te l’avevo detto che gli saresti piaciuto! – sorrise, divenendo ancor più inquietante.
Il terrore si impossessò di Wesker, il quale superò di corsa la bambina, lasciandosi alle spalle quell’orrore, diretto verso l’altro ingresso della sala. L’unico suo pensiero era quello di trovare un’uscita da quella follia. Giunse alla doppia porta in legno, spalancata e scardinata, oltrepassandola col fiatone ed i polmoni in fiamme, quando venne colpito con forza da un pugno che lo scaraventò diversi metri indietro. Atterrò e scivolò per metri, sul sangue dei cadaveri che si era ormai accumulato al centro della sala.
Un’enorme figura entrò, pesante e possente, dalla porta. Indossava una tuta subacquea del tutto identica alla bambola di Ellen: enormi stivali in ottone, tuta logora ma resistente con degli enormi guanti in metallo malleabile, un’enorme corazza ricopriva il torace e la schiena da cui spuntavano valvole di sfiato di una grossa bombola di ossigeno e l’imboccatura di un contenitore di carburante. La testa era ricoperta da un enorme casco, anch’esso in ottone, con sei oblò frontali e uno per ogni lato, emananti una luce giallognola. Una struttura di protezione simile a una grata ricopriva testa e collo per poi giungere sulle spalle.
Nella mano sinistra reggeva una possente trivella; l’essere la fece roteare, urlando contro di lui.
- Prendilo, Big Daddy! – urlò Ellen, corsa a nascondersi dietro il corpo enorme.
Wesker si alzò, prese la mira e sparò una raffica di colpi indirizzati verso gli oblò del casco. Il fragore rimbombò nella sala ma i colpi rimbalzarono senza sortire alcun tipo di effetto.
Il Daddy iniziò a muoversi nella sua direzione, mettendo in moto la trivella.
Wesker gli diede le spalle, iniziando a correre verso l’ingresso da cui era arrivato ma quell’essere così tanto goffo era altrettanto veloce e gli fu addosso non dopo che pochi passi. Lo sentì gridare, mentre il braccio roteava per poi infrangersi dall’alto verso il basso. Wesker rotolò di lato, lasciando la trivella infrangersi sul lavorato parquet in legno.
- Cazzo! – sparò tutti i suoi restanti colpi sulle bombole sulla schiena del Big Daddy, sperando di danneggiarlo in qualche modo. Lui urlò e lo caricò a testa bassa.
Wesker lasciò cadere la pistola, lanciandosi in una frenetica ricerca della Pokéball appesa alla sua cintura. Chiuse gli occhi, impaurito.
Il suo enorme Empoleon si mise fra i due, chiudendo le ali creando uno scudo impenetrabile su cui si scontrò la trivella. Il Daddy urlò, furioso, azionandola.
Empoleon gemette ma riuscì ad allontanarlo, con uno sforzo, spalancando entrambe le ali assieme, lanciandolo lontano. Quello cadde goffamente su di un lato.
- Empoleon! Grazie ad Arceus sei arrivato… fa attenzione, questo vuole ucciderci.
Il Pokémon pinguino focalizzò lo sguardo sul suo nemico, irrigidendo le punte ed i contorni delle sue ali, affilati come rasoi.
- Vai con Idropompa, forza!
Un potentissimo getto d’acqua si scontrò sul caso del Big Daddy, facendolo rovinare per metri sul terreno. Lui, però, si alzò, immune dal colpo subito.
Iniziò ad avanzare nuovamente verso di loro, con la trivella in azione.
- No, l’acqua non serve. Usa Geloraggio, forza. Vediamo di rallentarlo un po’.
Empoleon obbedì, congelando completamente il corpo del suo avversario.
Per un istante, Wesker gioì. Big Daddy rise, mise in moto la trivella e il ghiaccio si frantumò in infiniti cristalli.
Caricò nuovamente Empoleon, il quale rispose con un violento Alacciaio. I suoi colpi deviarono i fendenti della trivella, colpendo il suo avversario ripetutamente sulla testa e nel ventre. Lo allontanò quanto basta per potersi avvicinare al pianoforte e sollevarlo.
Empoleon urlò furioso, mentre il Big Daddy si avvicinava nuovamente.
Lanciò con tutta la sua forza il pianoforte contro il suo avversario, facendolo sfracassare contro il suo casco. L’enorme mostro marino crollò al terreno, Empoleon respirava pesantemente.
- Daddy! – urlò Ellen, in lacrime.
Wesker non provava più pena per lei, ai suoi occhi non era altro che un mostro nel corpo di una piccola bambina. Empoleon si avvicinò al suo allenatore, mentre lui raccoglieva la Glock. Le luci gialle del casco del Big Daddy si affievolirono fino a scomparire. La recluta decise di andarsene e lasciare lì la bambina, non avrebbe comunque avuto il coraggio di ucciderla. L’importante era solo andarsene al momento. Senza dire una parola, si avviò verso l’uscita, seguito da Empoleon.
Ellen infilò l’enorme ago nel torace di quello che spacciava per suo padre, inserendo all’interno del suo corpo l’intero contenuto di strano liquido luminescente. Pianse e cantò brevi strofe, interrotte dai suoi singhiozzi.
- Tu, cattivo, hai ucciso mio padre! – urlò alle spalle di Wesker.
- Solo perché lui ha cercato di uccidere me – fu l’unica risposta che diede alla bambina in lacrime.
Era ormai prossimo all’uscita da quella sala degli orrori, quando la corrente saltò nuovamente, facendoli ripiombare nell’oscurità.
Wesker ed Empoleon si girarono. Il Big Daddy era nuovamente in piedi, scariche elettriche provenienti da ogni angolo della sala gli finirono in corpo, facendolo sussultare. Furono un infinito susseguirsi di lampi e fulmini in un brevissimo istante, illuminando tutta la zona circostante.
Una volta finite le scariche, il buio tornò sovrano. L’unica fonte di luce era il casco del Big Daddy, ora generante una tetra ed oscura luce rossa ovunque si posasse il suo sguardo. Gridò, mandando su di giri la trivella.
Si lanciò contro Empoleon, il quale si preparò al colpo chiudendo entrambe le sue ali, rinforzandole con Alacciaio. L’assordante stridio dei due metalli in lotta lacerò i timpani di Wesker che fu costretto a portarsi le mani alle orecchie, paralizzato dal suono.
Fu una lunga lotta di diversi minuti, entrambi immobili in quella posizione, senza un visibile avvantaggiato.
Ellen urlava ed incitava il suo Big Daddy che, rinforzato dalle sue parole, riuscì a penetrare nella corazza di Empoleon, maciullandone il torace.
Il Pokémon cadde a terra, privo di vita. Wesker urlò a grande voce il nome dell’amico, puntando e sparando uno dopo l’altro tutti i colpi che aveva nel caricatore, stavolta verso di Ellen. Lei urlò ed i proiettili si fermarono ad un palmo dal suo viso, prima di cadere a terra. Big Daddy non la prese per niente bene e si avventò su di Wesker, il quale era rimasto incredulo delle capacità della ragazza.
L’enorme mostro di ferro menò un affondo con la trivella, stavolta molto più veloce e violento di quanto fosse mai stato, senza dare a Wesker il tempo nemmeno per pensare. Lo infilzò all’altezza dello stomaco, facendo ben attenzione però a non far penetrare più che la punta della trivella, per non ucciderlo. Lo scaraventò a terra e lì lo inchiodò, ergendosi su di lui. La sua arma premeva sulla colonna vertebrale della sua vittima, facendolo urlare di dolore, mentre il sangue sgorgava dalla ferita e dalla bocca di lui.
Wesker sentì un forte crack proveniente dalla sua schiena ma non riuscì ad urlare dal dolore, la bocca era completamente satura, stava affogando nel suo stesso sangue.
- Go, Tell Aunt Rhody. That, Everybody is… dead - Ellen si avvicinò ridendo e cantando, prolungando oltremisura le sillabe, facendolo impazzire ancor di più come poco prima, quando ancora conservava un briciolo di lucidità nel corridoio.
Lei si chinò su di lui, col suo vestito bianco inzuppato di sangue fresco e pezzi di interiora varie. Fra le mani reggeva quel macabro contenitore. Wesker capì ciò che voleva fare; con le ultime forze alzò la pistola, puntandosela alla testa. Preferiva morire in quel modo piuttosto che continuare quell’insana commedia. Premette il grilletto ad occhi chiusi, sentendo la fredda canna mortifera sulla tempia. Seguì un sonoro click ed il carrello scarrellò all’indietro, segno delle munizioni esaurite. Wesker lanciò lontana la Glock, piangendo. Il Big Daddy premeva col suo sguardo su di lui.
Ellen rise, asciugandogli gli occhi con le maniche della veste.
- Te l’avevo detto che saresti piaciuto a il mio Big Daddy, non ricordi?
Con una mano tenne la pupilla destra di Wesker, ormai senza più forze per opporsi in alcun modo, spalancata.
Con l’altra calò lentamente l’ago verso il centro della pupilla, facendolo penetrare lentamente ed a lungo.
Wesker tremò lungo tutto il corpo, con un fuoco che gli ardeva nel petto e ora anche nella testa.
Sentì l’ago trapassargli tutta la lunghezza dell’occhio, finendo con l’arrivare al cervello ed iniziare a penetrarlo.
Fu in quel preciso istante che, con le ultime forze, riuscì finalmente ad urlare, esplodendo un fiotto di sangue dalla bocca.
Ellen rise e premette con forza sull’ago, facendolo penetrare per tutta la sua lunghezza.
Le ultime grida di Wesker riecheggiarono in tutta la città sottomarina, giungendo sino a George, il quale aveva appena fatto, anch’egli, il suo incontro con una bambina dalla candida veste, lunga e bianca come la neve.
 
 
Vespus
   
 
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