Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Afaneia    31/10/2016    2 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo V – Mamma non aver paura


Quando torna a casa ed entra in salotto per salutarlo, Ivan gli appare orgoglioso e tronfio proprio come un piccione troppo pasciuto. Non fa alcun commento incerto o amareggiato, oggi: oggi, al contrario, si piazza in piedi accanto al divano, senza neppure togliersi la giacca, e lo fissa gongolante come se non vedesse l'ora di raccontargli qualcosa. A questo punto della loro vita, Max lo conosce così bene da sapere che non c'è alcun bisogno di chiederglielo per sapere di che cosa si tratti. Difatti, poco dopo, Ivan proclama orgogliosamente: «Hyra ha fatto a botte con un bambino.»

Okay, questo di solito non è il genere di cosa di cui un padre dovrebbe essere fiero. Max spegne la televisione e alza lo sguardo verso di lui, ma la sua protesta gli muore sulle labbra prima di venir pronunciata. Ivan sta sorridendo.

«Non mi sembri preooccupato» osserva con cautela.

«Certo che non lo sono! Hyra mica le ha prese.»

«Ma non sei... uhm, arrabbiato?» Max si discosta un po' sul divano per fargli spazio. «Insomma, fare a botte è sbagliato, lo sai. Dovresti saperlo.»

«Aye, certo, certo.» Gettando la tracolla da lavoro al suolo, Ivan si siede accanto a lui, circondandogli le spalle con un braccio. «Ma ci penserà già Aima a sgridarla, e non mi pare giusto punirla troppo. Non ha mica cominciato lei: lo ha fatto per difendersi.»

«Difendersi da cosa?» indaga Max. Sa che provare a protestare, o a farlo ragionare, sarebbe inutile: in fin dei conti, Ivan non è mai stato quel tipo di persona che risolve i problemi con le parole e una stretta di mano. L'idea che sua figlia sia tanto tosta da picchiare un maschietto, anche solo per legittima difesa, dev'essere per lui una specie di trionfo personale riportato dal suo DNA.

«Beh, anzitutto, quello stronzetto le ha tirato i capelli.»

«Uhm. Non è un po' troppo chiamare stronzetto un bambino di otto anni?»

«Ma non è tutto» prosegue Ivan infervorandosi, senza neppure averlo udito. «Prima le ha detto che è una femminuccia e poi l'ha presa in giro per il fatto che io e te viviamo insieme. Perciò, per quanto mi riguarda, Hyra aveva tutti i diritti di spingerlo e di tirargli un pugno, e non dire che non è così, Maxie. Sono convinto che gliele avrebbe date di brutto, se la maestra non li avesse separati» conclude con l'aria del padre più orgoglioso della terra.

In effetti, Ivan non ha poi tutti i torti: Max non può fare a meno di pensare a come si sarebbe sentito lui, alla stessa età di Hyra, se qualcuno gli avesse detto qualcosa del genere sui suoi genitori. «Hyra ci sarà rimasta malissimo.»

«Oh, si è arrabbiata, questo sì.» Per quanto abbia assunto un'espressione grave e severa a questo riguardo, Ivan non può impedire alla sua voce di tremare segretamente di soddisfazione. «Ma rimanerci male... no, direi di no. Lo sa che i bambini dicono cose stupide.»

«Oh. Beh, meglio così, immagino.» Per un attimo Max si chiede se debba continuare a insistere sul concetto picchiare la gente è sbagliato - più per una questione di principio che perché ci creda veramente - ma poi decide di lasciar perdere. Non è affar suo come Ivan decide di educare sua figlia, dopotutto, e poi, fortunatamente, come ricorda spesso a se stesso, da qualche parte del mondo, a Ciclamipoli, esiste una santa donna di nome Aima che potrà contribuire a insegnare a Hyra tutto ciò che suo padre ritiene superfluo. Come a non fare a botte con stupidi bambini omofobi, per esempio.

Non c'è motivo di dar troppo peso all'accaduto, dopotutto. Max torna ad accendere la televisione, a un volume troppo basso perché valga davvero la pena di guardarla, e appoggia distrattamente una mano sul ginocchio di Ivan. «Ci sarà qualche conseguenza con la scuola?»

«La preside ci ha convocati per un incontro con i genitori dell'altro bambino. Nulla di grave, suppongo.» Ivan si stringe distrattamente nelle spalle. «Comunque, io e Aima siamo del parere che sarà solo una chiacchierata: Hyra l'ha picchiato, ma quello stronzetto ha detto delle cose gravissime, quindi saranno i suoi genitori a doverci chiedere scusa, alla fine. Non c'è da preoccuparsi.»

«Mh, meglio così.» Quasi senza pensarci, Max lo attira a sé senza guardarlo. Il peso familiare del suo capo sulla spalla è gradevole in un certo suo modo domestico e intimo. «Ivan...»

«Sì?»

«Cerca di mostrarti contrario alla violenza, almeno il giorno dell'incontro coi genitori, siamo intesi?»

Contro la curva della sua gola esplode il ruggito basso e vibrante della risata di Ivan.


Solitamente, durante la spesa settimanale del venerdì pomeriggio, Ivan si dimostra attento e collaborativo come un bambino di dieci anni, e fa anche gli stessi capricci, ma, quantomeno, partecipa. È anche vero che, prima d'oggi, non gli aveva mai telefonato la madre di sua figlia durante la spesa.

Attualmente, il suo compagno sta passeggiando su e giù da circa un quarto d'ora nel reparto dei surgelati, discutendo concitatamente al telefono con Aima. Concitatamente è l'eufemismo più adatto che gli venga in mente: a dire il vero, Ivan sta praticamente urlando e, a giudicare dalle parole che usa, dev'essere veramente arrabbiato.

È una fortuna che il supermercato sia veramente affollato, questo pomeriggio, e che il brusio degli acquirenti che si affollano lungo le corsie copra almeno in parte il turpiloquio del suo compagno, perché quando gli passa vicino Max prova quasi vergogna per lui. Comunque sia, Max continua a fare la spesa senza di lui, e aspetta.

Ivan pone bruscamente fine alla chiamata, con un'imprecazione irripetibile, proprio poco prima che debbano andare alla cassa. Max sta per dirgli qualcosa sul suo straordinario tempismo, ma prima che possa anche solo aprir bocca, Ivan erompe violentemente: «Dio, come sono fortunato a stare con un maschio!»

Questa se la sarebbe potuta anche risparmiare. Fulminandolo con lo sguardo, Max lo afferra per un braccio e lo avvicina a sé. «Si può sapere che succede?»

«Ehi, ora non preoccuparti.» Per quanto Ivan abbia litigato per tutto il quarto d'ora precedente, non appena posa lo sguardo su di lui, sembra calmarsi improvvisamente. Gli batte la mano sulla spalla in un benevolo sfoggio di violenza. « Non hai idea di quali sceneggiate facciano le donne per le cose più inutili. Ah, hai già preso tutto?» soggiunge stupito, gettando un'occhiata verso il carrello.

«Ivan, vorresti cortesemente spiegarmi che succede?» sbotta Max in un picco d'impazienza. Prima o poi ucciderà quest'uomo, se lo sente, e paradossalmente lo farà proprio ora che stanno ufficialmente insieme, dopo essersi faticosamente trattenuto per tutti gli anni della loro lotta.

«Succede che Aima ha spaventato a morte Hyra, con tutte le sue sceneggiate isteriche» esclama infine Ivan, e al solo pensiero i suoi occhi lampeggiano. «Ti rendi conto? Far credere a una bambina che sua madre potrebbe morire! E tutto per uno stupido neo...»

Fino all'ultima parola, Max avrebbe pensato che si trattasse di un semplice alterco tra due genitori non poi così civili quanto si vantavano di essere, ma all'improvviso cambia qualcosa. Lascia finalmente il braccio di Ivan. «Che cos'hai detto?»

«Ecco, vedi? Lo pensi anche tu» sbuffa Ivan coll'aria di chi, trovandosi perfettamente compreso e appoggiato dal suo interlocutore, sia ormai disposto a lasciar perdere un argomento che non gli interessa più sostenere. «È ridicolo, ma lo sai come sono le donne... esagerano sempre tutto.»

«Cos'è questa storia del neo?» insiste Max con uno strano senso di urgenza, per cercare di capirci qualcosa prima che Ivan rivolga tutta la sua attenzione al contenuto del loro carrello. Non che, anche così, la sua reazione cambi molto: Ivan si limita a scrollare le spalle, come se la cosa fosse un'inezia che non lo riguardasse minimamente.

«Ah, non ne ho idea, Maxie, non l'ho quasi ascoltata. Ho capito soltanto che sua sorella le ha notato questo neo sulla schiena mentre prendevano il sole e Aima è andata nel panico. Il problema è che si è messa a piangere davanti alla bambina» soggiunge, calcando con particolare intensità sull'ultima parola, quasi a voler mettere a tacere ogni possibile protesta al riguardo. «Ha già fissato un appuntamento per farlo rimuovere, quindi che bisogno c'era di spaventare Hyra?»

Solo un anno prima (quand'era in procinto di devastare Hoenn, per esempio), Max non avrebbe mai creduto di poter udire Ivan parlare così, come il padre iperprotettivo e ostinatamente cocciuto che è davvero, ma non è questo il punto. Al momento, egli sta cercando di riordinare e rielaborare le informazioni nella propria mente, e tutto ciò che riesce a dedurne con certezza, per ora, è che non finirà mai di sorprendersi di quanto Ivan sia stupido.

«Tu lo sai che potrebbe trattarsi di una cosa grave, non è vero?»

«Oh, andiamo, Max.» Le sue parole, evidentemente, non riescono neppure a scalfire la sua corazza di solida sicumera. «Senti, ti ho mai detto quanti anni ha Aima? Non ne ha ancora compiuti trenta. È una ragazza giovane, mangia sano e fa attività fisica due o tre volte alla settimana. Che razza di problemi vuoi che abbia alla sua età?»

La logica di Ivan, pur nella sua cieca chiusura ostinata, non fa una piega. Max sa che le cose, con i melanomi, non funzionano esattamente così – ha fatto un paio di esami di Oncologia ai tempi della sua laurea in Biologia – ma in questo momento, per qualche strano motivo, non se la sente di ribattere. Non vale la pena distogliere Ivan dalle sue convinzioni, dopotutto... no? In fin dei conti, con ogni probabilità, ha ragione. La sua ex si farà rimuovere subito quel neo, la biopsia risulterà negativa, e questa storia finirà in una bolla di sapone, tutto qui.

Ma più Max cerca di convincersi di questo, più sente crescere in sé e radicarsi la sgradevole sensazione che ci sia qualcosa che non va.


C'è qualcosa che non va. Max lo ha percepito già dalla tarda mattinata, quando al telefono la voce di Ivan gli è parsa strana e assente, troppo cupa, ed egli ha ostinatamente eluso le sue domande negando che ci fosse qualcosa di anormale.

I suoi sospetti si sono consolidati quando, nel pomeriggio, un asettico messaggio di Ivan lo ha informato che il suo compagno sarebbe tornato più tardi del solito, e che perciò non c'era bisogno di aspettarlo in piedi. A questo punto, negare che qualcosa non andasse era semplicemente assurdo, perciò Max si è messo l'anima in pace e ha aspettato. Ha preparato la cena, ha mangiato da solo, ha lasciato un paio di piatti coperti in caldo dentro il forno, ha riordinato la cucina e infine, per non saper che fare, ha aperto un libro a caso e si è messo a leggere.

Quando sente la porta d'ingresso aprirsi e poi richiudersi piano, è quasi l'una, e le parole scritte davanti ai suoi occhi cominciano a confondersi e a incrociarsi, ma lo scatto della serratura lo riscuote bruscamente dalla sua pigra sonnolenza. Quando Ivan si trascina lentamente in cucina, Max è perfettamente sveglio.

Non ricorda di averlo visto mai così. Ivan è distrutto, estenuato come neppure nei grandi terribili giorni in cui Groudon devastava i mari, e nei suoi occhi arrossati non c'è la minima traccia di speranza. Di fronte a quello spettacolo di sofferenza, Max non trova nulla di sensato da dire. Chiude il libro sulle ginocchia, si protende in avanti sulla sedia, e aspetta.

Per un po', Ivan non dice niente. Tutto ciò che riesce a fare, per qualche secondo, è accennare un sorriso appena abbozzato, afferrare una sedia e trascinarla accanto alla sua.

«Scusa se ho fatto tardi.» Le scuse sono superflue, certo, ma sono un ottimo modo per cominciare. Max minimizza la cosa agitando distrattamente una mano in aria.

Ivan si siede pesantemente davanti a lui, emettendo un sospiro che sembra più un gemito. È stanco davvero, e dai suoi occhi vitrei è evidente che il lavoro non c'entra.

«Sono stato finora da Aima. Le è arrivato il risultato di quella biopsia che... ti ricordi, no?»

Certo che se lo ricorda. Da quel giorno non ci ha più ripensato, è vero, ma ora che Ivan glielo rammenta, ogni cosa gli torna alla memoria come se ne avessero parlato appena ieri.

«È andata male?» domanda a bassa voce, in un patetico tentativo di aiutarlo a dirlo, ma anche soltanto questo sembra fare la differenza. La fronte di Ivan è impercettibilmente rischiarata da un accenno di gratitudine.

«Deve fare la chemioterapia, credo.» Nel dire finalmente questa verità c'è una specie di liberazione, come se poterla condividere con lui lo alleggerisse di un fardello che, per lui solo, era troppo pesante da portare. Si passa una mano sugli occhi. «Non ci abbiamo capito molto, in realtà, né io né lei. È tutto così confuso, Max. Mi sembra un incubo. Com'è possibile tutto questo?»

Max lo conosce ormai da più anni di quanti riesca a ricordare, ma in questo preciso momento, davanti a quest'uomo devastato e affranto, spezzato, si rende conto di non averlo mai visto tanto umano. Ivan non ha mai amato Aima, e di questo Max non potrebbe dubitare mai, neppure volendolo, eppure egli non l'ha visto mai più distrutto e impotente di così. Tutti i suoi muscoli, i suoi Pokémon e il suo coraggio sono inutili e privi di significato davanti alla malattia di quella donna.

«Ha già parlato col medico?»

Ivan scuote la testa come se la cosa non avesse molta importanza: i suoi occhi sono vacui e persi, del tutto assenti, e Max vede da essi che egli lo ascolta, ma la sua mente è presa da altro: è ancora ferma a quel momento in cui ha saputo della biopsia.

«Sì, ma dovrà tornarci domani per capire meglio. Credo che debba fare una risonanza magnetica, o qualcosa del genere. Oggi abbiamo cercato di spiegarlo a Hyra senza spaventarla...»

La sua voce ha un fremito, un tremore terribile, e poi si spegne. In tutto questo è Hyra che lo spaventa di più, e come potrebbe essere altrimenti?

«Che cosa le avete detto?» mormora Max dopo un po', quasi solo per infrangere quel silenzio troppo grave e angosciante. C'è un'idea mostruosa che si sta formando rapidamente in fondo alla sua coscienza e che sta assumendo voce, e Max sente di doverla mettere a tacere prima che cominci a urlare e assordarlo. Le darà retta più tardi, e sa che allora, se deciderà di prestarle attenzione, essa finirà per ammutolirlo e paralizzarlo... e ora non può permetterselo.

«Le abbiamo detto che la mamma sta poco bene e che dovrà fare delle cure.» Ivan si strofina gli occhi, stancamente, come tutto quello che fa. «Il problema è che ha capito, ovviamente. È anche per questo che ho fatto tardi, sai... abbiamo dovuto tranquillizzarla prima di poterla mettere a letto.»

In tutti gli anni della loro conoscenza, Max non ricorda d'aver visto mai Ivan arrendersi, lasciar perdere e smettere di lottare, che fosse contro qualcuno o qualcosa o anche solo contro un'idea (la sua, per esempio), ma oggi, semplicemente, lottare è mero spreco di forze. La malattia di Aima non è una persona e non è un ideale - è un abisso che cresce dentro di lei, ingombrante e irragionevole, e tentare di combatterlo sarebbe come sgolarsi inutilmente contro la vasta distesa del mare.

«Hyra è molto intelligente. Non avreste potuto tenerglielo nascosto.» Non è del tutto certo che questa sia una consolazione, ma quantomento Ivan sembra apprezzare. Gli sorride appena.

È tardi, ormai. L'una è passata da un pezzo, e parlare ancora della malattia, ormai, è inutile e controproducente come sale su una ferita. Alzandosi in piedi, Max gli passa una mano tra i capelli e si muove per allontanarsi. Ha bisogno di riprendere il controllo, di concentrarsi e di rimanere un po' solo coi propri pensieri.

«Sono sicuro che Aima ce la farà, Ivan. È riuscita a stare con te dopotutto, no?»

Senza preavviso, Ivan lo abbraccia.

Somiglia più a un placcaggio, a dire il vero, ma quello che conta è che Max non può muoversi, ora, colle braccia calde e muscolose del suo uomo strette attorno alla vita. Ivan ha bisogno di lui, si rende conto Max per la prima volta nella vita.

Prima di questo momento, egli non ha realizzato mai quanto profondamente tutti questi anni li abbiano uniti, o quanto davvero voglia dire stare insieme. Ha sempre pensato che fosse Ivan, tra di loro, l'elemento stabile e concreto, incrollabile, attorno al quale far orbitare la sua genialità, prima, e poi il suo disagio e la sua depressione... ma ora Ivan è più fragile che mai, e sorprendentemente questo non lo spaventa tanto quanto dovrebbe.

Le dita di Ivan affondano nella sua schiena, ma Max, da questa posizione, non riesce a vedere i suoi occhi.

«Non può morire, Max.» La verità, semplicemente, è che Ivan ha paura. La sua voce trema e sembra supplicare una pietà che Max, purtroppo, non è in grado di dargli. «È la madre di mia figlia, Max. Hyra ha ancora tanto bisogno di lei. Non può morire ora, non... non è giusto.»

Oh, Ivan. Mentre la sua coscienza pare ribollire e ululare dai reconditi del suo petto, Max appoggia le mani sulle spalle di Ivan. Non c'è nulla che sia in grado di dirgli, e tutto ciò che può fare, ora, è sperare che il solo contatto con le sue mani possa parlare in sua vece e dirgli tutto ciò per cui la sua voce è muta. La morte è sempre ingiusta.

E non vi è nessuno più adatto di lui per dirlo, lui che ha tanto lavorato perché nessuno mai fosse estromesso dal banchetto di vita, per dare all'uomo più terra e meno morte.

No, non vi è nessuno più adatto del grande Max, che ha scatenato su Hoenn l'inferno di un sole che bruciava, e che sa benissimo quali effetti il sole abbia sulla pelle.

No?


Questa notte, la paura di sognare del sole è così angosciosa che Max lotta con tutte le sue forze per non addormentarsi. Pensa. Ha bisogno di pensare, stanotte, e non solo perché non può continuare a ignorare l'idea che è affiorata in lui mentre Ivan parlava, ma anche e soprattutto perché, in questi mesi, si è reso conto che pensare alla sua colpevolezza è molto meno spaventoso che sognarla. A differenza dei sogni, il suo pensiero è l'unica cosa della sua vita che sia rimasta sotto il dominio della sua volontà, e a questo Max cerca disperatamente di aggrapparsi.

Aveva creduto di aver già fronteggiato ogni possibile conseguenza delle sue azioni, Max, prima coll'aiutare quella sciocca ragazzina dagli occhi vacui negli abissi di quella grotta, e poi, ancora, nei giorni dell'avvento di Rayquaza sulla terra... e proprio per questo motivo, scoprire che i danni comportati dai suoi errori sono molto più gravi, e molto più numerosi e impensabili di quelli ch'egli è già riuscito a contenere e a riparare lo spaventa oltre ogni dire. Per la prima volta da ormai molti mesi, Max si sente di nuovo soffocare proprio come in quei giorni terribili in cui la terra andava per colpa sua inaridendosi, e ora ha la precisa consapevolezza che quell'inferno da lui creato non è ancora finito.

Sollevandosi sul gomito, Max passa gran parte della notte a osservare Ivan. Nella luce sfumata e grigiastra della notte di Porto Selcepoli, egli lo scorge appena, e la memoria lo aiuta a ripercorrere i suoi tratti molto più dei suoi occhi.

Stasera, per la prima volta, egli ha fatto caso realmente ai primi accenni di rughe attorno ai suoi occhi, alla stanchezza della sua voce, all'incurvatura esausta delle sue spalle larghe, ed è stato allora che, all'improvviso, egli si è accorto che Ivan davvero non è più il ragazzone testardo e aggressivo della loro antica militanza in quella vecchia squadra. Ma quand'è che è diventato uomo? Forse mentre Max non stava guardando?

Cercando di reprimere i dubbi che lo assalgono, Max si concentra sul volto del suo uomo per tutte le ore che lo allontanano dall'alba. Questa notte neppure il grande calore accogliente del suo corpo potrebbe farlo dormire serenamente, ma sentire il suo respiro nel buio è comunque la cosa più rassicurante della sua vita, al momento.



Buongiorno a tutti!

È veramente strano, per me, ritrovarmi a pubblicare questo capitolo proprio in questo periodo, in cui una persona molto importante della mia vita (la persona che ha ispirato questa storia, in effetti) sta nuovamente male. Ma immagino che esistano molte coincidenze di questo tipo nell'universo, e forse non dovrei sorprendermi più di tanto.

Anche per questo motivo questa storia è per me sinceramente importante, e spero che possa contribuire a dar voce a certe tematiche che sento molto vicine. Desidero naturalmente mettere in chiaro sin da ora che, se darò di determinate malattie una visione non perfettamente inerente alla realtà, è perché non sono un medico e non sono in grado di fare altrimenti; ma ho cercato d'investire in queste pagine tutta la mia sensibilità e le mie esperienze, e se ci saranno errori o imprecisioni non vorrà essere una mancanza di rispetto o di attenzione. Il mio cuore è con coloro che soffrono, per se stessi o per qualcuno di caro.

Detto questo, desidero ringraziare sinceramente per le loro recensioni cristal_93 e Persej Combe: mi hanno fatto davvero tanto piacere!

A questo punto non posso che ringraziare semplicemente chiunque sia arrivato anche solo sin qui con la lettura: per essere una storia nata davvero per caso, è davvero un bel passo avanti!

Un abbraccio enorme a tutti!

Alla prossima


Afaneia










   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Afaneia