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Autore: PawsOfFire    01/11/2016    4 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Temo di aver dimenticato un particolare decisamente interessante durante la narrazione delle mie vicende.
Il campo base. Un pittoresco ammasso di tende seminascoste lungo il limitare del bosco, ai margini di un laghetto che sconfina verso la palude. Se sapessi dipingere mi piacerebbe immortalarlo in una tela da appendere in salotto.
Romantico. Ogni tanto, attraversando le purulente acque della palude, ci imbattevamo in grotteschi e gonfi cadaveri che riemergevano lentamente dalla fanghiglia.
Tra tutte le piccole piramidi verdastre che ricoprono la vallata, la mia tenda era sicuramente la più formidabile, equiparabile ad un monolocale ampiamente fornito. Oltre alla brandina possedevo un tavolino con una lampada ad olio ed alcune mie foto che ammiravo prima di addormentarmi.
Santo cielo, sono meraviglioso. Sono un autentico, effettivo, inimitabile e formidabile portento. Un vero e proprio soprauomo*
Fiete dormiva accanto a me, ai piedi della cuccetta. Aveva il sonno molto più leggero del mio così, in caso di pericolo, era sempre lui a dare l’allarme.
Possedevo perfino un trofeo di guerra: una specie di stufetta che aveva cercato di mandarmi all’altro modo diverse volte. L’avevo trovata accidentalmente** in un villaggio abbandonato e, essendo oramai inutile a chi l’aveva costruita, decisi di farla mia. La legammo al carro e la portammo fino alle tende.
Nessuno si accorse dell’inusuale oggetto fin quando, una notte, la stufa demoniaca decise di uccidermi colmando la tenda con fumi tossici e maleodoranti.
Per sfuggire alla morsa del gas mi gettai nel lago. L’acqua era ghiacciata e questo fu un errore, poiché finii in infermeria con un congelamento da non sottovalutare.
 Fu molto divertente quando ripresi conoscenza e vidi davanti a me il dottore con un enorme ghigno.
Il signor Helmut Biermann era un chirurgo piuttosto cinico. Nonostante il cognome fosse sfacciatamente ebraico, nessuno riuscì mai a risalire alle origini, incontrando nel suo albero genealogico solo bravi cattolici di Amburgo.
Ciononostante, si poteva cogliere la sua sfumatura giudaica nella sua personalità. A parte l’amore incommensurabile per il denaro, sotto il camice nascondeva una personalità alquanto...determinata.
Mi spiegherò meglio con un esempio. Dopo il mio incidente nel lago il mio piede sinistro faticava a riprendere un colorito vivace, rimanendo in un limbo misterioso tra il guarire ed il marcire.
Il dottor Biermann, carico di alcolici come una distilleria, si presentò al mio capezzale per controllare la situazione.
“Qua bisogna amputare”
“Ma sto guarendo”
Tentai di replicare. Modestamente ho sempre avuto un talento nascosto. Riuscivo a raccogliere le matite con i piedi. Una miracolosa performance che spesso compievo da ubriaco.
“Riesco a muovere le dita, guardi! È sensibile. Non credo sia necessario, Herr Biermann. Mi dia la sua matita, le faccio vedere che ho ragione”
Lui mi osservò oltre i suoi spessi occhiali, ridacchiando divertito.
“Non sia stupido, Faust. Sappiamo entrambi a quale reciproco beneficio andiamo incontro.
Se io le taglio un piede destinato a marcire, lei potrà tornare a casa. Non ha l’autorità medica per giudicare lo stato di salute del suo arto”

Ebbene sì. Il chirurgo della nostra divisione adorava tagliare cose.  Se potesse affettare arti, lo farebbe in continuazione.
 Avevi una pallottola nel braccio? Si amputava. Avevi un problema ad un rene? Si asportava. Avevi scopato con un tronco e non riuscivi più a tirarlo fuori? kaputt. Il suo ragionamento era talmente semplice ed efficace da risultare vincente.
Fortunatamente esisteva una cosa che adorava più dei suoi attrezzi chirurgici: il denaro.
Se eri abbastanza ricco e sveglio da poterti permettere una contrattazione, lui era il medico che faceva al caso tuo.
Per quasi trecento marchi sono riuscito a salvare il mio piede. Non volevo assolutamente tornare a casa a trastullarmi con il mio moncone.
Avrei dovuto lasciare i miei sottoposti privi di una figura carismatica come la mia. Il fronte ne avrebbe risentito. Sono il miglior capitano carrista della Wermacht.
Quando all’orizzonte i sovietici scorgevano il cannone della Furia scappavano a gambe elevate, urlando con tutto il fiato che avevano in corpo.
 
 
La nostra missione era sempre la stessa: cercare il fuggiasco.
...Almeno, in teoria. Il Generale era ancora in infermeria con una lieve febbre. Inizialmente lamentava atroci dolori al fegato ma, quando il Dottor Biermann decise di procedere all’asportazione dell’organo, l’uomo miracolosamente guarì. Attualmente a comandare le operazioni è un Colonnello, un losco figuro famoso per le sue missioni suicida.
Senza apparente motivo aveva deciso di organizzare una nuova offensiva a Stalingrado.
Qualcuno gli fece dunque intelligentemente notare come nostra disfatta fu più che disastrosa e che un secondo tentativo, oltretutto disorganizzato e con alcuni giorni di marcia da preparare, avrebbe fatto crollare ciò che rimaneva della nostra armata corazzata.
Dunque, dopo una serie di arresti per opposizione al regime ed alcune condanne a morte, iniziammo a disfare le tende quando ecco il miracolo: il Generale, in perfetta salute, tornò a riprendersi il posto che gli spettava.
Revocando tutte le follie del suo predecessore tornammo alle nostre solite operazioni.
Tutto ciò, in ogni caso, lo venni a sapere con alcuni giorni di ritardo. Pur essendomi comportato come il prototipo del soldato perfetto, Colonnello mi aveva cacciato in cella per colpa del cane e condannato a morte quest’ultimo. Giocai d’astuzia.
Sfoggiando il mio miglior sorriso (posso ammettere con sufficiente modestia che durante la guerra è difficile mantenere denti favolosamente bianchi come i miei) riuscii a convincerlo di quanto Friedrich I von Russland avesse bisogno di scrivere una lettera alla famiglia prima dell’esecuzione.
Nonostante Fiete fosse un cane effettivamente più intelligente dei suoi simili, ancora non aveva imparato a scrivere, quindi riuscì a prendere sufficiente tempo per essere scarcerato ed avere la condanna revocata. Purtroppo, liberarono solo il cane. Io rimasi come un perfetto cretino in cella ad ingozzarmi di rape bollite, cercando di avere spiegazioni.
Quando Tom ottenne il permesso di salutarmi per una mezz’ora mi disse semplicemente che...era meglio così.  Che le operazioni stavano procedendo bene. Che non dovevo allarmarmi.
 
 
Sono vittima di una congiura. Qualcuno sta cercando di tenermi il più lontano possibile dal fronte.
Che sia per la mia sfacciata bravura oramai è noto. Dovevo aver pestato i piedi a qualcuno e per questo mi toccherà trascorrere il resto della mia vita in questo scantinato a mangiare rape bollite.
Iniziai a progettare un piano di fuga. Sul muro, con il cucchiaio, incisi l’intera, minuziosissima, mappa del campo. Al centro c’era la tenda medica, che indicai con una grossa X. A circa cento metri si trovava l’unico edificio di mattoni, ovvero l’ufficio del Generale ed alcune stanza adibite a prigioni. L’unica uscita era sorvegliata malamente da un certo Nowak, un mezzo polacco che passava le sue giornate a dormire, russando in modo talmente profondo da coprire ogni rumore.
Iniziai a scavare una buca. Se i miei calcoli non mi tradivano (ed io avevo fatto la scuola dell’obbligo, era il più istruito dell’armata) bastava solamente un tunnel di circa duecento metri per poter sbucare dalla parte del lago. Se avessi sbagliato direzione mi sarei ritrovato in Infermeria, il che non sarebbe stato nemmeno un grande errore. Però, sporco e ferito, Dottor Biermann mi avrebbe raccolto per sezionarmi diligentemente in grandi ampolle di formaldeide. Sarei stato l’oggetto di studio medico più ambito da qui al prossimo secolo, ma di certo non era la fine che avevo sognato.
Il pavimento di duro cemento non era facile da scalfire. I cucchiaini, di legno leggero, si spezzavano come grissini dopo un paio di solchi.
Dopo una settimana, tutto ciò che riuscii ad ottenere fu un piccolo foro di circa tre centimetri di profondità.
 Qualche giorno più tardi mi liberarono. Scoprii, con grande rammarico, che la mia permanenza prolungata non fu causata dalla mia pericolosità, bensì da una dimenticanza. Sapevano dove fossi, ma nessuno si era ricordato di aprirmi la cella, nonostante mi servissero la zuppa quotidianamente.
Sporsi un reclamo ufficiale. Speravo di ottenere un risarcimento morale, invece si scusarono regalandomi un paio di giorni di licenza a Colonia. Gli altri avrebbero fatto follie per due giorni di libertà.
Non io.
 
 
Tornammo presto alle nostre mansioni. Durante la mia assenza erano arrivati moltissimi volti nuovi: giovani facce imberbi e vecchi avanzi di unità distrutte avevano preso posto lungo il limitare del bosco. Volevo impartire del sano nonnismo ma i miei sottoposti mi fermarono prontamente.
 “Lei è pazzo!” Esclamò Tom, intento a lucidare con meticolosa cura la corazza della Furia.
“Devo solo impartire loro le basi per una convivenza civile. Io comando, loro mi seguono. Quando mi vedono, devono cedermi il passo. Quando fanno qualcosa di utile, devo prendermi il merito. Non è difficile”
“Li lasci perdere, cazzo! Potrebbe finire a pugni. Basta che scappi il ferito ed immediatamente finiremo tutti in un battaglione di disciplina. Stanno aspettando la volta buona per eliminarci-”
Piccolo, dolce, tenero soldatino di zinco. Mi avvicinai a lui, sfoggiando la mia espressione migliore, quel misto di compassione e delicata saggezza che tanto faceva impazzire i miei sottoposti.
“Finché io vivo non le succederà nulla, Weisz. Si fida di me, del suo superiore, il Capitano Bastian Faust, insignito della croce di latta*** nel ventinove febbraio millenovecento quarantatré?”
Vidi un vivido cipiglio di disappunto nel suo volto. Una lunga ruga si corrugò lungo la sua fronte mentre, con le mani, eseguiva un calcolo veloce.
“Ma febbraio non ha ventinove giorni”
“Quest’anno si”
“Non è vero”
“Osa contraddirmi?

 Con un ringhio Tom lanciò lo straccio per terra, biascicando un lungo e vivace insulto.
Difficile accettare la sconfitta.


 
 
 
 
 
 
 
Note:
*Citazione dal libro "Comma 22". Calzava talmente bene con il Capitano che non potevo esimermi dall'inserirla.
** Rubata. In qualche modo.
*** Quest'onorificenza non esiste. Potrebbe essere un contentino. Le date numeriche sono scritte nella loro interezza per sottolineare la grandiosità del fatto.
 
   
 
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