Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: MinervaDrago    01/11/2016    11 recensioni
Dicono che fare sport sia un ottima soluzione per responsabilizzarsi ed eliminare l'ansia... ebbene, gioco a pallavolo da anni, ma finora questa mi ha sempre tenuto per manina, specie se il capitano della tua squadra non è proprio amante della democrazia.
---
Corrado, l'iperbolico narratore della nostra storia, talmente ossessionato dalle sue due passioni, la pallavolo e il lamentarsi del genere umano, da ignorare completamente una realtà rimasta fino a quel momento celata in lui.
Genere: Comico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

THE WAVE

 

“The World I love

The tears I drop

To be part of the wave can’t stop

Ever wonder if it’s all for you”

[Red Hot Chili Peppers – Can’t Stop]

 

 

CAPITOLO 1

 

LA DIFFICILE VITA DI UN GIOVANE PALLAVOLISTA

 

 

 

È mattino, sono le otto in punto e, se non mi sbrigo, farò tardi a scuola.

Afferro lo zaino e il borsone e mi fiondo giù al piano terra, senza neanche curarmi di fare colazione. Sono uno di quei tipi che possono essere tranquillamente definiti come “ritardatari”. La mia classe mi conosce come “quello che entra solo a seconda ora” e difatti, cronometrando mentalmente il tempo che impiego da casa mia a scuola a piedi, pur correndo come se non ci fosse un domani, ho capito che anche oggi dovrò mettere mano al libretto delle giustificazioni, che con tutte le firme che contiene, pare un trattato di pace firmato da tutti i paesi dell’Onu. Fortunatamente ho compiuto diciotto anni a Gennaio e quindi posso firmare tutti quei diamine di ritardi da solo (e volendo anche le “uscite illegali” dalle pallosissime assemblee d’istituto), senza scocciare quel santo martire di mio padre che, probabilmente, sospettoso dei miei innumerevoli ritardi, crede che mi sia dato a qualche strana attività diurna, tipo spaccio di versioni latine prese dal solito sito, studio tattico prima delle interrogazioni, pennichella strategica dietro la scuola, o ancora, che mi sia dato allo spionaggio internazionale in collaborazione con l’FBI….o semplicemente che mi faccia le canne prima di entrare in classe.

A tal proposito, da qualche mese a questa parte, mia madre ha cominciato a prendersi l’abitudine di sniffarmi tutti i vestiti e di frugarmi nei cassetti mentre non ci sono, manco fosse alla ricerca del tesoro di Barbanera «Se scopro che fai uso di stupefacenti» mi minaccia ogni giorno a mezzogiorno (per modo di dire, perché arrivo in ritardo pure a casa) «ti faccio lasciare la squadra!» eh, si, in quanto minacce mia madre non può certo definirsi il Gordon Ramsay della situazione, ma, poveretta, questa è davvero l’unica scusa che può utilizzare per provocarmi un mezzo infarto fulminante e farmi rigare immediatamente dritto, perché il suo unico e adorato figlio maschio, a parte giocare a pallavolo, collezionare CD dei Red Hot e scopiazzare versioni a livello olimpico, non fa altro nella sua misera vita…

E comunque, sul fatto delle versioni, non sto affatto scherzando, è praticamente da quattro anni ormai che mi alleno a farlo! (Sono diventato talmente bravo da essermi guadagnato il titolo di “amanuense” più celere di tutto l’istituto).

In ogni caso, tornando al discorso di prima, il vero motivo per cui arrivo sempre in ritardo a scuola e per cui non riesco a svegliarmi la mattina, è che passo intere nottate a farmi schemi mentali su possibili formazioni per il torneo scolastico e a farmi pippe mentali su come Elia, il capitano della squadra, possa pensarne in merito.

Ora, non vorrei generalizzare troppo, ma a conti fatti, Elia è il tipico studente del liceo Classico: figlio di papà, ricco quanto Paperon De’ Paperoni, ruffiano da fare schifo (si, anche con il prof di religione) ma, ahimè, manzo come pochi.

Il vero problema, alla fine, è che noi due non andiamo molto d’accordo; mentre io cerco di suggerire qualche strategia e di dare supporto al nostro piccolo gregge di pecore sgangherate, per vincere almeno una cavolo di partita, lui, dall’alto del suo metro e novantadue, preferisce impartire ordini, talvolta davvero nonsense (giusto per il gusto di farlo) a chiunque gli capiti a tiro. In poche parole: il tipico despota con il complesso di superiorità.

Purtroppo neanche gli altri sono molto d’aiuto poiché, in quanto volontà e autorevolezza, possono essere classificati facili da plasmare, un po’ come la plastilina colorata con cui ti fanno giocare alle scuole materne, e quindi finisce sempre che fanno tutto quello che Elia dice loro di fare.

E qui pongo il mio quesito: come possono, queste esimie teste di anguria macinata, credere di lasciare tutto nelle mani di due sole persone che, per ovvi motivi, non possono sempre gestire tutto da soli? Tralasciando il fatto che io possa saltare come una molla e che il “manzo” sia alto quanto la Torre di Pisa, non potremmo comunque salvare le loro chiappette per sempre!

Comunque sia, tanto per cambiare discorso, una volta entrato in classe (ovviamente a seconda ora, dato che i bidelli si divertono a giocare a fare le guardie carceriere, se solo ti azzardi a varcare la soglia della scuola dopo le otto e venti) trovo i miei compagni di classe intenti a concepire una formazione efficace per copiare come i dannati al compito di matematica.

Indovinate a chi chiedono ausilio, disperati, manco stessero per affrontare la Seconda Guerra Punica da soli e a mani nude? Ovviamente a quello che la notte si fa gli schemi mentali: Corrado, il vostro umile narratore.

«Potessi fare degli schemi così efficaci come li fai nei compiti» m’informa il secchia della classe, ignaro del fatto che i miei schemi, non passano nemmeno per la “Camera dei Deputati” che c’è nella testa del manzo «con molta probabilità gli scarrafoni sarebbero una squadra accettabile».

Cerco di mantenere la calma mentre mi dirigo al mio posto, il penultimo banco vicino al muro dalla parte dell’entrata, per rivestire del mio solito ruolo di fotocopiatrice umana. Maledico mentalmente Elia per esistere e il Coach per avere scelto un nome così ridicolo (ma incredibilmente adatto) per il team: “Red Beatles”, che tradotto sarebbe “gli scarafaggi rossi”. Se ve lo state chiedendo (perché pure io me lo sono chiesto), il Coach è un fan sfegatato dei Beatles e, ovviamente, non ha potuto fare a meno di dare alla sua squadra questo nome. Ora, non dico che sia una pessima idea, personalmente ne avessi una tutta mia la chiamerei “Red Peppers”, ma lo scarafaggio non mi pare un animale adatto per una squadra di pallavolo (e sinceramente nemmeno i peperoncini, ma lasciamo perdere).

Dopo quella fatidica ora, per metà passata a guardare il soffitto e far finta di scrivere e per l’altra metà a divulgare le soluzioni del secchia agli altri deficienti davanti, mi ritiro per qualche minuto per cercare Armando, il libero della nostra squadra, soprannominato, vuoi per assonanza, vuoi per il modo creativo con il quale si butta a terra “l’armadillo” (tranne da me, perché fisicamente sembra tutto, meno che un armadillo).

Armando è un ragazzo vivace quanto un Labrador da riporto e sentimentale quanto un film d’amore strappalacrime, inoltre è uno dei pochi ragazzi con cui abbia legato di più nella squadra. Quando entro nella sua classe, lo trovo in uno stato di shock nel suo banco.

«La fisica ha fatto strage anche oggi?» commento per attirare la sua attenzione.

«Qualcosa del genere, ma non per me».

Lo guardo, stranito «E allora perché hai quella faccia?».

«Mi sono appena accorto che domani ho compito».

Il mio cuore perde un battito «E cosa comporta la cosa?».

«Che non so nulla».

Sbuffo, spazientito «Si, immaginavo, quindi?».

Armando si alza improvvisamente e mi afferra per il colletto.

«E quindi sono morto! Un uomo morto! Come la mia speranza di diplomarmi!» Cerco di liberarmi dalla sua stretta e di farlo ragionare «Non essere ridicolo, gli esami li passano cani e porci, perché non dovresti passarli anche tu?» Finalmente mi leva le sue dita salsicciose di dosso e torna a sedersi con una faccia talmente desolata che neanche Natalie Portman ne Il Cigno Nero avrebbe mai potuto farne una simile.

«E se saltassi l’allenamento? Dopotutto è a fin di bene!».

Ammetto che se non fosse per la sua simpatica facciona da Labrador narcolettico, probabilmente lo avrei riempito di botte, legato con le cordicelle che servono per tirar su le veneziane, seppellito in palestra e dato fuoco al locale tanto per gradire, ma Dio mi ha voluto amante degli animali e uomo compassionevole, quindi perché non perdonare questo tenero faccia di cane?

«Potresti studiare durante le pause», provo suggerirgli disperato.

«Non saprei…credi che funzionerà? Conoscendo Elia e il megafono che ha al posto del diaframma, non so se riuscirò a concentrarmi».

«Fa come vuoi». Alzo le spalle per mostrare indifferenza, ma in realtà sto piangendo in cinquanta lingue diverse e contemporaneamente nel mio cervello (cosa inimmaginabile ma, data la fervida immaginazione del sottoscritto, abbastanza fattibile).

Improvvisamente una luce divina colpisce il suo intelletto, già poco illuminato di suo, e gli mette in bocca le parole più brillanti che gli abbia mai potuto sentir dire:

«Embè, cosa cambia in fondo? Farò schifo lo stesso, tanto vale che copio».

Il criceto che gira dentro la mia testa esulta, facendo un triplo salto mortale carpiato e cantando l’inno nazionale italiano al contrario e tradotto in greco antico, tradotto: “Che ce voleva?”.

Dopo scuola, io e il Labrador andiamo a farcire i nostri stomaci nel forno dietro la scuola, dopodiché ci dirigiamo verso la palestra, dove assistiamo a una scena al quanto singolare. Elia è in piedi, il petto all’ in fuori come quello di un pollo da combattimento, le mani poggiate ai fianchi e uno sguardo assassino rivolto verso la faccia di Antonio, il centrale, detto “Ntonti”, ma per gli amici intimi “Er Vitello”, per via del suo fisico da capotavola, che sta a pochi centimetri dalla sua faccia, anche lui con uno sguardo poco amichevole.

Accanto a loro, Ettore, soprannominato “er californiano” per la sua pelle scura e i capelli biondo cenere, se ne sta appollaiato su una trave sotto il quadro svedese ad osservare la scena.

«è arrivato er tribbuno da plebbe!» grida Ettore additandomi, «parlatene con lui!».

Il manzo mi rivolge il suo sguardo da serial killer in piena crisi isterica e ammetto che in quel preciso istante, avrei voluto fuggire a grandi falcate verso l’infinito e oltre, per poi svanire all’orizzonte.

«Che cosa significa questa storia del “cambio”?».

Ok, fermi tutti, vi spiego: da un mese a questa parte, il pensiero di stare in una squadra che, per qualche arcano motivo, sebbene sia riuscita a qualificarsi per le semifinali del torneo studentesco, è praticamente andata avanti a miracoli, non mi fa dormire la notte.

Un tempo eravamo fortissimi, arrivavamo sempre in finale alle regionali, ma dal terzo anno in poi, qualcosa è cambiata: la squadra non era più affiatata come prima e i ragazzi sembravano stranamente scoraggiati, nessuno riusciva più a giocare come si doveva e, in men che non si dica, il nostro sestetto ha perso quell’affiatamento di un tempo. Durante una partita, alle qualificazioni, mi sono reso conto che il vero problema della squadra è la nostra formazione: ci sono alcuni dettagli che mi hanno fatto capire che i nostri ruoli non sono adatti e che probabilmente dovremmo cambiare strategia, per privilegiare alcuni aspetti che, fino ad ora, a causa di chi si voleva far notare, non erano mai stati tenuti in conto; insomma, mica si può sempre vivere a “botte de culo” dato che, al momento, il nostro gioco si basa principalmente sull’attacco, o come lo chiama Ettore “er bubusettete tattico”.

Ovviamente ne ho parlato con le uniche persone ragionevoli della squadra, Armando e Antonio, ma gli ho anche raccomandato di non svelare tutto ad Elia, perché avrei voluto parlarne con lui di persona (magari tutto bardato e con il casco da protezione, onde evitare di essere picchiato come un vecchio sacco da boxe).

Purtroppo qualcuno non ha saputo trattenere la lingua e ha voluto spoilerare tutto al grand’uomo quando non doveva…e quindi eccoci qui.

«Era solo un’idea» cerco di giustificarmi tenendo lo sguardo basso.

«Un idea del cavolo! Ti rendi conto che cambiare proprio adesso, in vista del torneo, può rivelarsi un disastro?».

«Ma a me non pare un’idea malvagia» interviene a sorpresa Armando, «potremmo fare una prova». La cosa deve aver lasciato Elia interdetto, perché proprio Armando è il suo “annuitore” ufficiale, cioè colui che non lo contraddice mai. Adesso è proprio lui a tenere lo sguardo basso, il suo animo sembra essersi calmato, ma nonostante tutto continua ad insistere: «Quindi ne eri a conoscenza pure tu? Cos’è, una congiura? Cos’altro mi state nascondendo?»

«Non ti stiamo nascondendo nulla». Le parole di Armando mi hanno incoraggiato a tal punto da trovare la forza di rispondere (eh, si, vado ad incoraggiamenti): «Ho solo suggerito una strategia, ma se preferisci rimanere con tutti e due i piedi nel pantano, fa come vuoi».

Ok, ammetto che palesare il mio pensiero così sgarbatamente non è stata proprio un’idea da premio nobel per la scienza, perché posso vedere il “fuoco della morte” riaccendersi nei suoi occhi. «Ah, certo! Sono io quello sbagliato adesso! Io quello con i piedi nel pantano, vero? Tu forse non hai capito che senza di me siete tutti fottuti!». Il manzo guarda tutti con disprezzo e poi torna a me. «Sai una cosa? Se ti piace così tanto fare da capitano, perché non lo fai tu?».

Si avvicina a me e con gesto rapido mi dà una spinta.

Poco prima che la cosa potesse degenerare —perché stavo veramente per saltargli addosso per strangolarlo— Armando ed Ettore lo afferrano per le braccia e cercano di calmarlo.

«Dai, Elia, non mi sembra il caso».

«Armando c’ha ragione, non c’è bisogno de scaldarsi per una sciocchezza, vedete di risolverla in modo pacifico». Il manzo si libera facilmente dalla loro stretta e mi si avvicina dondolando le braccia. «Va bene, signor so-tutto-io, fammi vedere cos’hai in quella tua zucca malata e poi, forse, ne riparleremo». Quasi inconsciamente gli rivolgo un sorriso; in quel momento avrei voluto afferrarlo per il colletto, stampargli un bel bacio nella capoccia, correre urlando per tutta la palestra e buttarmi giù dal quadro svedese gridando a tutto il mondo che il dio della manzaggine e della rabbia repressa mi aveva dato la sua benedizione, ma non faccio nemmeno in tempo ad aprir bocca che il bel bronzo di Riace (ve lo giuro, è stato il Coach a dargli questo soprannome) mi sgonfia l’entusiasmo.

«Ma lo farai domani, oggi ci alleneremo come di consueto, così ti faccio vedere io una bella strategia vincente». Sbuffo, sconfitto, e gli faccio un cenno col capo per iniziare.

Un altro problema che si è aggiunto al seguito del famoso terzo anno, è quello che Elia, da quel momento in poi (non si sa per quale motivo, anche se io ho le mie teorie), è diventato praticamente un tiranno: se prima accettava volentieri le idee degli altri e faceva pesare poco il fatto che fosse praticamente la star della squadra, adesso è diventato il solo ed unico stratega, le cui idee devono essere seguite alla perfezione, pena una tensione talmente viva da poter essere tagliata con un grissino. Forse è stato proprio questo cambiamento, avvenuto nella vera anima della squadra, a portare tutto alla rovina, poiché quella che prima era la guida e il pneuma di tutto, ora ne è diventato il vero ostacolo.

Dopo gli allenamenti vado nello spogliatoio a cambiarmi. Antonio e Armando fanno gli scemi in mutande, mentre Ettore racconta qualche aneddoto sulla miopia del coach alle riserve, i cosiddetti “scarafaggini” (perché sono quasi tutti del terzo e del secondo anno). Mentre mi cambio mi arriva una bella frustata sul fondoschiena da un asciugamano bagnato, mi giro di scatto per ricambiare il mio assalitore con la sua stessa moneta, ma, non appena mi accorgo che a frustarmi è stato proprio il granitico manzo, decido che forse è meglio astenersi (ho già rischiato la vita due volte oggi, devo smetterla di cercare rogne se voglio continuare a vivere). «Non vedo l’ora di scoprire quale follia hai organizzato per domani». Elia mi rivolge il suo sorriso più malefico «Ci sarà da ridere». Preferisco non rispondergli, quindi sto zitto e continuo a cambiarmi.

«Ma mi stai ascoltando?».

Mentre mi alzo per sistemarmi i pantaloni, vedo un suo braccio imponente superarmi e poggiarsi sul muro dietro di me.

«E allora? Perché non mi parli? Solitamente hai sempre qualche critica in serbo per me».

Infastidito dal suo gesto, e anche imbarazzato dalla brevissima distanza che ci separa (e soprattutto per il fatto di avere davanti un uomo alto quanto una porta, praticamente semi nudo), gli volto le spalle e raccolgo le mie cose.

«Abbi pazienza, le critiche te le farò domani, adesso ho altro per la testa» e me ne vado.

Il sole sta tramontando, durante il mio tragitto mi fermo un attimo a ripensare a tutto quello che era accaduto poco prima. Perché le cose più assurde capitano sempre a me? Perché sto in una squadra di dementi? Perché Elia mi fa lo stesso effetto di un’aspirina nella Coca Cola?

Durante la mia “meditazione” profonda, vengo improvvisamente colpito da qualcuno: un ragazzo molto alto, con una tuta da ginnastica blu e incappucciato.

«Ma insomma!», impreco ancora innervosito da quei pensieri.

«Mi dispiace amico, vado di fretta…» prima che potessi aprir bocca per mandarlo a quel paese, il ragazzo misterioso mi si avvicina con aria stupita e mi osserva meglio, dopo avermi scrutato dalla testa ai piedi, spalanca gli occhi e sorride esclamando: «Corrado, sei veramente tu!».

Mi allontano inquietato e balbetto qualcosa tipo: «Si, mi chiamo così, come fai a saperlo?»

Cinque ragazzi, larghi quanto un tavolino e alti quasi quanto il manzo, ci vengono incontro imprecando e agitando armi improvvisate.

«Non c’è tempo per spiegare, Corrado, dobbiamo fuggire!».

L’incappucciato mi afferra per un polso e mi trascina verso un vicolo dietro la scuola.

Durante questa corsa surreale, comincio a sentirmi come in un film poliziesco americano, le premesse infatti ci sono tutte: inseguitori, vie scognite al mondo, gente che guarda la scena scioccata, un misterioso salvatore… mancava solo una colonna sonora ansiogena da inseguimento e qualche esplosione in background alla Michael Bay e ci potevano pure fare qualche ripresa! Io e il misterioso ragazzo abbiamo passato minuti che sembravano eterni a fuggire da quella stramba banda di gorilla, ma, solo dopo mezz’ora di corse pazze, riusciamo a trovare un nascondiglio in una delle vie più sconosciute dell’intera città, di cui nemmeno io sapevo l’esistenza. «Ma si può sapere chi diamine sei?» gli chiedo a tradimento, «e perché quei cosi ti stanno inseguendo? E poi, perché hai coinvolto proprio me?!».

Il ragazzo prova a riprendere fiato e si affaccia un attimo dal nostro nascondiglio per controllare se quei tipi non avessero cambiato strada, come probabilmente aveva pianificato.

«Ma come, non ti ricordi di me? Pensavo che l’avessi capito».

Togliendosi il cappuccio mi mostra un volto tremendamente familiare, l’ultimo volto che avrei voluto vedere in quella squallida giornata.

«Luca?!»

 

 Note della "narratrice narrante":

Era agosto, Zaytzev e la sua cresta volavano per tutto il campo di Rio de Janeiro per affrontare per la seconda volta gli Usa per la lotta alle semifinali, quando la suddetta, a suon di Dark Necessities dei Red Hot, partoriva questa storia. In men che non si dica sono nati tanti personaggi e tante storie che insieme hanno permesso la nascita di “The Wave”; un grazie grande quanto una casa (o come un grattacielo) va a franch_toast, che mi ha fatto da ostetrica per partorire questa storia e ha sopportato i miei scleri per mesi (e, fidatevi, non è cosa da poco), a GinevraGwenWhite, che si è prodigata a controllare se non avessi scritto bestemmie grammaticali e a voi, umili lettori, che vi siete avventurati a leggere questa mia insulsa storiella!

 

   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: MinervaDrago