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Autore: Beauty    01/11/2016    3 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo III
 
Bloody Snow White
 
 
 
Nel frattempo, la povera piccina rimase sola nel fitto
della grande foresta, ed ebbe così paura che si guardava intorno
smarrita, non sapendo cosa fare; poi cominciò a correre e corse
fra le spine e contro le pietre aguzze”.
 
Grimm, Biancaneve e i sette nani
 
 
 
TUTTO DIVENNE CONFUSO.
Elizabeth si sentiva stranamente leggera, come se fosse fatta di gommapiuma, si lasciava trasportare senza opporsi. Anya continuava a volgere lo sguardo intorno a sé, un po' frastornata, cercando sua sorella, ma non riusciva a pensare a nulla. Nella sua mente si affollavano solo ricordi sconnessi: le parole di suo padre prima di uscire, Liz che a nove anni esultava per aver vinto una partita a Monopoly, il primo bacio che Bobby Joe le aveva dato contro gli armadietti della scuola...sua madre...
D'un tratto, veloce com'era cominciato, tutto finì.
Anya cadde a terra con un tonfo.
- Ahi...- sentì gemere sua sorella.
Si tirò su indolenzita.
- Liz...!- chiamò.
- Sono qui...- gracchiò la voce dolorante dell'altra ragazza. Elizabeth era atterrata a qualche metro di distanza da lei, e aveva l'aria decisamente stravolta, con i capelli scompigliati e gli occhiali storti sul naso.
- Stai bene?
Elizabeth cercò di tirarsi in piedi. Entrambe avevano i cappotti e i pantaloni coperti di terra ed erba. Anya guardò in basso: erano atterrate su dell'erba! Erba a New York?
...l'erba più verde che avesse mai visto, persino più verde di quella di Central Park.
Anya pensò che dovessero trovarsi proprio lì, non vedeva altra soluzione.
- Ma che cavolo è successo?- fece Elizabeth.- Dove siamo finite?
Inutile illudersi: quella non era Central Park. Anya continuò a guardarsi intorno alla disperata ricerca di qualsiasi cosa l'aiutasse a orientarsi. Si trovavano in quello che aveva tutta l'aria di essere un bosco, una foresta i cui alberi dalle chiome verdissime – troppo verdi – erano così fitte – troppo fitte – da lasciare poco spazio allo sguardo. La radura in cui erano atterrate era ricolma di fiori, e sembrava che nessun essere umano ci avesse messo piede fino a quel momento – l'erba di Central Park era perennemente calpestata.
Era un posto meraviglioso, pensò Anya. Meraviglioso e irreale.
- Non lo so, Liz...
 
Rimasero a fissare imbambolate quel luogo per un tempo infinito.
Più volte Anya ed Elizabeth guardarono verso il muro d'alberi alle loro spalle e verso l'alto, ma non videro nulla che potesse ricondurre al...vortice, o qualunque altra cosa fosse, che le aveva trasportate lì.
- Dove siamo?- ripeté Elizabeth a un certo punto.
- Ti ho già detto che non lo so.
Più Anya cercava di trovare una spiegazione logica, più non ci riusciva, e a farne le spese era il suo umore. Un misto di ansia e nervosismo aveva cominciato a scalciarle all'altezza del petto, e sentiva di avere i palmi completamente sudati.
- Cerchiamo di ragionare...- soffiò.
- Ma come siamo arrivate qui?! Insomma, l'hai visto anche tu, no?- Elizabeth stava per iperventilare.- Il muro che si apriva, il vortice, questo!
- Sono sicura che c'è una spiegazione razionale...
- Razionale?! Cavolo, Anya, siamo appena state inghiottite da un muro!
- Accidenti, Liz, vuoi stare zitta un attimo?!- sbottò la maggiore.- Non riesco a pensare. Abbiamo visto papà entrare in quella stanza, giusto? Deve pur essere da qui da qualche parte. Troviamolo e chiediamo a lui una spiegazione...
- D'accordo. E da dove cominciamo?- Elizabeth allargò le braccia come a rimarcare l'insensatezza della situazione e l'impossibilità per loro di fare alcunché. Anya non si diede per vinta; prese a guardarsi intorno con più attenzione di prima, alla ricerca di Richard o di qualsiasi altra cosa potesse ricondurle alla sua presenza, ma senza alcun risultato.
Elizabeth la lasciò fare per qualche minuto, poi smise del tutto d'illudersi e sbuffò alzando gli occhi al cielo: era evidente che sua sorella stava disperatamente cercando di negare di essere totalmente spiazzata e di non avere alcun controllo della situazione. Stava per dirle che forse era meglio sedersi lì e aspettare che papà o qualcuno tornasse indietro o venisse a cercarle, quando notò un'impronta nell'erba, a pochi millimetri dalla sua scarpa da tennis. Si trattava della traccia lasciata da una scarpa, un piede umano, e sulle prime Elizabeth credette di averla lasciata lei stessa. Poi notò che chiunque avesse lasciato quell'impronta aveva il piede leggermente più lungo del suo, e che accanto a essa ce n'era un'altra.
E poi un'altra. E un'altra ancora.
Elizabeth le seguì, e quando fu costretta a sollevare il capo vide che creavano due file parallele, in cui un'impronta era poco più avanti dell'altra, fino a tracciare un percorso ben definito. Le tracce si allungavano di fronte a loro, scomparendo poi oltre una collinetta.
- Ehi, Anya...
- Che c'è?
- Guarda qui...
- Anya si sporse per vedere meglio, ma non riuscì a scorgere nulla oltre la collinetta.
- Quelle non c'erano, prima...- borbottò a bassa voce; Elizabeth non la sentì – o fece finta di non averla sentita; si avviò verso la collinetta seguendo le orme.
- Mi sa che siamo sulla buona strada...
- Ehi! No, Liz, aspetta!- gridò sua sorella, correndole appresso.- Per quel che ne sappiamo potrebbe anche esserci un maniaco, qui...- e prima quella orme non c'erano, cazzo, potrei giurarlo.
- Sento dei rumori...
Era vero; Anya tese l'orecchio, e poté constatare che da oltre la collinetta proveniva un brusio sommesso, come un chiacchiericcio. Elizabeth si arrampicò agilmente fino in cima: di fronte al suo sguardo ora si stendeva una piccola radura circolare, in cui un gruppo di persone – una decina, e tutti uomini – era riunita in quello che aveva tutta l'aria di essere un cortile.
Anya arrancò a fatica fino a raggiungerla.
- Credo di aver trovato papà...
 
La casa della nonna sorgeva in mezzo al bosco, non troppo lontano dal sentiero che la madre di Cappuccetto Rosso si era sempre raccomandata di seguire. Era una casupola di pietra a un solo piano, con il tetto di paglia e il comignolo un po' storto. Quand'erano arrivati sul posto, da esso fuoriusciva un denso fumo nero. Entrando, gli inservienti avevano dovuto spegnere quella che a occhio e croce doveva essere la zuppa che si era bruciata.
Il Dipartimento Favole di New York non era grande o attrezzato come quello di Los Angeles, e gli unici due agenti a lavorarvi erano lui e Jones; prima che scomparisse, anche Fraser faceva parte della squadra, e naturalmente c'era il procuratore, il quale tuttavia era super partes. Le altre persone che erano con loro erano inservienti: lavoravano per il Dipartimento Favole, ma non erano poliziotti, si occupavano solo di dare una mano ai veri agenti nei lavori di fatica o nelle mansioni più basse, e avevano l'ordine di non parlare con nessuno, e se per caso gli si rivolgeva la parola si limitavano ad annuire o a negare con un cenno del capo.
Si somigliavano tutti, tanto che spesso Hadleigh si era chiesto se fossero davvero esseri umani oppure oggetti inanimati resi senzienti per l'effetto di qualche magia.
Due di essi fecero per chinarsi sul telo bianco posto a pochi centimetri da lui, ma l'ispettore fece cenno di lasciarlo dov'era. Gli inservienti si allontanarono in silenzio.
Da più di venti minuti, Hadleigh fissava quel telo bianco sotto cui – lo sapeva – giaceva il corpo di Cappuccetto Rosso. Non l'aveva ancora vista, e sinceramente avrebbe preferito non farlo. Non perché la morte lo sconvolgesse – aveva già visto cadaveri di bambini –, ma per ciò che quel corpo stava a significare: qualcosa non andava.
Da quando Crawford gli aveva comunicato la notizia dell'omicidio, la sua testa era stata invasa da frasi assordanti, e tutte avevano la voce di Fraser. Per l'intera serata non aveva fatto altro che pensare a equilibri da mantenere e lancette di bilance. Se c'era qualcosa che Hadleigh avesse mai apprezzato di quello schifo di lavoro, era la sua sicurezza.
Cosa c'era di più sicuro e rassicurante di una bella fiaba?
Sapevi sempre ciò che ti attendeva alla fine: Cenerentola avrebbe sposato il Principe Azzurro, Biancaneve avrebbe sputato la mela, Pollicino avrebbe ucciso l'orco; c'erano sempre tre fratelli, e solo il minore, più buono e più bello, l'avrebbe spuntata; il soldato avrebbe salvato la principessa per poi sposarla; il drago veniva fatto a pezzi.
 
...il Cacciatore vide il Lupo Cattivo che russava beatamente, con il ventre grande e rotondo dopo aver ingoiato la nonna e la piccola Cappuccetto Rosso in un solo boccone; allora il Cacciatore si avvicinò, uccise il lupo e gli aprì la pancia con la sua scure, liberando le due prigioniere.
E tutti vissero per sempre felici e contenti.
 
Il pensiero che anche una bella fiaba si fosse trasformata in un incubo, e che a farne le spese erano state una bambina e una donna anziana...era raggelante.
- Attenti...!
La voce di Jones risuonò troppo tardi: uno degli inservienti si era lasciato scappare la sua parte della barella che stavano trasportando fuori dalla casa. Il suo collega intervenne con un'agilità che non si confaceva alla sua stazza, evitando per il rotto della cuffia che quei poveri resti venissero scempiati da una caduta.
Crawford, poco distante, fece roteare gli occhi.
Hadleigh rimase a guardare mentre il suo collega guidava gli inservienti e ordinava di posare il corpo della nonna accanto appena oltre la soglia della porta. Era stato il primo che aveva visto: l'assassino doveva averla colta di sorpresa, perché avevano ritrovato il cadavere disteso sul letto, con le coperte tirate fino all'addome. Lo sterno era stato sventrato, e gli occhi sbarrati attraverso le lenti degli occhiali quasi scomparivano in quel lago di sangue che era il volto, sangue che imbrattava anche i capelli grigi, la camicia da notte e le lenzuola, e perfino l'uncinetto a cui l'anziana donna stava lavorando. Hadleigh non ci aveva messo molto a capire la dinamica dell'omicidio. Chi aveva ucciso Cappuccetto Rosso e la nonna aveva prima aggredito quest'ultima nella propria casa – la porta era sfondata. Aveva prima ucciso l'anziana, poi era passato alla nipote. Molto probabilmente Cappuccetto Rosso doveva essere arrivata quando la nonna era già morta. Aveva visto la porta sfondata, era entrata per controllare e aveva trovato il cadavere e l'assassino ad attenderla. Il fatto che il suo corpo fosse stato ritrovato a diversi metri dalla casa dimostrava che la piccola aveva cercato di scappare, ma l'omicida l'aveva inseguita e raggiunta, e aveva terminato il lavoro.
Restavano solo due domande: chi era stato e perché.
Crawford sosteneva si fosse trattato del Lupo Cattivo, e in effetti le ferite sul corpo della nonna e il suo sterno fracassato rimandavano a un'aggressione animalesca, ma Hadleigh era rimasto parecchio sorpreso dal modus operandi. Benché i graffi e le lesioni fossero stati indubbiamente causati da artigli e i morsi da zanne aguzze, il duplice omicidio aveva un che di metodico. E questo presupponeva un intervento umano. Era come se l'assassino avesse atteso pazientemente il momento giusto per colpire le sue vittime, e non se ne fosse andato finché non aveva avuto la sicurezza di averle uccise. Senza contare che era palese che non potesse essere stato un lupo: i morsi erano troppo ampi e troppo profondi per i denti e l'apertura orale di un canide, e i graffi rimandavano a quello di una bestia molto più grande, come un orso o un leone.
E poi, restava sempre la questione del perché. Fatto salvo per le ferite, i corpi erano intatti. Se Crawford avesse avuto ragione e l'assassino fosse stato il Lupo Cattivo, allora avrebbe dovuto sbranare la nonna e Cappuccetto Rosso, non limitarsi ad ammazzarle. I lupi non uccidono per divertimento.
- Che ne pensa, ispettore?- la voce di Crawford lo riportò bruscamente alla realtà.
- Le ho già esposto la mia teoria...- rispose Hadleigh, pacato.- A mio parere, non si tratta di semplice furia animalesca.
- Quindi, lei esclude che si tratti del Lupo Cattivo?
- Non ho detto questo, ma lo ritengo poco probabile. Può anche darsi che l'assassino sia il Lupo Cattivo, è un'ipotesi da tenere in considerazione, ma non sarei troppo affrettato nel trarre delle conclusioni. Non mi sembra un omicidio casuale, dettato dalla fame o perché un animale si è sentito minacciato.
- Sta parlando di un omicidio premeditato.
- Di sicuro Cappuccetto Rosso e la nonna sono state uccise per un motivo. E poi, signore, se posso permettermi...- Hadleigh si schiarì la voce.- Se anche il Lupo Cattivo avesse deciso di fare uno strappo alla regola e stravolgere l'ordine, il Cacciatore avrebbe comunque dovuto fermarlo, a meno che la memoria non m'inganni. Dov'è il Cacciatore?
Crawford sembrò essere sorpreso da quella domanda, e ci mise qualche secondo per rispondere. Ma quando aprì la bocca per farlo, delle esclamazioni di orrore e mormorii nervosi alle sue spalle rprichiamarono l'attenzione di entrambi.
Gli inservienti avevano posato a terra la barella su cui giaceva la nonna e stavano indietreggiando, ma senza smettere di fissarla. Ad Hadleigh non sfuggì l'espressione d'incredulità e disgusto sul volto grassoccio di Jones.
Il telo bianco, prima chiazzato di sangue, era ora ricoperto di macchie nere. Un liquido del medesimo colore aveva iniziato a scivolare fuori da sotto la plastica. Nel giro di una manciata di secondi tutta la barella venne tinta di nero, e la sagoma prima chiaramente distinguibile della nonna scomparve sotto il telo. Hadleigh distolse velocemente lo sguardo; quasi automaticamente, afferrò un lembo della plastica bianca sotto cui giaceva Cappuccetto Rosso e lo scostò. Fece appena in tempo a incontrare gli occhi sbarrati e senza vita sul volto dilaniato della ragazzina, prima che anche il suo corpo si sciogliesse in una pozza di liquido nero.
Un istante dopo, del corpo di Cappuccetto Rosso non rimase altro che la mantella abbandonata in quella pozza scura come il petrolio.
- Ma che diavolo è?- sibilò Crawford.
Hadleigh chiese a uno degli inservienti di passargli un guanto di lattice, lo indossò e intinse l'indice e il medio nella pozza di liquido nero ai suoi piedi. Lo esaminò per qualche secondo.
- E' inchiostro - mormorò.
- Questo non è normale...- Crawford sembrò agitarsi.- Devo comunicare la cosa al Dipartimento Favole di Los Angeles, immediatamente. Il dottor Portrait va avvisato immediatamente.
- Che aiuto può dare, analizzando dell'inchiostro?- chiese Jones; Hadleigh non seppe se dargli dell'imbecille o se essere d'accordo con lui. Naturalmente quella roba andava spedita a Los Angeles per essere analizzata, ma dubitava che, pur in tutta la sua bravura, il criminologo del Dipartimento di LA potesse dire molto di più, se non che si trattava di inchiostro.
Inchiostro e sangue di un cadavere.
Crawford si agitò ancora per un poco, poi qualcosa attirò la sua attenzione appena sopra le loro teste.
- Che ci fanno loro due qui?!
Hadleigh sobbalzò. Scattò in piedi, e subito vide le sue figlie scendere lentamente dalla collinetta a sud della casa. Il suo sguardo scioccato incrociò il loro, che era a metà fra l'incredulo e il sollevato.
- Ragazze...- boccheggiò.- Che...che ci fate qui?
- Papà...- riuscì a mormorare Elizabeth; i suoi occhi dardeggiavano da lui alla pozza d'inchiostro ai loro piedi. Anya non parlava, non si muoveva, non sbatteva nemmeno le sopracciglia, sembrava quasi in stato catatonico.
Avevano visto tutto.
Hadleigh si passò una mano fra i capelli.
- Come avete fatto ad arrivare qui?
- Questa volta ha veramente passato il segno, ispettore!- sbraitò Crawford, parlandogli sopra.- Si rende conto di che cosa ha fatto?! Come le è venuto in mente di...
Hadleigh si voltò verso di lui.
- Non le ho portate qui io, signore. Non so come ci siano arrivate, ma...
- Era una sua responsabilità!- Crawford gli puntò il dito contro.- Mi aveva assicurato che non si sarebbe mai più verificato un fatto del genere! Ricorda cosa è successo l'ultima volta, solo per una sua negligenza?!
- Le ho detto che...
- Che cos'è questo posto?- chiese Anya.
Gli unici occhi che non si posarono su di lei furono quelli degli inservienti, i quali continuarono ad affaccendarsi intorno senza neppure alzare il capo. Hadleigh sospirò.
- E' il Regno delle Favole - ammise in un soffio.
- E' impazzito?!- urlò Crawford.
- Ormai sono qui, è giusto che sappiano...
- Decido io che cosa è giusto e cosa no. Devo ricordarle la sua posizione?- il procuratore si avvicinò alle ragazze. Prese Elizabeth per un gomito e la spinse lievemente verso sua sorella, poco più indietro.- Le signorine hanno visto anche troppo. Non tollererò ulteriori intromissioni da parte sua o delle sue figlie nella faccenda, ispettore. Ora, voi due...- Crawford si rivolse più alla maggiore delle due sorelle.- Siete arrivate qui attraverso la porta?
Ci volle qualche secondo prima che una delle due osasse aprire bocca.
- La porta dietro la centrale?- boccheggiò Elizabeth.
- Chi vi ha indirizzate lì?- incalzò Crawford, sempre rivolgendosi ad Anya.- L'ispettore Hadleigh vi ha parlato di quel luogo, o di quest'altro? O avete parlato con qualcun altro?
- Procuratore, loro non sapevano niente...- Hadleigh tentò d'intromettersi.
- Lei tenga la bocca chiusa! Allora?
- Nessuno ci ha detto niente - gracchiò Anya alla fine; cacciò una mano nella tasca del cappotto e tirò fuori il distintivo.- Volevamo riportarti questo - guardò suo padre, uno sguardo a metà fra l'incredulo e lo schifato, il deluso più profondo.- Dove siamo?- chiese ancora.
- Questo non vi riguarda!- Crawford le strappò il distintivo di mano.
- Come fa a dire che non le riguarda?- Hadleigh li raggiunse.- Sono qui, sanno tutto...
- Cosa? Cosa c'è da sapere?
- A questo provvederemo una volta che saremo tutti tornati a NY. A cominciare da voi due!
Prese Elizabeth per un braccio e la spinse verso sua sorella; entrambe le ragazze protestarono per quel gesto, ma Crawford scrollò le spalle.
- Signorina, non potete stare qui - disse, rivolgendosi ad Anya.- Sarà mio dovere fornirvi tutte le spiegazioni del caso, ma non ora e non qui. La prego, torni indietro con sua sorella...provvederò io stesso a contattarvi una volta che tutto si sarà sistemato.
- Indietro? Più che volentieri, se solo sapessi come siamo arrivate qui - Anya sputò fuori quella rispostaccia maleducata come un serpente sputa del veleno. Elizabeth era rimasta imbambolata per un attimo a fissare la casupola molto simile a un cottage e la chiazza di liquido nero che si allargava sull'erba, ma si impose di riscuotersi.
- Esistono sette Porte che collegano questo luogo con New York - Crawford continuava a rivolgersi ad Anya, ma sembrava essere più calmo rispetto a prima.- Voi ne avete utilizzata una. Ora si è chiusa, e ci vorrà del tempo prima che si riapra di nuovo. Andate a destra, fra meno di cinquecento metri troverete un albero sul cui tronco sono incisi dei cerchi concentrici. Si tratta di una Porta. Dovrete solo toccare al centro dell'ultimo cerchio ed essa si aprirà, la magia penserà a tutto il resto...
- Magia?- fece eco Elizabeth, guadagnandosi uno shhht! da parte di sua sorella e un'occhiata di traverso dal procuratore. Vide che Hadleigh si fissava le scarpe.
- Tornerete a New York in meno di un minuto. Ogni volta che una Porta si attiva senza la mia autorizzazione vengono avvisati degli inservienti del Dipartimento; ne troverete uno o più ad attendervi. Non è permesso loro rivolgervi la parola, ma seguiteli e fate tutto ciò che vi indicheranno di fare.
- Ci riporteranno a casa?
- No. Dovrete rimanere alla centrale di polizia fino a che non sarò riuscito a liberarmi, ma si tratterà al massimo di qualche ora.
Anya rimase in silenzio, concedendosi un attimo per riflettere. Non ci stava capendo nulla, ma Crawford sembrava sapere il fatto suo. E lei voleva andarsene da quel posto, ovunque fossero.
Annuì, girò i tacchi e fece cenno a sua sorella di seguirla. Elizabeth agitò stupidamente una mano in segno di saluto – non sapeva bene chi stesse salutando, se suo padre o il procuratore – e corse nella direzione indicata da Crawford, cercando di stare dietro al passo spedito di Anya.
Hadleigh fece per seguirle, ma Crawford lo trattenne per la giacca, come se fosse stato un adolescente ribelle da rimettere in riga.
- Lei non va da nessuna parte, ispettore...
- Voglio solo accompagnarle...- cercò di liberarsi dalla presa.
- Riceverà un'ammonizione per questo!- ringhiò il procuratore.- Che cosa le è saltato in mente, si può sapere? Ha idea di quel che ha combinato? Non le è bastato quello che è successo l'ultima volta?
Jones mosse timidamente un passo in avanti.
- Signor procuratore...se vuole posso accompagnarle io. Rick ha ragione, è il caso che qualcuno vada con loro, giusto per assicurarsi che...
- Tu non t'immischiare!
A parlare era stato Hadleigh stesso, non Crawford. Jones tacque e non disse più nulla.
L'ispettore scoccò a Crawford un'occhiata rabbiosa, e si divincolò con furia.
- Certo che m'è bastato!- gli urlò in faccia.- Non me lo sono mai perdonato, e lei lo sa meglio di chiunque altro. Non ho idea di come diavolo abbiano fatto le mie figlie ad arrivare qui, ma di certo non ce le ho portate io!
Crawford non profferì parola.
Hadleigh inspirò a fondo, quindi si voltò a guardare il muro di alberi oltre il quale le due ragazze erano già scomparse.
- Ho pregato che non succedesse di nuovo. Spero solo che vada tutto bene...
 
***
 
LA SALA DEL TRONO era tanto ampia quanto cupa. Il pavimento era di marmo scuro e lucido, e le alte colonne che costeggiavano le pareti recavano scolpite statue di scheletri con le bocche spalancate in urla mute, le cui sagome erano rese ancora più tetre dalla flebile luce delle candele accese. Il Primo Ministro sospettava che non si trattasse solo di statue. Nei sotterranei del castello si udivano troppe urla perché lo fossero.
Le finestre che si alzavano dal pavimento fino al soffitto erano oscurate da tendaggi color porpora, mentre in fondo alla sala il trono reale sorgeva in cima a una scalinata.
La Regina Cattiva, il cui abito rosso sangue spiccava in mezzo a tutta quell'oscurità, osservò compiaciuta le due guardie in armatura ed elmo nero ritte sull'attenti di fronte alla porta d'ingresso, i cui battenti presentavano rilievi di teschi esattamente come i braccioli del trono. Il palazzo reale era molto cambiato da quando aveva spodestato Biancaneve. Prima era un castello luminoso e allegro, pieno di vita; ora, invece, era più consono ai suoi gusti.
Guardò il Primo Ministro, in piedi in fondo alla scalinata: era un uomo sui trent'anni, con i capelli castani e gli occhi di un azzurro cupo, come il cielo invernale. Era vestito completamente di nero, dagli stivali, alla divisa e al mantello. Sembrava assorto nei suoi pensieri, ma era certa che non riguardassero l'uomo che attendeva dietro la porta; o, se lo riguardavano, non c'era traccia di rimorso in essi.
- Primo Ministro - la voce della Regina Cattiva riecheggiò sulle pareti.
Il giovane si voltò immediatamente nel sentirsi chiamare.
- Potete farlo entrare...
Il Primo Ministro fece un cenno alle due guardie. Immediatamente, quelle sciolsero i catenacci che tenevano chiusi i battenti e li spalancarono. Nella stanza entrarono altre tre guardie, trascinando un uomo incatenato. Il Primo Ministro lo squadrò: la figura del prigioniero era massiccia, ed era alto quasi quanto lui, sebbene il tenere le ginocchia piegate e le spalle ricurve non rendeva noto questo dettaglio; aveva all'incirca quarant'anni, il volto ricoperto da una barba leggera e segnato da diversi graffi ancora freschi. La casacca marrone che indossava era strappata in più punti e chiazzata di terra e sangue. Le mani erano grandi e ruvide e il volto abbronzato. Il Primo Ministro ricordava che, quando era stato portato nei sotterranei del castello, le guardie avevano compreso subito che doveva certamente trattarsi di un uomo abituato a stare all'aperto, probabilmente un contadino...o un cacciatore.
La Regina puntò i propri occhi verdi in quelli castani del prigioniero; sorrise quando notò che erano arrossati dal pianto.
- Mi congratulo con te, Cacciatore - la Regina si accarezzò i lunghi capelli corvini, così lunghi che le oltrepassavano le reni.- Hai portato a termine egregiamente il tuo compito.
- Strega!- urlò il Cacciatore, di nuovo prossimo alle lacrime; scattò in avanti, tentando di liberarsi dalle catene. Il Primo Ministro distolse lo sguardo.- Voi...voi siete una strega maledetta...!
- Suvvia, non esageriamo. Sai bene che non è così. Non sono stata io a uccidere Cappuccetto Rosso e sua nonna.
Il Cacciatore guardò il pavimento; pochi istanti dopo, cominciò a singhiozzare.
- Io non volevo...- soffiò fra le lacrime.- Non volevo ucciderle...non volevo ucciderle...io le conoscevo...volevo bene a quella bambina...- digrignò i denti, e piantò sulla Regina Cattiva uno sguardo di puro furore.- E' colpa vostra!- ringhiò.- E' colpa vostra se sono morte! E' colpa vostra se sono diventato un mostro!
La Regina cattiva ghignò, soddisfatta. Il Primo Ministro non lasciò trasparire alcuna emozione.
- Asciuga le tue lacrime, Cacciatore. Il tuo compito non è ancora terminato. Si alzò in piedi e scese le scale, fino a inginocchiarsi di fronte al prigioniero. Gli prese il mento con una mano e lo costrinse a guardarla negli occhi.
- Cappuccetto Rosso e la nonna erano solo le prime - sibilò.- Altri moriranno, molte di più saranno le vittime. Il lieto fine sparirà da questo mondo, l'Oscurità prenderà il sopravvento. E i Grimm risorgeranno!
La Regina Cattiva guardò in direzione delle finestre: attraverso le tende accostate s'intravedeva uno spicchio di cielo scuro. Le nuvole che lo oscuravano si diradarono lentamente, scoprendo una luminosa luna piena.
 
Elizabeth stava facendo una fatica d'Inferno a stare dietro ad Anya, che continuava ad avanzare a passo di marcia nella foresta, apparentemente incurante delle radici e delle pietre che accompagnavano il loro cammino sia di lei. Elizabeth quasi non riusciva a muovere un passo senza incespicare in sassi appuntiti o senza che l'orlo dei jeans le si impigliasse in radici che spuntavano dal terreno o in rovi sporgenti. A un certo punto sentì qualcosa pungerle la caviglia, e dovette fermarsi per rimuovere le spine dalla stoffa. Si guardò intorno: le fronde degli alberi torreggiavano sopra le loro teste come se volessero inghiottirle. Elizabeth aveva come l'impressione che l'atmosfera fosse cambiata rispetto a prima. Non solo non erano più a New York – a prescindere da quel che avevano detto papà e Crawford, certamente non erano più a casa, e forse nemmeno vicine –, ma l'erba non era più verde e brillante come prima, non c'erano fiori, ma solo erbacce rinsecchite e piante rampicanti, e gli alberi avevano tronchi così nodosi da sembrare facce demoniache.
Non c'era traccia dell'albero indicato da Crawford.
Si rialzò in fretta. Anya non l'aveva aspettata, e adesso era a diversi metri di distanza da lei.
Si affrettò a raggiungerla. Sua sorella pareva furiosa.
- Anya!- la chiamò.- Anya, aspetta!
- Muoviti!
- Come fai a vedere l'albero che Crawford ha detto di trovare, se vai così veloce?- annaspò Elizabeth, avvertendo una goccia di sudore scenderle dalla tempia lungo la guancia. Non riusciva mai a camminare molto in fretta, e correre era ancora più difficoltoso.
Anya non rispose, ma Elizabeth la sentì comunque borbottare fra i denti.
- Regno delle Favole...Dipartimento...stronzate, solo stronzate...
- Perché dici che sono stronzate?- Elizabeth dovette gridare per il timore che non la sentisse.
- Oh, andiamo Liz, non dirmi che hai creduto a quella sequela di merdate...
- Perché papà dovrebbe mentire, scusa? Se proprio doveva raccontare una bugia, allora poteva inventarne una decente - la sua mente aveva ripreso a funzionare a tutta velocità; in cuor suo era ancora scettica per quel che Richard e il procuratore avevano raccontato, ma cercava di usare la logica: erano arrivate in un posto sconosciuto passando attraverso un muro, quel che era certo era che erano lontane da New York e che lo stesso Crawford aveva dato loro delle spiegazioni.
Non conosceva il procuratore di persona, ma si trattava di un uomo di legge. Se anche Richard avesse voluto raccontare una balla, lui l'avrebbe certo sbugiardato.
- Oppure voleva coprire qualcos'altro - bofonchiò Anya.- Qualcosa di più importante che noi non dovevamo scoprire, e ha pensato di prenderci per due sceme.
- Non ha senso, e te ne accorgi anche tu. Forse papà ha detto la verità...- l'idea di essere finita nel Regno delle Favole per un attimo che fece correre un brivido di eccitazione lungo la schiena e le braccia.- Hai visto quella ragazzina morta? Hai visto la sua mantella?
- Liz, stammi bene a sentire: io non credo nelle favole e non ho intenzione di farmi incantare dalle cazzate di papà - ringhiò Anya.- E ora andiamo, voglio tornare a casa...
- Ma...
- Troviamo quell'accidenti di albero e chiudiamola qui. Una volta a casa potremo ragionare con calma...
- Ti accorgi che ti stai contraddicendo?!- Elizabeth accelerò il passo.- Dici che non credi a papà però credi a Crawford quando dice che...
Non terminò, perché inciampò all'improvviso in qualcosa che sporgeva dal terreno, forse una radice o una pietra; cadde a terra in avanti. Gli occhiali le volarono via dal naso.
Elizabeth udì un rumore che non le piacque per niente, il rumore di un vetro che si rompeva.
Tutto intorno a lei divenne nebbia.
Anya le corse incontro e la prese per un braccio per aiutarla a rialzarsi.
- Ti sei fatta male?- chiese.
Elizabeth mugolò. Non vedeva niente, ma sentiva i palmi delle mani bruciare, probabilmente doveva essersi graffiata, pensò. Quello che le premeva di più, in ogni caso, era recuperare un minimo di vista.
- Gli occhiali...- biascicò.
Anya iniziò a guardare freneticamente intorno alla ricerca degli occhiali della sorella, fino a che non li scorse poco distanti da loro. Li raccolse: la montatura era storta e ammaccata, una lente non c'era più e l'altra presentava una grossa crepa.
- Oh, Dio...- mormorò Anya; se li rigirò fra le dita.- Liz, resta dove sei, non ti muovere, provo a cercare l'altra lente...forse riesco ad aggiustarli almeno parzialmente...
Elizabeth non l'ascoltò, e si rimise in piedi a tentoni. Mise le mani avanti, cercando di orientarsi nella nebbia.
- Non vedo niente...- soffiò.
Anya si avvicinò a lei e le prese per mano.
- Senti, ti guido io fino a che non troviamo quell'albero...
Nel momento in cui sua sorella le strinse le dita intorno alla mano, la vista iniziò inspiegabilmente e lentamente a farsi meno confusa, divenne più chiara e nitida, fino a che Elizabeth non riuscì di nuovo a mettere a fuoco ogni cosa che le stava davanti, come se avesse gli occhiali.
Vide Anya che la fissava con aria stranita, distinse gli alberi della foresta e le proprie dita intrecciate a quelle della sorella. Boccheggiò: era incredibile, sua sorelle aveva in mano gli occhiali rotti, eppure lei vedeva lo stesso! Vedeva ogni cosa...non era stata in grado di vedere senza gli occhiali da quando aveva quattro anni.
- Liz...- chiamò Anya.- Liz, stai bene?
- Anya...
- Cos'hai? Ti sei fatta male?
- Anya, io ci vedo - disse Elizabeth.- Riesco a vedere senza occhiali.
- Che...?
- Ho detto che ci vedo.
- Ma come...
- Non lo so, ma ci vedo!- ripeté Elizabeth.- Te lo giuro, vedo tutto quanto come se avessi gli occhiali.
Anya le lasciò la mano.
- Ma...ma non è possibile...Liz, non sei mai riuscita a vedere senza...
Non riusciva a capacitarsi. Guardò ora gli occhiali ora sua sorella, esterrefatta. Non ricordava di aver mai visto Elizabeth senza occhiali, oppure era successo quando entrambe erano piccolissime. Senza quelli, era impossibile che vedesse!
Si guardarono negli occhi.
- Ammettilo...- mormorò alla fine Elizabeth.- Qui sta succedendo qualcosa...
L'altra aprì la bocca come se volesse replicare, ma non disse nulla.
Le fronde degli alberi parvero diradarsi, e la splendente luce di una luna piena si riverberò su di loro.
A una distanza di diversi chilometri da loro, nel buio della foresta, due occhi si aprirono e scoprirono delle penentranti iridi gialle.
 
La luna piena riluceva nel cielo.
Le finestre della sala del trono lasciavano intravedere il plenilunio come se quell'evento naturale fosse stato la scena madre di una rappresentazione teatrale.
La Regina Cattiva sorrise.
Accanto a lei, il Primo Ministro seguì il suo sguardo, ma nei suoi occhi non c'era alcuna traccia di compiacimento.
 
Anya guardò il cielo.
- Non mi ero accorta che fosse buio.
- Beh, erano quasi le otto quando abbiamo lasciato New York...
- Dai, cerchiamo questo cavolo di albero e torniamocene a casa. Domani mattina devo andare al lavoro presto...
Anya si girò e riprese a camminare nella direzione indicata da Crawford. Elizabeth rimase ferma ancora per un istante, ma poi si unì a lei. Da sempre, il carattere deciso e indipendente di sua sorella aveva il potere di tranquillizzarla e di farla sentire al sicuro, e più di una volta Elizabeth aveva preferito ignorare il proprio istinto per affidarsi ad Anya e al suo senso pratico. Ma in quel momento, Elizabeth si sentiva tutt'altro che tranquilla. Sua sorella rimaneva ancorata al suo scetticismo, ma era evidente che qualcosa non andasse: se anche l'intera faccenda del Regno delle Favole fosse stata una frottola, loro avevano visto cosa era successo al cadavere di quella ragazzina.
Si era sciolto, come se fosse stato gettato in una vasca di acido, e ne era rimasta solo la mantella che la povera vittima indossava.
Una mantella rossa con il cappuccio.
E lei ci vedeva. Erano dieci anni che portava quegli stramaledetti occhiali, e solo quella mattina quando era stata pestata da Ursula e li aveva persi, aveva brancolato nella nebbia per minuti interi per ritrovarli.
Non era normale che avesse ricominciato a vedere perfettamente nel giro di trenta secondi.
Elizabeth cercò di abituarsi a quella nuova sensazione. Alzò lo sguardo verso il cielo: era limpido e senza traccia di nuvola, e intorno alla luna piena si allargavano miliardi di stelle.
Sorrise istintivamente.
Anya continuava a camminare apparentemente sicura di dove si stessero dirigendo, ma presto fu chiaro a entrambe che stavano girando in tondo. La maggiore rallentò un po' il passo, cercando di orientarsi.
- Dove siamo?- chiese Elizabeth; la voce le uscì stranamente acuta.
- Crawford ci aveva detto di andare per di qua.
Anya fece saettare lo sguardo tutt'intorno, ma gli alberi le parvero tutti uguali. Che doveva fare adesso? Liz stava aspettando che le dicesse qualcosa, ma lei non aveva idea di cosa fare. Forse Crawford si era sbagliato, pensò; o forse aveva solo fatto male i calcoli e l'albero con i centri concentrici era più avanti. Probabilmente avrebbero dovuto proseguire, ma si stava facendo sempre più buio, e nel punto del bosco dove si trovavano la luce della luna faticava a raggiungerle.
- Proseguiamo ancora un po' - disse alla fine.- Può darsi che non siamo poi molto lontane...
- Oh, guarda!- Elizabeth la tirò per una manica del cappotto, e le diede talmente fastidio che si dovette trattenere dal darle dell'oca. Anya si voltò: sua sorella indicava un bagliore in lontananza, alla loro sinsitra, molto fioco ma non abbastanza da non riuscire a valicare l'intricata vegetazione che le separava da esso.
- Forse c'è qualcuno, potremmo chiedere indicazioni...
Anya ci pensò un po' su: erano nel mezzo di un bosco, da sole, al buio e senza niente per difendersi. In quelle condizioni un aiuto avrebbe fatto comodo, ma incontrare uno sconosciuto sarebbe stato rischioso.
Elizabeth stava per incamminarsi verso la luce, ma lei la bloccò per un braccio.
- Ma che fai?- le ringhiò praticamente in faccia.- Ti pare che sia così semplice? Tu vedi una luce e che fai? Le vai subito incontro...
Elizabeth sbuffò.
- E che altro proponi di fare? Non voglio continuare a brancolare alla cieca.
- Non stiamo...
- Oh, ammettilo che ci siamo perse!
- Non è un buon motivo per correre rischi inutili.
- Ma non sappiamo se c'è effettivamente un rischio. Potremmo almeno provare.
Un forte fruscio di foglie impedì ad Anya di replicare.
- Shhht...- soffiò invece, mettendosi in ascolto.
Per i successivi secondi non accadde nulla. Il fruscio non si ripeté. Il bosco mandava solo qualche suono, il canto di qualche uccello e il sibilo di una lieve brezza fra le fronde degli alberi.
Elizabeth si rilassò. Provò a riprendere la discussione, ma subito il rumore secco di un ramo spezzato la ridusse al silenzio. Le ragazze si volsero all'unisono in direzione di quell'ultimo suono: la foresta alle loro spalle appariva più buia e intricata di quando l'avevano attraversata. Il frusciò si ripeté, più forte di prima. E più vicino.
A Elizabeth sembrò di vedere un'ombra muoversi a un centinaio di metri da loro.
Un attimo dopo, udirono un ringhio canino.
Elizabeth si sentì salire il sangue alle tempie, e tirò di nuovo sua sorella per una manica del cappotto.
- Andiamo via!- sibilò, cercando di tirarla verso il bagliore.
- Ma che cos'è?- Anya si sentiva le gambe pesanti come il piombo, e aveva cominciato a sudare freddo. Avrebbe voluto indietreggiare ma gli arti si rifiutavano di rispondere ai suoi comandi.
- Non lo so, ma andiamo via...!- Elizabeth riuscì a tirarla indietro di qualche passo.
Il ringhio si ripeté, e subito dopo ne seguì un guaito.
- Sembra un cane...- mormorò Anya.
- O un lupo.
- Non ci sono lupi a New York...
- Non siamo più a New York, non lo hai ancora capito?!
Un altro ringhio, stavolta più vicino. Elizabeth sentì che non ce l'avrebbe fatta a rimanere lì un secondo di più. Aumentò la presa alla manica di sua sorella e le tirò il braccio, costringendola a muoversi.
Anya lanciò un grido di protesta.
- Ma che cosa fai?!
Elizabeth la trascinò giù lungo un pendio non troppo ripido, ma invaso da sassi e sterpi. Gli alberi su di esso erano molto più radi, e ai suoi piedi cominciava una piccola radura.
- Cerco di evitare che quel lupo ti faccia lo scalpo!- non poteva dire con certezza se si trattasse di un lupo, probabilmente aveva ragione Anya e si trattava solo di un cane randagio, ma preferiva non metterci la mano sul fuoco.
- Ma qui non ci sono...
Elizabeth l'ignorò, continuando a scendere il pendio nella direzione del bagliore. A poco a poco, esso si fece più nitido, e le ragazze videro da dove proveniva: una luce brillava oltre i vetri di una finestra, l'unica illuminata di una casette che sorgeva in fondo alla radura.
Anya pensò che quella era la casa più strana che avesse mai visto: assomigliava a un cottage di montagna, con le pareti di legno non verniciato e il tetto di paglia, ma a un esame più attento risultava molto piccola. L'intera struttura sorgeva su due piani, ma era alta sì e no tre metri, e le finestre avevano il diametro di una scatola per scarpe. La porta arrivava all'altezza delle loro spalle.
Elizabeth cominciò a bussarvi contro con furia, senza smettere di guardare in direzione degli alberi.
- Liz...
Sua sorella era in preda al panico; Anya la vide avventarsi sul pomello e tirare fino a spalancare la porta. Un ululato squarciò l'aria.
- Entra!
Anya venne spinta con forza all'interno della casa senza avere il tempo di opporsi, e mancò per un pelo di sbattere la testa contro la traversa. Sua sorella la seguì a ruota.
Entrambe erano state costrette a chinarsi per entrare.
Elizabeth sbarrò in fretta la porta e vi si appoggiò contro.
Chiuse gli occhi. Il cuore le batteva in modo veloce e irregolare, e si sentiva percorsa da scariche di adrenalina che le stavano facendo tremare le gambe. Aveva avuto una crisi isterica e se ne rendeva conto, ma sentiva di dover mettere in salvo se stessa e sua sorella. Sentiva che quello là fuori non era un cane randagio, l'aveva saputo sin dal primo istante.
E non era semplice paura quella da cui si era fatta prendere. Era autentico terrore. Era l'inspiegabile e inquietante sensazione che si ha da bambini quando si è soli, a letto e al buio, quel presentimento irrazionale che ti fa credere che sotto le coperte un mostro stia per afferrarti le caviglie, che un fantasma stia per sbucare dall'armadio o che un uomo mascherato e con in mano un coltello si nasconda dietro la porta, che ti induce a pensare che qualcosa di orribile stia per accadere da un momento all'altro.
Aveva provato la medesima sensazione a quattro anni, quel giorno in cui la mamma aveva spalancato la porta della camera da letto, aveva stretto Anya per un braccio e...
Scosse il capo con vigore, e riaprì gli occhi. Non voleva pensare a quel che era successo quel giorno, il giorno più brutto, e comunque con ogno probabilità sarebbe stato inutile. I suoi ricordi erano troppo vaghi e sfuocati. E poi, avevano ben altri problemi al momento.
Notò con la coda dell’occhio che appeso al muro c’era un catenaccio di ferro. Lo afferrò velocemente e lo agganciò al lucchetto, sentendosi infinitamente più al sicuro. Sembrava essersi completamente dimenticata di essere in una casa sconosciuta.
Osservò l'ambiente: erano entrate in quella che aveva tutta l'aria di essere una cucina, una cucina come quelle che se ne vedevano nei film ambientati nel Medioevo: non c'erano fornelli, lavapiatti o elettrodomestici moderni, solo un circolo di pietre in un angolo all'interno del quale c'erano delle braci sulle quali era posto un pentolone nero.
Elizabeth storse il naso quando venne colpita dalla zaffata di cattivo odore proveniente da esso: qualsiasi cosa stesse bollendo in pentola, doveva essere bruciata da tempo.
Al centro della stanza c'era una lunga tavolata, apparecchiata di tutto punto, e una serie di sgabelli e seggiole della dimensione dei sedili di plastica per bambini che si vedevano nelle aree giochi dei centri commerciali: le loro dimensioni erano notevolmente ridotte rispetto allo standard, come se fossero state fabbricate davvero per dei bambini.
Il resto della stanza era tutto sommato spoglio, gli unici altri oggetti di arredamento erano una credenza e un acquaio posti al lato opposto delle braci.
- Si può sapere che cosa ti è preso?- ringhiò Anya; Elizabeth si chiese se si fosse resa conto di dove si trovavano.- Sembravi un'isterica! Ma che accidenti avevi? Quello poteva benissimo essere un cane randagio, e comunque non possiamo stare qui! Non sappiamo di chi è questa casa, siamo entrate senza permesso, se ci beccano una denuncia per violazione di domicilio non ce la leva nessuno...
- Hai visto quelle sedie?
- Eh?
- Le hai contate?
Anya fece un lungo sospiro. Guardò le sedie.
- E allora?
C'erano sette sedie di piccole dimensioni, più uno sgabello posto a capotavola. Elizabeth pensò di essersi lasciata sfuggire un'espressione strana, perché fu come se Anya le avesse letto sulla faccia ciò che le stava passando per la mente.
- Se solo provi a dirlo, parola mia che...
Si udì un tonfo sordo, subito seguito da un altro. Le due ragazze alzarono lo sguardo al cielo: proveniva dal piano di sopra.
- Che cos'è?- articolò Anya.
- Vado a vedere.
Elizabeth la superò, ma venne prontamente bloccata per un gomito.
- Ma cosa vai a vedere?! Liz, non dovremmo neanche essere qui, non sappiamo chi...
Elizabeth sbuffò e si liberò malamente dalla presa della sorella; si diresse su per le scale a passo spedito. La paura non era ancora svanita, ma si sentiva leggermente più tranquilla e quasi di buon umore. Se davvero si trovavano nel mondo delle favole, pensò – per quanto tutto ciò le suonasse ancora folle –, allora quella casa doveva essere abitata da chi supponeva.
E se era abitata da chi supponeva, cosa c'era da temere?
Sogghignò fra sé quando udì il rumore degli stivaletti di Anya che seguivano quello delle sue scarpe da tennis su per i gradini.
- Sto cominciando a preoccuparmi per la tua sanità mentale, sai?
Elizabeth la ignorò e proseguì fino alla cima della scala, ritrovandosi di fronte a una porta senza battente, anch'essa così bassa che fu costretta a chinarsi per entrare. Fortunatamente il soffitto nella stanza era abbastanza alto da non costringerla a camminare come una gobba.
La stanza aveva tutta l'aria di essere una camerata, un dormitorio, ed era lunga e stretta; la parete alla sinistra di Elizabeth era interamente occupata da sette letti apparentemente costruiti per dei bambini, tutti con le coperte lisce e in ordine, disposti uno accanto all'altro.
Un paio di finestre a forma di oblò sulla parete a destra completavano il quadro. Non c'era altro mobilio.
Anya arrancò all'interno della stanza proprio nel momento in cui lo stesso tonfo di poco prima si ripeté, proveniente dal fondo della camerata. Seguirono un gemito e dei singhiozzi soffocati.
- C'è qualcuno qui...- sillabò Elizabeth.
Anya sembrò riscuotersi. Sorpassò sua sorella seguendo il suono dei singhiozzi, che adesso si erano fatti continuati, più chiari e insistenti. Le due ragazze avanzarono lungo lo stanzone, ispezionando dietro ai letti alla ricerca della fonte di quel suono.
Quando giunsero alla parete opposta alla porta, Anya si sporse a guardare oltre l'ultimo letto, e per poco non cacciò un urlo.
In un angolo, raggomitolato su se stesso, c'era un fagotto di stracci da cui spuntavano due piedi nudi dalle dita bluastre per il freddo. Il fagotto gemette e si mosse, scoprendo un visino infantile seminascosto da una folta chioma di capelli neri e unticci, sui quali era stato sistemato un fiocco rosso un po' sbilenco.
Elizabeth si aggrappò a una spalla di Anya e si sollevò sulle punte per vedere oltre di essa: quella che stava loro di fronte era una ragazza che doveva avere all'incirca sedici o diciassette anni. Per certi versi, somigliava molto ad Anya, ma oltre a essere chiaramente più giovane era anche molto, molto più bella. La chioma corvina incorniciava un visetto ovale e dai tratti di bambina, pallido come la neve ma con le guance spruzzate di un gradevole colorito roseo; gli occhi erano grandi e con le iridi nere e le labbra rosse come il sangue. Portava un abito liso e stracciato, e le mani erano imprigionate dietro la schiena da una corda e le caviglie erano legate.
- Biancaneve...?- mormorò Elizabeth, d'istinto.
- Santo Dio, Liz!- Anya le diede uno spintone perché si facesse indietro e s'inginocchiò accanto alla ragazza prendendo ad armeggiare con le corde.- Aspetta, ora ti aiuto...- la guardò.- Che ti è successo? Chi ti ha fatto questo?
Per tutta risposta, la ragazza iniziò a singhiozzare più forte.
Anya sciolse i nodi che le tenevano legate le mani e si dedicò alle caviglie.
- Su, su...!- borbottò.- Chi è stato?- ripeté.
- Come ti chiami?- chiese Elizabeth.
La ragazza si asciugò le lacrime con il dorso della mano.
- Io...- pigolò; aveva una voce acuta, ma molto debole.- Io mi chiamo Biancaneve...
Anya smise di botto di sciogliere i nodi per guardarla.
Biancaneve proseguì da sé il lavoro. Le corde dovevano già essere state allentate parecchio, perché si liberò le caviglie senza difficoltà, quindi si alzò dal pavimento.
- Grazie...- rivolse loro un sorriso smagliante che quasi raggiungeva i lobi delle orecchie.
- Chi ti ha fatto questo?- chiese Elizabeth.
- Loro...i nanetti...- cinguettò Biancaneve, con la voce incrinata.- Erano così strani, negli ultimi tempi...e poi, una settimana fa...- scoppiò di nuovo in lacrime.
Elizabeth le sorrise cercando di sembrare rassicurante, e le poggiò una mano sulla spalla. Biancaneve smise di colpo di piangere, e ruotò il capo fino a puntare lo sguardo su quelle cinque dita.
Anya stava guardando entrambe con la bocca semiaperta e l'espressione esterrefatta.
Biancaneve avanzò di qualche passo fino a raggiungere Elizabeth, e insieme si diressero verso l'uscita della camera.
- Cos'è successo? Dicci tutto...- la incoraggiò mentre scendevano le scale.
Anya le arrivò alle spalle e la tirò indietro per il cappuccio della felpa.
- Senti, falla finita con questa storia...!- sibilò.
- Ma falla finita tu!- la rimbrottò Elizabeth.- Anya, questa è Biancaneve!- aggiunse sottovoce, senza curarsi di celare l'eccitazione.
Anya l'avrebbe presa a schiaffi.
Se questa è Biancaneve, io allora posso anche essere Cenerentola, si disse, nella speranza di nascondere a se stessa il fatto che stesse vacillando. In cuor suo, sentiva che tutto quello che era successo non poteva avere una spiegazione razionale, ma il suo cervello insisteva che a tutto c'era una causa e questa causa non era mai da imputare a magie o roba da film fantasy.
Lei questo l'aveva capito da un pezzo, ma avrebbe voluto che lo capisse anche Elizabeth, la quale invece pareva convinta che quella povera ragazza fosse Biancaneve. Non che la povera ragazza in questione si stesse dannando per dimostrare il contrario...!
Anya pensò che dovesse avere qualcosa che non andava. Una specie di disturbo post traumatico che la faceva delirare. Quella sarebbe stata una spiegazione logica al perché continuava a professarsi come la protagonista della fiaba omonima.
- Beh, non lo so con esattezza...- miagolò Biancaneve – no, non Biancaneve!, quella sconosciuta che avevano liberato.- Sono sempre stati così gentili con me...sapete, io sono fuggita dalla Regina Cattiva, e poi ho trovato questa casetta...
- Okay - Anya incrociò le braccia al petto.- Va bene, papà, ci siamo cascate!- gridò rivolta al soffitto.- Bravi tutti, bello scherzo, ora però facciamola finita...
Elizabeth provò a protestare, ma lei non la lasciò finire.
- Ma dai, non ti accorgi che questa è una storiella scritta al copione e imparata a memoria?!
Biancaneve era arrivata al piano inferiore e si era fermata a guardarle, impassibile.
Elizabeth si sarebbe aspettata che rispondesse ad Anya, oppure se sua sorella aveva ragione che suo padre e gli altri artefici di quel presunto scherzo venissero allo scoperto, ma non accadde nessuna delle due cose.
Biancaneve fissò un punto indefinito di fronte a sé, quindi fece un breve scatto di lato con il collo. Lo ripeté altre due volte. Era come una specie di tic nervoso.
Anya ammutolì di colpo e insieme a Elizabeth scesero lentamente i gradini fino a raggiungere Biancaneve.
Questa ridacchiò.
- Con queste seggioline...e quei lettini...- fece un altro scatto con il collo.
- Non credo che sia uno scherzo, Anya...- boccheggiò Elizabeth.
- Okay...- Anya mosse un paio di passi in avanti.- Ascolta, Biancaneve...- esordì con cautela.- C'è un telefono da queste parti?
- Un...che cosa?- di nuovo quel tic. A Elizabeth sembrò che ci fosse una strana luce negli occhi neri di Biancaneve, qualcosa che prima non c'era, o non aveva notato.
- Lasciamo perdere...- Anya si scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Aveva abbandonato l'ipotesi dello scherzo di cattivo gusto, ma non quella che quella ragazza avesse dei problemi mentali, avvalorata anche da quel tic nervoso. Si pentì amaramente di non essere stata più attenta durante le lezioni di psicologia al liceo, quando il prof spiegava come comportarsi quando si aveva a che fare con un malato mentale in una situazione potenzialmente rischiosa.- C'è un posto dove ti possiamo accompagnare? Un ospedale, qui vicino...? Hai dei parenti?- fosse dipeso da lei, avrebbe sollevato di peso sua sorella e, sperando di non crollare, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andata subito. Ma quella ragazza aveva degli evidenti disturbi, e il fatto che l'avessero trovata legata non era altro che un incentivo a fare il proprio dovere di essere umano e aiutarla.
Biancaneve non le badò; con quel tic nervoso che adesso presentava a intervalli regolari, iniziò a esplorare l'ambiente circostante con lo sguardo, come se fosse la prima volta che vedeva quella casa. Esitò un attimo, poi si diresse verso il pentolone con una lentezza esagerata, innaturale.
Anya fece cenno a Elizabeth di venirle più vicino, e sua sorella si affrettò a ubbidirle. Pur senza guardarla, si rese conto che aveva paura.
Era notte, fuori, e la luna piena faceva sì che le ombre degli alberi si allungassero fino a penetrare oltre i vetri ed entrare nella casupola; queste, unite al bagliore delle braci sotto al pentolone, davano alla cucina un'aria cupa e sinistra.
- Sapete, io cucinavo sempre per loro...- mormorò Biancaneve, esaminando i piatti e le posate sulla tavola.- Io cucinavo, lavavo, pulivo...e loro erano così contenti, mi volevano bene!...e io volevo bene a loro...- fece un sorriso, ma un sorriso strano, quasi un ghigno.- E' così bello avere qualcuno che ti vuole bene...è come...come quando ti lavi le mani e le vedi pulite...poi sei così felice!- Biancaneve rise mentre abbassava lo sguardo sul tavolo.
Le pupille di Elizabeth si dilatarono alla vista di un oggetto a cui non aveva fatto caso quando erano entrate: una grossa mannaia la cui lama scintillava alla flebile luce delle braci.
Di nuovo, si sentì invadere da quel senso di terrore irrazionale, ma stavolta sapeva che non era ingiustificato.
Biancaneve si fece seria, quindi afferrò la mannaia e la sollevò di fronte agli occhi.
Elizabeth sentì le unghie di sua sorella conficcarsi nel braccio, e un secondo dopo Anya cominciò a spingerla lentamente verso la porta.
- Non metterti a correre...- sibilò.- Non metterti a correre fino a che non hai aperto la porta. Fai finta di niente e vai...
Elizabeth si sentì improvvisamente debole e indifesa quando Anya le lasciò il braccio. Mosse dei passi lentissimi verso la porta, e in quel momento si pentì di aver chiuso con il catenaccio.
Anya rimase da sola di fronte a Biancaneve.
- Io sono felice...sono felice quando tutto è pulito...- soffiò quest'ultima.- Non si può stare sporchi...mi rende tanto triste vedere lo sporco...- il collo ebbe un altro scatto, e Biancaneve puntò i suoi occhi neri in quelli verdi di Anya.
La ragazza indietreggiò.
Elizabeth dimenticò tutte le raccomandazioni e corse velocemente alla porta, prendendo ad armeggiare con il catenaccio.
- Fammi vedere le mani...- sorrise Biancaneve, rivolta ad Anya.
La ragazza ricambiò con uno sguardo incredulo.
- Fammi. Vedere. Le mani!- strillò Biancaneve con voce stridula.- Sono sporche, vero? Sono sporche, è per questo che non me le vuoi far vedere!
Anya indietreggiò ancora.
- Senti, stai calma...- provò a dire, con l'unico risultato di rendere l'espressione di Biancaneve più feroce.
- Sono sporche! Hai le mani sporche!- urlò, mentre il tic al collo continuava, ossessivo.- Ti avevo detto di lavarle! Se non ti lavi le mani, allora niente cena!
- Ma che...
- Mi dispiace tanto, cara - squittì alla fine.- Ma temo che sarò costretta a metterti in castigo...
Il catenaccio alla porta cadde in quel preciso istante; Biancaneve ringhiò, e scaraventò la mannaia in direzione di Anya.
La ragazza si scansò un attimo prima che la mannaia la colpisse; perse l'equilibrio e finì inginocchiata sul pavimento. Avvertì un forte bruciore alla spalla, e quando guardò vide che era sporca di sangue.
Elizabeth gridò, piantando il dorso contro la porta. Anya cercò di rimettersi in piedi, ma in quel lasso di tempo Biancaneve aveva già afferrato un altro coltello dal tavolo, e in una frazione di secondo le fu addosso. Tentò di affondare il colpo con la lama, ma Anya le bloccò il polso.
Riuscì a mantenere l'equilibrio per miracolo. Afferrò i capelli di Biancaneve e cercò di spingerla via, ma fu la stessa Biancaneve a mandarla a cozzare contro il tavolo con un poderoso spintone, e le fu addosso di nuovo. Il peso di entrambe fu in grado di far ribaltare l'intera tavolata, e le due si ritrovarono di nuovo a terra in mezzo allo sfacelo di piatti e bicchieri frantumati.
Anya strinse gli avambracci di Biancaneve per evitare che le piantasse il coltello nella gola. Con un immane sforzo diede un colpo di reni che ribaltò le posizioni, inchiodando l'avversaria schiena a terra.
- Liz, apri la porta!- gridò, cercando di toglierle il coltello di mano.- Apri la porta, esci da qui!
Elizabeth si girò e inziò a girare furiosamente la chiave nella serratura.
Biancaneve cercò di ribaltare ancora le posizioni, ma Anya le sferrò una ginocchiata nello sterno abbastanza forte da lasciarla senza fiato e indolenzita. Nel frattempo, Elizabeth aveva aperto la porta.
Anya corse verso di lei e la prese per mano.
- Dai, corri!- gracchiò Elizabeth istericamente. Anya non se lo fece ripetere due volte e scappò con lei fuori dalla casa, ma la ferita alla spalla bruciava e i postumi della lotta iniziavano a farsi sentire. Elizabeth strinse la mano di sua sorella come se quello fosse stato l'unico appiglio rimastole per non morire, e si costrinse a dimenticare gli ululati mentre si avventuravano di nuovo fra gli alberi.
Udirono alle loro spalle la risata sguaiata e folle di Biancaneve, che aveva preso a inseguirle.
 
- Dove siete?- guaì.- Venite qui, è l'ora del bagno...!
Anya sentiva le gambe e il torace dolerle, e rallentò il passo. Elizabeth la tirò per il cappotto.
- Corri!- la incitò, ma sua sorella sembrava veramente distrutta.- Su, forza...!
I passi alle loro spalle si stavano avvicinando. Erano nascoste fra gli alberi, in modo che Biancaneve non le potesse vedere, ma se non avessero trovato un riparo le avrebbe scovate presto.
Anya si fermò, sfinita, e si piegò in avanti per riprendere fiato.
- Dove andiamo?- boccheggiò.
Elizabeth si guardò intorno, nel panico più completo. Non aveva idea di dove andare, gli alberi le sembravano tutti uguali e i passi e la risatina di Biancaneve non facevano che avvicinarsi...
Anya si costrinse a raddrizzarsi. Vide con la coda dell'occhio qualcosa che avrebbe fatto al caso loro. Non sapeva se fosse una buona idea o no, ma non ce la faceva più a correre e di tempo per pensare non ne aveva.
Tirò sua sorella verso un cespuglio di rovi abbastanza alto e fitto da sperare di non essere scoperte, e la spinse a terra dietro di esso.
Elizabeth si trovò con il petto e la faccia schiacciati a terra contro l'erba della foresta, e sentì il peso di Anya contro la propria schiena e la testa della ragazza nell'incavo fra il suo collo e la spalla, il respiro contro il suo orecchio.
- Che stiamo facendo?- sussurrò impercettibilmente.
- Shhhht!- la zittì Anya.- Stai zitta...!
- E se ci trova?
- Prega che non lo faccia.
I passi ora erano vicinissimi a loro, Elizabeth sentiva il rumore ovattato dei piedi nudi sull'erba. Si premette una mano contro la bocca: le sembrava che il suo respiro affannato facesse un baccano tale a quello di venti tamburi in una stanza chiusa. Dalla corsa, l'andatura dei passi si fece più lenta.
- Dove siete?- stridette la voce di Biancaneve.
Elizabeth fece appena in tempo a intravederne i piedi scalzi oltre le spine dei rovi, prima di serrare gli occhi e trattenere il fiato.
- Andiamo, non vi mangio mica...!
Trascorsero interminabili secondi, forse un minuto intero; poi, Biancaneve iniziò a mugolare, e poco dopo le ragazze la udirono allontanarsi canticchiando una melodia incomprensibile fra le labbra. Solo diverso tempo dopo da che la sua voce e i suoi passi non furono più udibili, Anya ed Elizabeth trovarono il coraggio di riprendere a respirare in modo regolare.
La minore delle sorelle Hadleigh si azzardò a muoversi solo quando sentì la maggiore liberarla del suo peso e dirle di rialzarsi.
- Pazza squilibrata...!- soffiò. Lo chignon le si era completamente sfatto, e ora diverse ciocche di capelli neri le ricadevano sugli occhi. Anya si tolse il nastro con stizza e si ravvivò i capelli con una mano, cercando di calmarsi e di riprendere padronanza di sé.
Elizabeth vide che le tremavano le mani, e anche lei si sentiva come se stesse per morire da un momento all'altro.
Rimasero sedute diverso tempo l'una accanto all'altra senza parlare, solo cercando di recuperare il sangue freddo.
- Spero che ora tu ti sia convinta che non è uno scherzo, questo...- mormorò a un certo punto Elizabeth. Anya si asciugò il sudore dalla fronte, annuendo a occhi chiusi.
- Ma dove cazzo siamo finite?- chiese.
Elizabeth non seppe dire se stesse parlando a se stessa o con lei, così se ne stette zitta. D'altra parte, non era nemmeno sicura della risposta. Ripensò a quello che aveva detto Richard, ma se quello era davvero il Regno delle Favole, beh, allora c'era qualcosa che non andava.
Si concentrò nel regolarizzare il proprio battito cardiaco e il proprio respiro, ma la borsa che teneva a tracolla le pesava come un macigno. Avrebbe già dovuto gettarla via durante la fuga per non avere pesi inutili, ma non ci aveva pensato a causa del panico.
Se ne liberò con uno sbuffo e la gettò di lato.
Il libro di favole ne fuoriuscì, abbandonato sull'erba.
Elizabeth vide che dalle sue pagine stava colando uno strano liquido nero.
  
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