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Autore: Il_Signore_Oscuro    01/11/2016    2 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter nine – Dear brother, listen my silence.

Il resto del viaggio non ci riservò altre brutte sorprese. Seppelliti i corpi, e ringraziati i Northwode per la loro ospitalità, ci avviammo verso Cheydinhal.
Alle porte della città ci congedammo da Tertia, riconsegnando i cavalli e ricevendo il pagamento pattuito. Io e Vitellus ci accordammo di rivederci nella sede della Gilda dei Guerrieri, non appena avessi ottenuto la mia raccomandazione.

La città di Cheydinhal, con il rovo in campo bruno come blasone, era divisa in due parti da un piccolo lago che la attraversava nella sua interezza. In passato quel braccio d’acqua doveva essere parte del vicino fiume Niben, ma adesso ne era ormai distaccato. Il fatto che non si fosse ancora prosciugato negli anni, era forse dovuto alle acque sotterranee che innervavano tutto il bacino del Nibenay.
La due sezioni di Cheydinhal erano collegate fra loro da due ponti, costruiti con il legname delle Heartlands e solida pietra grigia.
Nella parte est, l’edificio più importante era senza dubbio la Grande Cappella di Arkay, circondata dalle case del ceto medio-basso della città.
La parte ovest era invece la più ricca e rigogliosa: qui c’erano le sedi delle due gilde e le abitazioni delle famiglie più importanti della città, oltre, ovviamente, al castello del Conte.
L’architettura delle abitazioni era insolita: mura massicce, edifici spaziosi e in stretto contatto fra loro. Ciò era dovuto, probabilmente, all’influenza della vicina Morrwind; del resto, lo stesso conte Andel Indarys e il suo unico erede, Farwil Indarys, erano dunmer originari di quella provincia.

Passando per il quartiere della Cappella, il mio sguardo fu attirato da una catapecchia ormai in completo disfacimento, con le assi inchiodate alla porta e un pozzo prosciugato nel cortile. Mentre fissavo quell’ammasso di legno marcio e vetri rotti, sentii un brivido corrermi dietro la schiena e come una voce nella testa, che sussurrava parole incomprensibili. Distolsi lo sguardo e proseguii.
Attraversando il ponte venni spintonato da un capitano della guardia: un bretone dai capelli unti. Avevo rischiato di capitombolare in acqua, ma fui costretto a mordermi la lingua: insultare una guardia non sarebbe stata una buona idea. Almeno per il momento quella città mi stava facendo una pessima impressione e me ne sarei andato di lì il prima possibile.
Dopo circa una mezz’oretta riuscii ad orientarmi nell’intrico di vicoli e viuzze di cui era composto Cheydinhal, finalmente vidi un palazzo con i famigliari stendardi blu-oro e l’occhio stilizzato: avevo finalmente trovato la sede della Gilda dei Maghi.
Entrai: l’ingresso era piuttosto spoglio. A parte una teca con dentro storte e pestelli, non c’era granché. Su ciascun lato della sala c’erano due scale: una per salire e l’altra per scendere; l’ambiente era freddo e mal illuminato e nell’aria sentivo una strana tensione, quel posto mi piaceva ancora meno del resto della città.
Fui accolto da un’argoniana di mezz’età: le sue squame presentavano le più disparate sfumature del verde e sugli zigomi risaltavano due piccole chiazze violette. Nei suoi occhi da rettile, di un intenso colore arancio-ambrato, c’era un’espressione quasi materna.
-Buongiorno, associato. Il mio nome è Deetsan, cosa ti porta qui?
-Salve, sono venuto per una raccomandazione da questa sede.
Vidi la sua bocca incrinarsi in una smorfia di preoccupazione.
-Come temevo. – Si guardò intorno, con circospezione. – Fintanto che Falcar non è qui lascia che ti dica una cosa. Seguimi, associato.
Eravamo alle solite: l’argoniana mi accompagnò per due rampe di scale, fino alla sala da pranzo. Mentre salivamo vidi di sfuggita un redguard brizzolato, infilato in delle vesti da mago che non gli calzavano per niente: quella vista suscitò la mia ilarità e lui probabilmente se ne accorse, vista l’occhiataccia risentita che mi lanciò.

-Accomodati. – Mi invitò la maga, sedendosi al tavolo.
-Grazie, di cosa voleva parlarmi?
-Bisogna che tu sappia, associato: ottenere una raccomandazione da Falcar non è solo difficile, ma anche molto pericoloso. – Deglutì. – Non esiterà a mettere in pericolo la tua vita, assegnandoti compiti assurdi. – “Come se fosse una novità”, pensai. – Sai, non ha mai avuto un bel carattere, ma da quando Hannibal Traven è salito al rango di arcimago, bandendo la negromanzia, è peggiorato parecchio.
-Come mai? – Chiesi.
-Falcar ha studiato la magia nera per anni. Vedere il lavoro di una vita mandato in fumo l’ha reso irascibile e intransigente. Come se non bastasse, ha ottenuto la direzione di questa sede da poco e credo non abbia ancora ben capito come ci si debba comportare quando si hanno certe responsabilità.
-Quindi era un negromante?
-Sì, ma dopo la riforma di Traven promise di abbandonare i suoi studi e dedicarsi ad altro, così poté mantenere il suo posto all’interno della Gilda.
In un certo qual modo potevo capire come si era sentito Falcar, anch’io mio malgrado avevo subito le ripercussioni delle riforme di Traven, qualche anno prima.
-Capisco, ti ringrazio per avermi avvisato Deetsan. Lo apprezzo molto.
-Fai attenzione, associato. Non sopporterei di perdere un altro promettente candidato per la negligenza di quell’elfo.
-Non si preoccupi, - la rassicurai – me la sono già cavata in brutte situazioni.
-Va bene. - Disse, non troppo convinta. – Falcar dovrebbe arrivare a breve. Mangia sempre qualcosa prima di rintanarsi nel suo studio. Aspettalo pure qui, io ho alcune commissioni da sbrigare. Buona fortuna, associato.
-Grazie, Deetsan. – Risposi, sorridendole.

Falcar si fece attendere per un’altra mezz’oretta prima di farsi vivo, la prima cosa che mi colpì, in quell’altmer, furono gli occhi: piccole pietre di ossidiana che guardavano al mondo colme di disprezzo.
Sul suo viso, sulla sua pelle bronzea, c’erano i segni dei lunghi anni di insoddisfazione e risentimento che dovevano aver segnato la sua vita.
I suoi abiti erano eleganti, sfarzosi, con i risvolti impellicciati. Di certo non pativa la fame, questo era evidente.
Quando mi avvicinai per parlargli, la sua voce mi fulminò con un tono freddo e velenoso, non doveva gradire particolarmente la mia presenza.
-Perché mai mi disturbi, associato? – Disse, mangiando spicchi di mela tagliati con il coltello, senza neanche degnarmi di uno sguardo.
Mi schiarii la voce, cercando di sembrare il più serio e motivato possibile.
-Signore, sono qui per la raccomandazione.
-Dovrebbe interessarmi? Sparisci dalla mia vista, adesso. – Non sembrava affatto impressionato, tutt’altro, era annoiato.
Era un osso duro, ma non lo avrei mollato fino a quando non mi avesse dato ascolto, con tutta la faccia tosta che avevo presi una sedia e mi piazzai di fronte a lui.
-Sei forse sordo o solo idiota? Ti ho detto di sparire.
-No, non lo farò, signore.
-Ma che? – Finalmente mi guardava negli occhi, avevo catturato la sua attenzione. – Oseresti disubbidire agli ordini di un tuo superiore? – Nel suo sguardo c’era un lampo d’ira.
-Solo se li ritengo ingiustificati, come in questo caso.
-Sei testardo, eh. Va bene. Ti avverto: non farmi perdere tempo se non sei pronto a fare quanto richiesto.
-Sono pronto. – Confermai, laconico.
-Molto sicuro di te a quanto vedo. Bene, bene, seguimi nelle mie stanze, associato.
Le camere private di Falcar era situate sotto il pian terreno, nessun’altro condivideva quegli alloggi con lui, doveva essere uno degli aspetti positivi del dirigere una sede della Gilda.
L’altmer si mise comodo su una poltrona, lasciandomi bellamente in piedi, mentre parlava con la sua voce gracchiante e altezzosa.
-C’è una questione alquanto complicata a cui porre rimedio, associato. A nord-est di Cheydinhal c’è un antico forte chiamato Farragut, recentemente è stato occupato da un gruppo di negromanti piuttosto bellicosi. Come intuirai, se non sei del tutto imbecille, rappresentano un pericolo per la popolazione locale e il nostro “amato” Arcimago Traven ha disposto che ci si liberi di questo problema al più presto. Inoltre questi negromanti sono in possesso di alcuni particolarissime gemme dell’anima, spero tu sappia almeno cosa siano.
-Certo che lo so, servono per catturare l’anima di creature e animali.
-Molto bene, il ragazzino ha fatto i compiti a casa. – Mi canzonò. Per Akatosh, gli avrei stampato un pugno su quel naso adunco. – Queste gemme però possono essere utilizzate per catturare l’anima di esseri umani, mer, eccetera.
“Inquietante” pensai, eppure non potevo negare che la cosa avesse un certo fascino.
-Simili artefatti sono una minaccia per la nostra “gloriosa” Gilda, – perché mi sembrava così terribilmente sarcastico? – Il tuo compito è quello di recuperarle e portarmele qui, così che io possa studiarle e smaltirle in modo sicuro.
-Capisco, allora mi metto già in cammino.
Per un momento rimase ammutolito dallo sprezzo con cui andavo di fronte al pericolo (ma del resto dopo aver affrontato un dremora … almeno i negromanti erano esseri umani), poi ritornò in sé e aggiunse.
-Un’ultima cosa, associato.
-Mi dica. – Risposi, voltandomi indietro.
-Non dovrai farne parola con nessuno, mai e poi mai. Sono stato chiaro? – Sulla faccia aveva un ghigno da brividi.
-Cristallino. – Dissi, sorridendogli a mia volta.



Le sale interne di Forte Farragut erano illuminate dal lume delle torce, il fuoco che le animava doveva essere di natura magica, visto che non accennava mai a spegnersi. Nell’aria c’era un intenso odore di umido e di muffa, mitigato appena dalla penetrante essenza dolciastra della belladonna, lasciata seccare qua e là, negli interstizi fra i muri.
Sul pavimento di pietra gli stivali di Seed-Neeus non facevano rumore, cercavo di muovermi con la massima cautela: l’ultima cosa che volevo era uno scontro diretto contro un manipolo di negromanti. Così, nascondendomi nell’ombra, aguzzando la vista e camminando in punta di piedi, arrivai al portone che precedeva la sala più interna di Farragut. Stavo per salire gli scalini sbeccati, quando un rumore di passi mi allarmò e tornai a nascondermi, origliando un’animata conversazione fra due negromanti. Uno di loro era piuttosto alto, con la voce grave, mentre l’altro aveva un marcato accento di Valenwood, la terra dei Bosmer, a sud di Cyrodill.
-E poi boom, del Maestro Eremita non è rimasto neppure un capello. – Disse, con aria eccitata. – Avessi visto che scena, chi se lo immaginava che Cardys la Grigia fosse tanto potente?
-E poi? Che è successo? – Incalzò il primo negromante, quello con la voce grave.
-Dopo, niente, abbiamo preso le gemme dell’anima e ce ne siamo tornati qui. Adesso Cardys è nelle sue stanze a studiarle, ha detto che ci vorrà un po’ ma appena capirà come funziona, lo insegnerà anche a noi.
-Ma ci pensi? – Anche il primo negromante si infervorò. – Diventeremo dei Lich! Cyrodill sarà nostra!
-Cyrodill? – Ridacchiò quello. – Tutto l’Impero! È il sogno del nostro ordine sin dalla sua fondazione. Vedrai, schiacceremo quel che rimane dei servi del Re dei Vermi e poi toccherà a quegli spocchiosi della Gilda dei Maghi.
Sentii un brivido, nei libri che avevo letto i Lich era il nome usato per indicare due tipi differenti di creature: c’erano i Lich Inferiori, ossia maghi particolarmente potenti, le cui ossa, dopo la morte, erano animate dal magicka residuo e attaccavano chiunque capitasse loro a tiro. E c’erano poi i lich superiori, anche noti come “Veri Lich”, stregoni che avevano imbrigliato la propria anima in un oggetto chiamato “filatterio”, finché il filatterio non veniva distrutto, il Vero Lich era immortale e poteva aumentare il suo potere a dismisura, nutrendosi delle anime degli esseri viventi. Se davvero quei negromanti erano a pochi passi dal divenire Veri Lich, era fondamentale che recuperassi al più presto le gemme dell’anima. Da quanto avevo capito, poi, esistevano diverse fazioni di negromanti in lotta fra loro.
-Perché, poi, avevano creato le gemme nere? – Chiese quello alto.
-Uhm, credo per conservarle in attesa del ritorno del loro messia: il Re dei Vermi.
-Il Re dei Vermi?! Ma se è morto da secoli! – Protestò.
-Lo so, lo so, quei poppanti sono convinti che prima o poi ritornerà. – Sbuffò. – Stronzate, così la penso io, ma almeno ci hanno fatto il favore di creare gemme dell’anima nere: era da parecchio che non se ne vedevano in giro.
-Già, una vera fortuna. Ci hanno risparmiato un sacco di lavoro.
I passi e le loro voci si fecero sempre più lontani, quando non li sentii più uscii allo scoperto. Era una faccenda pericolosa, di questo fantomatico “Re dei Vermi” non avevo mai sentito parlare, ma forse all’Università Arcana qualcuno poteva saperne più di me, magari ci avrei fatto una capatina più in là. Tuttavia, almeno per adesso, dovevo dare la priorità alla missione.
Salii la scalinata due gradini alla volta e aprii la porta quel tanto che bastava per passarci attraverso, prima di richiuderla dietro di me. Davanti avevo un lungo corridoio piuttosto angusto, con torce accese su entrambe le pareti.
In lontananza c’era un cancello sorvegliato da due scheletri, armati con pesanti spadoni. Nella camera a cui facevano la guardia c’era una donna di razza dunmer: sembrava assorta in una profonda meditazione. Il suo corpo levitava letteralmente ad alcuni centimetri da terra, con le gambe incrociate e i palmi sulle ginocchia. Emanava un flusso di energia violetta, convogliata in una pietra oblunga, nera come la pece, collegata dallo stesso fascio di luce a una piccola clessidra, la cui sabbia invece di scendere risaliva, granello dopo granello.
La donna era avvolta da una lunga veste nera, come gli altri negromanti, e sul petto era ricamato quello che probabilmente era il simbolo del loro ordine: due mani scheletriche che stringevano una piccola clessidra stilizzata.
Non potevo perdere tempo. Sconfiggere le due guardie d’ossa non sarebbe stato semplice, con la poca libertà di movimento data dallo spazio angusto. Se volevo fare in fretta avevo bisogno di un piccolo aiutino.
Mi concentrai, tesi un palmo e lasciai che la magia facesse il suo corso: dalle profondità dell’Oblivion invocai uno scheletro. Quando la nube di cenere e scintille che lo avvolgeva si dissipò, notai, con estrema delusione, che la creatura che avevo appena evocato era totalmente disarmata.
“Solo io potevo beccarmi l’unico scheletro tanto sfigato da non avere neanche un bastone, dannazione!”, quel mucchietto d’ossa, tralaltro, non accennava a muoversi. Se ne rimaneva lì imbambolato, mentre le guardie ci venivano addosso.
-Avanti! Attacca, razza di idiota. – Gli urlai.
L’unico aspetto positivo era che eseguiva gli ordini, non che servisse poi a molto alla fine: il suo primo e ultimo assalto finì con uno spadone d’argento che lo mandò in pezzi. Lo vidi svanire in una nebbiolina leggera, mentre faceva ritorno nell’Oblivion.
Era necessario che approfondissi la disciplina dell’evocazione, pensai, ma per adesso me la dovevo cavare da solo (come al solito).
Sguainai Durendal, assumendo la consueta posizione di guardia e indietreggiai nel corridoio. Avevo avuto un’intuizione e si rivelò corretta: quelle creature agivano meccanicamente, eseguendo gli ordini, ciò stava a significare che il loro unico obbiettivo era uccidermi, poco importava se nel mentre si colpivano fra loro.

Ridotto in un mucchietto di polvere l’ultimo scheletro, presi lo scudo e avanzai. Cardys era rimasta in trance per tutta la durata del combattimento, ma non appena varcai la soglia del cancello i suoi occhi scarlatti si spalancarono, incenerendomi con lo sguardo.
-Chi osa disturbare la mia ascensione? – Le sue iridi brillarono all’improvviso di un bagliore violetto.
Lo scudo di Vitellus esplose in una pioggia di schegge che mi lasciarono il braccio contuso. Non ebbi il tempo di levare Durendal che, con un gesto della mano e un incantesimo, Cardys mi schiacciò contro il muro, lasciandomi senza la minima possibilità di muovermi.
Si avvicinò, fluttuando, avvolta in quella luce che le scorreva fuori dal corpo.
-Strabiliante il potere di un lich, non è vero ragazzo? E pensare che il processo non è che all’inizio. Riesci a immaginare il mio potere quando la mia anima sarà tutta contenuta nel filatterio? Prova a pensarci: non essere più schiacciato dal peso della mortalità e accedere a una conoscenza che non si può apprendere neanche in secoli di studio. Questo è potere!
Proruppe in una risata demoniaca, la sua voce mi ricordava quella del dremora: sembrava provenire dal profondo di un abisso.
-Quegli sciocchi dei miei servi pensano che condividerò il mio potere con loro, stolti! Banchetterò con le loro anime, banchetterò con la tua anima e poi toccherà a Traven. Sì, quel maledetto la pagherà per ciò che mi ha fatto. Io sarò la Regina dei Vermi, “Cardys la Grigia”, colei che superò persino il grande Mannimarco.
Le sue parole rasentavano il puro delirio, forse era l’anima che le scorreva fuori dal corpo ad averle fatto perdere il senno.
-Mentre ogni traccia di ciò che c’era di mortale in me svanisce, lascia che dia un’occhiata ragazzino, sì, lascia che veda cosa si cela dietro questo bel visino.
Avvicinò un dito, lo premette contro la mia fronte. Sentii come se qualcosa stesse cercando di introdursi dentro di me, come se un’altra voce mentale volesse sovrapporsi alla mia, senza tuttavia riuscirci.
-Due anime…ci sono due anime, troppo vicine perché io possa varcare la difesa di entrambe.
“Due anime?!” ma di che diamine stava parlando?
-Non importa, quando la mia ascensione a Lich sarà conclusa, non potrai resistermi.
All’improvviso ci fu un rumore di vetro rotto, la luce che avvolgeva Cardys svanì e anche la presa del suo incantesimo su di me cominciò ad affievolirsi. Nella stanza era appena comparso un ragazzo avvolto da un’armatura dalle tinte bluastre, un cappuccio copriva il suo volto e sotto il suo piede c’erano ancora i cocci della clessidra, con la sabbia ormai sparsa sul pavimento.
La dunmer si voltò con uno sguardo di fuoco, digrignando i denti per la rabbia.
-Cardys la Grigia, – quella voce … sentii il mio respiro spezzarsi – la Madre Notte ha fatto il tuo nome e Sithis reclama la tua anima nel vuoto.
-Tu, sciocco assassino! Tu danzerai nel vuoto con il tuo dio!
Dalle sue mani si librò un intreccio di saette che avrebbe ridotto in polvere chiunque, ma con un acrobazia il ragazzo sfuggì all’incantesimo. Era composto, freddo, letale, nei suo incedere non c’era la minima traccia di paura. Cardys era una strega potente ma lui non la temeva, già, lui non aveva mai temuto niente e nessuno.
Il suo pugnale d’argento si conficcò nel cuore della donna e poi squarciò la gola; non c’era esitazione o rimorso nelle sue azioni. Sarei potuto diventare anch’io così un giorno? Uccidere mi sarebbe riuscito così semplice e naturale?
La dunmer crollò a terra, immersa nel suo stesso sangue. Negli occhi c’era ancora la tristezza di una vendetta che non era riuscita a portare a termine: quella ai danni di Hannibal Traven. Non potevo fare a meno di chiedermi cosa la avesse spinta su quella strada, cosa nutrisse quel desiderio di distruzione. L’esigenza di potere, il sogno di essere immortale e acquisire conoscenza, questo potevo capirlo ma voler annientare ciò che c’era al mondo, farne polvere, no, questo non riuscivo a comprenderlo.
L’incantesimo che mi teneva premuto al muro ormai si era dissipato, tuttavia ero ancora troppo intorpidito per sollevarmi in piedi.
L’assassino non mi degnava di uno sguardo mentre ripuliva il pugnale con la veste della negromante.
-Lu-Lucien! – Dissi, con voce rauca. Nel pronunciare il suo nome sentii un groppo alla gola, le lacrime presero a scorrere, senza che potessi fermarle.
-Oh, Ragnar, caro fratello. Ne hai fatta di strada, eppure, nonostante tutto il tempo che è passato, devo continuare a salvarti la pelle. – Disse, con una traccia impercettibile di amarezza.
-Quindi è così? È questo che sei diventato? Un assassino? Ti sei unito alla Confraternita Oscura? Perché l’hai fatto Lucien? Perché?! L’amore e il sostegno della tua famiglia non era abbastanza per te?! – Ecco, ecco che veniva fuori: l’astio e il risentimento covati per anni, dopo che lui mi aveva lasciato solo, dopo che se ne era andato, dopo che l’avevo perso.
-Non fare l’ipocrita, – rispose, visibilmente irritato: il mio sfogo era riuscito a toccarlo. – L’ho fatto per voi, per proteggervi. Dovevo ucciderli, lo sai anche tu. Per salvare voi e fare in modo che una nuova famiglia potesse accogliermi. Sai come funziona, quando si uccide qualcuno … un membro della Confraternita Oscura viene da te e ti offre una nuova vita.
-Credi davvero che fosse l’unica strada possibile?
-Oh, no, caro fratello. Ma è l’unica strada che ho scelto di seguire e questo ha la sua importanza. Infondo non facciamo una vita tanto diversa, io e te: uccidiamo persone, strappiamo anime da questo mondo consegnandole a un altro.
-Io uccido solo quando sono costretto, per difendermi.
-Eppure uccidi, proprio come me.
-Non è la stessa cosa! – Non mi avrebbe abbindolato con i suoi giri di parole.
-Stessa azione, moventi differenti. Solo che il mio richiede un maggiore sforzo di volontà, l’autoconservazione è un istinto naturale. Adesso basta con le parole, ultimamente mi sto educando al silenzio, caro fratello. È la sinfonia di Sithis. Sul soffitto c’è una botola, prendi ciò che vuoi da questa stanza e vai via, io ho un lavoro da finire.
Ecco che per la seconda volta se ne andava, lasciandomi a me stesso. Lucien era cambiato, era cambiato così tanto. Del ragazzo che mi parlava dei suoi sogni, nelle stalle con il crepuscolo che inscuriva il cielo, non era rimasto più nulla. Adesso era la lama nell’oscurità, il portatore di morte, un assassino della Confraternita Oscura.

Quando finalmente riuscii a rialzarmi Lucien se ne era ormai andato, non mi restava altro che prendere ciò per cui ero venuto e tornarmene a Cheydinhal. La camera di Cardys la controllai da cima a fondo: c’era un letto sfatto, un tavolo malconcio con sopra alambicchi e storte, una tinozza di pietra con dentro ossa umane, mele che non osai nemmeno toccare e fiori di belladonna. Di altre gemme dell’anima, a parte quella sul pavimento, non ce n’era traccia. Forse Cardys le portava con sé, mi sarebbe toccato ispezionare il suo cadavere.
Frugai nelle sue vesti con un certo imbarazzo, distogliendo lo sguardo e affidandomi al solo senso del tatto, finalmente iniziai a sentire oggetti duri e di forma oblunga. Le gemme erano in tutto cinque, ma non fu l’unica cosa che trovai: addosso la dunmer si portava anche un libricino sgualcito che baluginava di una nebbiolina violetta.
Non ci misi molto a capire che quello non era un  semplice libro, no, quello era un diario. E una parte dell’anima di Cardys vi era rimasta aggrappata nell’istante in cui Lucien le aveva tolto per sempre la vita.



Note dell’autore
Salve lettori! Perdonate il mio insolito ritardo (sebbene sia passata meno di una settimana ci ho messo comunque più del solito per aggiornare) questo capitolo era pronto già da un po’, necessitava solo di una breve revisione ma volevo concentrarmi sull’altro prima di pubblicare, insomma: mettermi un po’ avanti con il lavoro. In ogni caso mi sembra che qui ci sia un bel po’ di roba in pentola :D Lucien ha fatto una comparsata e Ragnar come al solito ha rischiato di finire ucciso. Vediamo come andranno le cose con Falcar, quando ritornerà a Cheydinhal. Inoltre vi ho piazzato due piccoli misteri che saranno disvelati più avanti: perché Cardys odiava tanto Traven e cosa intendeva la Grigia con le due anime troppo vicine? Per non parlare del suo diario.
Insomma la nostra aspirante Lich sebbene sia morta non ha ancora finito di dire la sua, la rivedremo ancora, ve lo posso assicurare. Avete qualche bella teoria in merito? Supposizioni? Curiosità? Fatemi sapere :D

Al prossimo capitolo,
un abbraccio
NuandaTSP

 
   
 
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