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Autore: Slevin97    02/11/2016    1 recensioni
Nel suo piccolo opprime i propri legami, impone ad essi leggi incontrastabili, dall’alto si erge verso le forme più deboli, si illude di conoscere e di controllare; ma vede solo il suo universo di sporca fanghiglia, di sassi, di flutto che scivola fra le rocce: nel frattempo il tempo scorre invidioso.
Genere: Introspettivo, Poesia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella mia terra natia conobbi un uomo misero, privo di ogni bene, circondato dall’amore della gente: vittima di un incontrollabile sistema di leggi s’arrese al fato crudele.
Nel suo piccolo, però, controllava i legami delle persone. Era per molti lo sciocco del
villaggio, ma in un villaggio di stolti non era che il più saggio.
La sua apparente stoltezza gli permise una conoscenza vastissima dei segreti delle persone, che avrebbero messo in ginocchio il più nobile aristocratico della nazione.
Decise un giorno di rivelarmi queste cose, avendo avuto il sentore che la sua fine fosse vicina, essendo ormai decrepito. Lo implorai di rivelarmi questi segreti, ma mi rivelò che era inutile. Mai in vita sua avrebbe concesso un tale potere a taluna persona: come un potenziale che si attenua, la conoscenza di quelle informazioni si sarebbe vanificata; se ogni piccolezza fosse divenuta pubblica avrebbe perso ogni valore.
Nulla valeva allora più di ciò che non si realizza: tutto avrebbe perso significato, perché concesso il controllo di quel piccolo mondo non sarebbe che rimasta la cieca vergogna di sapere che nulla può essere controllato.
Porgo la mia gratitudine a quel vecchio ormai spento, che mi ha rivelato che non conoscere significa vedere con i propri occhi la caducità del mondo, la natura fittizia di ogni conoscenza, inganno ed illusione per i poveri uomini.
Lasciai che quel popolo di sciocchi si logorasse nel fango per avere il potere, per avere il controllo delle loro vite; abbandonai la patria e ricercai una terra sperduta, ai confini della natura, dove non vi fosse nulla di falso e nulla di vero: dove non vi fosse nessun altro
all’infuori della mia persona.
L’uomo immortale conduca una vita di sogno per contrastare l’universo e non guardare oltre l’orizzonte, s’illuda di conoscere e si erga sopra al popolo con mani di burattinaio.
S’accechi da solo, brama di potere lo logori, ma lasci a me la possibilità di fuggire la natura umana.
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L’infima terra sporca del fango e del catrame circonda le sponde d’un torrente che impedisce una chiara vista del flusso di corrente. Goccia di sudore che cade dalla fronte della più infima creatura scivola sul viso, calpesta la terra, con potenza di meteora colpisce il suolo, infanga la pozzanghera di riflessi e smuove l’acqua torpide.
Sale al cielo per caldo furore, ricade pioggia di nuvola in un torrente di ciarpame.
Immerso in una corrente incontrollabile, la goccia di sudore della creatura più infima sente l’oppressione dell’eterno flusso, cede al controllo d’una spinta irrefrenabile inconsapevole della cascata, della foce, della fine del fiume in un mare ancor più grande.
L’oppressione del numero che la circonda acceca la vita di idrogeno, che segue il bisogno di opprimere per scordare la sua presenza in un mondo incontrollabile.
Nel suo piccolo opprime i propri legami, impone ad essi leggi incontrastabili, dall’alto si erge verso le forme più deboli, si illude di conoscere e di controllare; ma vede solo il suo universo di sporca fanghiglia, di sassi, di flutto che scivola fra le rocce: nel frattempo il tempo scorre invidioso.
   
 
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