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Autore: Maledetta    04/11/2016    1 recensioni
Di negozi strani e false apparenze
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avete presente quel periodo nella vita di ogni giovane uomo in cui il tizio di turno si rende conto di avere un’incredibile fiducia nel futuro e nelle nuove generazioni e decide di mettersi a fare qualcosa per i giovani allo sbando? Forse no, anche perché in effetti non credo che tutti abbiano un periodo del genere. Io però, da bravo sfigato alternativo quale sono, l’ho avuto, e mi ricordo anche esattamente com’é iniziato: avevo appena finito il college ed ero tornato a casa mia, in uno dei quartieri peggiori di Los Angeles, da circa due giorni. Mi stavo facendo la doccia, ma siccome mi sembrava deprimente farla in silenzio avevo lasciato il telefono sul lavandino con il lettore mp3 impostato in ripetizione automatica.
Screammavo come un idiota su Happy Song, dei Bring Me The Horizon.
Mi lavavo i capelli, pregando che lo shampoo di mia madre non mi rovinasse la tinta rossa appena rifatta. Dio solo sapeva cosa mettesse quella donna nel suo shampoo fatto in casa.
Fu in quel momento, mentre chiedevo a un dio nel quale nemmeno credevo che mi salvasse i capelli, che mi venne l’illuminazione.
Avete mai pensato di aprire uno di quei negozi da tamarri che si vedono spesso nei quartieri malfamati? Di quelli che vendono magliette, piercing, cagate varie e se tutto va bene anche qualche CD piratato? 
Be’, io sì, e parlando per esperienza vi dico, per il vostro bene: non fatelo mai. 
Sopratutto se, come me a quei tempi, siete nel vostro periodo di fiducia nel futuro. 
Soprattutto se vivete in un quartiere come il mio.
Non sto dicendo che non sia un lavoro fottutamente interessante e spesso anche divertente, ma ritrovarvi il giorno dell’inaugurazione con il negozio pieno di minorenni che sembrano confondere le bestemmie con le congiunzioni, con addosso più ferro che peli e con tanto di canna che pende dall’angolo della bocca demolisce ogni possibile fiducia nelle generazioni future. Giuro. Soprattutto se vi chiedono maglie di band sataniche che voi nemmeno avete mai sentito nominare. 
Ora vi chiederete come mai io fossi così diverso da loro, visto che in quel dannato quartiere ci sono cresciuto e ci vivevo anche io... be’, tanto per cominciare, io vengo da una famiglia di hippie... il che non mi ha mai impedito di tirare le molotov contro la stazione di polizia assieme ai miei amici quando ero più piccolo, quindi non è una giustificazione. Il punto è che io non sono un casinista, e nemmeno un delinquente. Anzi, sono entrambe le cose e probabilmente se mi incontraste per strada, con i capelli che hanno cambiato colore così tante volte che praticamente non mi ricordo più di che colore sono per davvero e il mio giubbotto di pelle da biker preferito vi verrebbe l’impulso di chiamare la polizia, ma sono anche il tipo che non si fa né piercing né tatuaggi perché ha una paura fottuta degli aghi e impazzisce per band come i Dead By Sunrise, gli Evanescence o i sopracitati Bring Me The Horizon. In parole povere: sono un casinista e un delinquente sostanzialmente innocuo.
Insomma: ho fatto le mie cazzate e come un po’ tutti da quelle parti mi sono fatto anche i miei due bei mesi di riformatorio attorno ai sedici anni per percosse a mano armata (ergo rissa fuori da un bar con un coltello e un tirapugni nella quale per mia somma sfiga, era coinvolto il figlio del commissario del quartiere), ma per un posto del genere io sono un santo, e per un santo fare un lavoro del genere con dei ragazzi del genere è un po’ come farsi un bel giretto di prova all’Inferno, soprattutto nei primi giorni.
In realtà sto esagerando: non è poi così tremendo come lavoro. Sapete, ho questa tendenza: tendo ad esagerare un po’ perché negli anni, malgrado il giubbotto di pelle, le catene appese ai passanti dei jeans e la felpa degli Slayer che mi ostino a portare anche se ho sentito praticamente soltanto una canzone degli Slayer e non mi è piaciuta, è saltato fuori che sono un inguaribile romantico. Persino la maledetta felpa degli Slayer lo testimonia: infatti come ho detto, gli Slayer nemmeno mi piacciono, ma era la felpa preferita di mio fratello, che ci ha lasciato le penne un paio d’anni prima di quel periodo della mia vita che vi sto raccontando in un regolamento di conti idiota nel quale tra l’altro lui manco c’entrava niente...
O magari c’entrava, ma come ho detto, io tendo a esagerare.
In effetti, dopo i primi tempi, non è nemmeno male come lavoro. Almeno non mi annoio mai, e negli anni ne ho viste di cose che potrei raccontare... ad esempio c’é questa ragazza, a mala pena so come si chiami, che viene qui tutti i maledetti sabati da cinque anni e non mi ha mai rivolto la parola, anzi, a dire il vero non l’ho mai vista parlare con nessuno.
La prima volta che l’ho notata è stato appunto cinque anni fa, ma non so se fosse effettivamente la prima volta che veniva o se semplicemente non mi fossi mai accorto di lei prima.
Attirò la mia attenzione perché aveva una bottiglia in mano, il che non era per niente strano. Capitava spesso che mi entrassero in negozio ragazzi della sua età mezzi ubriachi o con una birra o una bottiglia di vodka appresso, ma lei no. Lei aveva in mano una bottiglia di Pepsi Twist. 
Lì per lì mi sfuggì un sorriso e tornai a giocare a Clash sul telefono come facevo sempre a quell’ora del sabato pomeriggio, pensando che entro tre minuti si sarebbe resa conto di aver sbagliato negozio e se ne sarebbe andata. Saranno state le tre e mezza, avevo appena aperto e c’erano solo altri due ragazzi a parte lei, entrambi con un crestone di capelli ossigenati e la faccia piena di piercing quindi sì, ero piuttosto sicuro che se la sarebbe data a gambe.
Invece quando alzai gli occhi cinque minuti dopo era ancora lì, che si aggirava in mezzo agli espositori delle magliette muovendo le labbra apparentemente a caso. Di sicuro non stava canticchiando la canzone che Spotify stava mandando in quel momento, perché la conoscevo e non stava andando a tempo, quindi doveva avere le cuffie, anche se io non le vedevo. Avrà avuto sedici anni, ma era alta per la sua età. Era alta quasi quanto gli espositori.
Era lì, che girava in tondo, guardando una maglia lì e una là con aria persa e non allo stesso tempo mentre si muoveva su quelle gambe lunghe fasciate da un paio di jeans neri strappati sulle ginocchia. Una ragazza con i jeans lunghi. Nemmeno quella era esattamente una cosa comune da quelle parti. Era completamente vestita di nero. Dalla testa ai piedi. Persino i suoi occhiali erano neri. L’unica cosa non nera che aveva addosso era la stampa bianca sulla maglietta che portava sotto la camicia di jeans nero: I AM SHER LOCKED.
Non riuscivo a capacitarmene. Era lì. Che gironzolava con aria sperduta per il mio negozio di tamarrate da metallari, con un cappello strambo che le copriva i riccioli rossi, un giubbotto di pelle con il colletto alzato, una camicia di jeans nera, una maledetta maglietta di una maledetta serie tv della BBC, un paio di jeans strappati sulle ginocchia e un paio di Converse nere. Mi stupiva che gli altri due ragazzi non avessero ancora cominciato a importunarla: i ragazzi di quelle parti ci provarono praticamente con qualunque cosa respirasse, eppure quella sottospecie di ragazzina non la cagavano nemmeno di striscio. Semplicemente la lasciavano lì, con la sua maglia da nerd e la sua bottiglia di Pepsi Twist a gironzolare fra le magliette con lo sguardo perso, ma non intimidito. Non sembrava spaventata. Soltanto un po’ fra le nuvole. 
Mi arrivò in cassa dopo quasi un quarto d’ora, con una maglietta degli AC DC  e un paio di guanti di pelle di quelli a mezze dita. 
Aveva un corpo che ormai era da donna. Non che avesse tante tette, ma si vedeva che non era più una bambina. O almeno, si vedeva finché non la si guardava in faccia. Aveva un volto talmente infantile e innocente, con le lentiggini, gli occhioni e tutto, che difficilmente lo si poteva ricollegare a tutto il resto, soltanto gli occhiali la salvavano dal sembrare assolutamente una bambina. Dietro quegli occhiali c’era qualcosa di assurdo. Due occhi che praticamente non avevano colore da quanto erano chiari. Nemmeno si può dire che fossero azzurri, perché effettivamente non erano azzurri. Erano strani. Tristi. Stanchi. Troppo per una che al massimo poteva avere sedici anni. Troppo per una sedicenne così imbranata da farsi scivolare un piccolo tirapugni argentato alla tasca tirando fuori il portafogli per pagare. Mi fece talmente pena che cominciai a parlarci. 
“Ciao” le dissi.
Lei sorrise.
“Sei di qui?” continuai.
Annuì, spostandosi una ciocca di capelli dal viso.
“Non parli?”
Scosse la testa con aria abbattuta, poi mi sorrise di nuovo come per dire “Tranquillo amico, mica è colpa tua”.
Ci restai basito, guardandola lì che mi sorrideva da dietro quei due fondi di bottiglia che aveva sul naso. Ci restai basito non tanto perché sembrasse una maledetta brava ragazza e vederla dentro il mio maledetto negozio mi faceva strano, ma perché sembrava una brava ragazza ed era lì, con un tirapugni in tasca e una bottiglia di Pepsi in mano e mi sorrideva e io credo che nei venticinque anni di vita che avevo alle spalle a quei tempi non avessi mai visto una cosa tanto assurda.
Ci ho messo tre anni solo per scoprire che si chiama Alice, e non è stata lei a dirmelo. Be’, ovvio, dato che dopo cinque anni in cui la vedo praticamente tutte le settimane non l’ho ancora sentita parlare.
Nel corso degli anni ho scoperto che alcuni dei piccoli adoratori di Satana che affollano il mio modesto buco di negozio sono più simpatici di altri e che a volte con alcuni di loro si può addirittura avere conversazioni civili, per quanto possa sembrare assurdo. Uno di questi è Connor, un tipo mezzo irlandese che le abita vicino e che conosce la sua famiglia, quindi presumo che anche Alice sia mezza irlandese.
É qui anche ora, in questo momento. Mi è diventata praticamente il fantasma del negozio e nel corso degli anni mi ci sono affezionato, anche se si rifiuta di parlarmi.
Viene in cassa e mi sorride, come sempre, e anche se è più grande e ormai deve aver passato i vent’anni, sembra ancora una bambina con le gambe troppo lunghe che gira con una maglia da nerd e un tirapugni in tasca. Sono passati cinque anni e ancora non capisco cosa ci trovi, in questo schifo di negozio. Ormai mi sono rassegnato al fatto che probabilmente non lo capirò mai.

Angolo autrice Ok, è la prima volta che pubblico qualcosa di non fandom su efp e non credo che qualcuno leggerà questa roba, ma tentar non nuoce, giusto? Non so nemmeno se questa cosa sia veramente considerabile introspettiva, ma... più o meno...
   
 
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