Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: TremorChrist    05/11/2016    1 recensioni
Una vita da passare seduta su una panchina, ad osservare una porta senza mai aprirla; senza avere il coraggio di essere di più.
(Partecipa al contest "Porte e Portoni" indetto da Najara87 sul forum di EFP)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Laterale

—————
la cattedrale
—————

Contrastavo la mia blasfemia, i miei timori dovuti a sogni dagli sfondi malefici e dissacranti, recandomi in chiesa ogni giorno. In modo inconscio forse, per sentirmi meno diversa.

 La cattedrale era situata al margine del paese, sulle rive del fiume Dot.

Il conforto che riuscivo a ricavare da quelle visite mi raggiungeva ancor prima che io entrassi nell’edificio: esso troneggiava su di me ogni volta in cui mi fermavo davanti al suo portone immenso, ad osservare la grandezza di Dio, costruita dall’uomo.
 Questo mi annullava, mi miniaturizzava ad un’entità identica a mille altre. Non Ero nello specifico, ma in generale; inglobata in un potere superiore a tutto ciò che avrei mai potuto vivere e conoscere. Se non ero nulla, nulla erano anche i miei problemi, i miei pensieri, e non temevo niente.

 La cattedrale era stupenda, ma fuori contesto. Non riusciva ad inserirsi nella mediocrità del paese, né nella mentalità delle persone. Preferivano tutti la piccola cappella in piazza: banale.
Di solito i centri sociali si sviluppano intorno al cuore pulsante che è la chiesa, non nel caso del nostro paese però.
 Ma io, non ricordo quando, avevo deciso di costruire la mia città personale basandomi sulle fondamenta della cattedrale; di edificare le mie case, i miei portici, i miei negozi: la mia vita.
Il punto - e lo negavo a me stessa con veemenza, quasi dovessi convincere della falsità una persona che non ero io - era che la chiesa non apparteneva a Dio.
 Mi domandai chi fosse allora la figura che mi attraeva, per cui provavo rispetto e ammirazione; colui ch mi indicava la via, che mi sosteneva nelle difficoltà, e che mi faceva visita alla notte, nei sogni. Era presente come un’ombra, flebile ed intangibile, ma lo percepivo forte ed autoritario.

 Non ne parlai a mia madre, conoscendo il suo servile timore per Suo Signore, il suo riverirlo ed idealizzarlo: non avrebbe mai accettato che io credessi in qualcosa che era completamente l’opposto delle sue certezze. Lo scrissi in mille poesie però, spaventata e allo stesso tempo elettrizzata dalla mia nuova e bruciante fede.

 M’isolai, convinta di non necessitare più di nessuno. Non ero felice, ma la mia condizione di continua tristezza mi rendeva incredibilmente viva. Compresi come fosse più facile ottenere un brivido, se esso era provocato dal dolore.
 La gioia, la soddisfazione, la contentezza, erano strade troppo lunghe e faticose da percorrere, non riuscivo a realizzarmi intraprendendo percorsi del genere, e la maggior parte delle volte non possedevano nemmeno una fine, una meta.
 Il dolore sì, invece. Un gesto per avere in cambio mille conseguenze.
 Riuscivo a trovare ispirazione. Scrivevo con una profondità che non avevo mai conosciuto nella felicità. Osservavo il mondo con occhio indagatore, molto più critico rispetto a quello spensierato delle situazioni non complesse. Fuggivo dall’apatia velocemente. Semplice come indossare un cappotto.
 Mi ritrovavo però in una condizione terribile, lo riconoscevo: era un lamentarsi della mia miseria, ma anche un perverso ed insaziabile goderne. Non ne sarei mai uscita, e il Diavolo era piuttosto soddisfatto di come fosse riuscito a modellarmi: crescevo male.

—————
il profeta
—————

 

Un autunno, a novembre circa, conobbi Mariane.
 Mi ero recata, come ogni giorno, alla cattedrale, nella speranza di una mia miracolosa conversione. Stavo per entrare quando, veloce ed agile come una lucertola, mi passò accanto qualcuno. Mi spostai rapidamente, in modo da poterlo scorgere.
All’inizio credetti che fosse un ragazzino di campagna, con i capelli cortissimi e neri come la pece. La camicia sporca di terriccio, fuori dai pantaloni. Mi misi ad inseguirlo, fino quasi a raggiungerlo.
 «Dove corri?» gridai, mascherando una risata. Allora il ragazzino si voltò, rivelando un viso femminile, bellissimo.
 Rimasi senza fiato, per la delicatezza dei suoi tratti, l’armonia fra gli elementi che componevano il suo volto. Gli occhi dello stesso colore delle foglie autunnali: quasi dorati. La bocca graziosamente screpolata; un taglio sul labbro inferiore, che sanguinava in modo vivace, donando colore a quel quadro leggero.
 Non mi fece domande, come se ci fossimo già viste mille volte prima di quell’incontro. «Se mi segui ti mostro il lato segreto della faccenda,» disse, con tono dolce, indicando la cattedrale. Non esitai un secondo, e mi misi a camminare sui suoi passi.

 Ci sedemmo su una panchina, davanti all’entrata laterale, in fondo alla chiesa. Essa era un arco acuto sprovvisto di porte, e forniva uno scorcio su un’anticamera, anticipando la vera e propria entrata.
«Vengo qui sempre, e ci parlo,» esordì, incrociando le gambe.
«Con chi?» «Lo sai benissimo,» parlava del Diavolo, e quel leggero timore nella sua voce, il coraggio necessario per pronunciare il suo nome totalmente assente: si era espressa anche per me.
 «Se hai tempo ti mostro quando il sole entra dalla finestra sul retro, tramontando,»
 «Perché preghi il male in un luogo sacro?» cambiai discorso, incuriosita. Bramante di avere un parere uguale al mio: risposte che non sapevo trovare.
 «Perché prego il sacro in un luogo di malvagità, questa è la domanda,» mosse le foglie con i piedi, in modo giocoso. «Ogni elemento possiede una sua dualità, e siamo liberi di scegliere in cosa credere, da che prospettiva guardare le cose.»
Così mi rispose, ed io decisi di vederla sotto una luce di beatitudine. Era già la mia verità, il mio profeta.

 

——————
il sesso
——————

 

I nostri incontri, dopo quel giorno, divennero la consuetudine. Non pensavo ad altro: alla mattina ero lì, alla sera anche. Intorno alla cattedrale, quelle volte in cui faceva troppo freddo per stare sedute.
 Sulla panchina, a fissare lo spazio dell’anticamera, senza avere il coraggio di varcare la seconda porta.

 «Sarà bloccata?» le domandai, riferendomi all’uscio «Credo di no.»
 «Perché non entriamo?» «Dal costato della chiesa? È davvero così che vuoi varcare questo tempio?»
«Mi sembra un modo viscerale: una reale penetrazione, come se io fossi la spada e la cattedrale la carne.»
«È una metafora importante,» «Lo so.»
Ci guardammo intensamente. I suoi occhi, che al crepuscolo tremavano in modo flebile, come fuoco, mi scrutarono togliendomi le parole, azzerando i pensieri, ch’essi fossero di natura benigna o meno. E in un tocco di labbra - leggerezza che non avevo mai assaporato, soddisfazione infinita- mi baciò.

L’inverno era alle porte, e noi davanti alla porta ci spogliammo.
 Il suo corpo senza forme, delicatamente etereo. Le baciai il petto con avidità, e fame. Le sfiorai il pentacolo inciso sotto il seno piccolo, e una scarica potentissima mi pervase, facendomi tremare. Il cimitero alle nostre spalle. Ogni cosa deserta; noi terribilmente dissacranti.
 Lei invertì inaspettatamente le posizioni. I vestiti tra le foglie, le spine di legno a pungere la pelle.
«Un giorno dovrai morire, e dovrò essere io ad ucciderti,»
«Lo so,»
«Davanti a quella porta chiusa,»
 «Per me sarà ormai aperta,» la strinsi a me, «la vita è quell’anticamera,» completai la frase, e mi lasciai scopare, con una consapevolezza veritiera del mio futuro.

 

—————
il fiume
—————

 

Nel bel mezzo dell’inverno, un giorno, non la trovai. Avevo voglia di parlarle, nonostante tendessimo sempre a non iniziare mai e mai a finire un discorso. Le nostre conversazioni erano insiemi di versi tratti dal suo vangelo personale: mi istruiva, la istruivo, ma tutto in modo vago e confuso.
 Rimaneva comunque la mia soddisfazione nella vita. E alle volte faceva da tramite fra me e Lui, altre volte il contrario.
Quel pomeriggio però, lei non c’era. Ed avevo anche un desiderio bruciante di toccarla, fare l’amore. Che l’amassi lo sapeva; che lei amasse me si sapeva.

 La trovai nel fiume, dopo aver percorso l’intero perimetro della chiesa. I suoi soliti vestiti gettati sulla riva. Il suo corpo dal chiarore pallido, immerso nell’acqua invernale. Rabbrividii al solo pensiero di raggiungerla.
«Oggi è il Giorno, spogliati e tuffati!» quasi mi avesse letto nel pensiero, si voltò e pronunciò quelle parole. Fui titubante per qualche secondo, poi mi tolsi in fretta i vestiti, provando un’eccitante frenesia nel sapere che di lì a poco sarei morta.
La strinsi forte, e ci consolammo a vicenda.

Ci rivestimmo, ancora bagnate.
 Mi condusse davanti alla porta, e per la prima volta mettemmo piede nell’anticamera. Il sole stava tramontando, e il calore in quel luogo era piacevolmente gratificante.  Non mi salutò, fu tutto piuttosto silenzioso.
Ma non doloroso come l’avevo immaginato, né fisicamente, né emotivamente. Il pugnale mi lasciò per un attimo senza fiato,  Mariane sparì così com’era apparsa mesi prima, dal nulla, nel nulla.

  La mia liberazione: la chiave per aprire la porta della conoscenza risiedeva nella morte. E con occhi ormai senza vita vidi la grandezza della Fede, dietro all’uscio laterale della chiesa, ora spalancato.
 Il Diavolo che gentilmente mi prendeva per mano. Il suo volto dai tratti della mia ragazza, di ogni cosa che avevo sperimentato nella mia passeggera vita. Tutto finalizzato a quel momento, a quell’incontro; a quel passaggio di mondo. 

 

Finalmente nacqui.

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: TremorChrist