Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: AlenGarou    05/11/2016    1 recensioni
Pennington Mansion era buia e derelitta; una costruzione ormai morta da tempo, soffocata dal sangue e dalle ceneri del suo stesso passato. Del suo florido corpo non rimaneva altro che un labirinto di corridoi silenziosi e decadenti, marciti dal tempo e dall’usura. Ogni tanto la dimora gemeva, emanando qualche tetro scricchiolio; assestava le sue stanche e logore membra ricercando un riposo a lei proibito. Nonostante la misera fine che l’aveva soggiogata, all’interno delle sue ossa rimbombavano ancora i loro mormorii; flebili, infidi… supplichevoli. Malgrado i numerosi ospiti che ancora ricevevano, nessuno era stato in grado di dar loro una risposta, di dar loro una voce. Esseri senza guscio e senza alcun potere, venivano semplicemente ignorati.
Anno dopo anno, la loro agonia continuava inesorabile. Quell’incubo perdurava, mascherato da innocente gioco di un’infanzia a loro rubata. Fino a quel giorno. Fino alla notte di Samhain.
Fino a che lei non arrivò.
La casa si ridestò dal suo sogno; loro si risvegliarono e il male, che assopito aveva pazientemente atteso nel cuore oscuro di quella dimora, ritornò alla vita.
Eppure lei non gli diede alcun credito. Perché mai avrebbe dovuto temere quel male?
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3.

 

L

e persone sapienti sono curiose. Conoscono i più disparati argomenti e riescono a risolvere i problemi più complessi, eppure non sanno come interagire con i loro simili. Preferiscono osservare la vita, piuttosto che viverla e Alexander non era da meno. Appollaiata come un grosso uccello del malaugurio ammantato di rosso accanto a uno dei tavolini ai margini della sala, scrutava annoiata gli altri, trattenendo appena l’impulso di trovare una lettura interessante con la quale passare il tempo. Da un paio di ore, infatti, l’atmosfera tesa che aveva avvolto la strampalata combriccola sembrava essersi sciolta, sostituita da un chiassoso vociare.

E tanti saluti all’idea di tornarsene a casa in tempo per la maratona notturna del caro vecchio Freddy¹.

Alex sospirò, appoggiando il viso su una mano. Chiuse gli occhi per qualche istante nella speranza di alleviare il principio di emicrania che aveva iniziato a martellarle le tempie, ma un’inaspettata risata stridula la fece sussultare sulla sedia. Raddrizzandosi, lanciò un’occhiata di fuoco verso il divano.

Leyla e Dakota e ci stavano dando dentro con una bottiglia di liquore comparsa come per magia tra di loro, sfidandosi a chi si copriva maggiormente di ridicolo. Nonostante le loro divergenze e le diverse filosofie di vita, la comune passione per il coma etilico sembrava averle unite contro ogni pronostico. Ai loro piedi, Emily e gli altri si raccontavano aneddoti ridendo scompostamente sul tappeto, circondati da cartine di snack e lattine vuote. Ogni tanto il flash di un cellulare illuminava l’ambiente come un lampo.

Solo Ren si ostinava ancora a lanciare occhiate di scherno nella sua direzione, occhiate che venivano puntualmente ignorate. Keiran aveva rinunciato ormai da tempo ad attirare la sua attenzione.

Raccontata in questo modo, la festa sembrava procedere a gonfie vele, almeno per gli altri, ma fortunatamente il punto di non ritorno si era spento sul nascere già da qualche tempo. Dopotutto, è verità universalmente conosciuta che, in una festa colma di adolescenti, qualcuno a un certo punto proporrà il gioco della bottiglia nel tentativo di scambiarsi fluidi corporei con il soggetto dei propri sogni bagnati. E, infatti, tale proposta avvenne.

Non era durato nemmeno tre giri, giusto il tempo perché Sarah baciasse Emily, Emily baciasse Keiran e Keiran desse un misero bacetto sulla guancia a Gregory. Ma quando fu il turno del giovane, la bottiglia puntò malauguratamente su Ren il quale, ignorando le lamentele femminili che avevano incominciato a citare la pornografia, si rifiutò categoricamente di continuare il gioco. Fu così che il biglietto di sola andata per la mononucleosi fu interrotto e le labbra velenose di Alex rimasero al sicuro.

Ma non la sua pace interiore.

Accorgendosi del suo isolamento, Emily l’aveva raggiunta diverse volte nel corso della serata. Le sue visite erano state gradite, alcune volte sinceramente, fino al momento in cui aveva interrotto quelle piacevoli chiacchierate per scattarle foto, pregandola di togliersi il cappuccio che le copriva ancora il capo malgrado fossero al chiuso. Purtroppo, se esisteva qualcuno più cocciuto della bionda, era proprio lei. Ogni tentativo di Emily di levarglielo, anche a tradimento, fallì miseramente e alla fine l’amica si arrese, ritornando a sedersi con gli altri. Da allora continuavano a scambiarsi silenziosi sguardi di sfida.

Nota mentale: la prossima volta sarebbe andata dritta verso il cimitero a festeggiare con i morti, ospiti davvero deliziosi e silenziosi, per nulla molesti.

Gemendo, Alex si abbandonò contro lo schienale della sedia sulla quale si era rannicchiata. Stava per controllare per l’ennesima volta l’ora sul suo orologio da polso, quando il suo stomaco reclamò le dovute attenzioni. Si posò una mano sul ventre borbottante, constatando che in effetti non mangiava da ore e, anche se il suo malcontento le aveva sciupato l’appetito, il suo corpo aveva comunque bisogno del dovuto nutrimento. Sollevò un lembo della mantella e aprì la borsa, frugando per un momento finché non trovò ciò che cercava. Ne estrasse un involucro di carta e mentre incominciava a scartarlo, ebbe la sensazione di essere osservata. Nuovamente. Intensamente.

Alzò lo sguardo e gli occhi plumbei di Ren catturarono la sua attenzione con la stessa grazia di un deragliamento ferroviario. Seduto svogliatamente su un lato del divano con le lunghe gambe accavallate, come se cercasse di mettere un po' di spazio tra lui e una rumorosa Dakota, teneva in una mano una sigaretta rollata e nell’altra la bottiglia di alcool che aveva sequestrato alle due ragazze; più per divertimento che per senso civico e preoccupazione verso i loro fegati provati. Sembrava rilassato, ma non per questo vulnerabile.

Si scrutarono in silenzio per qualche istante e, a malincuore, Alex dovette ammettere che in un’altra vita molto, ma molto lontana, avrebbe potuto trovarlo attraente. Specialmente con il gioco di ombre della penombra e la luce soffusa del focolare che gli baciava un lato del viso.

Ma fortunatamente lei non era Jack Dawson² ed era più incline alla sterilizzazione di massa che alla riproduzione.

«Noti qualcosa che ti piace?» le chiese a un certo punto, sorridendo come un gatto che si era appena mangiato il topo nel notare che non accennava a distogliere lo sguardo.

Alex si concesse tutto il tempo che le serviva per squadrarlo meglio, ignorando le occhiate curiose degli altri. «Non particolarmente» rispose innocentemente, dando un morso al panino che finalmente era uscito allo scoperto, mentre continuava a fissarlo. Poi si concentrò sul camino, ignorando il ragazzo.

Della cenere gli cadde sui jeans neri, ma Ren non sembrò farci caso. Sembrava sconcertato.

Mark scoppiò a ridere. «Non l’avrei mai detto. Il tuo potere seduttivo non ha effetto su di lei.»

«Ren è confuso. Ren si colpisce da solo» gli fece eco John, che si teneva le mani sulla pancia dal ridere.

Entrambi si misero sull’attenti non appena il loro boss si voltò con uno sguardo omicida da provetto serial killer. Bevve un sorso dalla bottiglia, per poi lanciarla a John. Si passò una mano sui capelli.

«Ma non mi dire… E voi…»

«Questo ti serve?»

Ren si voltò, come tutti gli altri. Alex aveva finalmente deciso di sgranchirsi un po' le gambe e si era alzata. In mano reggeva l’attizzatoio rovente con il quale Mark aveva riavviato il fuoco.

Uno sguardo dubbioso comparve sul volto del ragazzo. «E che cosa ci devi fare?»

«Oh, allora non ti serve.» Senza troppi complimenti, Alex infilzò il panino e lo mise sospeso sopra le esili fiamme, ammutolendo i presenti.

La prima a riprendersi fu Emily, che ridacchiò. «Alex… ti avevo detto di portarti dietro qualcosa di semplice.»

Alex non si voltò neppure, rispondendole con un’alzata di spalle, mentre rigirava il cibo per ottenere una cottura uniforme. «Perché non approfittarne?»

Emily scosse il capo, senza smettere di sorridere.

Quando decretò che fu pronto, Alex sfilò il panino dal ferro e corse sul tavolino dove aveva fatto il nido, facendo saltellare il suo spuntino tra le mani per evitare di scottarsi. Lo appoggiò sulla carta che aveva deposto in precedenza e, dopo aver agitato le dita per raffreddarsi i polpastrelli indolenziti, lo sollevò. L’osservò attentamente per un attimo e poi gli diede un nuovo morso.

S’illuminò d’immenso.

«A quanto pare il cibo le piace più del resto» sentenziò contrito Kieran, sospirando.

«E puoi contestarla? Con il formaggio fuso, le uova e il bacon nulla può reggere il confronto.» Emily dovette sforzarsi di non scoppiare nuovamente a ridere nel vedere l’espressione delusa dell’irlandese.

«Come uccidere un vegano» ridacchiò John.

«Parliamone, quando venite nel ristorante dei miei si fa sempre fuori mezza dispensa» s’intromise Sarah. Se il suo reale intento era quello di pubblicizzare l’attività di famiglia, rimase un mistero.

«Dimmi che non è per questo che le hanno vietato l’accesso per un mese!» esclamò Gregory, come se avesse avuto una folgorazione.

Sarah si limitò a far spallucce.

«Incredibile» mormorò Ren, esterrefatto. Non riusciva a staccare gli occhi da Alex che, felice e spensierata, dondolava le gambe mentre divorava il suo panino, ignorando totalmente le occhiate che la trapassavano. Data la sua ciclopica statura di nemmeno un metro e sessanta per un peso indefinito a causa degli abiti sformati e troppo grandi per lei che si ostinava a indossare, il fatto che riuscisse a mangiare come una squadra di lottatori di sumo senza essere a sua volta una montagna era un mistero della scienza.

«Ma come fai a mangiare certa roba?» le chiese Leyla con disgusto, facendo mentalmente il calcolo delle calorie. «Per non parlare del glutine!»

Come se fosse rinvenuta dall’overdose calorica, Alex scrollò le spalle. «Con la bocca» sentenziò lei in risposta, buttando giù in un sol boccone l’ultimo assaggio per poi annaffiare il tutto con un po' d’acqua.

«So cos’altro potrebbe fare con la bocca» mormorò piano Mark, ma non abbastanza per non farsi sentire. Prima che Gregory potesse intervenire e ammonire il giovane, Ren prese la briga di sporgersi e rifilare una sberla sulla nuca all’amico, seduto sul tappeto non molto lontano da lui.

«Ma che ho detto di male?» borbottò lui, massaggiandosi la testa.

«Non chiedere» fu la sua unica risposta. Poi Ren si voltò verso Emily. «Allora, vogliamo dare un senso alla serata? Incominciò ad annoiarmi e non vorrei che le venisse di nuovo fame. In quel caso nulla le impedirebbe di ucciderci tutti per trasformarci in roastbeef.»

Emily rimase per un attimo imbambolata al centro della stanza, spostando lo sguardo tra lui e Alex, per poi ricomporsi.

«Ma certo!» Corse a cercare qualcosa nella borsa che aveva lasciato a terra, per poi sventolare in aria un sacchetto colmo di quelli che sembravano dadi. Ma, invece di svelarne il contenuto, lo nascose dietro la schiena. «Prima, però, bisognerebbe spiegare la storia di questa casa.»

Ren sospirò e roteò gli occhi, esasperato, ma Dakota sembrò di tutt’altro avviso. «Lo faccio io! Lo faccio io!»

«Accomodati.»

«Che storia? Mi avevi assicurato che era solo una casa abbandonata!» Il tono accusatorio di Alex era del tutto voluto.

«E infatti non ti ho mentito. È abbandonata.»

«Sssh! Zitte che incomincio!» le rimbeccò Dakota.

Nonostante la reazione annoiata di Ren e dei suoi tirapiedi, gli altri si avvicinarono curiosi, pronti a sentire quel racconto, seppur biascicato.

Dakota chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, come se dovesse preparare se stessa all’interpretazione di un ruolo. Quando li riaprì, scoccò uno sguardo intenso ai presenti, mentre una nota greve e maliziosa le illuminava il viso. Si schiarì la voce e incominciò a narrare.

 

Molti anni fa, l’istituto privato di Mrs. Pennington era uno dei più rinomati della zona.

La giovane donna, rimasta prematuramente vedova e senza figli, aveva deciso di allestire nella casa ereditata dal marito un posto dove i giovani rampolli delle famiglie abbienti potessero ricevere un’istruzione adeguata senza attraversare il Paese. Lei stessa si occupava di accudire e istruire i bambini che le venivano affidati con le migliori cure possibili, aiutata da una governante e due cameriere.

Tutti in città l’adoravano per il suo cuore gentile e caritatevole e infatti nessuno si meravigliò quando decise di adottare due gemelli, rimasti da poco orfani, per impedire che venissero separati.

Nonostante fosse sola ad occuparsi interamente della gestione della casa, la vita sembrava trascorrere tranquilla in queste mura e ai bambini non mancava nulla.

Fino a quel tragico incidente.

Tutto incominciò una notte di fine estate particolarmente fredda e inquieta.

La tempesta persisteva ormai da ore e nessun’anima con un po' di autoconservazione avrebbe sfidato quel tempo ostile per mettersi in cammino, eccetto un vagabondo deciso a competere con la sorte. Tuttavia comprese ben presto il suo errore e si fermò sulla soglia della villa in cerca di riparo.

Mrs. Pennington accolse immediatamente l’uomo, stanco e provato per il viaggio e lo invitò a restare finché il tempo non si fosse rasserenato.

L’uomo accettò con gratitudine tale generosità, ma il suo sguardo si fece diffidente quando scorse i bambini che lo osservavano dalle scale.

La notte passò tranquilla, nonostante il rombo e i fischi della tempesta. Il mattino seguente, quando Mrs. Pennington andò a cercarlo per portargli la colazione, lo vide all’opera nel sistemare alcuni tavoli traballanti e fu così che, grata e consapevole che un aiuto maschile non sarebbe guastato, gli propose di rimanere ancora per un po' in cambio del suo lavoro manuale.

Dopo un attimo di esitazione, l’uomo accettò.

Il suo nome era Thomas Gallivan.

L’ospitalità si protrasse per molto tempo. Il signor Gallivan compiva i lavori manuali più faticosi, rimettendo in sesto la casa e dando un valido aiuto a Mrs. Pennington nella gestione generale. Persino i bambini, a poco a poco, lo presero in simpatia.

Ma quell’idilliaco quadretto era destinato a una fine orribile.

Durante una notte, infatti, qualcosa scattò nell’uomo. Viveva nella casetta al margine nel bosco, dove vi erano tenuti gli arnesi da lavoro e i fucili da caccia. Non gli fu difficile prenderne uno e dirigersi verso la villa. Il personale di servizio era stato congedato, per cui in casa non vi erano rimasti altri che la donna e i bambini.

Incominciò proprio da loro.

Si diresse indisturbato nel corridoio dove erano allestite le camere dei ragazzi. Aprì quelle porte l’una dietro l’altra, avvicinandosi ai letti dei bambini addormentati per poi prendere la mira con il fucile.

Non fecero in tempo a reagire.

Non un sussulto.

Non un grido.

Morirono sul colpo mentre dormivano tra le braccia di Morfeo.

Mrs. Pennington accorse nell’udire gli spari e quando si ritrovò davanti a quel macabro scenario impazzì e si lanciò contro l’uomo. Le sparò a una spalla. Il colpo fu abbastanza forte da immobilizzarla, ma non altrettanto grave da ucciderla sul colpo.

Le urla della signora si protrassero nell’aria, attirando l’attenzione dei vicini.

Dopo che il signor Gallivan ebbe finito il suo lavoro, scappò in giardino e quando i soccorritori arrivarono sulla scena del crimine, lo trovarono impiccato a un ramo del melo, dove poco tempo prima aveva costruito un’altalena per i bambini.

I presenti, già inorriditi, rimasero pietrificati nel vedere il granguignolesco spettacolo che si manifestò sotto i loro occhi quando entrarono nella villa.

Tentarono invano di salvare la donna, ma prima di perire, afferrò per il bavero della giacca l’ufficiale e mormorò: «Mi dispiace.»

Da allora, la famiglia e gli eredi dei Pennington si rifiutano di vivere nella villa, ma per qualche strano motivo è ancora funzionale, come se Mrs. Pennington e i suoi bambini fossero ancora tra le sue mura.

Secondo alcune testimonianze, diversi curiosi avrebbero udito voci e passi di bambini nelle stanze della dimora e persino alcuni accordi del pianoforte nell’aula di musica. Che siano dichiarazioni reali?

Ciò che ancora rimane un mistero, è il motivo del folle gesto del signor Gallivan; un gesto così disumano da averlo spedito nelle fiamme dell’Inferno.

 

 

Alex rimase in silenzio per tutto il tempo della narrazione, ascoltando distrattamente la voce impastata della ragazza mentre il suo sguardo era focalizzato sul vuoto davanti a lei. Man mano che quel flusso costante di parole la investiva, ondate gelide si riversavano sul suo umore, soffocandolo in una morsa di disagio. Quando Dakota terminò e fece un profondo inchino mentre gli altri l’applaudivano, lei non si prodigò a imitarli. Era troppo occupata a ragionare su ciò che stava accadendo in quel momento. Da una parte, era arrabbiata con Emily per averle mentito riguardo a tutta quella faccenda e dall’altra si chiedeva dove volesse andare a parare con quella farsa.

Inutile dire che con tutti i film horror che aveva visto nella sua breve vita, la conclusione era una sola.

Quando Dakota ritornò a coccolare la bottiglia, l’attenzione di Alex era concentrata esclusivamente sull’amica.

«Fammi indovinare. Video per emulare i cacciatori di fantasmi utilizzando qualche trucco per renderlo più figo prima di postarlo sul tuo blog o seduta spiritica?»

Emily si strinse nelle spalle, cercando di mantenere un certo contegno. Doveva aver colto il suo tono accusatorio. «Direi più la seconda.»

Le pupille di Alex si strinsero in due fessure.

«Una seduta spiritica? Durante Samhain?» Il tono di Keiran perse la sua naturale vivacità per spegnersi nella preoccupazione. Allora non era così stupido come sembrava.

Mark e John lo presero in giro per quell’esitazione, ma lui si difese affermando di provenire da una famiglia molto superstiziosa. Pensando che anche Ren avrebbe colto l’occasione di punzecchiarlo, si voltò verso di lui, ma Alex rimase stupita nel vederlo pensoso. Sembrava contemplare quella proposta, forse un po' troppo seriamente per trattarsi di un semplice gioco di cattivo gusto. Dopo qualche momento, posò un braccio sopra lo schienale del divano.

«Perché no? Potrebbe risultare interessante.»

«Lo so che vuoi approfittarne per fare il coglione!» esclamò Dakota, dandogli un colpo sul petto. Lui per tutta risposta si chino verso il suo collo, mordicchiandolo e sussurrandole qualcosa che la fece scoppiare a ridere.

«Io ci sto» mormorò Gregory. «Dopotutto è solo un gioco.»

In un altro momento, Alex avrebbe fulminato l’amico con un’occhiataccia per essere così accondiscendente nei confronti di Emily, ma poi si accorse del lieve tremore delle sue mani. Era appena percettibile e lo nascondeva tenendole dentro le tasche dei jeans, eppure il suo nervosismo era palese.

Mark e John accettarono di parteciparvi senza indugio e anche Leyla, dopo qualche incertezza, diede il suo consenso a un gioco così “stupido e infantile”. Sarah però si unì a Keiran, decretando che preferiva limitarsi a osservare.

Quando tutta l’attenzione si concentrò su di lei in attesa di una risposta, Alex si sentì a disagio.

«Alex?» le chiese speranzosa Emily.

«No!» Il suo tono duro sorprese persino lei.

«Cos’è? Non avrai mica paura? Tu sei già un freak… O hai paura della concorrenza?» la denigrò Leyla.

«Come se dovessi tener conto a una che non riesce nemmeno a tenersi addosso un paio di mutande.»

Accadde tutto rapidamente.

Leyla, nonostante fosse visibilmente brilla, scattò in piedi con una velocità impressionante e le si lanciò contro con gli artigli sguainati. E l’avrebbe raggiunta, se Ren non l’avesse afferrata per la vita, costringendola a sedersi nuovamente e a calmarsi. Alex non rimase abbastanza da verificarlo.

Si alzò e si diresse a grandi passi fuori dalla stanza, sotto gli sguardi dubbiosi e di scherno degli altri. Come se qualcuno là dentro avesse abbastanza sale in zucca da capirla.

Paura? Lei?

Stava per arrivare all’entrata quando qualcuno l’afferrò per un braccio, puntando i piedi sul vecchio tappeto per fermarla.

«Alex, ti prego. Calmati.»

Non potendo resistere alla voce dispiaciuta di Emily, si fermò. Sapeva che era un errore. Avrebbe dovuto raggiungere la cucina e uscire da quella casa prima di fare qualcosa di molto stupido, ma doveva concederle almeno la possibilità di spiegarsi prima di fuggire.

«Io… Volevo solo che tutti si divertissero.»

Si voltò. «Emily, non sono arrabbiata per quello.»

«No?» Una nota speranzosa illuminò gli occhi verdi dell’amica.

«No. Sono arrabbiata perché per tutto questo tempo mi hai mentito. Ti avevo detto che ero contro la profanazione di case dove si è effettivamente tenuto un omicidio e tu lo sapevi. Figuriamoci una seduta spiritica!»

Oh, no. Gli occhi da cucciolo no.

«Io… io pensavo che ti sarebbe piaciuto comunque. So che non ti senti a tuo agio con gli altri, per cui volevo trovare qualcosa in grado di coinvolgerti con il resto del gruppo e il fatto che si siano unite altre persone ha fatto sì che… Beh, ormai non volevo rovinare tutto.»

Ecco, ora si sentiva una merda.

Sospirò. «Emily, solo perché mi piacciono gli horror non vuol dire che apprezzi questa roba. Lo sai che non credo ai fantasmi e simili, ma è comunque di pessimo gusto. Sono morte delle persone.»

«E da quando t’importa qualcosa degli altri?»

Bella domanda.

No, non le importava nulla dei morti e dei loro spiriti erranti. Il problema era ben più complesso. Oscuro.

«Lascia perdere.» Scosse il capo.

«Alex, se non vuoi, ok. Capisco. Ma almeno puoi rimanere con me fino alla fine? Ti prego.»

Ormai l’una di fronte all’altra con le mani congiunte, Alex studiò per un attimo il volto dell’amica. Era sinceramente dispiaciuta, questo lo vedeva benissimo, eppure era restia ad accontentarla. Purtroppo c’era qualcos’altro che la frenava. Sapeva che, se fosse tornata a casa prima di mezzanotte, sua madre l’avrebbe ripresa fino all’esaurimento. Quindi cos’era peggio? Una stanza piena di ragazzi intenti a evocare fantasmi o una madre logorroica?

Fece un respiro profondo, avvertendo il naso pizzicarle a causa dell’aria avvizzita e polverosa.

«Ok, resto. Ma…» Il balletto della vittoria di Emily s’interruppe bruscamente. «In cambio dovrai… fornirmi il doppio del mio peso in cibo.»

«Ma non ho tutti quei soldi! E poi come faresti a mangiarlo tutto?»

«Oh, di questo non preoccuparti. Sono sicura che troverai una soluzione. Dopotutto… i Lannister pagano sempre i loro debiti³, no, Emily?»

«Argh! Sei peggio di Cersei!» sentenziò lei esasperata, afferrandole una mano per poi trascinarla verso il salotto.

Alex trattenne a stento una risata, quando un lieve movimento accanto a loro la fece voltare verso il corridoio deserto. Uno spiffero, forse? Non fece tempo a indagare, dato che ormai Emily era partita in quarta, facendola ricredere della sua decisione.

Sperava solo di non pentirsene amaramente.

 

 

 

¹ Conosciuto meglio come Freddy Krueger, protagonista della saga horror Nightmare.

² Giovane artista squattrinato, protagonista del film Titanic.

³ Uno dei motti più famosi con cui è conosciuta la famiglia Lannister, presente nel fantasy Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George Martin.

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: AlenGarou