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Autore: _NimRod_    06/11/2016    3 recensioni
In piedi nello stretto corridoio centrale del treno, il ragazzo guardò il sedile accanto a sé. La tizia con il taglio alla Semola e gli anfibi si esaminava le unghie smaltate di rosso scuro. Era quasi certo ci fosse un girone speciale dell’Inferno riservato unicamente a coloro che nell’ora di punta occupavano la seduta di fianco alla propria con giacca e borsa, costretti per l’eternità a rimanere scalzi, in piedi su braci ardenti, impossibilitati a sedersi per via delle giacche e delle borse inamovibili che ricoprivano ogni superficie rialzata del girone. Aveva un quarto d’ora scarso di treno davanti, era mattina presto e si moriva di caldo: non aveva per niente voglia di mettersi a sindacare e probabilmente dover discutere per uno stupido sedile per una questione di principio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Prologo

 

Ottocentomila gradi.

Un forno crematorio per viventi.

Frugò sotto la sciarpa di lana nel tentativo disperato di individuare la piccola linguetta metallica della zip: appena la trovò, la strinse tra l’indice e il pollice e la fece scorrere velocemente verso il basso, aprendo il proprio parka verde militare. La t-shirt sotto la felpa era già umida di sudore e la giornata era solo all’inizio.

Non cambiò assolutamente nulla, il caldo era ancora soffocante.

In piedi nello stretto corridoio centrale del treno, il ragazzo guardò il sedile accanto a sé. La tizia con il taglio alla Semola e gli anfibi si esaminava le unghie smaltate di rosso scuro. Era quasi certo ci fosse un girone speciale dell’Inferno riservato unicamente a coloro che nell’ora di punta occupavano la seduta di fianco alla propria con giacca e borsa, costretti per l’eternità a rimanere scalzi, in piedi su braci ardenti, impossibilitati a sedersi per via delle giacche e delle borse inamovibili che ricoprivano ogni superficie rialzata del girone. Aveva un quarto d’ora scarso di treno davanti, era mattina presto e si moriva di caldo: non aveva per niente voglia di mettersi a sindacare e probabilmente dover discutere per uno stupido sedile per una questione di principio.

Sospirò rassegnato e scrutò fuori dal finestrino.

Campi e nebbia, cielo grigio e qualche casa di campagna di tanto in tanto. Nulla che potesse sollevargli il morale nella Pianura Padana autunnale. Si infilò la mano nella tasca del parka facendo attenzione a non urtare con il gomito la signora in piedi incolonnata accanto a lui ed estrasse il cellulare. Nella chat di gruppo degli amici con i quali si trovava una sera a settimana per giocare a Pathfinder stavano come ogni mattina fioccando le immagini politicamente scorrette che lui stesso, spesse volte contro la propria volontà, trovava esilaranti. Aveva un debole per il black humour.

Il treno si fermò in stazione. Altro girone per l’Inferno per coloro che si piazzano davanti alla porta del treno e fissano quelli che stanno tentando di scendere senza spostarsi per lasciarli passare. Non aveva ancora pensato a un contrappasso adatto per loro.

Una ventina di minuti di autobus e arrivò al Dipartimento. Il ragazzo costeggiò il giardinetto del piccolo cortile interno e si avvicinò a Luca, che come quasi ogni mattina stava fumando accanto alla porta in legno con il maniglione a spinta che portava alla stanza con le macchinette. Si salutarono con un cenno del mento e anche Valerio si accese una sigaretta, la terza della giornata ma la prima che potesse godersi fino in fondo: entrambe le precedenti erano state buttate a metà per l’arrivo prima del treno e poi dell’autobus.

Luca aveva ancora gli occhi arrossati per via dell’aria fredda presa in pieno volto durante pedalata lunga il paio di chilometri che separava la sua casa dal Dipartimento: la mattina, per andare a lezione, impiegava dieci minuti contro i quarantacinque di Valerio. Eppure riusciva spesso ad arrivare in ritardo.

“Hai già preso il caffè?” chiese Valerio picchiettando la sigaretta con l’indice per fare cadere la cenere a terra.

“Aspettavo te.”

“Oggi sta a me offrire. Giò è già dalle macchinette?”

“Ovvio, ci sta provando con la tipa del terzo”, rispose Luca sottintendendo terzo anno. Valerio scosse la testa con un sorriso. Giovanni era lo stereotipo vivente dello studente fuorisede meridionale che ci provava con tutte. A Valerio era simpatico mentre Luca, l’Avatar del Cinismo, lo tollerava solo a piccole dosi. Non che Giò fosse particolarmente bello, ma l’occhio azzurro e la parlantina spigliata gli davano qualche bonus aggiuntivo.

Luca spense la sigaretta nel posacenere accanto alla porta e Valerio fece gli ultimi tiri, buttandola anche lui sulla griglia metallica apposita.

Nel piccolo spazio adibito a zona ristoro il leggero brusio del chiacchiericcio di una quindicina di universitari assonnati faceva da sottofondo: solo la voce di Giovanni, dall’inconfondibile accento, svettava sopra il mormorio. La sua preda dell’ultimo anno era senza dubbio una bellissima ragazza, alta, snella, mora: stava perfino trovando divertente un aneddoto che riguardava il cane di Giovanni e la sua sorellina minore, ridendo mentre mescolava il caffè con il bastoncino di plastica. Era ammirevole come Giovanni si riferisse sempre e comunque al proprio luogo di origine con la denominazione giù da me in Terronia.

“Ciao, Vale!” gli sorrise Giò appena lo vide, interrompendo per un istante il proprio racconto e sistemandosi le frange della sciarpa nello scollo del cappotto.

“Ciao, Giò. Ci sei da Grisendi o tiri di nuovo il pacco?” Valerio si avvicinò alla macchinetta e inserì una moneta da un Euro nella fessura.

“Ci sono, ci sono. Tenetemi il posto.”

“Ci starà pensando l’altro Vale”, disse Valerio spostandosi di lato per permettere a Luca di selezionare le preferenze per il proprio caffè. La macchinetta iniziò a fare i soliti rumori inquietanti e dopo il bip che indicava che la bevanda era pronta, Luca sollevò lo sportellino di plastica trasparente e prelevò il bicchierino.

Loro tre insieme a due altri ragazzi avevano formato un bel gruppetto affiatato fin dai primi giorni di lezione: al Dipartimento di Lingue la controparte femminile era in stragrande superiorità numerica e l’aggregamento tra maschi era stato inevitabile e naturale. Il Dipartimento era distaccato sia dalla sede centrale di Lettere e Filosofia della quale faceva parte, sia dal Campus dove erano raggruppate le Facoltà scientifiche. Loro di Lingue erano un po’ dei secessionisti, isolati in quello che non si era ancora capito se un tempo fosse stato un vecchio convento oppure un deposito per carrozze: la struttura era rettangolare e seguiva il perimetro del cortile interno provvisto di giardino e panchine. Gli studenti erano davvero pochi, loro del primo anno raggiungevano la sessantina scarsa: per qualche incomprensibile motivo avevano comunque dovuto sostenere la prova di ingresso, i posti disponibili erano ottanta e avevano dunque avuto la certezza matematica di essere tutti ammessi. Nonostante la totale inutilità della faccenda, Valerio aveva avuto la soddisfazione personale di arrivare ottavo nella graduatoria del punteggio.

Il caffè era gramo come al solito, ma era indispensabile per riuscire a seguire la soporifera ora e quarantacinque di lezione di Grisendi. Valerio buttò il bicchierino vuoto nel bidone ed estrasse il cellulare dalla tasca della giacca, premendo il pulsante laterale per visualizzare l’orario.

“Andiamo in aula?”

Luca annuì e si diressero entrambi lungo lo stretto corridoio che portava all’Aula Magna, che con tutta probabilità aveva la dimensioni di un’aula normale in una Facoltà di dimensioni standard. Si sedettero nella fila poco più indietro di quella a metà distanza dalla cattedra, per poter avere un margine di cazzeggio ma non essere etichettati come fancazzisti totali. Stranamente non c’era traccia di Tino che di solito si piazzava in aula da solo e restava con il capo chino sul proprio Kindle finché qualcuno non si sedeva accanto a lui. Luca tolse la propria borsa dalla sedia non appena Paolo fece capolino dalla porta dell’aula e gli lasciò il posto.

“Tutto bene?” chiese sfilandosi il chiodo e mettendo in mostra la linguaccia dei Rolling Stones impressa sulla felpa nera. Luca si strinse nelle spalle e Valerio rispose affermativamente. Paolo si sfilò anche lo scaldacollo nero e si legò i capelli biondi e ricci in una mezza coda – mezzo chignon. Giò arrivò scivolando elegantemente in aula, stretto nel proprio cappotto blu scuro e si sedette accanto a Paolo, dandogli una pacca sulla spalla.

Tutti gli studenti si erano ormai seduti e di Tino non c’era ancora traccia. Valerio continuava a tenere occupata la sedia accanto alla propria con il parka. Il posto alla sua destra era stato di Valentino fin dall’inizio, sul ripiano c’era ancora la caricatura straordinariamente somigliante a Grisendi che aveva fatto il primo giorno e per la quale avevano riso di nascosto per tutta la lezione. Se il prof di linguistica non fosse stato così tanto simile a un bradipo e se Tino non fosse stato così scemo, con tutta probabilità Valerio non gli avrebbe rivolto la parola. Meglio di così non sarebbe potuta andare, dato che Tino era quello che gli stava più simpatico di tutto il loro piccolo gruppo. Era anche l’unico che non viveva in città e finite le lezioni prendeva il bus insieme a Valerio per ritornare in stazione, benché poi prendessero treni con direzione opposta. Tuttavia al mattino Valentino era il primo di loro ad arrivare in Dipartimento, costretto a prendere un treno che partiva prestissimo per non arrivare in ritardo.

Valerio prese il proprio cellulare e non avendo ancora avuto il coraggio di chiedere a Tino il numero di cellulare, aprì la chat privata di Facebook e scrisse un messaggio indirizzato a Valentino.

Ciao Tino oggi non vieni?

La scritta in cima alla chat vuota segnalava che era online. I tre puntini nella nuvoletta indicavano che stava digitando una risposta. All’improvviso sparirono, poi più nulla.
 


NdA

Ho voluto provare a buttare giù qualcosa che avevo in mente da qualche tempo: un qualcosa che fosse in contesto italiano, come stile dei dialoghi e ambientazione. Una sorta di "esercizio di stile" per mettermi alla prova. E voglio vedere come riuscirò a gestire certe tematiche essendo inserita nel contesto culturale di riferimento.
Un bel cambiamento, per me. Moltissimi dettagli in questo breve capitolo di presentazione sono fortemente autobiografici, quindi non sono inseriti con intenti offensivi, tutt'altro. Avendole vissute sulla mia pelle e attraverso i miei occhi, in situazioni amichevoli trovo sia anche piacevole scherzare su certi luoghi comuni.
Spero che la similitudine tra i nomi Valerio e Valentino non sia motivo di confusione, perché è a tutti gli effetti una somiglianza voluta.
Questo è un piccolo antipasto.

A presto!

   
 
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