Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    06/11/2016    0 recensioni
!!!*ATTENZIONE!* STORIA RISCRITTA E RIPUBBLICATA SU QUESTO PROFILO. NON LEGGETE QUESTA!! LEGGETE LA NUOVA VERSIONE!! (QUESTA VERSIONE è DATATA ED è QUI SOLO PER RICORDO)
Anno 2016. Shizuka Higashikata, la bambina invisibile, è cresciuta e vive una vita tranquilla con i suoi genitori Josuke e Okuyasu nella cittadina di Morioh, e nulla sembra poter andare storto nella sua monotona e quasi noiosa esistenza. Ma quattro anni dopo la sconfitta di Padre Pucci un nuovo, antico pericolo torna a disturbare la quiete della stirpe dei Joestar e dell'intero mondo, portandoli all'altro capo della Terra, nella sperduta cittadina italiana di La Bassa. Tra vecchie conoscenze e nuovi alleati, toccherà proprio a Shizuka debellare la minaccia che incombe sull'umanità. O almeno così crede.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Una grande pianura e l’orizzonte piatto diedero un freddo benvenuto a Shizuka.
Il cielo era grigio e uniforme sopra di lei, una cupola monocromatica infrangibile, irraggiungibile. Il granoturco le solleticava le caviglie mentre avanzava a fatica nel mare giallo davanti a sé. Si trovava in un enorme campo di grano maturo, le spighe che danzavano nel placido vento di fine primavera. In cielo, gli uccelli la deridevano.
Un falco dalle piume oscure come la pece e lo sguardo rosso la fulminò, tornando a volteggiare nelle onde ventose sopra le nuvole.
Shizuka si sentiva atterrita dal loro vorticare nell’aria. Quanto avrebbe dato per essere lì con loro… si voltò intorno non c’era nulla: la luce del sole era calda, l’astro risplendeva di un arancio e rosso di fuoco puro alto nel cielo, minacciosa unica fonte di calore. Seguì il sole e le ombre che le lanciava attorno, sul campo di grano, giallo e ocra che placidamente si abbassava e si alzava con la brezza.
La guidò verso un’alta scogliera a strapiombo sul campo di grano. Era alto e di una roccia scura e acuminata, pericoloso anche solo alla vista.
Shizuka rimase a guardarla stordita dal basso della pianura dove si trovava, e ne ebbe una strana paura, recondita, a cui non riusciva a trovare nessun senso. Fece per tirarsi indietro, ma il suo piede nudo affondò nella polvere. Sentì qualcosa scricchiolava e si sgretolava sotto al suo tallone.
Abbassò lo sguardo e osservò bene l’ammasso a terra: i resti di ciò che doveva essere una splendida creatura alata, ora ridotto a poco più che poltiglia di polvere e cenere sulla roccia arrossata e incrostata di sangue. Lo fissò stregata e si chinò su esso. Prese delicatamente una grossa piuma tra le sue dita, più grande del suo palmo, le setole morbide e macchie nere di fuliggine a coprirne lo splendido colore aureo.
Shizuka ne rimase turbata. Passò le dita sulla piuma e tornò del suo colore originario, di un oro tanto puro e lucido da brillare nelle sue mani nere di cenere.
Ne prese un’altra, la pulì allo stesso modo e le infilò nei polsini. Una piuma ad ogni polso. Si passò le dita nere sulle guance e le fece scorrere fino alla mandibola, due linee di guerra sul suo viso. Con un ginocchio a terra, ora guerriera, ora valorosa, si mise ad osservare tutto attorno ai piedi ripidi della scogliera.
C’erano altri resti. I più vicini erano uno dalle enormi penne castane e una pozza di sangue ancora caldo sulla roccia sottostante. Risplendeva alla luce, le piume marroni che brillavano di un rosso vivido. Di fianco, resti di piume scure, anonime, che non attirarono troppo l’attenzione di Shizuka. Piume blu, rosse, nere, argentate, ocra, un arcobaleno di morte e di passato attorno a lei.
Si sentiva pronta ad imparare a volare, ora. Non era sola.
Erano tutti caduti dal dirupo, dopo aver spiccato il volo o forse ancora prima di farlo. Lacrime erano state versate sopra i resti di quelle creature che avevano dovuto volare alto, più alto del cielo.
Shizuka fece per alzarsi, ma qualcosa attrasse la sua attenzione. Tra la cenere nera baluginava una scintilla di speranza. Lo prese tra le dita: era un ciondolo a forma di freccia, e puntava verso l’alto.
Puntava verso l’alto, verso il cielo. Verso il precipizio.
Shizuka voleva volare.
Gli speroni di roccia erano appuntiti, le ferivano e tagliavano le dita mentre tentava di aggrapparsi e salire, ma quelle piume ai suoi polsi la facevano sentire leggera, capace di tutto. E la freccia puntava verso l’alto.
Dopo una scalata che le sembrò troppo lunga e allo stesso tempo troppo rapida, arrivò alla vetta. Era come una montagna con la punta tagliata di netto, una piattaforma di lancio sopra l’abisso. Un lungo corridoio che la spingeva dentro l’abisso o dentro al cielo.
Tutti volavano.
Ombre colorate nelle nuvole, ed era sicura che fossero facce familiari. Ma era tutto così confuso…
Non aveva il coraggio di avvicinarsi al bordo del precipizio. Era alto, tremendamente alto, a strapiombo sulla roccia, sulla morte, e su tutti quei resti di ali. Avrebbe fatto la loro stessa fine, ne era certa.
Tentò di strisciare un piede a terra per avvicinarsi allo strapiombo, ma fece solo una grande fatica, e lo strisciare di ferro sulla roccia. Una palla di ferro era appesa alla sua caviglia, la pelle arrossata e sanguinante sotto il metallo che le stringeva il piede. C’era sempre stata?
Mentre tentava di strapparsi la manetta dalla gamba, udì delle voci familiari dietro di sé. Era un grande serpente piumato a due teste, una ferita sanguinante tra i due lunghi colli che si propendevano verso di lei.
La testa ricoperta di corte e spettinate piume scure e di una grossa corona rossa sulla testa le si avvicinò minacciosa, sfoderando i grossi denti colanti di veleno, gli occhi di ghiaccio che si stavano lentamente sciogliendo sotto il cocente sole sopra di loro. La testa di cobra aprì il grosso cappuccio, ornato di viola e di rosa e di colori velenosi che fecero rabbrividire Shizuka. –Torna indietro!- le gridava, la sua voce tremendamente cattiva solcata da continui singhiozzi. –Torna nella gabbia, torna nel grano!-
Shizuka abbassò ulteriormente la testa a quel serpente coronato, come sempre. Non poteva sfuggirgli, non poteva volare.
-Vola!- sussurrò l’altra testa. I grandi occhi scuri come il cielo stellato la fissarono, dentro di essi le stelle e i pianeti si muovevano in ordine. Avvicinò la sua testa più piccola e arrotondata a Shizuka, le lunghe piume argentate che danzavano nella brezza. –Puoi farlo…- diceva, un sussurro nel vento che man mano stava diventando sempre più freddo.
La sua voce si stagliava bassa e timida sotto quella del grosso cobra, che sputava veleno e gridava disperato, ma fu sufficiente a farla sentire leggera e viva. La catena si era corrosa al suo piede, e poté finalmente allontanarsi dai serpenti, il sangue che colava tra i due colli sempre più distanti.
Ora poteva andare.
Shizuka prese la rincorsa e iniziò a correre, ma a pochi metri dalla fine del precipizio si fermò. Rimase in piedi sull’orlo, in bilico, a osservare il vuoto sotto di lei. Non doveva farlo, non doveva volare. Fece un passo indietro e andò a sbattere contro qualcuno dietro di sé. Le appoggiò le mani sulle spalle e si piegò su di lei.
Non poteva vederlo, ma riusciva a scorgere una grande luce dorata alle proprie spalle.
-Cosa stai facendo?- le sussurrò, con un tono così calmo da farla rabbrividire. Shizuka non riuscì a parlare. Negò timidamente, abbassando lo sguardo.
-Tu vuoi volare, no?-
Shizuka annuì.
-Non avere paura. Io sarò con te. Per sempre.-
Le sue dita pallide sfiorarono le piume al polsino di Shizuka, dello stesso oro della luce emanata dalla figura eterea alle sue spalle. –Vedi? Sono con te. Sono sempre con te.-
Shizuka si sentì rincuorata e spaventata, e annuì ancora una volta, incerta.
Le mani fecero pressione sulle sue spalle e tutto ad un tratto la spinsero giù, nel burrone.
-Apri le braccia e vola, e io sarò lì con te.-
Shizuka chiuse gli occhi e non poté fare altro che lasciarsi sferzare dai venti mentre inciampava e cadeva nell’abisso.
Aprì le braccia e gridò, senza che nessuna voce uscisse dalle sue labbra.
E, tutto ad un tratto, si sentì leggera.
Aprì gli occhi e fissò la propria ombra sopra le nuvole, che sfrecciava sopra la pianura, sopra i due serpenti, sopra i resti di piume colorate.
Intravide il cobra azzannare il collo argentato dell’altro serpente, che rimaneva ad osservarla con gli occhi lucidi mentre la sua gola veniva aperta, l’universo che orbitava attorno alla sua pupilla, il mondo che si chiudeva sopra di lui.
Sentiva freddo, ma la sensazione di caldo e di luce alle sue spalle rimaneva. Poteva fare qualsiasi cosa, poteva vedere gli altri volare assieme a lei, e finalmente era parte di un qualcosa, finalmente Shizuka aveva un senso, un posto al mondo.
 
Quando aprì gli occhi, però, tutto ciò che vide fu il buio. Si ritrovò distesa nel proprio letto, sudata fradicia sotto le coperte sgualcite dal muoversi nel sonno, a fissare il soffitto spoglio della camera d’albergo in cui alloggiava coi suoi genitori.
Si mise lentamente a sedere e si ravvivò i capelli spettinati, guardandosi intorno. I suoi genitori dormivano ancora, schiena contro schiena, illuminati appena dalla fioca luce dell’abatjour sul comodino dalla parte di suo padre Josuke, rannicchiato in un angolo, chiuso nelle sue grosse spalle, faccia rivolta al muro.
Non sa perché ma Shizuka si ritrovò ad osservarlo curiosamente, quel poco che riusciva a vederlo. Sviò lo sguardo e si alzò in piedi, barcollante e incerta, un pensiero sul fondo della mente che continuava a batterle forte dentro e a spingerla verso il proprio comodino, a svegliarsi e a camminare per la stanza alle tre di notte. Inforcò i propri occhiali da vista e si mise a cercare, nel buio della stanza, una certa valigia. Non usava spesso gli occhiali da vista, preferiva di gran lunga indossare le miriadi di occhiali da sole graduati piuttosto che quei vecchi occhiali con fine montatura di metallo, comprati anni prima per far felice un oculista pignolo. Shizuka non sentiva di averne bisogno, anche se quasi tutto sembrava sfocato. La imbarazzavano, e non voleva metterli. Ma al momento erano necessari.
Si inginocchiò davanti alla grossa valigia magenta di Josuke e iniziò a frugare tra i capi colorati, trovando una grossa scatola di velluto nero. Il portagioie in cui erano custoditi tutti gli orecchini, bracciali e bigiotterie varie dell’intera famiglia.
La verità era che appartenevano quasi tutti a Josuke.
Ci frugò dentro, senza sapere bene cosa stesse cercando, alla ricerca di qualche appiglio per quell’assurdo sogno che, tuttavia, le pareva così reale, così vicino…
Con orrore, le sue dita toccarono uno strano, grosso ciondolo metallico. Alzò la mano e fece penzolare il grosso ciondolo a forma di freccia tra le sue dita.
Non apparteneva a Josuke, né tantomeno a Okuyasu. E Shizuka non l’aveva mai, mai visto, se non in quel sogno.
La freccia, però, puntava verso il basso.
Deglutì con forza e si rialzò in piedi, rimanendo ad osservare la freccia. Era un segno, non poteva essere un caso…
Si guardò intorno, tutti ancora dormivano. Se voleva davvero raggiungere i ragazzi della Banda, doveva scappare, e quella sera.
Aprì la propria valigia e prese i vestiti sportivi che si era portata, nel caso che avesse avuto un’occasione per splendere e agire, avere la propria avventura anche lei.
Maglietta e pantaloncini del suo colore preferito, lilla, le sue solite converse al ginocchio e la sciarpa di suo nonno, che trasmetteva le poche Onde Concentriche che riusciva a emanare.
Rimise tutto ciò che lei aveva nella piccola valigia e strinse la maniglia nel pugno, con ansia. Stava davvero scappando? Stava davvero per affrontare il proprio destino?
Si mise i propri grossi occhiali da sole neri e si incamminò alla porta della camera d’albergo, sicura di potercela fare.
Controllò un’ultima volta l’indirizzo che si era segnata quel giorno, via della Zucca 91, Ronco, periferia di La Bassa continuava a ripetere a bassa voce.
-Shizu?-
La voce che sentì le fece accapponare la pelle. Rimase immobile, in attesa.
-Shizu? Cosa.. cosa fai?-
Okuyasu si mise a sedere sul bordo del letto, osservandola con gli occhi sgranati. Si passò una mano sul viso e si scostò indietro tutte le lunghe ciocche nere e argento che ricadevano sui suoi occhi stanchi, lisciandoseli dietro alle spalle.
-Avevano detto che volevano me…- sussurrò Shizuka, in un impeto di disperazione. Era tutto rovinato. Alzò i grossi occhialoni e se li appoggiò sulla testa, prendendo a singhiozzare.
Okuyasu si alzò in piedi e la abbracciò con forza, cullandola tra le sue grosse e ancora intorpidite braccia.
-Volevi andartene?-
-Solo per un po’… volevo raggiungere il boss e.. e gli altri…- mugolò lei, affondando contro il suo petto, minuscola in confronto a lui.
Okuyasu rimase ad osservarla, senza alcuna risposta, lisciandole lentamente i capelli sotto le dita. Avrebbe dovuto lasciarla vivere, sapeva che era la cosa giusta. Ma Josuke…
Okuyasu prese un grosso respiro e gonfiò il petto, voltandosi timidamente ad osservare la schiena del marito. Non doveva temerlo, non era così che funzionava. O almeno, così sperò Okuyasu.
Aveva sempre sognato una vita senza grida, botte e punizioni, ma non ci aveva mai davvero creduto. Aveva sempre il timore che uno schiaffo fosse dietro l’angolo, che l’avrebbero ancora preso per i capelli e legato fuori di casa. Che gli spaccassero una bottiglia di alcolici in faccia, che lo rinchiudessero in un cassonetto nel centro di Tokyo, che lo picchiassero per così tanto tempo da perdere conoscenza. Di risvegliarsi in ospedale con una benda a coprirgli il viso per sempre sfigurato.
Scosse con forza la testa, quasi mettendosi a piangere. Non poteva permettere che tutto ciò si ripetesse, né a lui, né a sua figlia.
Doveva lasciarle vivere la sua avventura, come avevano fatto lui e Josuke, Jotaro, Joseph, e tutti in quella famiglia a cui, volente o nolente, anche Shizuka apparteneva.
-Shizu- disse infine, prendendole il viso con una mano e alzandole la testa, incontrando i suoi occhi lucidi e gonfi. –Sei la mia unica bambina, io ti voglio così tanto bene…-
Gli occhi di lei si riempirono di nuovo di lacrime, aspettandosi già il peggio. Okuyasu in quel momento notò che sua figlia pensava ben poco prima di agire, così si sbrigò a finire la frase. -…e ho paura per te, lo sai… ma… vai dalla Banda. So che sono bravi ragazzi.-
Shizuka lanciò un urletto e gli saltò al collo, aggrappandosi alle sue grosse spalle mentre rideva felice, felice come non mai.
Okuyasu, con un sorriso tirato sulle labbra sottili, l’abbracciò a sua volta, posandola delicatamente a terra. Prese le sue pallide mani tra le proprie e le strinse, guardandola intensamente negli occhi, importandosi ben poco dei capelli che gli ricadevano davanti agli occhi appannati senza occhiali.
-Promettimi che tornerai da me. Da me e papà JoJo.-
Lei annuì continuando a sorridere, tenendogli le braccia con le mani tremanti dall’emozione.
Trattenendo le lacrime, le schioccò un veloce bacio sulla fronte e si rialzò ritto in piedi, rimanendo ad osservarla.
-Stai attenta, ti prego, se incontri un vampiro…-
-Pa’, non c’è più problema.- lei le sorrise, fin troppo sicura. Quel sorriso che gli ricordava qualcosa, qualcuno, un sorriso nuovo sul volto della figlia. Non seppe darsi risposta, ma qualcosa dentro di lui lo fece rassicurare.
Shizuka riprese in mano la valigia e gli diede le spalle, aprendo la porta e fermandosi sull’uscio. Si voltò e gli sorrise, la pura gioia negli occhi.
-Ti voglio bene, pa’!-
Okuyasu le sorrise con il cuore in gola e cercò di non scoppiare a piangere mentre lei si chiudeva la porta alle spalle, andandosene.
Sarebbe tornata, l’aveva promesso, no?
Si sedette sulla propria parte di letto e si passò le mani sulla fronte, tirandosi tutti indietro i capelli.
L’aveva fatta grossa, stavolta. Josuke non l’avrebbe mai, mai perdonato, e chissà cosa gli avrebbe fatto… Okuyasu non voleva pensare alle conseguenze della sua scelta, che ai propri occhi appariva giusta. Ma, come gli ripeteva sempre Josuke, se porti gli occhiali c’è un motivo.
Si coricò di nuovo, ma non riuscì ad addormentarsi. Si voltò verso Josuke, la sua schiena tanto grossa da coprire quasi interamente la luce dell’abatjour, lasciando Okuyasu nel buio dietro di lui.
Appoggiò la fronte alle sue scapole e rimase a occhi sgranati, piangendo silenziosamente, quasi a chiedere perdono, perdono per averla lasciata andare, per non essere stato un bravo padre, e per invece sentirsi nel cuore di aver fatto la scelta giusta.
 
Divenne invisibile per non attrarre troppe attenzioni. Quando l’ascensore si aprì e nessuno uscì dalle porte d’acciaio, il portinaio rimase stupefatto. Si avvicinò all’ascensore e rimase ad osservarlo, incredulo, non accorgendosi di Shizuka che gli passava vicino, apriva la porta antincendio dell’hotel, e se ne andava.
Guardò davanti a sé e tutto ciò che vide, prima di tutto, fu buio. I lampioni erano accecanti in confronto al buio del cielo. Nero pesto, ricoperto da piccole, quasi invisibile stelle. C’era un passaggio pedonale e ciclabile, che percorreva la lunga strada che portava verso La Bassa. Se ricordava bene, Ronco era in periferia della città di campagna. Non sarebbe stato difficile trovarlo, La Bassa non sembrava così grossa. Da quanto aveva visto, era poco più che un grosso paese.
Si fece coraggio e si incamminò per la strada, completamente invisibile. Nessuno l’avrebbe vista, anche se non c’era nessuno in giro. Le strade erano vuote, salvo qualche raro camion che faceva tremare il terreno che percorreva pigramente il grosso stradone alla sua sinistra.
Camminò fino a quando non vide oltre la balaustra di spesso acciaio incrostato il baluginare dell’acqua corrente. Era sul ponte che conduceva al Po, enorme e maestoso, così scuro da risucchiare qualsiasi luce sopra di esso.
Per qualche motivo, si sentì un brivido percorrerle la schiena. Quel fiume la spaventava. Aveva visto l’oceano Atlantico e quello Pacifico, ci aveva fatto il bagno addirittura nella spiaggia di Morioh, aveva sentito la sua forza contro, ma quel fiume era qualcosa di diverso. L’oceano era così vasto, ma la sua forza era nulla in confronto a quelle correnti che sembravano quasi calme. Non veniva nessun rumore da quel fiume. Era come una voragine sotto i suoi piedi, sotto alle ruote dei tir e delle poche automobili che osavano valicare quel ponte.
Cercò di non pensarci e accelerò il passo, non guardando mai oltre la balaustra verde. Appoggiò una mano sopra e sentì il metallo bagnato.
Quelle zone paludosi, aveva letto su wikipedia, erano perennemente umide. Non c’era da stupirsi se le incrostazioni erano tanto spesse.
Dovette fermarsi quando la zona ciclabile si fermò, lasciandola sull’orlo della grossa strada sul ponte.
Guardando avanti, vide la sponda opposta sotto ai propri piedi, e si lasciò scappare un sorriso. Stava arrivando, se lo sentiva.
Davanti a sé, un bivio. Alzò lo sguardo e notò il cartello che aveva visto la mattina prima: dritto per La Bassa, a sinistra per Pigugnara, Montichiara e… Ronco. Quel nome che la mattina non le aveva dato né caldo né freddo, ora la faceva sentire tanto emozionata da sentirsi il sangue battere nei timpani.
Prese l’incrocio, controllando che non arrivasse nessuna auto, e seguì la stretta curva quasi a gomito, accelerando il passo. Aveva percorso ben più di un chilometro su quel ponte, senza rendersene conto. I piedi le bruciavano, le ginocchia le cedevano, e sentiva il freddo roderle la pelle.
Alzò lo sguardo, un altro cartello le prese il cuore. Segnavano tutti a est, verso la distrutta Moia, la fiorente Anzaga, La Bassa e ancora Ronco. Stava prendendo la strada giusta, lo sapeva. Se lo sentiva.
Corse più veloce che poteva nel bivio, quasi inciampando quando sentì la strada diventare più ruvida e meno lisciata sotto ai suoi piedi.
Fece per guardare, ma vide stranamente appannato. Che gli occhiali si fossero sporcati? Se li sfilò e vide ancora grigio. Alzò lo sguardo e vide tutto attorno a sé di un grigio nero, scuro, terrificante.
La famosa nebbia padana, non poteva trattarsi che di altro.
Shizuka era così emozionata di visitare l’Italia che studiò per bene i posti in cui doveva recarsi: la geografia, la storia, i luoghi così ameni e verdi e allo stesso tempo infidi. L’umidità che entra nelle ossa, il vento gelido che sembra volerti strappare la pelle.
Si incamminò nella strada più a sinistra, su quello che sembrava un dirupo verde. C’erano luce e alberi là sotto, ma non aveva alcuna voglia di scendere a indagare. Non c’era più nulla, su quella via. Nessuna luce, nessuna zona pedonale. Camminava lentamente sul ciglio della strada, nel buio e nella nebbia, in quella strada sconnessa che sembrava infinita.
Finchè non si sentì toccare la schiena. Urlò e si voltò, sicura di essere ancora invisibile. Ma ricordò con fin troppa fretta che ai vampiri non importava che lei fosse invisibile o no. Lampeggianti occhi rossi su una carnagione morente la trapassarono da parte a parte, i canini che spuntavano dalle labbra bluastre mentre annusava l’aria. Oltre a quello, però, non sembrava affatto un vampiro come quello che l’aveva aggredita. I vestiti erano puliti, i capelli castani erano tirati dalla parte, in una acconciatura moderna e curata. Sembrava un adolescente come tutti, se non avesse le caratteristiche di un vampiro.
-Come fai a nasconderti?- disse, con accento labassese e voce più metallica di quella umana. Digrignò i denti e fece per acchiapparla, ma Shizuka, con un altro grido, tornò visibile e si ritrasse, sfuggendo alla sua presa. Corse verso il bordo del precipizio erboso. Il vampiro sembrava incerto sulla posizione della ragazza, quasi spaventato. Si spinse comunque in avanti, e Shizuka entrò nel panico.
“Apri le braccia e vola”, le tornò in mente. Quella voce bassa e calda, quella luce dorata, quelle mani sulle sue spalle, così reali da non sembrare un sogno.
Come nel sogno, si sporse verso il baratro, un piede nel vuoto. Come nel sogno, non si mosse. Come nel sogno, le mani calde e grandi si posarono sulle sue spalle, e la luce dorata la spinse giù. Anche se, questa volta, non era un sogno.
 
Si ritrovò al di sotto dell’argine su cui era. Non era un precipizio profondo, era solo un mucchio di terra ricoperto di erbetta bagnata e morbida, alto nemmeno cinque metri. Si mise a sedere e si tolse i ramoscelli incastrati nei capelli, ringhiando qualche parolaccia in un inglese stretto.
-Tutto bene?- le chiese una voce. Alzò lo sguardo con velocità, spaventata che potesse trattarsi di un altro vampiro. Invece era una ragazza, magrolina e sorridente, con lunghi capelli color pesca racchiusi in uno chignon sul retro della testa, qualche ciocca riccia che scendeva dall’acconciatura quasi trasandata. Le rivolse un sorrisone e i suoi occhi arancioni brillarono, con tanta bontà da stordire Shizuka. Le offrì la sua mano pallida, e Shizuka la prese e si rialzò a fatica. Valutò che doveva essere di soli pochi centimetri più alta di lei.
-Sei inciampata dall’argine?- le chiese, con la sua vocetta che sembrava un campanello. Shizuka alzò la testa, afferrando il polso della ragazza.
-C’era un vampiro, dobbiamo..!-
-I vampiri non possono venire qua, sei al sicuro.-
La ragazza si aggiustò gli spessi occhialoni sul naso e le sorrise ancora, dandole una pacca gentile sulla mano. –Siamo in golena, e non so perché qua non possono venire in alcun modo.-
Mentre continuava il suo monologo felice, Shizuka si guardò intorno. Davanti a sé, grossi gazebo si susseguivano uno davanti all’altro, e sotto di essi c’erano una miriade di letti, molti dei quali pieni. Non vedeva una fine alla scia di letti in quella striscia di terra tra l’argine maestro e quello secondario, un centinaio di metri avanti, che li distaccava dall’enorme fiume Po. Anche i vampiri temevano quella massa d’acqua, quel dio crudele che dava vita e poteva prendersela.
-..mi chiamo Cri, sono un’infermiera al Campo di Pronto soccorso in golena! Beh, in realtà vorrei diventare un’infermiera… per ora sto solo studiando infermieristica!- disse la ragazza, scuotendo Shizuka per un braccio. Lei tornò a guardarla, confusa, stringendo ancora nella mano dolorante la valigia, ormai verde e sporca.
Tenendola per mano, Cri la condusse verso uno dei lettini vicino a un grosso armadio di compensato. Tirò fuori un paio di garze, dei cerotti e del disinfettante. –Devo curarti! Meno male che non sei stata attaccata…-
Shizuka solo in quel momento si accorse delle escoriazioni sui gomiti, palmo delle mani e, purtroppo, sulle ginocchia attraverso le sue nuove calze, rotte.
Mentre rimaneva sul bordo del letto a farsi curare come una bambina caduta, sentì qualcuno avvicinarsi.
Cri alzò lo sguardo e un altro sorrisone le si stagliò sul viso. –Ale! Regi! Ma che sorpresa, cosa ci fate qui?-
-Il boss ci ha mandato in perlustrazione al Campo, come al solito.- disse una voce, che, purtroppo, Shizuka conosceva fin troppo bene. Si voltò, e incontrò lo sguardo della ragazza alta dietro di lei. I suoi occhi azzurri, i lunghi capelli castani, il rossetto blu e la coroncina sulla testa non le diede alcun dubbio sulla sua identità.
Regina sembrò sorpresa e spaventata tanto quanto Shizuka. Arretrò e andò a sbattere contro l’imponente Alex, confuso. –La conosci?- le chiese.
Regina prese il ragazzo per un braccio e lo strattonò giù, sussurrandogli nervosamente nell’orecchio. I suoi occhi verde acqua si sgranarono e rimasero a fissare Shizuka, ancora immobile mentre Cri le incerottava la mano escoriata.
-Siete amici?- chiese l’infermiera, tutta sorridente.
-Sì- si sbrigò a dire Shizuka. –E- e sono qui per accompagnarmi da loro. E dire al boss che ho accettato l’incarico…-
Si voltò verso i due, che si lasciarono scappare un sorrisino soddisfatto.
 
 
 
A soul in tension that's learning to fly
condition grounded, but determined to try
Can't keep my eyes from the circling skies
tongue-tied and twisted just an earth-bound misfit, I…
Learning to Fly, Pink Floyd (A Momentary Lapse of Reason, 1987)
 
 
Note dell’autrice
Buongiorno a tutti! So che aspettavate questo capitolo con ansia, e, beh, anche io! Sono quasi due anni che avevo in mente di scriverlo, e finalmente averlo fatto è qualcosa che mi fa davvero felice!
Come si nota, la storia prenderà un drastico distacco dai capitoli precedenti. Ma posso promettervi che ancora non è niente, non crederete che io sia così poco crudele, vero? Hehehehe…
E se vi chiedete “Al, ma che trip ti sei fatta per inventarti quel sogno per Shizuka?”, beh, eccovi la vostra risposta [https://www.youtube.com/watch?v=nVhNCTH8pDs]
Consiglio di guardarlo, forse ci potreste capire di più di quel sogno tanto strano!
Ci vediamo o sulla pagina facebook ufficiale di DH, https://www.facebook.com/DangerousHeritage/, oppure al prossimo capitolo! Ciao a tutti!
   
 
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