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Autore: Sophja99    07/11/2016    6 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo otto

Il dio

 

Silye spalacò gli occhi, incapace di muoversi. «Tu... un dio

«Certamente avrai già capito che c'era qualcosa di inumano in me, come quando stavi scappando e io ti ho raggiunta facilmente e senza farmi sentire, atterrando su di te.»

«Sì, lo ricordo bene» disse, lasciando trapelare una punta di disappunto per non essere riuscita ad evitare che accadesse.

«Non tormentarti così; pochi sarebbero riusciti a sfuggirmi. Prima mi chiamavano Il silenzioso perché mi piaceva isolarmi nelle foreste e trascorrere il tempo ad arrampicarmi sugli alberi e saltare da uno all'altro di questi, cercando di fare il meno rumore possibile. Sono stati gli elfi silvani ad insegnarmi come» spiegò, con lo sguardo perso sul fuoco, come se tra le fiamme potessero spuntare le immagini di tutti i fatti passati che le stava raccontando.

«Vuoi scoprire di più sul mio passato?» chiese quindi, porgendole di nuovo la mano garbatamente. Lei si ritrasse d'istinto. «Cercherò di farti vedere solo i ricordi più belli.»

Silye si lasciò convincere e prese la mano di Vidar nella sua, sempre con un po' di esitazione.

La visione non tardò ad arrivare e sentì una forza esterna che la prelevava e portava nell'oscurità, dove si andarono a definire immagini mai viste.

La prima ad apparire raffigurava Vidar che correva veloce in una foresta in groppa ad un cavallo. Aveva arco, faretra e una fodera legata alla cintura da cui spuntava l'impugnatura dorata di una spada. Era intento a scoccare una freccia proprio in quel momento e, dopo averla rilasciata, doveva aver preso in pieno qualche animale, sicuramente uno o più uccelli, poiché aveva la stessa espressione sorridente e trionfante che gli aveva più volte visto in viso, solo che stavolta la stava rivolgendo verso l'alto, in un punto che Silye non poteva guardare. Un'altra figura a cavallo subentrò nella scena, qualcuno che non riconobbe, ma che era molto simile a Vidar. Stessi capelli biondi e occhi ambra, ma fisico un poco più magro e lineamenti più dolci. Doveva anche essere più giovane di lui. Questo gli diede una pacca sulla schiena con fare amorevole, dicendogli qualcosa che lei non riuscì a comprendere. Quindi, ripartirono per recuperare gli animali beccati da Vidar.

Lo scenario cambiò e stavolta si ritrovò in un ampio salone dalle mura di un fulgente colore oro, decorate con quadri e dipinti ritraenti scene di caccia tra i cieli e le nuvole e gloriose battaglie. Vi era un grande camino, funzionale per scaldare una'ambiente di quelle dimensioni, ed enormi vetrate che offrivano uno scorcio su un panorama mozzafiato composto da colline verdeggianti e, all'orizzonte, alte montagne da cui spuntava il sole. Da queste entrava una piacevole e intensa luce che illuminava una tavola imbandita su cui sedevano varie e a lei sconosciute persone impegnate a parlare animatamente e a bere un liquido molto alcolico, a giudicare dalle loro faccie allegre e brille e le loro risate. Ma tra tutti i commensali, venne attratta in particolare da tre personaggi. A capotavola vide lo stesso uomo che aveva già osservato morire nella visione precedente. Indossava sempre quel pesante elmetto, nonostante non fosse più impegnato in una battaglia, come se, portando quell'oggetto, volesse dimostrare a tutti i presenti la sua potenza e superiorità. Alla sua destra vi era Vidar, che sorseggiava spensierato il suo boccale, mentre dall'altro lato vi era il ragazzo che gli assomigliava in modo impressionante. L'uomo guardava divertito l'intera tavola, conversando con tutti, ma spesso il suo sguardo si posava sui due giovani con orgoglio e amore. Guardandoli, Silye comprese immediatamente che quello doveva essere loro padre e l'altro ragazzo il fratello di Vidar.

Non riuscì a terminare di formulare quel pensiero, che l'immagine svanì, lasciando il posto ad un bosco molto simile a quello di Hoddmímir, solo che in questo vi erano costruite numerose case di legno tra gli alberi, collegate tra loro da stretti ponticelli. Ovunque lei posasse lo sguardo vedeva strane creature per certi aspetti similari agli uomini, se non fosse stato che tutti loro avevano capelli tanto chiari da sembrare argentati, e talvolta verdi, e orecchie grandi e appuntite. Poteva sentire un coro di voci armoniose cantare canzoni meravigliose, ma di cui non poteva godere a fondo perché le arrivavano attutite. Le sue visioni dovevano avere certi limiti e uno di essi erano i suoni, che sentiva a volume molto più basso del normale e talvolta non sentiva proprio. Vi erano creature molto alte, che dovevano essere nel pieno del loro sviluppo, e altre più giovani, tutte vestite di abiti verdi e marroni, forse fatti da loro con erbe e arbusti. I più grandi portavano con sé archi e lunghe freccie, costruite molto più accuratamente rispetto alle sue, e delle spade sottili e argentate legate ai vestiti tramite delle lunghe radici, a mo' di cinture. Saltavano da un albero all'altro, sorreggendosi sui rami più estesi e possenti, in grado di sopportare il loro peso, e i più piccoli li seguivano ricopiando le loro mosse. Silye pensò che forse quello era il modo di giocare, notando le loro risate cristalline che riuscivano a giungere alle sue orecchie. C'era qualcosa nei loro movimenti e nel modo in cui spiccavano i loro balzi, così aggraziati e sinuosi, di completamente non umano. Era come se fossero un tutt'uno con la natura in cui vivevano e potessero tranquillamente confondersi tra il verde degli alberi. Come se loro stessi fossero collegati alle piante e a tutto ciò che li circondava. E poi lo vide: l'unica nota in un certo senso stonata della sinfonia. Vidar. In mezzo a tutto quel verde, i suoi capelli e i suoi occhi così incredibilmente biondi risaltavano ancora di più, apparivano più belli di quanto non fossero, illuminati dal sorriso puro che rendeva il suo viso radioso, uno di quelli che scaldavano il cuore e potevano far brillare anche il più buio dei posti. Non uno dei soliti che rivolgeva sempre a lei, enigmatici e derisori; quello era un sorriso vero. Rimase incantata a guardarlo, accovacciato su un ramo, lo sguardo che esprimeva una tale felicità quanta lei non ne aveva mai conosciuta in vita sua. Si ricordò di ciò che le aveva detto prima che le permettesse di scrutare i suoi ricordi: Sono stati gli elfi silvani ad insegnarmi come.

Elfi. Uno di loro gli venne vicino e, scambiatosi uno sguardo d'intesa, si buttarono a capofitto nel vuoto.

Silye riaprì gli occhi di scatto. Anzi, in realtà non li aveva mai chiusi: erano rimasti sempre aperti, solo ruotati verso l'alto, per vedere qualcosa che non era di quel mondo. Stava tremando, perché la visione era stata più lunga di quelle a cui era abituata, ma allo stesso tempo si sentì il cuore pieno di sensazioni mai provate prima in un modo tanto forte e genuino: amore, amicizia, gioia, spensieratezza. Tutte cose che aveva solo sfiorato con le dita della mano, ma che non aveva mai vissuto fino in fondo.

«Che ne pensi?» chiese lui, con un viso un po' sbilenco, nulla rispetto alla meravigliosa risata che gli aveva visto stampata in faccia solo qualche istante prima.

«Che la tua vita non è niente male» rispose, cercando in ogni modo di fermare il tremolio che non permetteva alle sue mani di stare ferme.

«Era» osservò lui, fattosi improvvisamente malinconico, ma senza mostrare troppa tristezza.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti. Lei dopo poco riuscì finalmente a calmarsi, mentre l'espressione di Vidar esprimeva una tranquillità disarmante, come se non l'avesse appena fatta entrare nella sua testa e avesse condiviso con lei alcuni dei momenti più felici della sua vita. «Quelli erano tuo padre e tuo fratello?» chiese, irrompendo nei suoi pensieri.

Il suo viso si adombrò come lei pronunciò quella domanda. «Sì.»

«E... tuo fratello è ancora vivo? Anche lui ha superato il...» si prese del tempo per ripensare alla parola che lui aveva usato «Ragnarok, come te?» Aveva notato come il suo volto si fosse oscurato al ricordo del padre e del fratello, ma voleva ugualmente saperlo. La sua era pura curiosità, per riuscire a comprendere bene lui e tutta quella storia.

Lui non rispose nemmeno, facendole intuire che ciò che stava chiedendo era una questione delicata per lui. «Va bene, allora dimmi questo: perché mi stai dicendo tutte queste cose e mi hai mostrato i tuoi ricordi? Cosa c'entra tutto questo con me?»

Lui si riscosse, come a scacciare dalla testa eventi passati troppo dolorosi per essere ricordati. «Era per darti un assaggio del mondo da cui provieni, o almeno in parte.»

   
 
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