Film > I ragazzi del Reich
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Autore: Pachiderma Anarchico    08/11/2016    1 recensioni
Potevano anche essere gli uomini che avrebbero dominato il mondo e forgiato catene in grado di soggiogare le nuvole, ma ci sono cose che il fisico umano non può sopportare.
Essere imbavagliati dal ghiaccio era una di queste.
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"E' questo che sei, Friedrich?" Gli occhi di Albrecht si erano lievemente spalancati, le mani gli tremarono, ma poteva davvero fargli paura chi aveva pianto sul suo petto, scosso dalla stessa diffidente claustrofobia di essere macchie bianche su un lenzuolo nero? No. Non poteva.
"Il loro tedesco?"
---
Parole fantasma, inconsistenti come nebbia.
E come nebbia s'insinuarono in Friedrich, riempiendogli il naso dell'odore pungente del dubbio.
Parole così labili e piccole e sbiadite che Albrecht avrebbe potuto venir fucilato soltanto per averle pensate. Perché uccidere per delle parole fantasma?
Perché il Terzo Reich temeva tanto le parole degli spettri?
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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E dove dunque vogliamo arrivare? Al di là del mare? 
Dove ci trascina questa possente avidità, che è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché proprio in quella direzione, laggiù dove sono fino ad oggi tramontati tutti i soli dell'umanità? 
Un giorno si dirà forse di noi che, volgendo la prua a Occidente, anche noi speravamo di raggiungere l'India, ma che fu il nostro destino a naufragare nell'infinito? 
Oppure, fratelli miei? Oppure?

(F. Nietzsche)


 




 

Danzig (Danzica), Polonia Meridionale

Un ragazzo e una ragazza stavano seduti sull'orlo di un precipizio. 
Un piccola lampada incandescente ne rischiarava i volti eterei e spettrali su una scala che portava al nulla; una radio sonnolenta era sintonizzata sulla stessa stazione da ormai due anni.
Si sentivano così entrambi, persi in un mondo perduto, tesi come corde di un violino scheggiato nel buio che precede l'alba.
Era così che attendevano la fine della notte e l'inizio del nuovo giorno.
'…il Fhürer stamane ha incontrato i generali Maximilian von Weichs e Friedrich Paulus, della 2ª e 6ª Armata. Il nostro grande condottiero ha affermato nel primo pomeriggio che è stato deciso l'attacco finale a Stalingrado…'
Il gradino difettoso della scala pigolò come un pulcino che nasce quando la ragazza si inclinò in avanti.
Una spessa treccia le ondeggiò sulla spalla, fra le ciglia vibrava l'aspettativa di un segreto.
Era giovane; lo erano tutti allora.
Quei due, in quel frammento di buio, lo erano più di chiunque altro.
Lei aveva grandi occhi nocciola, liquidi di piacere e pudore, guance lisce lievemente tinte dell'oro delle stelle e una sottile mano che si posò sul collo di lui, ; e lui, ostile al suo tempo, che sapeva bene cosa sarebbe accaduto, non la fermò quando ella si adagiò sulle sue labbra color sangue.
Riempiendo di aroma di cannella la dispensa che avevano adibito a nascondiglio per quegli incontri lei, il tempo, l'avrebbe volentieri fatto a brandelli.
Forse fu per questo che il giovane tedesco, quando si allontanarono l'uno dall'altra quel tanto che bastò per potersi guardare di nuovo negli occhi, non desiderò che ci fosse nessun altro lì con lui, in quel segreto.
Nessuno sembrava capire. Lei sì.
Capiva perché si sentiva nauseato alla sola vista di un piatto di carne, capiva perché scriveva con tanto ardore e con lo stesso ardore stracciava quelle parole, capiva il suo bisogno di lasciarsi credere morto ancora per un po', prima di tornare a far scorrere i secondi.
Perché il tempo, fatalmente, neanche la giovinezza lo può fermare.
E se neanche due visi che sfiorandosi si cercano, se neanche respiri accaldati e un "Du sollst nur mir gehören", 'vorrei che fossi mio' sussurrato sulla lingua possono riuscirvi, è perché il tempo ha nel suo esercito la Storia.
Ed ella, impaziente, in quel particolare frammento a cavallo di mezzo secolo, divenne senza pietà.
Si vendicò di molti, ne risparmiò altri, destinò la stessa sorte a giusti e ingiusti, a oppressi e oppressori, a grandi e piccoli, a chi si odiava e a chi si amava, offrendo senza rimborso a tutti gli uomini lo stesso diritto di morire.
La giovinezza non era garanzia di eternità in quei giorni. Era un biglietto di sola andata per un treno sul confine.
Ma quei due sì, loro avevano fermato il tempo sulla tromba di quelle scale, ma esso continuava ad infuriare imperterrito alle spalle dei loro corpi accucciati a scambiarsi reciproco calore, forse anche i battiti del cuore.
Lei era sveglia, lui era 'troppo', eppure nessuno sembrò comprendere fino in fondo quanto il peso dell'odio avrebbe deformato il futuro.
Lei ci credeva ancora che il mondo potesse essere salvato, e quando uno dei bianchi polpastrelli del ragazzo le carezzarono una guancia, percorrendole lo zigomo e andando ad arrotolarsi intorno una ciocca di cenere sfuggita alla treccia, non ne abbe alcun dubbio.
Ma alla Storia non interessa ciò in cui si crede, o ciò in cui si spera.
Lei si limita a presentare i fatti così come sono avvenuti, senza "se" e, soprattutto, senza "ma".
Sono pagine senza autore quelle della storia. 
Sono gli uomini stessi, con le loro scelte, a scriverne i capitoli. Alcuni sanno di Inverno, altri di Primavera; alcuni sono più sanguinari, altri più lieti.
Molti non si ha ancora il coraggio di leggerli.
Eppure non è la Storia, ma il Tempo a dare le risposte.
Il Tempo avrebbe svelato se quel giovane dalle labbra di sangue amò la ragazza dalla spessa treccia di cenere; il Tempo avrebbe dato un senso a quegli anni.
Era il 12 Settembre 1942. 
L'umanità stava collassando in una guerra che avrebbe messo in discussione l'esistenza stessa della coscienza. 
La Storia ci ha mostrato i fatti, ma il Tempo non trova ancora le risposte.

 

Allenstain, Polonia Orientale, 8 Ottobre 1942

"E' ora. Vieni con me."
Friedrich ci mise qualche secondo di troppo a voltarsi, e quando lo fece un ragazzo che non aveva mai visto se non per i corridoi lo invitò a seguirlo. Non era un invito, e lo sapeva bene. Ma si prese comunque il lusso di pensare se andare o no, come se avesse avuto davvero una scelta da compiere. 
Non ce l'aveva, e tenne dietro a quel giovane con la divisa perfettamente liscia e l'andamento rigido di chi sta per incontrare il suo più grande idolo.
I calzoncini di Friedrich non potevano competere con il prestigio di quei vestiti, e il suo accompagnatore ne era consapevole quando, spingendo la porta dello studio del Rektor, si fermò a gravare con sopracciglia critiche sulla camicia dimessa di suo padre e la semplice valigia consunta.
Fino alla sera precedente nessuno lo avrebbe osservato così, come si osserva un inutile esemplare di mulo che non dovrebbe stare fra i prestigiosi cavalli da corsa. Ma a Friedrich non importava. Chi voleva combattere con lui avrebbe dovuto farlo sul ring, con il sudore negli occhi e il sangue sulle nocche. 
Sino all'ultima volta.
Sino a quando, per la prima vera volta dopo mesi, non aveva combattuto di nuovo da solo.
E si era reso conto che non voleva più farlo senza infastidire qualcuno.
Tutti quegli uomini esultavano quando un pugno deviava il setto nasale e le loro voci si univano come una marcia trionfale nella pronuncia un solo nome: Friedrich.
Non ci fu nessuno, neanche uno, a guardarlo con disapprovazione, nessuno che, dopo un incontro fenomenale che Dio in persona avrebbe amato, lo avesse rimproverato perché "Sicuro che non c'è un altro modo?"
"Friedich Weimar, sa perché è qui?"
"Ja, Sir. Ho perso l'incontro."
"Sbagliato. Weimar, perchè è qui?"
"Perchè mi sono arreso."
"Esatto. Noi non ci arrendiamo, Signor Weimar. Mai."
'Andrà tutto bene' gli aveva sussurrato Christoph la sera precedente, ma Friedrich, immobile in mezzo alle pareti di mogano lucido e alle decorate lampade di ottone, non ne era così sicuro. La fronte del Rektor si inaspriva spesso di rughe di contrarietà quando lo passava da parte a parte con la serietà dello sguardo. 
Era chiaro che si sarebbero aspettati di più da lui. Era chiaro che avrebbe vinto, se solo i pugni non si fossero abbassati ad allinearsi ai fianchi e i suoi muscoli non si fossero docilmente sottomessi all'avversario.
"Ora… io non desidero conoscere le ragioni alla base del suo comportamento, ma le consiglio di guardarsi un'altra volta allo specchio con la divisa dell'Accademia indosso e rendersi conto che lei, in questo preciso momento, fa parte della storia. Con il suo talento, la sua forza e il sangue puro che le scorre nelle vene potrebbe persino contribuire a scriverla. Sta a lei capire cosa vuole, Weimar: essere lasciato indietro nel vecchio mondo o diventare uno dei sovrani del nuovo."
E continuò: "Se accetta di restare accetterà qualsiasi punizione le verrà impartita e accetterà senza riserva alcuna di vincere l'incontro di Novembre. Ad ogni costo."
Friedrich si chiese se questa fosse una seconda possibilità. Si chiese perché avesse rinunciato a lottare, perché avesse permesso all'altro pugile di alterare il suo bel viso in una maschera di botte e lividi scarlatti.
Perché era bello Friedrich, di quella bellezza innegabile e assoluta dinnanzi alla quale non esistono prospettive e punti di vista, e fu per questo tutti erano restii a perdonargli l'errore di aver provato che anche il miglior cristallo, quando cade, si frantuma in mille pezzi. Era questo che aveva mandato il Rektor su tutte le furie. Perché Friedrich era la faccia della Germania invincibile, l'incarnazione della giovinezza così come Adolf Hitler l'aveva intesta, quella giovinezza che non si può piegare e, certamente, non si può sconfiggere. La Fenice dalle bionde piume che risorge dalle sue stesse ceneri.
E come quest'ultima, anche Friedrich era biondo, oh sì; biondo come le spine di grano nei soleggiati pomeriggi d'Agosto, biondo e dagli occhi color dell'erba tutt'intorno. Il verde dei pendii in cui nascono le ginestre e nei quali le donne dei borghi, in angosciosa attesa dei mariti partiti per il fronte, passavano le gentili mani inadatte alla guerra.
Con quegli zigomi alti, la linea del naso dritta e le fattezze di muscoli sodi e virili, la vivacità acuta fra iride e iride e la tenacia nell'animo, era la quintessenza dell'unca verità possibile: loro avevano ragione, il resto del mondo no.
"La vincerò Signore, ad ogni costo, ve lo prometto."
"Non abbiamo bisogno di promesse Weimar, abbiamo bisogno di guerrieri. Se le viene concessa una seconda occasione è per dimostrarci che non abbiamo frainteso quella scintilla di eccellenza in lei. Inoltre, ringrazi i suoi camerati se ho riflettuto un secondo di più sulla sua espulsione."
I ragazzo sbatte le palpebre, lasciando trapelare niente di più che un vago sentore d'incredulità. 
"I miei compagni di stanza?
La voce di Christoph gli rimbombò nella mente: 'Andrà tutto bene.'
"Signore, posso chiedervi perché l'hanno fatto?"
"Perché, palesemente, hanno visto in lei ciò che abbiamo visto noi: la sacra benedizione della vittoria."
L'uomo si alzò dalla sedia, fece passare le mani nodose sull'ampio schienale. 
"E nonostante questo… non tutti erano concordi sulla sua riammissione. Non riusciamo davvero a comprendere i motivi che lo hanno spinto a parlare contro di lei, eravamo persuasi dal fatto che andaste d'accordo." Il Rektor congiunse le dita dietro la schiena, fermandosi dinnanzi al vetro della finestra romboidale che dava su un paesaggio sconfinato di dune scoscese. "… ma d'altronde il ragazzo è reduce da un imprevisto incidente. E comunque l'opinione del singolo non può abbattere il pensiero della maggioranza. 'Vox populi, vox Dei', caro Weimar. Personalmente preferisco l'Antica Grecia, ma ogni tanto è bene rimembrare qualche frase per lusingare l'alleato. Benito Mussolini ama sentirsi importante." Scosse la testa e si voltò. "In ogni caso quattro persone su cinque la ritengono degna di restare qui, Weimar. Si renda all'altezza di queste aspettative.
Ma Friedrich non lo stava ascoltando.
La sensazione che si fosse perso qualcosa di estremamente cruciale iniziò a serpeggiargli sotto pelle come un ago di morfina.
"Signore, mi scusi, chi avrebbe parlato contro di me?"
"Non se la prenda Weimar, il ragazzo è stato scosso da un passeggero smarrimento ultimamente, culminato al lago Pomorskie. Ma ora si è ripreso completamente grazie all'ottimo sostegno di suo padre, il Gauleiter Stein."
Avete mai sentito il fracasso del tuono che annuncia il temporale?
Il cuore di Friedrich, quando gli piombò nello stomaco, fece più rumore.
Non era possibile, non era vero. Aveva pianto per giorni sul suo letto, aveva disperatamente tentato di dare un senso a quelle lacrime per poi fingere di dimenticarle quando fu costretto a ricomporre i pezzi di sé stesso per salire sul Ring. 
"Può andare Weimar."
Non voleva andarsene, perché non appena avesse varcato la soglia di quella porta, avrebbe dovuto ammettere a se stesso che il destino non ne aveva  avuto ancora abbastanza di lui, e neanche Friedrich.
Tornò in stanza, si sedette sul letto, si alzò, gettò la valigia in un angolo e fu nuovamente fuori.
Quando i suoi passi risuonarono nel corridoio che portava alla sala da pranzo, il fuoco stava già bruciando.
Le fiamme erano familiari e seducenti, come vecchie amiche perse di vista per un po'. 
La cenere in gola non lo infastidiva, le monete nella polvere vanno solo pulite un po'. E così anche altre emozioni.
Per un mese aveva duellato con i suoi ricordi, per tre giorni aveva rischiato di dover cancellare tutto. 'Ricomincia d'accapo' si diceva. Ma non si riavvolge un nastro su cui qualcuno ha lasciato la parte migliore di sè.
"Che ti avevo detto?" 
"Anche tu avevi troppa paura che non fosse vero."
Un ragazzo gli venne incontro. Non si abbracciarono, non si toccarono. Ma era felice che fosse lì, che Friedrich potesse essere ancora considerato all' altezza della gioventù scelta che camminava fra quelle mura e non un tedesco qualunque con un discreto talento ma incapace ad agire.
"Quando quell'antipatico del nostro vicino di stanza saprà che non sono riusciti a farti fuori andrà su tutte le furie, glielo avevo scritto con i crauti nel piatto che se credeva di liberarsi così facilmente di te era solo un lombrico babbeo pezzo di-"
"Christoph, lui dov'è?"
Il ragazzo di nome Christoph si sgonfiò come un palloncino che qualche bambino aveva preso a calci. 
"Ah, lo sai."
"Perché nessuno mi ha detto niente?"
"E chi lo sapeva? E' arrivato ieri notte, arriva sempre di notte. Noi dormivamo e la mattina eravate entrambi scomparsi. Pensavamo l'avessi visto."
"Ha parlato contro di me, Christoph? Ha tentato i farmi espellere? Risorge dalle acque di un lago ghiacciato dopo che l'ho visto scomparirvi al di sotto, ricompare dopo un mese e cerca di rovinarmi la vita?"
Christoph si passò una mano tra le corte ciocche di capelli del colore delle castagne mature e si guardò intorno, evitando lo sguardo del biondo.
"Dov'è."
"Fra dieci minuti c'è il coprifuoco e tu sei qui dentro per intercessione del Cielo, se ti fai cacciare la sera stessa della tua riammissione chi glielo dice all'antipatico? Non ho abbastanza crauti per scrivere che sei un'impulsiva testa di Ariano bacata."
"Christoph dieci minuti mi basterebbero se tu mi dicessi dove posso trovarlo."
Christoph era una di quelle persone che potevi amare ma delle quali in alcuni momenti avresti fatto comunque a meno, una musica troppo acuta che a lungo andare dava male alla testa.
Friedrich se ne rese conto quando gli sbuffò in faccia.
"Con Tabbi… in cucina."
Il biondo si lanciò nel corridoio senza curarsi di fare silenzio mentre la voce di Christoph gli si lanciava dietro.
"E torna in tempo, altrimenti devo fare rapporto!
Quando Friedrich spalancò le porte della cucina con una spallata, Tabbi poté giurare di vedere i sanguinolenti pezzi di carne vermiglia adagiati sui suoi ripiani tremare come fossero vivi.
Se lo fossero stati, avrebbero reagito esattamente come lui: strofinaccio in fronte, testa nel barile delle patate e via, a desiderare che i passi rapidi e i forti muscoli dell'altro non ce l'avessero con lui.
Ma era ovvio, quasi banale, che non ce l'avessero con lui.
Friedrich non ce l'aveva mai con nessuno, era il pezzo di terra eletto dal sole in mezzo al mare in burrasca. 
Ma si sa, la burrasca è tempesta e la tempesta rende vento anche la brezza più lieve.
E Tabbi ricorderà per tutta la vita di aver pensato, quando un giovane dall'aria di cristallo e gli occhi d'oltreoceano sollevò lo sguardo verso il nuovo arrivato, che ogni pezzo di terra ha bisogno del mare che ne bagni le sponde.
Tabbi non vedrà mai più due occhi tingersi di tanto sollievo come quello che investì gli occhi di Friedrich quando vide Albrecht, in piedi, accanto a carne e sangue, vivo. 
E mai dimenticherà il tremito nei polsi di Albrecht quando i suoi occhi si posarono su Friedrich, tanto che affondò le unghie nella carne che fino ad un attimo prima non voleva neance sfiorare.
La furia del nuovo arrivato svanì come il fuco che sfrigola e si spegne. Ma ci sono persone -e Tabbi non era sicuro di voler essere lì quando ciò sarebbe avvenuto- che non spengono i fuochi: li aizzano. E se Albrecht avesse avuto le fiamme al collo, vi avrebbe buttato altra legna.
"Oddio… sei qui."
"Per favore Albrecht per favore, non nascondere il tuo entusiasmo."
"Non sono entusiasta che tu sia qui. Affatto. Dovresti essere lì fuori, nella neve in questo momento."
"Perché? Cosa ho fatto? Certo, oltre a crederti morto per quattro settimane. Quattro. interminabili. settimane."
"Forse lo ero. Ta daaan.."
"Albrecht se non la smetti giuro che-"
"Cosa? Mi prendi a pugni? E' così che risolvete le cose da queste parti, no?"
"Perché mi hai fatto questo? Perché hai parlato al Rektor contro di me? Tabbi, Christoph, Jochen, persino ragazzi con cui non ho mai neanche scambiato una parola hanno fatto sì che rimanessi parlando in mia difesa. Per me."
"Che gesto magnanimo farti rimanere qui, sul serio, sono commosso. Sono davvero un egoista, tentare di farti tornare dalla tua famiglia è da veri egoisti."
"Io fuori di qui sono il figlio di un fattore Albrecht! Non si riesce a sopravvivere con il paese in guerra da tre anni, non per la gente come me. Perché non lo capisci? Quando sono arrivato qui ero il nulla."
"A me quel 'nulla' piaceva."
"Lascia stare, sei il figlio di uno che nella gerarchia sociale sta in cima."
"Tu dovevi andare via da qui, dannazione..."
"Ma l'opinione del singolo non conta. La tua opinione non conta, e per fortuna direi."
Questo lo ferì. Albrecht quasi sussultò quando le parole di Friedrich si degnarono di tanta ruvidità. Era evidente che non si aspettava che il ragazzo che conosceva, dagli occhi verdi e la voce gentile, potesse affondare tali lame.
Allora afferrò uno straccio già intriso di rosso e si ripulì le mani, con gesti lenti e precisi, dalle carcasse del pranzo del giorno dopo.
Non lo guardava più, anche se avrebbe voluto, anche se le ciglia scure vibravano di impaziente avidità nel riguardarselo ancora e ancora il quasi-campione di Boxe, dopo un mese in cui aveva creduto che non lo avrebbe mai più rivisto.
E Friedrich ci provò a calmare le acque, ricordava ancora e ancora tutta la sofferenza nel ritrovarsi improvvisamente senza la figura sottile di Albrecht accanto, mentre il suo corpo sprofondava nelle acque buie del lago.
Ricordava le lacrime, e la rabbia, e l'impotenza della forza che svanì alle prime luci dell'alba dinnanzi a quel diciassettenne strano e caparbio. 
Non gli avrebbe permesso di fare di testa sua quella volta, non se lo sarebbe lasciato sfuggire per inseguire bianche colombe in un cielo nero, no; l'avrebbe messo alle strette, l'avrebbe circondato, assediato se necessario.
Funzionava. Funzionava sempre sul Ring. 
Ma non con Albrecht.
Quando Friedrich parlò, imponendosi calma e autocontrollo per non scatenare una bufera, fu chiaro agli occhi di tutti i presenti che la rosa che non si lascia cogliere ha le spine intrise del sangue di chi ci ha provato.
"Che ci fai qui, comunque?"
"Sono in punizione da ora fino alla fine della guerra, devo pulire questa… carne…  perché nessuno è più padrone di niente, neanche della propria vita."
"E ti dispiace?" Friedrich fece un passo avanti e mormorò qualcosa fra i denti, qualcosa che nessun altro udì. "So che hai cercato di ucciderti Albrecht. Non so cosa tu abbia raccontato a tuo padre e agli altri, ma non me la dai a bere. Mi spiace per te, ma ti conosco bene."
"Sarebbe stato meglio per tutti voi se fossi rimasto in quel lago."
"Voi, noi… che cosa dici? Perché ne parli come se tu non ne facessi parte?"
"Se mi avessi conosciuto davvero, avresti capito che è così."
Se Tabbi avesse mai visto un'aquila guardare al suolo dall'altezza delle sue ali, avrebbe certamente detto che il modo in cui il più giovane sostenne la vicinanza di Friedrich a un passo di insignificante lunghezza da sè fu quello di un rapace che non si sottomette alle questioni del mondo, non imbratta le sue piume di umano tormento, ma sovrasta la
tempesta e non vacilla mai.
Non credetegli, non sarebbe stato vero.
Albrecht -Tabbi non lo comprese allora- non era affatto un'aquila, lui si era già lasciato sporcare dalle questioni del mondo e l'impassibile freddezza con cui sostenne la presenza dell'altro non era che una linea difensiva contro i colpi di un'altra guerra. Più intima e più oscura.
Ma Tabbi non lo sapeva perché quei due non si fossero gettati al collo, stringendosi come si stringe l'albero maestro di una nave allo sbaraglio, dopo un mese che si erano creduti persi per sempre. Ma le cose il più delle volte non sono come sembrano e in quel tempo, le cose non erano neanche tanto umane.
Albrecht si mosse per primo, battendo una ritirata che somigliava ad una corsa agli armamenti più che ad un armistizio.
Nei suoi occhi la richiesta di pace non era contemplata.
"Bitte... Albrecht, lascia che ti conosca allora."
"Nein, es sti zu spät, Friedrich." *


***

 

Erano giorni strani quelli. 
La neve vorticava algida nei suoi fili incandescenti come petali bagnati e le stanze rilucevano di una strana coltre azzurra, nel silenzio abissale del mondo che aspetta. Una chiamata, un'occasione, la fine di una guerra. 
La neve si prendeva beffe di chi si fermava ad osservarla, danzando lieve come una ballerina sui problemi degli umani, troppo futili e troppo gravi per le sue scarpette di grigio.
Non c'era nessuno fuori quella mattina di un autunno come tanti altri in quei tempi scritti chi sa dove, che dovevano accadere. Nessuno a sentire i morsi del gelo sulla pelle, nessuno a desiderare di essere neve che copre e non carne che si lascia coprire.
Fino a poco tempo prima, al sorgere dell'alba, un ragazzo aveva lasciato le sue impronte sul sentiero sommerso di bianco, ma era bastato poco perché quelle flebili orme venissero occultate da altro bianco. 
Ora erano invisibili, non avreste detto che ci fossero state. Si sa, le orme non spazzano via la neve, non interferiscono con i suoi piani, non possono abbattere il suo rigido sistema. O almeno non con delle semplici orme. 
Ci vuole qualcosa in più per frenare la sua spietata avanzata di fiocchi cadenti, qualcosa che non possa essere coperto, qualcosa che non si affoghi. Qualcosa che Friedrich, con quel manto candido riflesso negli occhi e la forza persa a brandelli da qualche parte in quel silenzio opaco, non conosceva ancora.
Se avesse saputo come impedire all'universo di sottomettersi alle fredde ballerine, l'avrebbe fatto. 
"Non lo ripeterò una seconda volta: lotterete l'uno contro l'altro in un corpo a corpo libero, a mani nude. Non si ferisce mortalmente o quasi mortalmente, non voglio vedere sangue. Vi fermerete soltanto in due casi. Il primo: l'avversario, bloccato al suolo, si arrende; il secondo: l'avversario resiste dieci secondi netti bloccato al suolo. Chiunque di voi pensasse di fermare prima il combattimento, risponderà direttamente al Rektor della sua intromissione. Non ci si guarda. Non ci si parla. Fronteggiarvi nella neve potrà soltanto giovare alla resistenza dei muscoli e permettervi di acquisire un'accettabile dose di equilibrio per quelli di voi che avranno l'onore di combattere per il Fhürer e la Heimat. Se coloro che osservano soccorreranno uno dei due contendenti prima che io dichiari ufficialmente finito l'incontro, verranno espulsi. Non pentitevi. Non abbiate ripensamenti. Siete il futuro del Terzo Reich, siete gli uomini che comanderanno sugli altri uomini; siete la storia, e la storia non fa sconti a nessuno. Christoph, kommen."
Un ragazzo dagli occhi di cobalto fece un passo avanti.
"Scelga il suo avversario. Dieci secondi netti o le parole "mi arrendo", nulla di più, nulla di meno." scandì l'insegnante di educazione fisica, Herr Füller.
Una strana brezza scosse le onde azzurre negli occhi di Christoph Snaidar, un luccichio difficile da ignorare. 
Era felice di essere lì, il primo a poter dare sfoggio delle sue capacità di tedesco o vi era qualcos'altro, ringhiante al di sotto del suo volto giovane, che conferì alla sua voce una proposta di guerra?
"Albrecht Stein."
Friedrich raggelò sul posto. 
Se esisteva qualcosa che Albrecht Stein non sapeva proprio fare, questo qualcosa era combattere. E i calci di Christoph erano celebri quasi quanto i pugni del biondo sul Ring.
"Albrecht, shritt. Veloce." Füller scoprì l'orologio  da polso nascosto al di sotto della giacca pesante e si preparò a contare il tempo che uno dei due ci avrebbe impiegato a paralizzare l'altro. Un minuto esatto era la performance perfetta. Un minuto e avrebbero fatto bene ad avere un vincitore.
Albrecht raggiunse il suo posto, immerso nella neve fino alle ginocchia. Era silenzioso, pallido e Christoph lo superava di una buona manciata di centimetri.
"Al mio tre."
"Colpisci alla testa", pensò Friedrich, desiderando torcersi le mani piuttosto che tenerle immobili lungo i fianchi. "Sempre la testa per prima."
"Uno."
"Ti prego.. fa che…"
"Due."
Albrecht guardò Christoph e le labbra gli si contrassero. Conosceva bene quell'espressione e la conobbe anche allora, fra due numeri per scandire il tempo e la voglia matta di voltarsi a guardare il giovane biondo in fila con gli altri. Perché Friedrich era di quel biondo particolarmente chiaro che lo rendeva perfettamente, totalmente e innegabilmente Ariano. Il biondo che Albrecht aveva iniziato a detestare, ma che non riusciva ad odiare del tutto. Si ripromise di passarvi le mani fra quelle ciocche color del grano, se avesse avuto ancora mani da usare alla fine di quella giornata. 
"Tre."
Nessuno vide Christoph lanciarsi in avanti. 
Non ve ne fu il tempo. 
Neanche Albrecht lo vide, e quando se lo sentì sull'addome, fu troppo tardi.
Poco prima era in piedi, poco dopo lo stomaco era una landa di dolore e i polmoni gli si afflosciavano nel petto.
"Allontanati Al!"
Quando Albrecht si piegò in avanti, reggendosi con una mano qualcosa che doveva essersi rotto, a Friedrich si contorsero le viscere in una morsa che non aveva mai provato prima. Era violenta e non gli lasciò tregua. Era una mitragliatrice di schegge di vetro e rabbia che divenne furore quando Christoph buttò Albrecht a terra e gli si issò sopra, costringendolo con il suo corpo ad affondare nella neve.
"Christoph, bloccarvi, non uccidervi. Se vedo una sola goccia di rosso stanotte dormirete coi lupi."
Ma Albrecht, alla stregua di un gatto selvatico, se ne infischiò apertamente e gli piantò le unghie nelle guance: due gocce di bollente liquido scarlatto profanarono il bianco uniforme al di sotto dei loro corpi avvinghiati e tutti compresero che il sangue era esattamente ciò che Füller stava aspettando, che il solo rotolarsi nel terreno con la ferocia di due bestie selvagge non sarebbe mai stato abbastanza per lui. 
Friedrich poté udire le bandiere purpuree della sua Germania declamare a gran voce "Senza pietà."
Christoph gemette e digrignò i denti, si levò con uno strattone le mani dell'altro dal volto, qualcuno sussurrò "lo ucciderà" e per Albrecht non ci fu più nulla. 
Avrebbe smentito quella sentenza e avrebbe smentito il mondo intero pur di non rompersi al cospetto di un paio di folli occhi in cui la vendetta aveva spalancato le sue porte, insinuato le sue arcigne radici e trasformato Christoph in un automa che lo afferrò dai capelli e lo rivoltò come un pezzo di carne.
Gli era sopra con tutto il suo peso, poggiava sulle sue ossa come se volesse ridurle in polvere, premeva sulla sua schiena sottile con i gomiti aguzzi come un cavaliere avrebbe fatto con una spada. Gli piegò il polso che gli aveva slogato.
L'ultima cosa che Albrecht sentì prima di finire con la faccia nella neve fu il respiro caldo della rivalsa e le parole di chi gli stava sopra.
"Ti faccio crepare una volta per tutte stronzetto."
Christoph gli premette sulla nuca con gli avambracci, gli strinse il collo con le dita per farlo rimanere giù, la neve sarebbe stata la sua tomba.
"Cinque secondi."
Friedrich sperò che quel "mi arrendo" arrivasse, che lo salvasse dall'asfissiamento, che gli impedisse di svanire nella neve che lui tanto amava, che Albrecht fosse un po' meno Albrecht.
"Dieci secondi."
Ma quella resa non arrivò mai.
Christoph se ne accorse e spinse più forte, ma per quel ragazzo incastrato nel gelo arrendersi non era un'opzione.
Arrendersi avrebbe significato che la violenza aveva ragione, che la pioggia può sedare il fuoco, che si possono sparare proiettili contro altri esseri umani senza sentirsi in colpa.
Avrebbe significato essere brezza e non vento e -Friedrich, dannazione, iniziava a capirlo troppo tardi- Albrecht era o tempesta o niente.
"Trenta secondi."
E Füller non aveva intenzione di fermarli.
Potevano anche essere gli uomini che avrebbero dominato il mondo e forgiato catene in grado di soggiogare le nuvole, ma ci sono cose che il fisico umano non può sopportare.
Essere imbavagliati dal ghiaccio era una di queste.
Più i tentativi di Albrecht di tornare a respirare diventavano vani, più le nocche di Christoph sbiancavano per lo sforzo, più Füller pareva compiaciuto di una sorta di gloriosa gioia che niente aveva a che vedere con le cose di questo mondo. E per la prima volta nella sua vita, Friedrich sentì di odiare qualcuno.
La bile gli si riversò in gola come veleno amaro e l'acredine gli sviscerò la bocca dello stomaco. La collera correva alla pari del sangue. 
Se le regole sono regole e vanno seguite ad ogni costo, se soltanto l'ordine dell'insegnante avrebbe potuto e dovuto fermarli, cos'era quella sensazione di contrarietà fra i denti?
Se fosse successo qualcosa si sarebbe perdonato raccontandosi che gli ordini non si discutono?
Era lacerato a metà fra il dovere del Tedesco perfetto che mantiene la fermezza per quanto disperata sia la situazione e Friedrich Weimar che guardava Albrecht Stein soffrire.
"Gestoppt." *
E comprese, quando la mente non aspettava altro che scorgere la testa di Albrecht alzarsi e il suo corpo gettarsi accanto a quello del compagno, che non si possono seguire tutte le regole.
"Albrecht, wie geht es Ihnen? Sie könen aufstehen? Atmen… atmen…"*
"Er… wollte.. mich töten… er würde mich töten…"*
Quel "mi avrebbe ucciso" schiaffeggiò Friedrich come il colpo di una frusta. Aiutò l'altro a sollevarsi e pensò che le parole di Albrecht erano sempre fin troppo limpide, inequivocabili,
non potevi sfuggirgli. 
Come non poté sfuggire alla vicinanza del suo corpo esile scosso dai tremiti del freddo, né ai singulti di una respirazione affrettata e irregolare, né al braccio che gli fece passare attorno alla vita per sorreggerlo.
"Complimenti Christoph per la velocità con cui ha messo il suo avversario al tappeto, costringendolo in una posizione che certamente la prossima volta porterà alla resa." 
Lo sguardo dell'insegnante si spostò su Albrecht, il cui labbro inferiore era così vermiglio da parere scottato dal ghiaccio. "Non si può dire che lei sappia combattere Albrecht… ma certamente sa vincere."
"Che cosa?" ringhiò Christoph. "Io l'ho tenuto a terra, io l'ho sconfitto."
"Non è così, Albrecht non si è arreso."
"Ma... Herr Füller, in un'altra occasione sarebbe morto!"
"Ma, in un'altra occasione, non si sarebbe arreso."
"Questo non-"
"Basta così Snaidar. Il morire con gloria e orgoglio intatti è più importante di tutto il resto, più importante anche della stessa vittoria. E' un bene superiore che tutti, e dico tutti, nella Nuova Germania dovranno possedere se vorranno essere ammessi nella nuova era. Complimenti Stein."
Il volto arrossato di Albrecht non ne occultò il fervido disprezzo.
Il resto accadde molto in fretta: il sangue baciò la neve come un'amante impetuoso, l'odore della polvere da sparo violentò l'aria e Tabbi si sentì barcollare alla vista del ragazzo biondo alla sua sinistra che cadde al suolo, un buco vermiglio sul polpaccio.
Che ci fosse un attacco ad Allestain era fuori discussione: nella Polonia dominata dalla Germania, a meno di 3 chilometri dalla sede di una delle più illustri Accademie Politiche Nazionali, nessuno avrebbe osato ancora impugnare armi dopo la caduta di Varsavia. Eppure era accaduto.
E stava accadendo proprio in quel momento.
Herr Füller sbraitò un ordine che si perse nella ressa di corpi che lottano per la salvezza.
"Merda, siamo scoperti!
"Che facciamo?!"
"Ci sono delle armi da qualche parte-"
"Ad ovest del castello!"
"Separiamoci.. muovetevi! Ora!"
"Correte dannazione! Correte!"
Ci arrivarono.
Ansanti, con le gambe trascinate nella neve e i fiocchi della stessa che avevano ricominciato a danzare giù dal cielo, qualcuno si ricordò che durante un'esercitazione erano state nascoste delle armi nella terra molle intorno al grande abete, e le dissotterrarono.
Non era sensazione usuale per dei giovani tedeschi sentirsi prede in balia di nemici sconosciuti, posti in una radura che li poneva su un piedistallo fulgido e rischioso. Non li avevano addestrati a sentirsi impotenti. Nessuno li aveva preparati per questo. Li addestravano ad essere invincibili predatori, non comuni mortali.
"Zitto Kurtish, zitto!"
Christoph si teneva stretta la sua Walther P38 come un altro diciottenne avrebbe fatto con una bella ragazza. Kurtish aveva zoppicato sin lì, trascinando la gamba o lasciandosi sostenere, ma la ferita aveva reciso la pelle e il sangue scendeva copioso e bollente come una cascata di lava.
"Non voglio morire… non voglio morire… non voglio morire… Kurtish ti prego… fai silenzio…" balbettò Tabbi, saltellando sul posto.
"Ragazzi, cazzo… ci scopriranno!"
"Kurtish se non chiudi quella fottuta bocca giuro sul Fhürer che ti ammazzo io!"
"Siamo tutti dalla stessa parte Christoph. O sbaglio?"
Fu allora che Friedrich si fece avanti, sbuffando parole nel gelo che si condensarono in nuvole di fumo.
Christoph non si aspettava di trovarselo davanti, ma non indietreggiò. Evidentemente il motto "ognuno si salva da solo" non valeva per il pugile quando non c'era nessuno a dargli ordini.
"Fatti da parte Friedrich. Vuoi morire per caso? Se continua a piagnucolare come una femminuccia ci sentiranno."
"Nessuno morirà." risposte Friedrich. "Nè noi, né tantomeno Kurtish."
Albrecht gli fissava la schiena.
"Tu… Tabbi?… cosa diavolo stai facendo?"
Tabbi, nel frattempo, si era furtivamente avvicinato al ferito passandogli un braccio attorno alle spalle tremanti.
"Siete.. impazziti tutti quanti? Siamo tedeschi, fottuti tedeschi! Noi non scappiamo terrorizzati come ragazzine inglesi qualunque cazzo. Quando andremo in guerra-"
"Mi auguro che gli inglesi abbiano pietà di te."
La solidarietà nei mugolii sommessi di Kurtish non permisero ad Albrecht di aspettare ancora. 
I segni sulla pelle della sua gola avevano appena iniziato ad affiorare in superficie che Christoph pensò di riutilizzarli come punti d'appoggio per soffocarlo nuovamente, questa volta senza neve.
Albrecht indietreggiò d'istinto quando l'altro tese i muscoli con la palese intenzione di scaraventarglisi addosso e quel gesto bastò a Friedrich. Per averne abbastanza.
Esiste un sottile confine nell'animo di un uomo, al di là del quale ha sede un luogo dove non si può andare.
E' una terra che non si conquista e non si tocca.
Quando Christoph saggiò il sapore del suo stesso sangue sul palato e un pezzo di dente gli finì fra le tonsille, capì che quel confine che non si oltrepassa, quella terra che non si conquista e che non si tocca, in Friedrich, era Albrecht.
"Sai…" cominciò. Si piegò e sputò a terra un grumo di saliva e sangue. "Sai perché ho scelto lui oggi…? Non è stato un caso… lo volevo morto. E e se bacerà… un'altra vola Katharina, lo sarà."
Friedrich volse il collo oltre la sua spalla perchè sapeva che l'avrebbe trovato alle sue spalle, in penombra, ai margini del suo campo visivo, ma qualcuno aveva altri piani.
"Są tam!"
Quel "sono di là" urlato in un'altra lingua spazzò via gli istanti rimasti come briciole. I tedeschi non capirono quelle parole, ma fu chiaro a tutti che avrebbero dovuto darsi una mossa. L'istinto è un'idioma universale.
"Sono polacchi…" disse Kurtish in un bisbiglio, come se non credesse alle sue stesse parole.
"Sono polacchi!" ripeté Tabbi. Prese la rincorsa e, trascinandosi Kurtish e la sua gamba offesa dietro, si lanciò nel fitto degli alberi.  Venne inseguito da altri spari provenienti da chi sa dove: presto sarebbe diventata una carneficina.
"Zatrzymać!" 
"Di qua."
Friedrich venne afferrato da una spalla e tirato indietro.
"Al… Albrecht. L'Accademia è da quella parte, sono sicuro che è da quella parte…"
Ma Albrecht non gli lasciò il braccio mentre si inoltrava fra le chiome ombrose, ed era chiaro che non si sarebbe fermato.
"Albrecht… Dannazione."
Con l'aria nei polmoni che non teneva testa alla velocità delle gambe, pareva sapesse esattamente dove andare.
"Ma tu non stai andando all'Accademia, vero?"
Fu allora che Albrecht si fermò e, quando si voltò, per Friedrich non ci furono più dubbi.
"Tu sai che qui saremo al sicuro… Non è così?"
Nessuna bufera di neve avrebbe mai potuto coprire il fracasso del cuore che gli accelerò nel petto.
"Tu sapevi già cosa sarebbe successo, non è stata un'imboscata per te."
Friedrich pensò che se avesse negato tutto gli avrebbe creduto lì e subito, senza guardare indietro. Sperò che negasse, che si difendesse, che persino s'indignasse per quell'accusa disonorevole. Ma, a quanto pareva, l'idea di avere a che fare con un gruppo di insorti non offese Albrecht. Non lo offese affatto.
"Sì. Lo sapevo."
Fu come morire. Rinascere. E desiderare di non averlo mai sentito.
Fu come conoscere Albrecht per la prima volta, impietriti sotto a cristalli d'Inverno, nel silenzio innaturale che precede la tempesta.
"Siamo i tuoi compagni…" esordì Friedrich, con una voce che voleva essere calma, quasi ragionevole. "Siamo tedeschi… Siamo dalla stessa parte in questa guerra."
Doveva esserci per forza una spiegazione che uccidesse la spiacevole sensazione che ordinarietà e follia avessero deciso di giocare a carte con il mondo.
Albrecht era impazzito.
"Io non sarò mai dalla loro parte. E neanche tu."
"Albrecht. Miseria ladra. Arrivi a tanto? Questo non è scrivere due parole di troppo in un tema in classe, questo è tradimento."
"Anche tu tradisci Friedrich, l'ultima volta? Cinque secondi fa. Ogni volta che sei te stesso. Hai tradito prima quando hai difeso Kurtish, hai tradito quando hai perso l'incontro finale perché ti sei rifiutato di combattere, e tradirai ancora e ancora e-"
"Non farlo. Albrecht non farlo.."
"Ci ho provato ad odiarti sai. Ci ho provato davvero, ogni volta che facevi qualcosa che mi faceva rivoltare lo stomaco ho pensato 'Ecco, ora riuscirò a credere di lui ciò che credo di tutti gli altri". Ma alla fine non ci riesco mai. Perché per quanto ti sforzi di essere come tutti gli altri… non lo sei, Friedrich. E questo non lo si può cambiare." Si fermò un attimo, poi
aggiunse: "Non voglio che cambi. Voglio poter continuare a credere di te quello che non credo di nessuno, voglio poterti guardare e illudermi che forse, in questo cimitero di anime, ne resti ancora una."
Friedrich avrebbe sacrificato ogni vittoria per sentirgli dire ancora una volta quelle parole, anche se ancora non se ne rendeva conto. 
Non si sarebbe mai aspettato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe conosciuto attraverso Albrecht stesso ciò che sembrava aver difeso tanto a lungo dentro di sé che la voce gli era caduta sull'ultimo suono, lasciando la frase monca e leggera nell'aria; più della polvere, più delle aquile, volava più in alto di qualsiasi cosa.
Ma Friedrich non poteva seguirlo; era figlio di un fattore ed era un lottatore di boxe che cercava di rimanere a galla e Albrecht avrebbe fatto meglio a capire che ci sono altezze che non è consentito raggiungere.
"Io… dovrei denunciarti." 
Non era sicuro che questo fosse ciò che aveva intenzione di dire. Non sapeva neanche se questa fosse la direzione che si aspettava avrebbe preso la discussione. Ma aveva previsto la risposta dell'altro, perché era banalmente ovvia. Chiunque li avesse conosciuti avrebbe detto la stessa, prevedibile cosa. Ma c'erano cose più grandi in palio, in quel '42. Una guerra, ad esempio.
"Non lo farai."
"Non lo farò? Non lo farò dopo che abbiamo rischiato di morire? Dopo che uno dei miei è stato ferito? Dopo che ho finalmente capito quanto in là sei disposto a spingerti perché non sai stare al tuo posto?!"
Albrecht non era più convinto che Friedrich avrebbe mai potuto capire. 
Dal canto suo, Friedrich non voleva sapere quanto a fondo Albrecht si stesse mettendo nei guai. Ne aveva un'idea ben definita, fino a quando non continuò a parlare. Dopo, soltanto sgomento.
"Questa non è la nostra terra. La Germania crede di poter sottomettere tutto e tutti cancellando al di sotto di qualche bomba millenni di culture e tradizioni, e di dignità. Ma non lo vedi? Nessuno rinuncia a se stesso senza lottare. Pensa da tedesco, parla da tedesco, agisci da tedesco.  'Blut und Ehre', Sangue e Onore, 'Muori per la tua Patria' nell'Inverno infinito di una nazione lontana che non si arrenderà mai."
"La Russia… vinceremo la Russia. E' solo questione di tempo, le difese di Stalingrado vacillano ogni giorno di più. Prima della fine del mese la città sarà nostra. Hai sentito il Fhürer-"
"il Fhürer ha mentito."
Nessun bombardamento avrebbe mai avuto l'effetto di queste parole nella Germania Nazista. 
Queste parole non dovevano esistere nella Germania Nazista.
Allora perché pronunciarle?
Perché scomodare il pericolo di venire arrestati, chiusi in prigione e vedere il sole per il resto dei giorni attraverso le sbarre di una cella per qualcosa che non dovrebbe esistere?
Erano parole fantasma in quella realtà impreziosita da bandiere rosse e nere che svolazzavano su qualsiasi capitale posassero gli occhi, distribuiva ottimismo assieme al pane di un Regno che non avrebbe conosciuto fine. 
Parole fantasma, inconsistenti come nebbia. 
E come nebbia s'insinuarono in Friedrich, riempiendogli il naso dell'odore pungente del dubbio.
Parole così labili e piccole e sbiadite che Albrecht avrebbe potuto venir fucilato soltanto per averle pensate. Perché uccidere per delle parole fantasma? 
Perché il Terzo Reich temeva tanto le parole degli spettri?
E allora Friedrich reagì come chi capisce che i sogni possono tramutarsi in incubi nella stessa notte, e che forse chi si è svegliato prima sa qualcosa che non avrebbe dovuto comprendere. 
Reagì come un bambino che fino ad allora aveva osservato il fuoco da lontano, trovandolo estremamente piacevole e luminoso, per poi avvicinarsi un giorno, e scoprire che quella luce può fare anche male.
Reagì con la paura. Di vederlo morire, di quello che insinuava, di ciò che usciva dalla sua bocca e per il quale si sarebbe fatto ammazzare perché per lui era la verità, e ciò che per Albrecht era verità era la sola legge possibile. 
In tre secondi netti il moro aveva una pistola puntata alla testa e la mascella del biondo contratta per lo sforzo di non abbassare l'arma. 
Si fanno cose strane nella vita, cose che sarebbero state le ultime delle nostre scelte. Fino a quando non ci accorgiamo che non ci sono scelte; fino a quando l'unica scelta possibile è tenere sotto tiro di morte la persona per cui avresti scatenato fulmini e saette.
"E' questo che sei, Friedrich?" Gli occhi di Albrecht si erano lievemente spalancati, le mani gli tremarono, ma poteva davvero fargli paura chi aveva pianto sul suo petto, scosso dalla stessa diffidente claustrofobia di essere macchie bianche su un lenzuolo nero? No. Non poteva. 
"Il loro tedesco?"
"Dimmi che non è vero… dimmi che hai sbagliato, che scherzavi, che sei ubriaco, dimmi quel che cazzo vuoi ma dimmelo, dimmi che non credi ad una sola parola di ciò che hai detto. Albrecht sagen Sie mir, bitte…"*
"Nein, Ich kann nicht." 'No, non posso', rispose il più piccolo. 
E aggiunse, come chi dice addio quando vorrebbe solo un 'Arrivederci': "Neanche per te."
Friedrich non lo riconobbe. 
Eppure era sempre stato lì, al suo fianco, a prendere a spallate il mondo, con quel suo sguardo irriverente e l'irrequietezza dei ribelli.
La canna della pistola era ancora in direzione della sua fronte, ma Albrecht alzò il mento, fremente d'incredulità e impazienza: voleva una posizione. Friedrich lo sapeva: Albrecht voleva sempre una posizione. Detestava i neutrali, non sopportava gli indifferenti. Lui era così: o Cesare o nulla.
"Allora scegli, Friedrich: o me, o il Terzo Reich."
Entrambi sapevano che avrebbero detto cose che non sarebbero piaciute a nessuno. Ma se il vento non si placa, si chiudono le imposte. E si cerca di trarre in salvo il mendicante. 
Ma se il mendicante non cerca protezione ma elemosina insofferenza, Friedrich era certo di essere disposto a tutto pur di salvarlo. Anche mentire.
"La Germania. Sarà sempre la Germania."
… e poté giurare che qualcosa si spezzò, in quel preciso istante, in quella radura, mentre lì fuori si faceva la storia.
"Allora avanti… fallo. Sparami. O dì a tutti che Albrecht Stein, primo e unico figlio del Gauleiter Heinrich Stain, fondatore dell'unico e 'vero' Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori è colpevole di alto tradimento, tradimento della patria, sfiducia nella vittoria, cospirazione con il nemico e di essere un maledetto K o m m u n i s..-"
Gli schiaffò una mano sul viso prima che potesse dire altro e la "t" sbattè con violenza contro il palmo della mano. 
Friedrich annientò la distanza che li separava con un'impeto che sconcertò Albrecht; il moro si sbilanciò all'indietro e finì con le scapole sbattute contro un tronco, e la voce gli si mozzò in due.
Albrecht serrò istintivamente le palpebre e si morse il respiro; alcuni cristalli di neve gli si incastrarono fra le ciglia. 
Friedrich non si era e reso conto che stringeva ancora il dito sul grilletto, e il metallo della pistola glielo aveva inconsapevolmente premuto sulle costole.
Come poteva la stessa persona essere incendio che minaccia di incenerire il mondo un attimo prima e una fragile bambola di porcellana un attimo dopo? 
Al biondo nessuno aveva mai detto che avrebbe trovato alta e bassa marea nello stesso mare. E che avrebbe amato quel mare, ma che quest ultimo si sarebbe comportato con lui come se fosse sole che rischiava di scottarlo. 
Non voleva che Albrecht lo credesse capace di fargli del male; getto l'arma di lato con stizza e quella si ficcò nella coltre bianca, e realizzò che non gli piacque vedere Albrecht in quel modo, irrigidito dal timore e dalla diffidenza come se il nemico lo avesse appena catturato sul campo di battaglia. Ralizzò che erano fermi in una strana posizione e che avrebbe dovuto togliergli la mano e liberargli la bocca, e lasciare che il buonsenso facesse il resto. Ed era già pronto per farlo, credetemi, fino a quando Albrecht non aprì gli occhi.
Allora il palmo di quella stessa mano lasciò il posto alle dita di Friedrich, che gli scivolarono sulle labbra.  
Due guance che nulla avevano da invidiare al pallore della neve circostante, sul quale spiccavano le brune ciocche di capelli smosse dalla lotta e dalla corsa e la linea di un collo morbido attraverso il quale una vena bluastra pulsava tenacemente.  
Albrecht non lo fece apposta, Friedrich ne era sicuro, quando lo guardò in quel modo. 
No, non con ironia o malizia, non con ostilità, né piacere: era uno sguardo che il Pugile non seppe mai descrivere davvero, la vulnerabilità disarmante che possedevano i suoi occhi dell'azzurro più scioccante che riusciate a immaginare.
Innocenza e candore guerreggiavano con il fascino dell'indocilità in quegli occhi che -Friedrich ne era sicuro- avrebbero fermato un carro armato.
"Perché non sai dire di sì?" sussurrò allora. "Perché non puoi essere come tutti gli altri…?"
"… Saresti qui ora se fossi come tutti gli altri?" rispose Albrecht e, mentre parlava, Friedrich con indice e medio gli tirò il labbro inferiore in avanti. 
Che cosa avrebbe dovuto fare?
Denunciarlo. Certo.
E forse sarebbe stato meglio. Forse con la sorte è bene non giocare. Non la si sfida quando è in atto una guerra perchè i suoi dadi, una volta lanciati, non tornano indietro.
Chiudere la faccenda era infinitamente semplice.
Ma accusare quegli occhi di alto tradimento voleva dire chiuderli per sempre, e le sue labbra, che facevano bella mostra di sé su tutto quel pallore, dipinte da un dio con una morbosa passione per il rosso? Cosa avrebbero fatto alle sue labbra?
A Friedrich venne in mente una cosa sola, senza neanche capire perchè. E la fece.
Albrecht lo guardò avvicinarsi, lentamente, troppo lentamente, l'attesa fu snervante. Si accorse di voler assaggiare le labbra del pugile prima ancora di sentire il suo respiro caldo sul mento. Quando la lingua di Friedrich gli entrò fra i denti, seppe che era troppo tardi per fermarsi. I brividi che gli carezzavano la colonna vertebrale erano la conferma che non si sarebbe fermato.
Friedrich fu dolce e lieve ma non gli chiese il permesso di prendergli il mento tra le dita e approfondire il contatto, lasciando che la lingua si intrecciasse con la sua. E Albrecht, senza doverci pensare un solo secondo, aprì di più la bocca e consentì all'altro di varcare la soglia delle sue difese, di premerlo contro quel tronco, di confondere il respiro con il proprio. Quando Friedrich gli strinse i capelli sulla nuca e il corpo di Albrecht si tese come una corda di violino, fu chiaro ad ogni fiocco di neve che, inconsapevolmente, non avevano aspettato altro in tutti quei mesi.
Tutto il rumore del mondo e degli echi dei feriti, dei lamenti delle madri, delle bombe e del fumo apparvero vani in confronto ai loro respiri bollenti nel gelo, alle labbra umide di saliva e al modo in cui Friedrich afferrò il viso di Albrecht con le mani, come se ne dipendesse l'esito della guerra.
Erano caotici, scomposti, sgraziati e per niente Ariani. Ma erano belli da morire, con la loro urgenza di rubare per sé qualcosa dell'altro, e con mezzelune di iridi che non oscuravano mai del tutto perché volevano sentirsi ma bramavano anche vedersi prima che fosse troppo tardi.
Era triste il modo in cui si assaporavano, piano ma con fermezza, come se sapessero che non avevano tutto il tempo del mondo, che prima o poi la neve si scioglie, che non sarebbero potuti rimanere a leccarsi le labbra per sempre.
Friedrich, in un momento di breve lucidità, promise a se stesso che avrebbe baciato Albrecht in quel modo ogni giorno di ogni vita se questo fosse bastato a sottrarlo alle grinfie del ribelle che era in lui.
I loro cuori sbattevano come ali febbrili di uccelli in gabbia, le mani si aggrovigliavano fra capelli d'oro e d'ebano mandando in frantumi l'immagine perfetta che indossavano come una seconda uniforme; senza preavviso il Pugile percepì i denti del Ribelle inciderglisi nella carne cedevole del lobo, e una scudisciata improvvisa di piacere gli colpì il basso ventre. 
Un sciocco. Un ramo che si spezza.
Chi dei due fu più pronto non è dato saperlo, ma entrambi si nascosero quasi all'unisono dietro il grosso Abete, allerta, ansimando senza fiato. Gli zigomi di Albrecht erano imporporati dal difetto tutto umano del sangue che vi affluisce e Friedrich, i sensi aizzati a fiutare il minimo movimento, non vi scorse solo una scioccante malinconia. 
"Ragazzi… Albrecht, Friedrich, dove siete?"
"E' Tabbi…"
".. la pistola.."
"Sì…" Friedrich deglutì. "Sì, Tabbi. Siamo qui."

 





 

- Tedesco- 

Heimat = 'Patria', intesa come tutto ciò che costituisce lo spirito, le radici, l'identità di un popolo.

*"Nein, es sti zu spät, Friedrich." = "No, è troppo tardi, Friedrich."

*"Gestoppt." = "Fermati."

*"Albrecht, wie geht es Ihnen? Sie könen aufstehen? Atmen… atmen…" = "Albrecht, come stai? Riesci a sollevarti? Respira… respira…"

*"Er… wollte.. mich töten… er würde mich töten…" = "Voleva.. uccidermi… mi avrebbe ucciso…"

*Albrecht sagen Sie mir, bitte…" = Albrecht dimmelo, per favore…"
 

- Polacco -

"Są tam!" = "Sono di là!"

"Zatrzymać!" = "Fermi!"
 

SPAZIO AUTORE
Buonsalve, non ho niente da dire, tranne forse l'assoluto c a o s in cui si trovano le "bozze" di questo capitolo e l' a p o c a l i s s e della versione finita (esisterà mai qualcosa di realmente finito?) che state leggendo. 
Chi aggiunge disordine al disordine? Ma questa ragazza ovviamente!

La storia dovrebbe (DOVREBBE) comporsi di 5 capitoli e già il primo non doveva andare così, ma, per chi non lo sapesse, i miei capitoli non vanno mai come diceva il piano (chi ha mai posseduto un piano?) originario e poi finisce puntualmente che pascolano nei prati e inseguono le farfalle mentre io me ne sto lì in mezzo a fingere che è tutto sotto controllo. 

Su NaPoLa non dico nulla altrimenti filosofia non inizio a studiarla più, sul periodo storico in cui si è mosso il film e in cui mi sto muovendo (o affogando) io non dico niente a maggior ragione perchè davvero ho Schopenhauer che mi attende come un'ombra oblunga sulla mia nuca e Friedrich Wilhelm Nietzsche perché sì, leggete ciò che scrive e le risposte verranno da sè. (o ulteriori domande.)

Se riscontrate errori nelle frasi in tedesco o in polacco non esitate a farmelo sapere. 

Ringrazio in anticipo coloro i quali daranno un'occhiata i miei (straripanti) fiumi di parole e complimenti se non vi perderete, 
Io il filo di Arianna l'ho perso da un po'.

Ps: Allestain si trova in Polonia, il nome Polacco della città è Olsztyn ed è capoluogo del voivodato della Varmia-Masuria, anche nota anche come "la terra dei mille laghi".
Ps: Sorvolate o segnalate eventuali errori, l'ho riletto un centinaio di volte ma l'ho modificatoalteratomutato altrettanto.
Ps3: la copertina è di mia creazione. 

Pachiderma Anarchico

 
  
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