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Autore: Danymargy    09/11/2016    0 recensioni
In un momento di solitudine e tristezza ho deciso di scrivere a mia madre, scomparsa quasi un anno e mezzo fa per ricevere conforto e perchè scrivere è rimasto l'unico modo che ho per comunicare con lei. Le racconto quello che è successo durante questo periodo, le mie sensazioni e le mie emozioni.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao mamma E’ da tanto tempo che volevo scriverti, ma non ho mai trovato il coraggio per farlo… Sai che le cose mi vengono meglio a scriverle che a dirle. Ieri c’è stato l’Election Day in America, o meglio, negli Stati Uniti… Ha vinto Trump. Già, so cosa stai pensando… “Che schifo” Sono successe tantissime cose da quando te ne sei andata. Mi sono diplomata, con 100, il massimo, proprio come avresti voluto tu…. Saresti stata felicissima, sarebbe stato piu il tuo traguardo che il mio, riuscire a crescere una figlia che ottiene sempre il massimo in qualsiasi cosa faccia, una figlia con tanti amici, tante passioni, una vita piena! E invece non è così. E’ tutto cambiato e qui serviresti davvero tu. Ho fatto i test per ingegneria edile-architettura a Bologna, una cosa che tu avresti odiato perché non mi avrebbe permesso di realizzarmi al massimo, e li ho passati. Sono stata brava, come sempre, saresti stata fiera nonostante tutto. Ma qualcosa è andato storto. Ti chiederai “Quando mai qualcosa è andato bene?”. Ma questa volta è peggio, mi sento crollare il mondo addosso, e mi sento sola, tremendamente sola. Con papà non parlo di queste cose, in realtà non parlo di nulla con lui. Non c’è quasi mai e quando c’è è come se non ci fosse, sempre preso dalle sue cose, sai suoi mille lavori, da tutte le sue idee malsane. Penso sempre che sia colpa sua se adesso sono in questo stato. Sono in un limbo, in stand-by. E’ come se stessi aspettando qualcosa, un segnale, per riuscire a reagire. Adesso riesco a capire perché eri sempre nervosa e sembrava ce l’avessi col mondo intero, passando la tua vita dentro quattro mura pensando a tutto quello che c’è fuori. Alla fine finisci per ammalarti. Vedo tutti che vanno avanti con le loro vite, mentre io non riesco a lasciare questo posto, è come se una forza mi tenesse ancorata qui, e non ho via di uscita, sono destinata a diventare te, a finire come te. Non mi va neanche più di uscire, di incontrare le persone, anche io, come te, non so più di cosa parlare con loro… Non fanno altro che chiedermi dell’università, anche tra di loro parlano solamente di quello e io non faccio altro che sentirmi inadeguata. Sempre. Con i pochi che hanno capito che non mi devono chiedere nulla sull’argomento e che non devono neanche accennarlo, non riesco a trovare argomentazioni per sostenere una discussione, per cui finisce per calare il gelo. E allora torno a casa. Qui mi sento un po’ piu al sicuro. Sola. Non sono costretta a parlare con nessuno, non sono costretta ad essere giudicata da persone che credono di essere ormai arrivate, di sapere tutto, che elargiscono consigli non richiesti, pensando che tutto si possa risolvere con le parole. Io saprei come risolverla. Io so cosa voglio fare. Ma non ho il coraggio di parlarne con papà. Per questo ne sto parlando con te. Eri sempre tu quella a cui raccontavo tutto, alla quale chiedevo il ‘permesso’ e poi tu lo riferivi a papà che a quel punto non poteva far altro che essere d’accordo. Più sto qui e più mi rendo conto che quello per cui ho studiato e per cui mi sono impegnata tanto, non è veramente ciò che voglio fare, ciò che voglio diventare. Semplicemente ho preso la strada sbagliata. E penso tu lo sappia già. Per questo mi tieni ancorata qui. Qui con te. Mi vuoi far ragionare, vuoi che io capisca che sto sbagliando tutto, che ho sempre sbagliato tutto, che non sarò felice prendendo quella strada. Ma io il coraggio non ce l’ho. E tu non ci sei. Non mi puoi sostenere. A volte penso che se tu fossi ancora qui tutto questo non sarebbe successo, forse non avrei mai preso 100, forse non avrei preso questa strada, forse non avrei avuto bisogno di bere per diventare simpatica. Sicuramente non sarei qui a scriverti una lettera che non leggerai mai. Sai sono diventata intrattabile. Acida dicono in molti. Ma non è colpa mia. Tutto quello che mi è successo mi ha fatto costruire scudi su scudi, così molto spesso la mia presenza non è gradita. Alla gente non piace sentirsi dire la verità, gli piacciono le favole, in cui tutto è bello e felice. Io alle favole non ci credo più. Sai credo tu non me le abbia mai raccontate, penso sia per questo che ho cominciato a leggerle, mi costruivo un mondo di favole perché non volevo affrontare la realtà. Papà non c’era e tu mi dovevi crescere da sola, e non ce la facevi. Ogni tuo gesto era un grido disperato di aiuto. Ma nessuno ha saputo ascoltarti ed io ero troppo piccola per capire cosa stavi passando. La solitudine ti fa pensare. E’ questo quello che fai quando non puoi parlare con nessuno. Pensi. E non sono mai pensieri positivi. Sono macigni che albergano il tuo cervello, i pensieri, e non li puoi cacciare, stanno lì anche quando non te ne accorgi, in stand-by. Proprio come me che non so più chi sono, cosa voglio, cosa voglio essere. Avrei tanto bisogno del tuo aiuto, perché tu mi capiresti. Certo, all’inizio faresti un po’ fatica, mi faresti un casino di domande, ma accetteresti quello che penso e mi aiuteresti a portare avanti la mia decisione. Saresti qui a farmi compagnia. Guarderesti con me la tua serie tv preferita sotto il plaid, come abbiamo fatto l’ultimo giorno che siamo state insieme. Tranne per il fatto che, alla fine, dopo aver posato gli occhiali, saresti tornata da me.
   
 
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