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Autore: Natsumi Raimon    10/11/2016    2 recensioni
[Storia partecipante all'Iniziativa Femslash2016]
Dal testo:
Si avvicinò fino a premere il corpo sinuoso contro il vetro freddo, sorrise ancora e arcuò le labbra in un bacio, ridacchiando quando vide il rossore invadere il viso della giovane Wells, mentre la ragazza abbandonava la stanza con evidente stizza.
Era stata sconfitta.
Era stata piegata.
Ma non avrebbe giustificato le sue scelte. Non avrebbe mai dato spiegazioni per la sua caduta. Non avrebbe mai parlato di cosa era stata prima del declino.
Lei non era un’eroe.
Non più.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Sorpresa, Zoom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lei non era un eroe. Non più
 




 
La teca rimbombò e tremò sotto il potente Canary Cry, deformandosi e plasmandosi all’attacco per poi riacquistare la sua forma originaria. La trappola perfetta.
Jessie ne osservò i movimenti, al di là del vetro, sinuosi come quelli di un serpente, sensuali come una pantera, ma i tremori del corpo tradivano l’irrequietezza, la paura, il senso di sconfitta.
 
Sconfitta.
 
Non pensava che avrebbe mai associato quella parola a quel volto provando serenità e gratitudine. Pensava che ne sarebbe stata afflitta.
La piccola Jessie non avrebbe mai immaginato che l’eroina che tanto aveva ammirato e tanto aveva ringraziato, un giorno sarebbe stata tra le più potenti alleate di Zoom.
La donna si accorse della sua presenza inquieta, sulla soglia della porta, appoggiata al muro e con quel fresco abito celeste che quasi la mimetizzava, tanto la sfumatura era simile alla vernice della stanza. Sorrise premendo il palmo della mano contro il pannello di vetro e ammiccando. 
Jessie lesse in quello sguardo, in quegli occhi verde nocciola, e seppe che ricordava.
Lei la ricordava.
 
La sua mente precipitò tra i ricordi di quel martedì afoso.
Sentì il caldo opprimere il petto e avvolgere la sua pelle in una carezza bollente, disegnò colori, insegne sbilenche, tavolini di legno chiaro, ombrelloni celesti, un bicchiere gelido di frappé alla vaniglia e fragola, ascoltò le risate dei bambini, le chiacchiere dei ragazzi, le ordinazioni quasi gridate in mezzo alla folla assetata e poi le sirene, i colpi di pistola, le auto della polizia coi lampeggianti blu e rossi accesi e le portiere spalancate a far da scudo a uomini che speravano solo di tornare a casa, di godersi le vacanze con la loro famiglia.
Si girò verso la Central City Bank, a pochi metri dal chiosco dove lei e le sue compagne di liceo andavano quasi ogni sabato, e rivide i rapinatori correre fuori, le facce protette da maschere di Halloween raffiguranti i Peanuts, vide Snoopy alzare la pistola, Charlie Brown sistemava il borsone pieno di soldi sulla spalla e poi lei.
Una folta chioma bruna, pantaloni neri aderenti, stivali da motociclista, rossetto nero.
 
Era Black Syren.
 
L’eroina era da poco comparsa nel vasto panorama di metaumani che popolavano Central City ma aveva rapidamente acquisito notevole fama.
Era stata ripresa mentre impediva ad una gang ispanica di sfuggire alla polizia e da allora il video era divenuto virale.
Jessie l’aveva guardato almeno tre volte, studiandola con ammirazione mentre si gettava nella carreggiata e arcuava la schiena in avanti, schiudendo le labbra e lasciando fluire le potenti onde sonore che investirono l’auto facendone scoppiare vetri e pneumatici.
Il veicolo si era arrestato in mezzo al viale che conduceva alla sede universitaria e la polizia l’aveva circondato in pochi secondi, fermando i quattro uomini della banda che avevano afferrato gli zaini mimetici e avevano spalancato gli sportelli, cercando di scappare con la refurtiva.
 
Jessie si allungò sul tavolino, cercando di avere una buona visuale della situazione.
I rapinatori stavano cercando di disperdersi, evitando i colpi di pistola degli agenti, ma Black Syren piroettò in mezzo a loro con eleganza, con la schiena arcuata e la bocca contratta in un grido perpetuo. Charlie e Snoopy si piegarono a terra, abbandonando pistole e refurtiva e premendo i palmi delle mani contro le orecchie, cercando di isolare il grido assordante che penetrava dolorosamente fin nelle carni. Lucy scivolò contro il cofano di una delle macchine della polizia e proruppe in un grido disperato.
Syren raddrizzò la schiena e strinse le labbra in una smorfia di disappunto, osservando i tre rapinatori che si contorcevano ai suoi piedi. Si voltò verso le volanti, pronta ad inscenare un inchino irriverente, come di consueto, prima di darsi alla fuga.
 
I poliziotti si erano preparati a fronteggiare anche la donna, abituati ormai ad esser sfiduciati e timorosi verso i metaumani che dall’esplosione dell’acceleratore della Star Labs avevano letteralmente distrutto la città e terrorizzato i cittadini, ma lei era scoppiata a ridere ed era fuggita, agile come un ghepardo e sia gli agenti che i clienti del chiosco erano rimasti immobili, osservando la nuova eroina mentre volava da un tetto all’altro, allontanandosi dalla folla.
 
Pochi minuti più tardi, mentre si stava dirigendo a casa, la mente ancora coinvolta negli avvenimenti di quel pomeriggio, sentì una mano ghermirle il braccio e trascinarla in un vicolo, lontano dalle affollate strade dell’East Side.
Jessie si girò di scatto, pronta a protestare e a difendersi ma il coraggio e l’adrenalina che poco prima l’avevano aizzata con ferocia scemarono presto quando riconobbe una maschera spaventosamente familiare. Uno dei rapinatori era sorprendentemente riuscito a sgusciar via dalle mani della polizia e ora le puntava un coltellino affilato contro il fianco.
 
Non avrebbe mai pensato di essere minacciata da Linus.
 
La donna che la minacciava, Jessie ne riconobbe le forme anche sotto la felpa blu notte e i pantaloni neri, sibilò -Piano…passami portafogli e cellulare.- La voce era roca e tagliente come schegge di vetro.
Jessie sentì la punta del coltello penetrare nella carne e strinse i denti, sopprimendo l’istinto di gridare, piangere o mostrare in altro modo la paura che l’attanagliava.
Le braccia le formicolavano mentre portava una mano dentro la borsa di pelle marrone, stringendo il freddo involucro del cellulare, poté percepire il cuore rimbombarle nel petto mentre respingeva la tentazione di premere il tasto di chiamata rapida e contattare subito il padre.
Non fece nemmeno in tempo ad estrarre il telefono dalla borsa che due esili ma forti braccia fasciate di nero afferrarono la donna per le spalle e la scaraventarono a terra. La maschera di Linus si sporcò di polvere nera mentre una gamba sfrecciò fulminea verso l’alto, assestando un colpo brutale sotto il mento della criminale.
 
Jessie si voltò e il suo cuore perse un battito mentre identificava la sua salvatrice: Black Syren. Le sembrò quasi un miracolo averla incontrata due volte in un solo giorno eppure era lì, l’aveva salvata.
-Sai..- sussurrò la donna, allungando un braccio e carezzandole il viso, mentre le sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio -sei la prima persona che salvo.-
Jessie arrossì, inalando il profumo di agrumi che la ragazza emanava. Era alta, molto più alta di lei, considerò, anche senza contare i centimetri di tacco che indossava.
 
-Bene…spero che la tua giornata migliori. Ci si vede.- cinguettò soave, poi, con rapidità sorprendente, si abbassò e sfiorò con le labbra carnose l’angolo della sua bocca. 
 
Ammiccò, chiudendo le lunghe ciglia, simili a fuliggine e coprendo i grandi occhi verdi, circondati da un anello nocciola. Jessie rimase ad osservarla mentre allungava le braccia e stringeva la presa sulla scala anti-incendio del palazzo che dava sul vicolo e si sollevava, ruotando fino ad avvolgere le gambe attorno alla scala sospesa, issandosi sul corrimano ed iniziando a scalarla. Rimase ancora a guardare Syren rimpicciolirsi e svanire oltre il cornicione bianco di gesso, mentre le labbra le bruciavano.
Le sfuggì un sospiro sofferente.
 
 
 
Scosse la testa, fulminando la donna al di là del vetro. Come aveva potuto distruggere quel ricordo così bello? Come aveva potuto calpestare l’ammirazione che lei provava? 
Perché aveva abbandonato i suoi ideali? Esisteva ancora la ragazza che l’aveva salvata in un vicolo buio? Che le aveva sottratto un tenero bacio a fior di labbra?
 
Le lacrime le punsero gli occhi marroni. Forse si era illusa, dopotutto Syren era umana. Aveva avuto paura di Zoom e aveva scelto di unirsi a lui piuttosto che soccombere per persone che nemmeno conosceva e che nonostante le sue gesta avevano sempre sospettato di lei, che non avevano mai smesso di farle pesare quella diversità, che non l’avevano fatta sentire al sicuro e l’avevano costretta a nascondersi dietro una maschera.
 
 
 
 
 
Laurel Lance si avvicinò fino a premere il corpo sinuoso contro il vetro freddo, sorrise ancora e arcuò le labbra in un bacio, ridacchiando quando vide il rossore invadere il viso della giovane Wells, mentre la ragazza abbandonava la stanza con evidente stizza.
 
Era stata sconfitta.
Era stata piegata.
Ma non avrebbe giustificato le sue scelte. Non avrebbe mai dato spiegazioni per la sua caduta. Non avrebbe mai parlato di cosa era stata prima del declino.
Lei non era un’eroe.
Non più.
 








Spazio autrice:
La storia e la rielaborazione di Black Syren non vengono dal nulla, ma nascono dal fatto che nella DC Comics la giovane Donna Nance, alias Black Syren, era l'unica eroina della JGA, mentre nella serie tv di The Flash viene associata a Laurel Lance e resa cattiva, nei fumetti è l'unica rappresentante femminile del gruppo di eroi e nasce da una rielaborazione del personaggio di Black Canary da parte del suo creatore.
 
 
   
 
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