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Autore: BooBoo_    12/11/2016    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
"Solitamente nei film la protagonista si scontra con un bellissimo ragazzo, che le rovescia il caffè e poi molto gentilmente si scusa e la invita a cena, tutto va per il meglio e questo diventa l’uomo della sua vita.
Peccato che la mia vita fosse tutt’altro che un film, perché quel tipo era sì, un bel – a dirla tutta proprio bellissimo- ragazzo, ma era tutto tranne che gentile e amichevole e soprattutto dispiaciuto! Poi il caffè non si era rovesciato, quindi probabilmente non avrebbe funzionato comunque, anche se fosse stato il Principe Azzurro delle favole. "
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo

POV Samantha

«Un mocaccino, per favore.»
«Certo, il suo nome? »
«Samantha»
Un buon caffè era proprio quello che ci voleva per cominciare la giornata, che oggi sarebbe stata proprio lunga. Non era nemmeno iniziata bene: erano le 8, io ero in ritardo e da Starbucks il locale era pieno.
Finalmente, dopo 10 minuti d’attesa, era arrivato il mio turno.
Appena il mio caffè fu pronto uscii nell’aria fresca autunnale di New York e cercai di chiudermi il cappotto comprato specificatamente per l’occasione, rimpiangendo di aver legato i capelli così che non  mi coprissero il viso, lasciando la parte più lunga libera; erano lunghi fin quasi al seno, castani e con dei ricci boccolosi che assomigliavano a quelli della principessa Sissi.
Perché non avevo messo una sciapa?
Beh dovevo ammettere che non ne avevo una adatta all’appuntamento e che probabilmente Mrs. Blanchett non l’avrebbe apprezzata.
Devo intervistarla per poi scrivere un articolo riguardo la sua casa di moda di vestiti eleganti e molto costosi.
Mrs. Blanchett non ama le interviste e, soprattutto, non quelle in cui è una piccola stagista in jeans e t-shirt  a fare le domande. In effetti io non ero effettivamente una giornalista, stavo facendo un piccolo stage, sottopagato, per diventarlo, durante il periodo scolastico. Era un casino.
In ogni caso, il mio “capo” mi aveva costretta a comprare questo vestito di Armani, bianco, lungo fino al ginocchio e con le maniche a tre quarti, per niente svasato o sfiancato come piaceva a me, e questo cappotto rosa pallido di Prada. Il tutto completato da un paio di décolleté di Choo. 
Tutto questo semplicemente per sostituire la vera giornalista, che io avrei dovuto seguire come un cagnolino, perché si era ammalata. Posticipare l’appuntamento non era neanche lontanamente un’ipotesi da prendere in considerazione, ovviamente.
Comunque, tutto il pacchetto mi era costato una fortuna e non ero nemmeno andata nei negozi centrali! Avevo trovato un piccolo spaccio che vendeva i capi a minor prezzo e non avevo perso l’occasione.
La Grande Mela si stava svegliando e i marciapiedi stavano cominciando a popolarsi: gli uomini d’affari con la loro immancabile valigetta ventiquattrore e la cravatta al collo fermavano taxi e guardavano furiosamente gli orologi, le madri portavano i bambini a scuola cercando di non perderli in mezzo alla folla di NY e gli studenti, quelli che non avevano una stanza al college, correvano come pazzi, ancora mezzi addormentati, per riuscire ad arrivare puntuali alla prima ora.
Oggi avrei avuto lezione ma avevo deciso che due ore di filosofia non avrebbero mai potuto competere con l’esperienza di intervistare un gran personaggio della moda attuale e scrivere un articolo. Un articolo tutto mio. Probabilmente non sarebbe mai stato pubblicato, ma ci speravo: ero abbastanza brava a scrivere, lo sapevo e i professori spesso me lo facevano presente, ma soprattutto mi piaceva, mi piaceva tantissimo. Per questo motivo stavo lavorando –schiavizzata-  al Cool Magazine, un giornale non molto influente, ma con i suoi clienti affezionati. Era comunque un’esperienza diversa dal bar in cui lavoravo di solito, vicino al college. Mi ero presa due mesi di stop per poter frequentare questo stage e ce la stavo mettendo tutta.
Svoltai nel piccolo viottolo che portava ad un’altra via principale, pieno di negozietti etnici dai colori sgargianti. Il caffè era ancora bollente nonostante l’aria fresca e i minuti passati, quindi mi voltai ad ammirare le vetrine.
Questi colori mi avevano sempre attratto, ma non avrei mai avuto il coraggio per indossarli: mi sembrava sempre che la gente mi giudicasse per quello che indossavo, che facevo, che dicevo. New York era una grande città in cui nessuno faceva caso a te, ma dopo aver passato 15 anni della mia vita in un piccolo paesino italiano dovevo ancora farci l’abitudine.
D’un tratto non ero più nella Grande Mela, ma in una città africana, indiana, sudamericana, piena di colori, di rumore, di musica, canti e balli. Tipo Dirty Dancing 2. Dovevo smetterla di guardare così tanti film.
Ero ancora persa nei miei pensieri e stavo camminando a passo svelto per arrivare alla macchina che avevo parcheggiato qualche via più in là, per evitare il traffico.
Girai l’angolo per la seconda volta, nel vicolo in cui vi erano le discoteche e i pub più strani della città e mi ritrovai addossata ad un ragazzo.


 

POV Logan 

Se il buongiorno si vede dal mattino, allora questa giornata andrà proprio di merda.
Non erano nemmeno le 8 e già ero incazzato e avevo litigato col mio capo dopo 9 ore di lavoro e 2 di riunione, concluse in bellezza. Solitamente non lavoravo così tanto, ma questa settimana Josie si era ammalata e io e Nick avevamo dovuto coprire anche il suo turno. Josie era l’unica ragazza che lavorava al Darkness ed io e Nick la proteggevamo come una piccola sorellina, cosa che, per altro, lei odiava; diceva che le facevamo scappare tutti i ragazzi. Era vero. Sorrisi al pensiero.
Comunque stamattina mi ero preso proprio una bella strigliata, ma dovevo ammettere che me la meritavo e che Jack, il mio capo da ormai tre o quattro anni, aveva ragione. Conoscevo bene le regole e le avevo infrante, però essendo un bravo barista e soprattutto dopo essere diventato amico di Jack, me l’ero cavata “solo” con una sgridata, che però mi aveva rovinato comunque il venerdì.
Due sere fa, nella discoteca dove lavoravo, il Darkness,  avevo fatto scoppiare una rissa, cosa che Jack non aveva particolarmente apprezzato.  Anzi, a dir la verità, era la regola numero uno: niente risse con i clienti.
Era successo tutto molto velocemente: ero arrivato già incazzato per colpa di mio padre, avevo cominciato il mio turno al bar ed era andato tutto abbastanza bene fino al momento in cui quella bionda si era avvicinata al bancone chiedendomi di prepararle un drink speciale, solo per lei. Stava flirtando, era chiaro come il sole e poi, succedeva molto spesso ormai; un drink, qualche battuta e avevo il suo numero di telefono, oppure mi aspettavano alla chiusura del locale. Ero un bel ragazzo, e lo sapevo. I miei occhi azzurri erano quelli che facevano capitolare le ragazze, poi ovviamente mi tenevo in forma: facevo boxe e partecipavo anche ad alcuni incontri, quindi ero ben piazzato. In realtà non mi allenavo molto spesso visto che dovevo incastrare gli orari assurdi della discoteca e lo studio per gli esami dell’università che frequentavo.
Comunque quella sera stava andando tutto bene, ero quasi certo di riuscire a sollevarmi il morale alla chiusura, poi però è arrivato il fidanzato della bionda che ha minacciato di prendermi a botte se ci avessi riprovato con lei. Ha minacciato ME! Comico. In una serata normale avrei anche lasciato perdere, non era una gran perdita, aveva gli occhi troppo truccati di nero, sembrava avesse preso dei pugni guardandola bene, ma non era una serata come le altre. Ero incazzato e così ho risposto a quello stronzo che mi sarei potuto fare la sua tipa quando mi pareva e che anzi, probabilmente me l’ero già scopata. Nemmeno a dirlo quello tentò di prendermi per il colletto della maglia e tirarmi dall’altra parte del bancone e io lo lasciai fare, sapevo che una volta passato sarebbe stato molto più facile riempirlo di pugni.
Ovviamente la serata finì in un gran casino, il tipo se ne uscì col naso mezzo rotto e la fidanzata in lacrime. Avrei veramente voluto dirgli che avrebbe dovuto mollare lei, non prendere a pugni me, ma sembrava già troppo umiliato. Almeno però io avevo sfogato la mia rabbia, anche se non era diretta a quel poveraccio, che anzi, mi faceva pena ora.
Jack per fortuna era in vacanza quella sera – chi è che va in vacanza a metà ottobre?! – ma sarebbe tornato il giorno dopo, infatti eccomi qui, appena uscito dalla “convocazione mattutina” di tutti i dipendenti, anche se il bersaglio ero io.
Lo sentivo ancora che ripeteva «Logan te l’ho già detto, cazzo! Devi piantarla con queste risse dentro il mio locale, ok?! E’ l’ultima volta che ti copro il culo, dopo sei fuori. Ora vai a farti una dormita che sembri averne bisogno. » Ma questa volta non era colpa mia… Non del tutto almeno.
«Senti Jack, io.. »
«Ho detto vai a casa, Logan. Ci vediamo domani sera. » Quando non mi lasciava parlare mi faceva imbestialire ancora di più.
Così, con questi pensieri incasinati e più incazzato e stanco che mai, svoltai l’angolo e mi ritrovai addosso ad una tipa. Porca puttana.

  
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