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Autore: semolina    12/11/2016    2 recensioni
Dopo il loro incontro al Mollly's [nella 5x03], tra Sylvie Brett e Antonio Dawson è nato un qualcosa, un legame sottile. Il lavoro li terrà lontani ma non indebolirà ciò che è nato, lo rafforzerà invece rendendoli completamente connessi.
Questa è la prima volta che scrivo una fan fiction,non mi era mai capitato di appassionarmi così tanto alla storia nascente tra due personaggi tanto da far accendere la mia fantasia e "costringermi" a scrivere.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco qua anche il quinto capitolo, un po’ in ritardo ma non è stato facile da scrivere. Come sempre, spero vi piaccia.

 

Aveva trascorso le ultime due ore al primo piano del distretto, negli uffici dell’intelligence, dove aveva portato il pezzo di carta scritto da Antonio, e mostrato a Lindsay, spiegandole come e dove l’avesse trovato, facendole, prima inarcare le sopracciglia con fare confuso, poi spalancare gli occhi dalla sorpresa. Dopo essersi fatta raccontare da capo tutto nuovamente ed aver coinvolto anche gli altri agenti, si era alzata di scatto dalla sedia ed aveva spalancato la porta dell’ufficio di Voight decisa, senza bussare.

“Hank. Abbiamo notizie di Antonio.” Annunciò lapidaria.

Da quel momento in poi l’ufficio si era animato, tutti i membri della squadra si erano messi a trafficare con i computer, i telefoni e con pile di cartelle cartacee alte fin quasi al soffitto, mettendola in disarte. Sylvie rimase a fissare, intimidita e preoccupata, il loro frenetico operare per un bel po’, dopo di che cercò di attirare l’attenzione della detective Lindsay.

“ Ehm.. Erin..scusami.” provò con voce titubante.

“Sì, dimmi.” la incoraggiò l’altra senza staccare gli occhi dallo schermo del pc che aveva davanti.

“ Forse sarebbe il caso di avvertire Gabby, non credi?”

“Oh certo! Hai perfettamente ragione.” si riscosse. “ Ruzek! avverti Gabriella, la sorella di Antonio.” alzò la voce per superare il brusio e farsi sentire dal collega intento a scrivere qualcosa sulla lavagna in fondo alla stanza.

“Ricevuto!” Rispose l’agente, chiudendo la cartellina che aveva in mano, riponendo il pennarello col quale stava scrivendo e precipitandosi verso il telefono sulla sua scrivania. A quel punto Sylvie si ritirò in un angolo, in disparte, cercando di non intralciare i poliziotti che lavoravano, ma soprattutto cercando di capire come riprendere il controllo del suo stesso corpo. Ruzek attaccò la cornetta con un gesto veloce e rivolto ad Erin esclamò:

“ Sta venendo qui. ok?!”

La detective annuì soddisfatta e si immerse di nuovo nel suo lavoro. La bionda, non avendo ricevuto da nessuno una qualche informazione riguardo al biglietto, o al suo contenuto nè tantomeno sul diretto interessato, si impensierì ancora di più. Non sapeva cosa avessero voluto dire quelle cifre sul foglio che aveva trovato, non sapeva se fossero portatrici di buone notizie, non sapeva neanche se fossero utili al ritrovamento del detective scomparso ormai da tre settimane. Non sapeva niente di niente. E questo suo non sapere l’angosciava.

Accorgendosi, probabilmente, del suo stato d’animo, Ruzek si appoggiò allo schienale della sedia e tenendosi con le mani alla scrivania si inclinò al’indietro verso di lei, in bilico sulle gambe posteriori della sedia.

“ Sei stata grande.” Quelle parole, detto con tono calmo, dolce e rassicurante, accompagnato da un occhiolino complice e un sorriso sincero, fecero stringere nelle spalle la bionda; in fondo, sentiva di non meritarsi quel complimento, non aveva fatto altro che recapitare loro il piccolo pezzo di carta.

Attese l’arrivo di Gabby torcendosi le dita e torturandosi le labbra in preda all’ansia; quando l’altra arrivò, in compagnia del fidanzato, sembrava che un tram l’avesse investita: scarmigliata, col volto grigio segnato da occhiaie scure, si stringeva nel piumino, come se fosse il suo salvagente. La oltrepassò veloce come un fulmine e si diresse verso il sergente Voight con passo marziale. Il tenente Casey, anch’esso con l’aria stravolta, ma più controllato, salutò tutti con un gesto timido della mano e un sorriso tirato, poi andò a sistemarsi a fianco di Sylvie, abbracciandola piano, consolatorio. Passarono le ore e i due componenti della caserma 51 non si mossero dalla loro posizione in disparte,continuando, entrambi, a sbirciare l’operato dei poliziotti e cercando, seppur inutilmente, di captare qualche informazione. Dopo un po’, l’agente Ruzek si avvicinò loro con un sorriso tirato e due tazze fumanti in mano.

“ Ehi.. caffè?” chiese premuroso.

“ Sì, grazie.” rispose MAtt con un tono stanco ma allo stesso tempo gentile come suo solito. Entrambi si voltarono in direzione del paramedico in attesa di una risposta all’offerta di Adam.

“ Sylvie.” La chiamò delicatamente Casey, distogliendola dai suoi pensieri.

“ Ehi, vuoi del caffè?” ripetè l’offerta.

“ Oh, no.Grazie.” rispose piano, scuotendo la testa come per svegliarsi da un lungo sonno.

“ Senza offesa, ma, hai un aspetto terribile. Dovresti andare a casa a riposarti..” disse placido l’agente, sfoderando un mezzo sorriso dolcissimo.

“ Ne avremo per tutta la notte qui..forse anche tutto il giorno domani… Dammi retta. Vai a casa. Fatti una bella dormita.”Si era avvicinato lentamente,come se avesse paura di spaventarla ancora di più; le pose una mano sulla spalla e cercò lo sguardo del tenente per ricevere supporto.

“ Sì, ha ragione. Se ci dovessero essere delle novità ti chiamiamo noi. Te lo prometto.” Aggiunse Casey, anche lui bisognoso di dormire un po’, ma consapevole che Gabby, mai e poi mai, si sarebbe allontanata dal distretto.

Si fece convincere dai due uomini, così, dopo aver salutato tutti timidamente, e incrociato lo sguardo con Gabby, cercando di farle capire quanto e fosse solidale, se ne andò a casa, passando una nottata d’inferno, agitata dagli incubi.

 

Quando la sveglia, crudele ed insensibile alla sua spossatezza, trillò prepotente, le sembrò che quel suono le perforasse i timpani e le facesse scoppiare la testa in mille pezzi. Sospirando rumorosamente, si alzò svogliata dal letto, e guardandosi riflessa nello specchio constatò quanto fosse pessimo il suo aspetto: gli occhi rossi e gonfi per il mancato riposo, i lunghi capelli arruffati e due occhiaie scure come la notte dipinte sotto gli occhi. Si sentì uno schifo.

Cercò di rendersi il più presentabile possibile, si vestì, mangiò due biscotti controvoglia e si diresse al lavoro.

Il turno di quel giorno le sembrò il più lungo, il più stancante che avesse mai affrontato, complice anche a testa che non ne voleva sapere di smettere di farle male. Era seduta sul divano, vicino a Mouch, che stava leggendo il giornale tranquillo, con gli occhi chiusi e la testa reclinata sullo schienale, cercando di far rallentare il martellamento che aveva in testa, quando la voce metallica informò l’intera caserma che ogni mezzo era richiesto come supporto alla polizia. Brett sgranò gli occhi e fissò atterrita Mouch accanto a sè.

 

Scendendo dall’ambulanza passò in rassegna la scena che le si presentò davanti: una miriade di poliziotti, armati fino ai denti, si stava muovendo in ogni direzione, gli agenti erano impegnati a sfilarsi l’equipaggiamento o a parlottare tra loro; facce sfinite e sudate sfilavano lungo la strada. Sylvie continuava a guardarsi intorno, con occhi attenti e imploranti, cercando di individuare qualche volto conosciuto, quando il suo collega la chiamò insistente.

“ Brett! Che stai facendo? Datti una mossa!”

Sentendosi richiamare all’ordine distolse l’attenzione dalla sua ricerca ed andò a raggiungere l’altro paramedico, mettendosi a sua volta a lavoro; lavoro dal quale era stata travolta così tanto che non aveva più avuto modo di guardarsi intorno. Non aveva avuto modo di vedere arrivare Gabby, nè vederla fiondarsi verso alcuni membri dell’intelligence che stavano uscendo da un edificio di circa otto piani, che si trovava esattamente dalla parte opposta della strada. Ma quando la Dawson urlò forte il nome del fratello, che stava avanzando verso di lei,illeso, insieme agli altri agenti, se ne accorse. Alzò gli occhi e si voltò rapida in direzione della voce dell’amica e ciò che vide le fece tremare letteralmente le gambe, costringendola ad afferrarsi con una mano al portellone dell’ambulanza per non cadere. Gabby corse tra le braccia del fratello, trattenendo a stento le lacrime; si abbracciarono stretti, rassicurandosi a vicenda.

Sylvie ancora con le gambe di gelatina, li osservò immobile e piano piano sentì il sollievo farsi spazio nel suo petto; le sembrò che il tempo si fosse cristallizzato in quel momento: Gabby tra le braccia del detective, con indosso i suoi soliti jeans scuri, e lei, con il respiro strozzato, gli occhi umidi fissi su di loro, in piedi soltanto grazie allo sportello dell’ambulanza, al quale era aggrappata con tutte le sue forze. Il suo cervello formulò solamente un pensiero: lui stava bene.

I loro occhi si incrociarono.

 

Gabby lo travolse, come un’onda travolge gli scogli durante una burrasca; nonostante lo stesse strizzando a sè, non riusciva a ad allontanare la paura.

“ Non hai idea di quanto mi hai spaventata. Non ne hai idea.” Continuava a ripetergli con la voce soffocata, mentre il fratello continuava a tenerla serrata in un abbraccio talmente stretto che sembrava la volesse sbriciolare,come un pezzo di pane secco, ripetendole, come una ninnananna, che stava bene, che era tutto finito. Improvvisamente lo sentì alzare la testa ed immobilizzarsi, farsi rigido contraendo i muscoli delle braccia e del torace; confusa, Gabby lo guardò in faccia, per capire cosa avesse provocato quella reazione; gli occhi ancorati a qualcosa oltre la sua schiena, spalancati e lucidi di commozione, le labbra leggermente dischiuse in quello che le sembrò un sorriso. Si voltò, seguendo lo sguardo del fratello e vide.

Dall’altra parte della strada Sylvie Brett si teneva salda alla portiera dell’ambulanza, il volto stravolto; si stavano guardando così intensamente che si sentì in mezzo.

“ Va’ da lei.” Gli sussurrò complice.

Antonio si liberò dell’abbraccio della sorella e, senza distogliere gli occhi da Sylvie, col suo solito passo lento e sicuro, le mani infilate nelle tasche anteriori dei jeans, avanzò verso di lei deciso, come se non esistesse nient’altro: solo lei. Solo lei, impalata dall’altra parte della strada, non vedeva più nessun’altro, solo lei. Man mano che si avvicinava, Sylvie sentì il cuore accelerare sempre di più, il respiro morirle sulle labbra e lo stomaco stringersi in una morsa; non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Le stava camminando incontro, apparentemente calmo, come se non fosse successo niente, ed era sano e salvo. Ed era bello da mozzarle il fiato.

“ Stai bene..” Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, in un soffio, quando lui le si parò davanti, una mano ancora aggrappata alla sua ‘stampella’ e l’altra lungo il fianco tremante.

“ Sì, sto bene..” Rispose il detective guardandola così intensamente che avrebbe potuto trapassarle la testa con gli occhi.

“ Sto bene...grazie a te..”

Sylvie si perse in quegli occhi scuri e profondi per un tempo che le sembrò infinito, con le lacrime che le pungevano gli occhi, le gambe molli e decisamente inadatte a mantenerla in posizione verticale. Il cuore perse un battito mentre il macigno, che l’aveva oppressa per tutta quella interminabile settimana, sembrò sollevarsi, lasciando che una sensazione di conforto e sollievo le invadesse il petto, come un fiume in piena; in un batter di ciglia, Sylvie colmò la distanza che era rimasta tra di loro e gettò le braccia collo del poliziotto, stringendolo talmente forte da lasciarlo senza respiro, sollevandosi sulla punta di piedi. Colto alla sprovvista da quel gesto caloroso e intimo della ragazza, Antonio vacillò sui piedi, allargando le braccia, oltre che per la sorpresa, per mantenersi in equilibrio. Un secondo dopo le circondò la vita con le sue braccia muscolose, stringendola al petto con forza,sollevandola da terra, senza curarsi minimamente degli occhi che aveva puntati addosso. Senza allentare la presa su di lei, portò una mano ad accarezzarle la testa, saggiando con le dita la consistenza dei suoi capelli, lisci e morbidi come la seta. Potè sentire il suo respiro rotto da singhiozzi silenziosi nell’incavo del suo collo, dove lei aveva nascosto la testa, capendo così, quanto fosse stata spaventata. Quell’abbraccio stretto, quel suo dolce profumo, gli fecero sciogliere il cuore, allontanarono tutti i brutti pensieri; sentirla stretta tra le sue braccia lo fece sentire a casa.

Riuscì soltanto a dirle, sottovoce:

“ Lo sapevo che mi avresti trovato.”

 
  
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