Troppe
domande si affollavano nella sua testa: tanto per cominciare,
perché Milhel non
si era fatto sentire per tutto quel tempo? Cosa doveva scoprire lui del
padre?
E perché non potevano più scriversi?
Stava
succedendo qualcosa a suo fratello, poco ma sicuro. Doveva scoprirlo
quanto
prima.
Ma
che poteva fare lui, a soli dieci anni?
-Bentornato,
papà-
-Ciao,
Mihael-
Il
solito silenzio a cena, una cosa a cui Mello si era ormai abituato.
Eppure
quella sera doveva fare un eccezione.
-Papà…
Perché lavori così tanto?-
-E’
un lavoro complicato e che occupa molto tempo, Mihael-
-Ed
è bello?-
-Lo
capirai quando sarai più grande, Mihael. È
complicato da spiegare-
I
giorni passavano ma niente di nuovo: suo padre si ostinava a non
parlare e le
lettere di Milhel non arrivavano, come era stato detto.
Sennonché un giorno
accadde che per la città si sentivano le sirene della
polizia.
-Che
succede?-
-Hanno
arrestato il padre di uno della nostra classe-
-Come
mai?-
-Sembra
che abbia ucciso una persona durante una rapina-
A
casa si parlò proprio di quell’arresto.
E
suo padre sembrava indifferente.
Forse
Milhel aveva preso un granchio.
Però
doveva vincere il gioco. E a proposito di quello…
-Papà,
perdere un gioco è così umiliante?-
Suo
padre approfittò del fatto che mangiava per stare un
po’ in silenzio. Poi disse
–Dipende da che tipo di gioco è. Dipende da cosa
c’è in palio. Perdere può
anche servire per migliorarsi, ma non devi permettere di farti battere
troppo
spesso. Le volte che perdi devono servirti da lezione-
-Quindi…
E’ umiliante per te che i comunisti hanno…
Rovinato il lavoro?-
Suo
padre lo squadrò da capo a piedi, con un’aria fin
troppo seria. Mello ebbe
paura di un ceffone.
-Vado
a dormire- disse invece l’uomo dopo aver posato la forchetta
–Non disturbarmi-
Una
cosa che Mello non capiva era come faceva ad aggiornare il fratello dei
comportamenti di suo padre. C’era qualcosa in cui lui, per un
motivo o per un
altro, era escluso. Come faceva a fare l’ometto se era
escluso nelle cose da
grandi?
Piuttosto,
ripensava a quell’arresto: il padre di quel ragazzino aveva
tentato di rapinare
una signora molto ricca. Sembrava che ormai fosse finito in bancarotta
e,
disperato, ha compiuto quel gesto estremo. Chissà se anche
suo padre sarebbe
arrivato a quel punto.
Diciamo
che la risposta la ebbe il giorno dopo, il piccolo Mello. Leggermente
diversa,
però.
-Papà,
farai tardi al lavoro-
Bussava,
ma niente.
-Papà,
io apro- disse, mentre girava lentamente la maniglia.
Le
voci che giravano erano sempre le stesse: povero piccolo, è
rimasto solo a soli
dieci anni, che modo orribile, che padre degenere, eccetera eccetera.
Si
era tagliato la gola, lenzuola sporche di sangue, nessuna lettera e
nessun
saluto per suo figlio. Niente segno di scasso e la porta non era chiusa
a
chiave. Che fosse suicidio, insomma, non c’erano dubbi.
Il
movente invece era ancora da scoprire.
-Allora,
Mihael Keehl… Nato a Berlino il 13 dicembre
1989…- diceva il poliziotto,
dettandosi le cose da scrivere –Metti una firma qui, per
favore… Bene, possiamo
iniziare. Allora, dimmi tutto-
Mello
aveva lo sguardo vuoto, apparentemente tranquillo. Il tono della voce
piatto
–Io non credo che mio padre si sia suicidato-
-Mihael,
so che è incredibile, ma a volte la gente compie questi
gesti…-
-Sarebbe
stata una sconfitta per lui morir così. Non può
essere-
-Mihael,
ce ne occuperemo noi. Tu non puoi fare niente, sei troppo piccolo-
I
nervi cominciavano a pulsare. Per quanto tempo sarebbe stato troppo
piccolo?
-Piuttosto,
dobbiamo trovarti una sistemazione. E abbiamo trovato il posto che fa
per te.
Dovrai fare un bel viaggio, ma non credo ci saranno problemi. Hai
qualche
richiesta particolare?-
Mello
ci pensò su un attimo –Vorrei del cioccolato al
latte-
Sembrava
indifferente all’uomo anziano che sedeva accanto a lui, nella
macchina
lussuosa. Guardava il finestrino, mangiando una barretta di cioccolato.
Ultimamente la mangiava spesso, si rese conto, forse come un
attaccamento a
casa.
-Mihael
Keehl…- disse il signore –Sarai un po’
disorientato all’inizio, ma non ti devi
preoccupare. Ci sono bambini dotati del tuo stesso cervello, e avrai
una stanza
tutta per te. Se c’è qualche richiesta
particolare, dimmelo pure-
Basto
guardarlo un secondo per capire. Il signore sospirò
–Immagino tu voglia della
cioccolata, vero?-
-Grazie-
rispose semplicemente Mello tornando a guardare il finestrino
-Un’ultima
cosa. All’interno dell’orfanotrofio usiamo tutti
nomi falsi, per la nostra
incolumità. Io sono Watari, ma ovviamente è falso
come nome. Se vuoi usare uno
pseudonimo che ti piace, dimmelo pure e farò in modo che
tutti ti chiamino
così-
-Un
nome in codice?-
-Sì,
esatto-
Non
aveva dubbi –Mello… Voglio essere chiamato Mello-
Nonostante
poteva gustarsi cioccolata tutti i giorni, e nonostante fosse uno dei
bambini
coi voti più alti, Mello sentiva che gli mancava qualcosa. O
qualcuno.
stavolta sarò io a non
dirti dove mi hanno portato, ma è un posto niente male,
lontano da Berlino. Non
sono riuscito a scoprire cosa faceva papà, è
morto prima che potessi ricavarne
qualcosa: dunque che si fa? Inoltre non posso partecipare al gioco se
tu non mi
indichi qualcosa. Fammi sapere.
ti avevo detto di non farti
sentire per nessuna ragione. Mandarci lettere in questo modo
è rischioso. Non
ti preoccupare, ho scoperto io cosa faceva papà, e per
fortuna tu non sei stato
coinvolto. Ho solo una richiesta da farti: non tornare in Germania.
Resta dove
sei.
P.S.: Mischa è uscita
dall’ospedale e sta meglio.
Cosa
stava succedendo?
E
se Milhel fosse stato… Ucciso?
Era
in pericolo?