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Autore: Marty_199    14/11/2016    0 recensioni
"Ma tu chi sei che avanzando nel buio
della notte inciampi nei miei più segreti
pensieri?"
William Shakespeare, Romeo e Giulietta.
***
Alice Blain ha diciotto anni e frequenta il college, è una ragazza con molta fiducia nel suo futuro e nei propri sogni, con una passione innata per la letteratura. La sua famiglia l'ha sempre sostenuta e amata, proprio come Nathan, suo fratello, adottato all'età di sette anni.
Nathan ha ventuno anni, frequenta l'ultimo anno di college ed è pronto per l'università, sa di avere alle spalle un trauma da dimenticare, perché prima dell'arrivo dei Blain la sua non era un'infanzia facile. Ma sa anche che i Blain hanno portato con sé, ciò che per lui è la più grande forma di dolore e amore, sua sorella Alice.
Ma se un sentimento proibito si accendesse tra i due? L'amore non bada alla legge, alle regole o al momento, e i due si ritroveranno a tenere per loro questo sentimento, superando i confini causati da un solo, semplice cognome, e il dolore provocato da un evento che stravolgerà le loro vite... e potrebbe comportare delle conseguenze. Ma queste saranno in grado di separarli?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO 9

Alice

Alice sedeva al suo banco con davanti il suo tema su Shakespeare corretto e revisionato. Un largo sorriso le si aprì in volto nel vedere che per il professore era risultato perfetto e senza alcun errore, proprio come aveva sperato Alice mentre lo scriveva.
Era fiera di sé e voleva chiamare suo padre per condividere quella loro piccola gioia, ma improvvisamente il ricordo di ciò che doveva fare nel pomeriggio fece scemare la sua gioia. Si era messa in testa di parlare con Nathan e mettere in chiaro le cose una volta per tutte. Si sentiva nervosa e quasi mai le era capitata una cosa del genere, non quando si trattava di lui.
In quel momento non aveva nemmeno Harry accanto a sé, era dovuto rimanere nella sua stanza dato che si sentiva poco bene.
Bruce non si faceva sentire più di tanto, ed Alice lo aveva intravisto raramente. Le dava fastidio, perché la evitava così? Pochi giorni prima erano quasi finiti sotto le coperte e per lei avrebbe rappresentato la sua prima volta, dunque un qualcosa da non poter dimenticare né da trattare con leggerezza e ora lui non si faceva più sentire. Nathan non era l’unico col quale avrebbe dovuto intrattenere un bel discorso... ma tra i due, Alice non sapeva spiegarsi il perché venisse prima Nathan.
Il giorno passò con una lentezza straziante, forse era perché aspettava con impazienza il finire delle lezioni, ed esse solo per farle un dispetto si allungavano di minuto in minuto. Il tempo sapeva prendersi gioco davvero di spera di accelerarlo, prima o poi qualcuno avrebbe scoperto e confutato questa certezza che le vagava nella mente.
Alla mensa si unì al gruppo di cheerleaders con la sua amica Lily, si divertiva con loro, anche se i discorsi ritornavano ad essere sempre gli stessi, ripetuti all'infinito. Si divertiva sì, ma preferiva sempre il tempo che passava sola con i suoi due migliori amici.
Quando finalmente il tempo decise di accontentarla e le lezioni finirono Alice non aspettò nessuno ed uscì dalla classe, senza posare gli ultimi libri di lezione e senza dirigersi nella sua camera, corse verso dove sapeva sarebbe andato Nathan, era martedì e lei sapeva benissimo che suo fratello aveva l'allenamento di Basket.
Un amaro pensiero le ricordò che solo l'anno prima, Nathan la invitava a vedere gli allenamenti e ovviamente ogni partita, lei lo sapeva quanto lo sport fosse fondamentale per lui e lo avrebbe sempre condiviso e sostenuto.
Mentre camminava lui non l'aveva né invitata né le aveva rivolto la parola, perché? Alice era negata nel Basket e Nathan non aveva mai perso l’occasione di sfotterla per tale motivo, ed era per quello che lui la invitava, per farle vedere come si giocava. Per passare tempo insieme.

«Nathan! Fammi tilare!» La piccola Alice mise il broncio, mentre suo fratello rideva, sia per la sua espressione sia per la mancata erre nella parola.
«Non sei capace.»
La piccola Alice incrociò le braccia al petto, mentre guardava suo fratello palleggiare per poi tirare e prendere il centro del canestro. Era così bravo che il broncio della piccola sparì, sostituito da un enorme sorriso sorpreso.
«Sei bravo!»
«Lo so» Nathan si girò a guardarla, le guance leggermente rosse dal freddo, era inverno e il Natale era da poco passato. Erano da poco passai tre anni da quando il suo fratellone era entrato a far parte della sua famiglia, era ancora restio e si chiudeva nella sua camera ma stava imparando a sciogliersi col tempo.
Era avvolto in un cappotto grigio scuro, il capello nero di lana lasciava uscire ciuffi ribelli e neri, schiacciati sulla fronte, il viso leggermente tondino e paffutello, Nathan solitamente mangiava ogni volta che sentiva il minimo stimolo della fame.
La piccola Alice era avvolta in un cappotto celestino chiaro, le forcine a tenerle fermi i corti capelli neri e il capello di lana rosa, colori vivaci addetti a una bambina.
«Facciamo una cosa, se mi prendi la palla ti faccio tirare, altrimenti mi lasci da solo.»
La piccola Alice annuì con l'entusiasmo infantile a guidarla. Si avvicinò di corsa al fratello allungando le piccole braccia per afferrare la palla, ma lui con uno scatto la spostò allontanandola di lato e ridendo divertito.
In quel momento la piccola Alice era arrabbiata, le guance le diventarono rosse e la sua voce venne inclinata dal fastidio e dalla rabbia.
«Non è giusto! Tu sei più grande!»
«E tu sei piagnucolosa» la prese in giro Nathan, prendendo la palla e facendo un ennesimo canestro.
Il parchetto era vuoto, loro erano lì soli a litigarsi una stupida palla, solo i passanti potevano vedere una piccola figura dal cappellino rosa sbattere i piedi a terra piagnucolando. In un ennesimo scatto, con le sue gambette, Alice provò a prendere la palla. Si intrecciò con i suoi stessi piedi cadendo a terra e strisciando sul terreno.
Borbottò qualcosa rialzandosi sulle ginocchia e guardando il suo bel cappotto sporgo e rigato. Gli occhi le diventarono rossi e si gonfiarono di lacrime trattenute, alzò lo sguardo sul fratello.
«Nat sono caduta.»
«Lo so» suo fratello le si avvicinò aiutandola ad alzarsi, la palla sotto braccio e una mano stretta piano intorno al braccio esile della sorellina. Con passo lento presero a camminare verso casa.
«Quando sarò grande ti farò vedere come gioco a Basket, così magari ti imparerai anche tu.»
La piccola Alice sorrise felice, dimenticando che il suo cappotto preferito si era rovinato.

Alice tornò alla se stessa diciottenne, nel suo corpo ormai adulto e non da bambina, alle sue gambe lunghe e non corte e un poco imbranate. La sorpresa di quel piccolo ricordo era dolce mentre sbiadiva.
Mentre camminava stringeva i libri che teneva tra le braccia, forse un poco per l'ansia, si era preparata un discorso da fargli ma improvvisamente gli risultava stupido e insensato. Scosse la testa ripetendosi che gli avrebbe detto tutto ciò che gli passava per la mente.
La palestra per gli allenamenti era alla sinistra del college, Alice sarebbe potuta passare per il giardino e fare il giro largo, dandosi tempo per pensare alle parole giuste ma aveva aspettato quello che le era parso un tempo troppo lungo per fare il giro largo, così attraversò i corridoi del college, mentre tutti i ragazzi si dirigevano verso l'uscita.
Con passo affrettato e senza quasi nemmeno accorgersene si ritrovò davanti la porta della palestra, era chiusa ma da dentro la stanza si sentivano arrivare le grida di passaggi, la palla che rimbalzava sul pavimento e le basse incitazioni dei pochi spettatori che dovevano esserci, il rumore delle scarpe che stridevano sul terreno cerato a uno scatto. Con un profondo sospirò aprì la porta e si posizionò in un angolo, il pavimento era rivestito di parquet lucido e scuro, i due canestri si trovavano agli antipodi della stanza e nel mezzo vi era lo spazio nel quale i giocatori si lanciavano la palla o allenavano le
loro gambe agli scatti necessaria correndo da una parte all’altra, l’aria era satura di sudore e solo le finestre aperte in alto permettevano al fresco di entrare.

La palestra non era attrezzata solo per il basket, appese ai muri vi erano le sbarre e in uno stanzino si trovavano vari attrezzi usati per gli allenamenti quotidiani, ma ormai da anni era solito che si svolgessero sempre partite amichevoli di basket.
Ai lati della palestra, attaccate al muro c’erano poche panchine sparse senza un vero ordine, sulle quali sedevano spettatori di cui lei solitamente faceva parte. Buttando un occhio ai ragazzi che giocavano riconobbe immediatamente Nathan, una semplice canottiera nera e dei pantaloncini blu scuro che stonavano completamente, suo fratello solitamente non era attento nel vestirsi, soprattutto se doveva praticare sport.
Come avesse sentito i suoi pensieri Nathan si voltò verso di lei, scoccandole un'occhiata che Alice non capiva se essere infastidita o sorpresa.
La ragazza lo osservò mentre prendeva a correre palleggiando tre volte, poteva vedere chiaramente i muscoli delle gambe contrarsi dallo sforzo, quando saltò la sua espressione si tramutò in un muto silenzio di trionfo, con una schiacciata decisa fece punto, facendo traballare il canestro, nella ricaduta a terra i capelli volteggiarono per un secondo, staccandosi dalla fronte e alzandosi un poco.
Quando ricadde sulle sue gambe ghignava di soddisfazione, la palla ricadde dietro di lui e alcuni compagni gli si avvicinarono per battergli il cinque.
Nathan poi si allontanò un momento mentre gli altri riprendevano a fare passaggi, sbattendo più volte le palpebre Alice si accorse che Nathan veniva verso di lei ma nessun sorriso gli accendeva il volto.
Quando se lo ritrovò davanti si diede della stupida per la sua ansia, quello era suo fratello, il suo Nathan. Che fosse diventato inspiegabilmente antipatico e irritante o meno, era sempre Nathan.
«Hai fatto una bella schiacciata.»
Nathan incrociò le braccia, sospirando appena.
«Sì, mi è riuscita bene» le sue braccia erano imperlate di sudore, proprio come la fronte. La maglietta gli si era appiccicata in alcuni punti e si potevano intravedere i muscoli al di sotto.
Il viso era ancora rosso ma parte dei lividi intorno agli occhi e sul naso stavano sparendo, il loro colore violaceo era più chiaro, il taglio sul labbro inferiore invece si stava rimarginando, anche se era ancora gonfio e rosso. Alice fremeva dal sapere il perché o chi gli avesse fatto ciò ma non era lì per le domande, non di quel tipo o di quel argomento. E decise di non girarci troppo intorno.
«Nathan, per messaggio mi hai risposto con la terribile scusa del "non dormo abbastanza", quindi te l'ho richiedo, cosa ti succede?» Il tono di voce le uscì un poco più duro di quanto avrebbe voluto, ma non se ne pentì per davvero.
«Niente Alice» ringhiò lui come risposta, riducendo gli occhi a due fessure e ispirando profondamente, come a voler trattenere la rabbia.
«Non è vero! Smettila di trattarmi come la sorellina imbecille alla quale non dici niente! Smettila!» Si ritrovò a dire con voce troppo alta, forse anche gli altri l'avevano sentita e ora prestavano orecchio a loro ma ad Alice non interessava, per quanto le importava potevano anche mettersi ad ascoltare fingendo di continuare a giocare a basket.
«Perché deve esserci un fottuto motivo Alice? Voglio stare solo, con i miei amici! Con quel coglione del mio compagno di stanza, non ti basta come motivazione? Voglio il mio spazio Alice, sai essere petulante! Mettiti in testa che voglio stare da solo o meglio, che non voglio passare ogni minuto della mia giornata con te tra i piedi» disse aspro, le parole le si insinuarono nella mente e nel cuore, col
gusto del veleno più disgustoso. Lo poteva capire, forse a ben pensarci era troppo attaccata a lui e i ricordi della loro infanzia non volevano dire che tutto doveva rimanere com’era, solo loro due, sempre e comunque. Ma perché doveva essere così arrabbiato?

Non voleva discutere di quello, gli avrebbe lasciato tutto lo spazio che voleva, l’unica cosa che chiedeva era capire.
«Okay ma perché non vuoi più che ti chiami col tuo soprannome?» La voce la tradì quando si accorse che mentre parlava le si era ridotta a un sussurro strozzato, tutta la sua determinazione era improvvisamente scomparsa, si era andata a nascondere dietro la tristezza e la vergogna che le parole di suo fratello avevano saputo scatenare in lei.
«Te l'ho già detto mi pare, è infantile... e all'apparenza tutti e due siamo cresciuti, o almeno io, se poi tu sei legata a un qualcosa di tanto infantile non mi riguarda, in mia presenza non usarlo.»
Qualcuno dal campo lo richiamò, forse per coinvolgerlo in un'ennesima partita. Nathan non fece urlare il suo nome due volte, si girò verso i suoi compagni e corse verso la loro direzione prendendo al volo la palla arancione e dando il via al gioco.
Alice rimase ferma immobile dov'era, si sentiva gli occhi maledettamente gonfi e doloranti, quasi la implorassero di piangere. Ma lei non lo fece, ricacciò giù il groppo pesante che sentiva in gola ed uscì dalla palestra, chiudendosi la porta dietro.
Ora cosa doveva fare? Parlare con Bruce sarebbe stato il suo ennesimo passo ma il dialogare con Nathan non era andato come se lo immaginava e non se la sentiva di intrattenere un ennesimo discorso con qualcun altro.
Avrebbe volentieri chiamato i suoi genitori ma sapeva che erano impegnati col lavoro, ed in ogni caso non avrebbe saputo cosa dirgli. Quella cosa riguardava solo loro due.
Così, con un insolito e sconosciuto senso di vuoto si allontanò il più possibile, uscendo fuori dalla struttura del college e, nonostante il freddo, decise che avrebbe passato un paio di ore all'aria aperta.
Tutto in quei giorni sembrava andare all’aria, all’inizio dell’anno ogni cosa le era sembrata nel posto giusto come sempre, certo i suoi unici problemi erano suo fratello e il suo ragazzo, niente di grave comunque... ma bastavano affinché le riempissero un poco la mente di pensieri.
Forse solo in quei giorni si ritrovava a pensare seriamente alla sua relazione con Bruce, era inevitabilmente in crollo, litigavano più del solito ed Alice non poteva più negare di non provare le stesse cose che provava un tempo, quando la loro relazione era agli inizi Bruce le dedicava tutto il tempo che poteva, si comportavano come una vera coppia e ogni occasione era buona per fare foto e immortalare il momento per poterlo ricordare al meglio, il suo cellulare infatti ne era pieno.
Ma da qualche tempo non riusciva più a provare e ricambiare a pieno, anche Bruce aveva smesso di dedicarle tanto del suo tempo, ed era innegabile che qualcosa tra loro si fosse inclinato.
Alice non sapeva più dire con certezza cosa provasse davvero per lui, se solo affetto o quello che poteva essere definito amore ma non se la sentiva ancora di lasciarlo o di rompere inoltrandosi in una litigata ulteriore. Non ora che le cose con Nathan avevano preso questa piega tutto era impallidito davanti la possibilità dell’inclinazione del loro rapporto, che cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva ignorarlo e allo stesso tempo non era nemmeno abituata a litigare con lui, non aveva idea di come avrebbe dovuto fare.
Senza accorgersene si era sempre sentita un po' al centro del suo mondo e forse era tempo che aprisse gli occhi e si rendesse conto che non era così, non più. Nathan per fortuna era riuscito a crescere e ad aprirsi al mondo.
Forse si stava solo incasinando da sola ma quella non era una scusa per rimanere immobile mentre il loro rapporto rischiava di deteriorarsi senza che ne sapesse il motivo. Avrebbe pianto magari, ma si sarebbe rimessa in azione per scoprire ciò che le mancava nel quadro generale.

   
 
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