Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Fireflies__    15/11/2016    0 recensioni
Sono ancora convinto che sia l’ennesima facciata che hai creato per non essere ferito, ma di solito mi hai sempre lasciato entrare.
Ora mi chiudi all’esterno, ti nascondi da me, che ti ho visto nudo, che conosco le tue ossa durissime del bacino e che non ti ho mai posto una domanda, una sola.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Broken Strings

 

                                But you broke me 

 

Abbiamo tenuto l’orale della maturità insieme, uno dopo l’altro.

Io non sono uscito a festeggiare subito, nonostante fosse andato tutto bene, nonostante i miei parenti mi aspettassero fuori trepidanti. Mi ero commosso come un bambino, la mattina, quando uscendo di casa avevo visto mio padre dire a mia mamma che era bellissima, con il vestito rosso che aveva scelto: per una volta non litigavano, e lo facevano per me. Ho aspettato che tu parlassi per una buona mezz’ora, ho stretto i pugni quando ti hanno messo in difficoltà e sorriso, involontariamente, al bidello mentre raccontavi la tua parte preferita della tesina, quella in cui finalmente eri riuscito a incastrare la tua passione e brillavi. Ero così fiero di te.

Abbiamo smezzato la bottiglia di champagne fuori, tirandoci pacche sulle spalle e urlando perché finalmente quel liceo che tanto ci aveva torturato era finito. Io continuavo a mordermi la labbra dalla voglia di baciarti con violenza, sapevo che non era il momento, che tu non volevi.

La sera, seduti ai Giardini Margherita, troppo felici per essere ubriachi o fatti, mi hai detto che partivi per New York da solo. Dovevi ritrovare te stesso, pensare al tuo futuro, a chi eri veramente.

Mi sembrava così stupido. Tu eri Luigi e io ero Andrea, eri mio, chi altro avresti mai potuto essere?

Non esisteva un mondo nella mia mente, allora, in cui tu potevi essere confuso. Non quando l’amore che ci legava era così sincero. Allora era qualcosa di pulito, eravamo troppo bambini per provare dolore.

Avevo accettato il fatto. Eri già andato via senza di me tante volte, sapevo che anche se non stavamo insieme gli altri non li guardavi, cercavo di comprenderti. Davanti a noi c’erano ancora due mesi, la vacanza con i compagni di classe, tu saresti stato lontano solo tre settimane, non era nulla di pericoloso.

Sono sempre stato più bravo di te a ignorare la realtà.

Da quando sei tornato da New York- sei stato via due settimane in più, tua madre diceva che non ti aveva mai sentito così felice- non mi hai più baciato. L’università è iniziata subito, quando eri all’estero non mi scrivevi perché non avevi connessione e ora, semplicemente, non ne avevi voglia.

Il tuo non è stato un distacco netto, non mi hai dato la possibilità di piangere qualche giorno sotto le coperte e poi rialzarmi, no.

Tutte le mattine mi alzo prima delle sei per fare una passeggiata, senza ascoltare musica, poi vado all’università, e mi convinco che sto meglio, che sto guarendo. Non fumo e non bevo più, studio con regolarità, mi sento rinato. Di solito tu rovini tutto verso il tardo pomeriggio del venerdì, mi chiedi se mi va di prendere un caffè la mattina seguente, e io mi sento crollare.

Non sei più lo stesso, io non riesco a capire cosa sia successo, tranne che forse sei diventato un uomo e io sono rimasto legato alle nostre abitudini da ragazzini. Quando arrivo, sempre in ritardo, al bar dove mi aspetti sembri esserti dimenticato che la verginità l’hai persa con me, che un tempo mi trascinavi ridendo dentro i portoni dei palazzi per baciarmi nonostante fossimo con altre persone, che avevo dovuto comprare una ridicola sciarpa bianca- come se io fossi il tipo da sciarpa- perché tu mi avevi massacrato il collo di succhiotti. Sembri non ricordare quante volte ti avevo detto che era il momento di fare il grande passo, entrare a scuola per mano, a nessuno sarebbe importato. Solo a te importava. Io mi dicevo che era paura, in realtà non sei mai stato sicuro di me, di noi.

Credevo che fossi certo di chi eravamo, chi siamo, ma ho ignorato i segni.

Bevi il tuo caffè al ginseng raccontandomi le cose difficili che studi e che non ti appassionano, come se potessi nascondermelo, parli dei locali chic che frequenti e in cui non mi hai mai portato. Non so se ci sia una ragazza, altri amici o se tu abbia trovato un Andrea per sostituirmi. Io ti ascolto ricordandomi di quante volte mi avevi detto che ero bello, che ti sentivi in imbarazzo accanto a me. Per me sono sempre state stronzate, io avevo gli occhi chiari ma tu eri intelligente, era quello l’importante. Avevo provato a leggere i libri difficili che ti portavi a scuola, ma non facevano per me, non riuscivo a capire come li comprendessi. Inizio a pensare che tu te li portassi solo dietro per farmi sentire inferiore.

Sembri diventato stupido, a sorseggiare caffè in bar troppo costosi per essere validi, ma io so che tu ci sei ancora, là sotto. Il ragazzo brillante e timido che conoscevo solo io, che baciavo sul letto e che sentivo ritrarsi per timidezza man mano che ti sfilavo i vestiti. Sono ancora convinto che sia l’ennesima facciata che hai creato per non essere ferito, ma di solito mi hai sempre lasciato entrare.

Ora mi chiudi all’esterno, ti nascondi da me, che ti ho visto nudo, che conosco le tue ossa durissime del bacino e che non ti ho mai posto una domanda, una sola.

Di solito dopo un’oretta- in cui parli solo tu- te ne vai, una stretta di mano virile che mi ricorda che qualcosa è successo a New York, e io non potrò mai saperlo. Un giorno forse avrò la forza di dire di no a questi caffè, ma non sono ancora pronto. Mi limito, per ora, a pensare a come avrei dovuto dire a tutti a scuola che eri innamorato di me, che stavamo insieme, per vedere come avresti reagito, se finalmente saresti stato te stesso. Avrei dovuto morderti la pelle, quella sera ai Giardini Margherita, e bere il tuo sangue, per sentirti dentro di me come un tempo, anche se in modo diverso, anche se.

Invece rimango seduto al bar dieci minuti in più di te, a pensare a tutte le volte che siamo stati insieme, alle cose che ti ho fatto senza mai sentirmi umiliato, alla tua felpa che mi hai regalato perché speravi che potessi sentirmi sempre al sicuro, a come mi amavi forte, e al fatto che ora, forse, sono io a non amarti più così. 


____

Nota autrice: quanto tempo è passato, aiuto. 
Ho scritto questa cosa che non è nulla di che, un flusso di parole buttato giù in poco più di mezz'ora, per due persone di cui avevo già parlato (l'altra shot su di loro si chiama Stand By Me). 
Avrei potuto scrivere di meglio, ma volevo che fossero i pensieri crudi e sinceri di un ragazzo di diciotto anni, innamorato. 
Spero vi piaccia comunque! Un bacio, buona giornata
Matilde 

 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Fireflies__