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Autore: Esarcan    15/11/2016    1 recensioni
Un cancello aperto all'estraneo sbagliato può portare molta disperazione, Nicolas l'ha imparato a sue spese.
Partecipa al contest: "Porte e Portoni" di Najara87
Genere: Azione, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cancello di Nicolas


 

Al rintocco della campana uno stormo di corvi si alzò in volo, lasciandosi alle spalle il lugubre campanile gotico e dirigendosi alla nebbiosa foresta che circondava il villaggio. Nicolas osservò il paesaggio dalla cima di una modesta collina brulla, che svettava tra gli alberi. Colmo di nostalgia e rabbia il suo occhio si soffermò su ogni dettaglio del piccolo paesino desolato che sorgeva tetro nel cuore della foresta, quello stesso villaggio in cui era nato e di cui aveva suggellato la rovina. Istintivamente la mano gli corse alla benda che copriva l’orbita sinistra ed indugiò sulla runa incisa nella pelle nera. La consapevolezza che gli sarebbe bastato bagnare con una goccia del suo sangue quel simbolo mistico per poter vedere anche nella più buia delle notti, era un conforto non trascurabile e, come tale, acquisito non senza un costo. 

Prima di cominciare la discesa dall’altura, Nicolas controllò ancora una volta il proprio equipaggiamento: fiale di acqua santa ordinatamente infilate in una cintura di cuoio nero, granate di polvere d'argento con le micce ancora incerate per evitare che l'umidità ne avesse la meglio, un paletto di quercia bianca e due pietre focaie. A questi oggetti, comuni a tutti i suoi “colleghi” e ad un buon numero di preti, si aggiungevano armi accumulate in vista di questa particolare caccia: una balestra a ripetizione, costruita secondo istruzioni provenienti dall’estremo oriente, che poteva sparare venti dardi d’argento consecutivamente prima di essere ricaricata; un pugnale runico, le cui origini misteriose erano perdute nel tempo, ma indubbiamente intriso di malvagità, come tutto ciò che circondava le Rune Sanguigne; infine, a completamento dell’arsenale, due reliquie giacevano, avvolte in panni di velluto e seta, nelle sacche del cavallo di Nicolas. Entrambe erano state trafugate dal cacciatore sotto il naso del Vaticano, entrambe gli sarebbero state necessarie se avesse voluto avere una possibilità contro la bestia che aveva iniziato tutto questo. L’occhio di San Benedetto galleggiava in una piccola ampolla, incastonata al centro di un crocifisso d’oro bianco abbastanza piccolo da essere portato al collo; negli archivi era riportato che lo sguardo dell’iride grigio metallica potesse paralizzare qualsiasi creatura demoniaca, se non addirittura incenerirla sul posto. L’altra reliquia per ora aveva trovato posto solo nelle leggende, dato che nessuno aveva mai osato utilizzarla: il Corno da Guerra dell’Arcangelo Michele. Nicolas aveva quasi dovuto prendere d’assedio un monastero di suore benedettine per aggiudicarsi quella terribile arma.  

Sistematasi la balestra sulla schiena, il pugnale ed il corno ai fianchi, l’occhio al collo ed indossando il suo cappello nero a falda larga, s’incamminò per la foresta.

Ricordava ogni dettaglio di quegli alberi ritorti, gli stessi che, una notte di diciotto anni prima, lo avevano visto correre in preda al terrore, allontanandosi sempre più dal sentiero battuto, per poi perdersi in quelle selve inospitali. Quest’oggi era tornato a chiudere la faccenda, per dare sfogo ad una rabbia che lo aveva accompagnato gran parte della sua vita, per ottenere la tanto agognata vendetta. La leggera nebbia, onnipresente in qui boschi, attutiva i suoni e bloccava i raggi del sole, ma con riccioli di grigia eleganza sembrava invitare Nicolas a proseguire, quasi approvando la sua missione.

Non ci mise molto ad arrivare al basso muretto di mattoni, che circondava il villaggio abbandonato, gli alberi che ormai vi crescevano a ridosso, senza nessuno ad abbatterli. E lì, alla fine di un sentiero sbiadito, si ergeva l’ingresso al villaggio. Nicolas non poté contrastare i ricordi che quella vista gli suscitò.

 Era stata una domenica particolare quella di diciotto anni prima: alla messa mattutina il prete aveva avvertito gli abitanti del villaggio di non andare oltre il basso muretto per almeno una settimana. Nessuno al tempo aveva protestato; la raccolta era già stata terminata e tutti avevano cibo e legna a sufficienza, perciò non c’era motivo di contestare le parole del vecchio uomo, che più d’una volta si erano dimostrate sagge. Quella fredda notte l’innocente curiosità e la sete di avventura, nata dalle storie raccontate dal vecchio Folk, avevano spinto Nicolas a sgattaiolare fuori di casa. Voleva sapere cosa si nascondeva al di là dei confini del villaggio. I suoi genitori tentavano di negarlo, ma il bambino non si era lasciato sfuggire il tono di paura nella voce del sacerdote quando aveva dato l’avvertimento. Nei suoi dieci anni di vita, Nicolas, non aveva mai visto l’uomo spaventato, nemmeno quando un gruppo di briganti era giunto al paesino con tutte le intenzioni di razziarlo. Anzi era stato proprio il prete a scacciarli, ricordando loro la furia di cui era capace Dio.

Seguendo le luci delle lanterne, che rischiaravamo la gelida aria notturna, Nicolas giunse all’unico ingresso del villaggio: un arco circolare, chiuso da un cancello in ferro battuto. Punte acuminate culminavano le sbarre verticali, tranne quelle che confinavano con i cardini e le cui estremità somigliavano alle corna di qualche creatura demoniaca, qualche ricciolo metallico abbelliva la parte superiore del fragile cancello.

Ma non era quella famigliare barriera che aveva attirato l’attenzione del bambino, bensì lo sconosciuto, dal volto pallido ed emaciato, oltre ad essa. L’estraneo indossava abiti di foggia sconosciuta a Nicolas, con stravaganti ciuffi di pizzo bianco, che spuntavano qua e là tra il velluto vermiglio della lunga giacca e il gilet di broccato nero. Il viso cadaverico s’increspò in un ampio sorriso, che provocò non poca inquietudine al giovane avventuriero. Lo sconosciuto si levò l’alto cilindro che gli coronava il capo e con un solo movimento fluido si abbassò in una piccola riverenza.

“Buona sera, giovane amico. Mi trovavo nei paraggi a passeggiare nei boschi, come faccio sovente, e devo essermi perduto. Saresti così cortese da ospitarmi per la notte in questo, splendido, villaggio?” Chiese l’uomo, con un forte accento dell’Est. 

A Nicolas non sembrava che lo strano personaggio nascondesse intenzioni malvagie, ma qualcosa lo frenava dall’aprire il cancello. Lo straniero dovette accorgersi della sua esitazione perché continuò: “Non sarebbe un comportamento da buon cristiano lasciarmi all’addiaccio tutta la notte, potrei morirne!” La preoccupazione nel suo tono sembrava sincera.

-Effettivamente il prete ci ha detto che tutti dovrebbero stare all’interno del villaggio- Pensò Nicolas, apprestandosi ad aprire il cancello con la chiave che aveva trafugato dai suoi genitori. Mentre il vecchio metallo ancora cigolava sui cardini arrugginiti,  il forestiero scattò in avanti, entrando e quasi sbattendo per terra Nicolas. Un’espressione crudele aveva sostituito l’inquietante sorriso, su di un volto che lentamente stava perdendo ogni traccia d’umanità.

“Non temere, sciocco bambino, ho un piccolo premio per te.” La voce ormai deformata dai denti, ora cresciuti in zanne ferali. “Ti lascerò per ultimo, quando le grida dei tuoi amati ti avranno spezzato. Il tuo sangue sarà molto più dolce.”

Con queste ultime parole lanciò una strana polvere in faccia a Nicolas, che sentì i propri muscoli irrigidirsi per poi perderne il controllo. La creatura scomparve dal suo campo visivo, ma non ci volle molto prima che i primi urli si levassero nella notte. Il bambino voleva girarsi, avvertire i propri genitori, fuggire nella notte, ma tutto ciò che poteva fare era rimanere immobile, a fissare il cancello aperto sulla foresta, simbolo della sua colpa. Mentre calde lacrime gli scendevano sulle gote gelide, riconobbe un grido acuto fra i tanti gemiti straziati. Sua madre. Il mondo di Nicolas si frantumò al suono di quello strillo penetrante; gli si annebbiarono gli occhi, ma le ginocchia si rifiutavano di cedere, strette in una morsa sovrannaturale. L’urlo cessò rapidamente, solo per venire sostituito da altri, a cui però Nicolas era quasi sordo. Dei bagliori cominciarono a gettare strane ombre danzanti sulle aste arrugginite del cancello, poi del calore sostituì il freddo della notte intorno al bambino. Le campane della chiesa cominciarono a tuonare vivide sopra le grida della popolazione. Nicolas sentì la voce forte e callosa dell’anziano prete: “Combattimi bestia immonda! Che la Luce del Signore ti incenerisca!” Un ruggito selvaggio si levò da qualche parte dietro Nicolas. 

Improvvisamente la presa sui suoi arti si allentò, lasciandolo collassare a terra. Scioccato dall’avvenimento inaspettato il bambino schizzò in piedi e si voltò verso il villaggio. Vide, al centro della piazza della chiesa gotica, due figure in un abbraccio mortale, circondate da edifici in fiamme. Il prete, sanguinante, era riuscito a conficcare un paletto nel petto della creatura, che però ancora si contorceva per liberarsi del vecchio. Completamente sopraffatto dal terrore Nicolas arretrò fino al cancello aperto, lo attraversò e corse senza direzione nella foresta. Vi trascorse più di due giorni prima di trovare dei viandanti che, forse per l’ovvio stato di trauma del ragazzo, lo accolsero e lo portarono fino al monastero più vicino. Lì conobbe il suo maestro, un vecchio cacciatore di demoni e vampiri, che coltivò la rabbia del ragazzo e gli insegnò tutto ciò che sapeva.

Diciotto anni erano passati, ed ora si ritrovava di nuovo davanti a quel cancello, ancora aperto.

S’incamminò per la strada principale, costeggiata da scheletri di case bruciate da tempo. La luce del sole filtrata dalla nebbia rendeva l’atmosfera ancora più lugubre. Sembrava che il luogo fosse deserto da molto tempo, ma Nicolas era sicuro che la sua preda fosse ancora lì. Chi altri avrebbe suonato la campana? Chi altri rapiva giovani donne dai villaggi vicini?

Niente però gli si avvicinò fino a che non raggiunse la piazza. Le macchie di sangue, che ne ricoprivano le pietre, erano un testamento al massacro consumato in quel luogo. Una macchia più scura delle altre doveva contrassegnare il punto dove il vecchio prete aveva trafitto il demonio, in quella notte maledetta. Nicolas si abbassò per esaminarla meglio, non che ora avesse molta importanza. Fu in quel momento che un leggero fruscio lo vece voltare. La creatura che gli si parò davanti ricordava vagamente un essere umano, ma gli arti innaturalmente lunghi, muniti di artigli affilati e il viso deformato, non lasciavano dubbi sulla sua natura. Scansò appena in tempo un’oblungo braccio artigliato, che lo avrebbe decapitato se si fosse mosso un istante più tardi. Nicolas odiava i dampiri, schifosi mezzo-sangue senza senno. Quelle creature dannate non conoscevano la maledizione del sole e spesso erano a guardia dei loro vampirici genitori durante il giorno. Mentre evitava un altro attacco il cacciatore sfoderò il pugnale runico e contrattaccò rapidamente. La lama d’argento attraversò senza intoppi la carne della creatura, privandola di un artiglio. Il sangue del dampiro ora bagnava lo stiletto, le cui rune cominciarono a luccicare un un rosso intenso. Quel bagliore venne presto soffocato dal vero potere dell’arma, mentre proibite fiamme nere l’avviluppavano dall’elsa, per poi proseguire a guisa di spada eterea. La stupida bestia arretrò, spaventata. Il cacciatore non si lasciò sfuggire l’incertezza della preda e, incalzandola, la confuse ulteriormente. Appena vide un’apertura, non esitò a piantarle il pugnale infuocato nel costato. Con un gemito di dolore, l’essere si dissolse in un’esplosione di cenere.

Spolverando il lungo soprabito di pelle nera, Nicolas si avviò verso la chiesa gotica, deluso dalla poca utilità dell’occhio di San Benedetto, che, concluse, non aveva effetto su creature in parte umane. 

La struttura che gli incuteva tanto timore da piccolo, con le sue alte guglie popolate da gargoyle e gli impossibili archi lugubri, ora aveva perso quel tipo d’influenza verso di lui, ma il suo contenuto ne aveva fin troppa. Aprì il portone della chiesa fragorosamente, gettando luce su una scena a dir poco raccapricciante: tra le panche marcescenti scheletri ancora completamente vestiti, giacevano scomposti nella polvere; sull’altare giaceva un altro corpo, vestito da sposa, probabilmente la madre del dampiro che lo aveva attaccato; direttamente sopra la consorte del vampiro, troneggiava sulla scena un crocifisso rovesciato, inchiodato ad esso lo scheletro del vecchio prete, con un paletto ironicamente conficcato all'altezza del cuore. 

Nicolas ebbe giusto il tempo di riprendersi e fare qualche passo, che la porta si chiuse con un tonfo alle sue spalle.

-Meglio- pensò - almeno non rischierò di trovare i resti di mia madre.-

Percepì una presenza dietro di se, e si voltò di scatto, ma solo il buio nulla lo accolse. Non poteva lottare alla pari nell’oscurità, quindi estrasse un piccolo ago e si punse l’indice. Quando sgorgò la prima goccia di sangue, la passò rapido sulla benda e improvvisamente vide come fosse giorno.

“Riconosco questo dolce aroma...” Mormorò una voce oscura. “Sì, tu sei il cucciolo di umano che mi ha aperto la porta. Pensavo fossi morto nei boschi, però sarà una gioia bere il tuo sangue. Se è dolce come quello di tua madre...” Completò la frase con una macabra risata.

Nicolas si girò in ogni direzione, ma non sembrava in grado d’individuare il demonio, poi qualcosa cadde sul cappello. Il cacciatore, balestra in mano, scagliò in dardo sopra di lui. Vide un’ombra fuggire verso le cripte e la seguì, senza mai quietare il suo attacco. Due dardi si conficcarono nella porta di legno dei sotterranei, da una gocciolava del sangue. Vi bagnò il pugnale, rinfocolandone le fiamme e si rimise la balestra sulle spalle, sarebbe valsa a poco negli stretti corridoi che lo attendevano. 

Scesa una breve scalinata Nicolas era entrato nel regno dei morti. Ossa disordinate costellavano le pareti, infilate in ogni anfratto. Di quando in quando un leggero schiocco gli annunciava di averne pestata qualcuna. Vecchie tracce di sangue sul pavimento gli dicevano che si stava avvicinando al luogo dove la sua preda amava cibarsi; creature abitudinarie, i vampiri. Seguì queste scie fino ad una porta di pietra grigia, che poco aveva a che fare con il resto delle catacombe. Prima di aprirla, si strappò dal collo la croce contenente la reliquia e la brandì a mò di fiaccola. In effetti l’occhio sembrava emettere un qualche tipo di bagliore, buon segno in campo di reliquie. 

Al di là della porta si apriva una stanza circolare, scavata nella nuda roccia, al cui centro riposava la bara del vampiro, piena fino all’orlo di sangue fresco, il cui odore impregnava l’aria. Ma Nicolas vi era abituato. La sua preda sembrava attenderlo appena oltre, all’altra estremità della stanza. Il pugnale del cacciatore baluginava di splendore oscuro alla prospettiva di mietere un’altra vittima. La creatura sembrava calma e sicura di sé, ma il cacciatore continuò ad avanzare. Ancora una volta la porta si chiuse di scatto dietro Nicolas, stavolta, però, fu accompagnata da una malevola luce rossa che pervase la stanza, ora piena di Rune Sanguigne. Il cacciatore gettò la croce, che esplose in una palla di fuoco vermiglio. L’altra reliquia, il corno, non sembrava subisse l’effetto demoniaco delle rune. Il vampiro si gettò su Nicolas, superando l’intera stanza in un unico balzo, le terribili zanne completamente esposte. Il cacciatore lanciò una fiala di acqua santa contro il nemico, ma ebbe lo stesso effetto di un secchio in un incendio. Tentò di schivare la creatura, ma questa, innaturalmente veloce, lo scagliò contro un muro, togliendogli il fiato dai polmoni. Il vampiro gli conficcò gli artigli nella spalla, bloccandolo contro il muro e facendogli cadere il pugnale, che si spense non appena lasciò la mano del cacciatore. 

“Vedo che sei rimasto lo stesso stupido.” Ghignò l’empio essere.

In un ultimo gesto disperato Nicolas riuscì ad accendere una delle granate, che rotolò a terrà con un leggero scoppiettio. Incuriosito il vampiro guardò la pallina d’argento rotolare verso la bara. Un attimo dopo esplose, liberando una nube di polvere argentea. Il Vampiro si coprì il volto con una mano, sibilando di dolore.

Nicolas approfittò di quell’attimo di distrazione per portarsi il corno alle labbra. L’avversario si voltò appena in tempo per vedere il cacciatore, che svuotava i propri polmoni nella trombetta d’oro. Ne scaturì una singola nota cristallina.

Dapprima non accadde nulla. Poi, quasi in risposta al richiamo del corno, un’altro suono riempì l’aria, poi un altro e un altro ancora, finché un coro celestiale non riempì le orecchie dei due contendenti. Il soffitto della stanza scomparì sostituito dal cielo nuvoloso. Un intenso raggio di luce si fece strada nella coltre grigia, attirò a sé Nicolas e la creatura, trasportandoli al centro della piazza del villaggio.

Il cacciatore e il vampiro vennero separati. La sua ferita alla spalla si rimarginò immediatamente, mentre un coro di voci angeliche si univa alla melodia paradisiaca. Cantavano le lodi dell’Arcangelo Michele, comandante delle armate celesti. E fu proprio la sua figura alata che, infusa di luce divina, discese dal cielo e si frappose fra i due. L’essere celeste, di cui Nicolas non riuscì a scorgere il volto, sguainò la sua spada di pura luce e trafisse il vampiro, che venne consumato da gloriose fiamme dorate. Seguì un boato di luce accecante.

Quando Nicolas riaprì gli occhi era solo nel villaggio. Si alzò, attraversò il suo luogo di nascita un’ultima volta, uscì dal cancello e se lo chiuse alle spalle per sempre.

   
 
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