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Autore: _NimRod_    17/11/2016    1 recensioni
In piedi nello stretto corridoio centrale del treno, il ragazzo guardò il sedile accanto a sé. La tizia con il taglio alla Semola e gli anfibi si esaminava le unghie smaltate di rosso scuro. Era quasi certo ci fosse un girone speciale dell’Inferno riservato unicamente a coloro che nell’ora di punta occupavano la seduta di fianco alla propria con giacca e borsa, costretti per l’eternità a rimanere scalzi, in piedi su braci ardenti, impossibilitati a sedersi per via delle giacche e delle borse inamovibili che ricoprivano ogni superficie rialzata del girone. Aveva un quarto d’ora scarso di treno davanti, era mattina presto e si moriva di caldo: non aveva per niente voglia di mettersi a sindacare e probabilmente dover discutere per uno stupido sedile per una questione di principio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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CAPITOLO SECONDO



Tutto in lui era dolce, compreso il modo in cui faceva schioccare la lingua contro i denti e le sorrideva quando Eugenia sbagliava a coniugare un verbo.

Idyòm, non idyém. E’ la ye con i due puntini sopra. Guarda,” disse Valentino sottovoce, sfogliando il libro davanti a sé fino alla tabella dei verbi di moto e capovolgendolo in modo che la ragazza seduta di fronte a lui potesse leggere.

“Merda, è vero”, sospirò Eugenia.

“Perché hai scelto questo verbo e non hadit’ o yehat’?”

“Perché l’azione sta avvenendo in questo momento e il movimento non è con un mezzo di trasporto.”

“Brava”, le sorrise lui. Oddio, ammettiamolo: senza quei capelli castani lisci e voluminosi fissati all’indietro in modo anacronistico era proprio sensuale. Lo stile che Valentino aveva di solito non era la tamarrata con il ciuffo e i capelli più corti ai lati che Eugenia mal tollerava, i suoi capelli erano bene o male tutti della stessa lunghezza. Semplicemente, sembrava cercasse di domarli con la lacca e non con il gel. E il suo modo di tentare in continuazione di fermare i ciuffi della frangia dietro l’orecchio sinistro nonostante non fossero palesemente abbastanza lunghi, costringendolo a pettinarseli all’indietro con le dita…

Eugenia vide Valentino puntare lo sguardo dietro le sue spalle, in direzione della porta a vetri che dava sull’esterno. Il ragazzo alzò un braccio in segno di saluto e subito dopo Eugenia sentì la porta aprirsi: si voltò e vide il tizio meridionale che seguiva francese con lei avvicinarsi al loro tavolo con un sorriso raggiante. Si rigirò sconsolata abbassando la testa verso il proprio quaderno, consapevole che il tête à tête con Valentino Ferri poteva definirsi concluso.

La ragazza sentì due mani apppoggiarsi sulle sue spalle e rabbrividì: alzò la testa verso il soffitto e vide Giovanni fissarla sornione.

“Ciao”, le disse.

“Ciao”, sorrise lei forzatamente. Valentino aveva già indossato la propria giacca di pelle e si stava alzando dalla sedia con una sigaretta tra le labbra.

“Il terrone più bello del Dipartimento!” rise Valentino mettendo amichevolmente un braccio attorno al collo di Giovanni e tirandolo a sé. Che avesse avvertito il disagio della ragazza?

“Vieni a fumare anche tu?” chiese Valentino a Eugenia, che annuì.

Come aveva sospettato, c’era anche Paolo lì fuori. Aveva addirittura previsto che l’avrebbe salutata con sufficienza, e così accadde: le fece un mezzo sorrisetto e distolse immediatamente lo sguardo.

Probabilmente era tutta colpa del ciclo incombente, ma Eugenia faticò a inspirare la prima boccata di fumo per il groppo che le si era formato istantaneamente in gola a seguito della reazione di lui. Di solito non era una che si faceva problemi per situazioni del genere. Si erano beccati per caso al mercoledì universitario di un paio di settimane prima e avevano finito per scopare sul pick-up di lui, fingendosi più sbronzi di quanto in effetti fossero. Per quanto si comportasse alla Youth gone wild, motto ripreso anche dalla fiancata del suo stesso macchinone con un gigantesco adesivo fiammeggiante sul lato del cassone, il piccoletto era sponsorizzato decisamente bene dai suoi: era in affitto nel centro città e aveva un’auto costosa del tutto superflua. Eppure frequentava in un’università pubblica e sembrava che il suo parrucchiere fosse morto da anni.

A Eugenia era già capitato di baciare qualcuno con il piercing alla lingua, ma era la prima volta che sperimentava quell’aggeggio in mezzo alle gambe: dai racconti che aveva sentito, si era aspettata qualcosa di pazzesco. Invece, in sé, nulla di che: era tutto l’insieme a essere stato memorabile. L’automobile a fari spenti, accesa ma non in moto, in una strada sterrata vicino alla tangenziale, l’aria calda tenuta al minimo e gli Hardcore Superstar che facevano da sottofondo. Lui che si era scusato per dieci minuti buoni per averle smagliato i collant con l’anello che aveva al pollice e lei che quei collant vecchissimi aveva già in programma di buttarli perché avevano già i fili tirati sulla coscia sinistra e aveva cercato di arginare il danno con lo smalto trasparente. L’aveva fatta stare bene, quella notte: l’aveva fatta sentire di nuovo adolescente. Con quel viso pulito da angioletto e la bassa statura lo sembrava proprio, un ragazzino. E dopotutto lo era, così come gli altri: novelli maturati appena usciti dalle superiori. Lei era due anni indietro sulla tabella di marcia, quei ventiquattro mesi in più li aveva sprecati facendo un’università che non le piaceva e cazzeggiando. Aveva accumulato tanta di quella frustrazione e senso di inutilità da aver ritrovato la voglia di studiare. Forse, ritirarsi al penultimo anno di Scienze della Comunicazione non era stata la peggiore delle idee, con il senno di poi.

“Loro sono Valerio e Paolo”, disse Valentino rivolto alla ragazza.

“Eugenia”, fece lei stringendo la mano al primo. La porse anche al secondo, curiosa di vedere come avrebbe reagito.

Lui la prese e le sorrise radioso: “Piacere!”

Hobbit del cazzo. Con quei capelli da Telespalla Bob, poi. Coglione. Nano coglione con i capelli da coglione. Lo guardò con aria schifata e Paolo diventò serio in un istante.

Degli altri due presenti, nessuno si era accorto dei falsi convenevoli che erano avvenuti a tre passi di distanza: Valentino era troppo intento a parlare e Valerio sembrava non volersi perdere una sola sillaba che usciva dalle labbra dell’altro.

“La scena della casa sul lago mi ha frantumato il cuore. Non ricordo l’ultima volta che ho pianto così per una serie tv. E del confronto con Diane alla conferenza, vogliamo parlarne?”

Non li avrebbero nemmeno calcolati, Eugenia ne era certa.

“Non fare lo stronzo con me”, disse la ragazza, sottovoce. Paolo strabuzzò gli occhi, la prese per la manica del cappotto e la tirò piano indietreggiando di qualche metro. Eugenia si pentì subito del proprio exploit cautamente istintivo dettato dall’orgoglio: lui le avrebbe detto con aria annoiata che avevano scopato solo una volta e di non rompergli le palle. Era ovvio. Aveva fatto la figura della psicopatica illusa e sfigata.

“Stronzo, io? Scusami tanto se ti ho offesa, non volevo rovinarti la piazza con il James Dean della bassa modenese. Sono tutto fuorché stronzo.”

“Stavamo studiando.”

“Avete saltato entrambi Linguistica per studiare, quindi.”

Eugenia fece una risatina ironica: “Non mi hai più cagata di striscio e fai il geloso?”

“Io non ti ho capita, Eugenia. Non ho davvero capito nulla del tuo comportamento. E’ stata una cosa una tantum? Vorresti continuare? Ti piaccio, ti faccio schifo? E chi lo sa? Non ti ho più cagata perché non ho capito se ti andasse di essere cagata da me. Sì, potrei essere geloso. Ma potrei esserci anche rimasto male per non avere avuto riscontri da te, di nessun tipo. Potrei essere seccato nel vederti con un altro, farmi da parte e sentirmi dare dello stronzo. Potrei essere tante cose, in effetti.”

“Se quello che volevi erano risposte, perché non mi hai fatto domande?”

Paolo infilò le mani nelle tasche dei jeans e si strinse nelle spalle: “Mi riesce meglio fare le cose piuttosto che parlarne a voce.”

Eugenia sbuffò, buttò la sigaretta finita a terra e gli porse la mano con il palmo rivolto verso l’alto.

“Cosa vuol dire?” fece Paolo, confuso.

“Dammi il tuo cellulare.”

Il ragazzo le mise il proprio telefonino sulla mano; Eugenia lo sbloccò, premette ripetutamente per alcuni istanti i pollici sullo schermo e riconsegnò il cellulare al proprietario.

“Se non ti riesce parlare a voce, scrivimi. Adesso hai il mio numero.”

Paolo guardò imbambolato la ragazza mentre ritornava verso l’ingresso dell’aula studio dandogli le spalle; inspirò profondamente cercando di rilassarsi e normalizzare il battito del proprio cuore. Valerio e Valentino avevano interrotto la conversazione quando Eugenia era passata accanto a loro a passo spedito e si erano messi a fissare Paolo. Tino - alto, snello e leggermente curvo come suo solito - aveva le sopracciglia aggrottate: espressione molto più seria di quella di Valerio, che sembrava solo incuriosito.

Perché Valentino lo stava guardando a quel modo? Era la prima volta che lo vedeva così incupito. Gli fece quasi paura. Forse era davvero interessato anche lui a Eugenia, forse c’era stato qualcosa tra loro e lei gli aveva mentito.

Paolo deglutì e si avvicinò lentamente agli altri due.

“Tutto ok, Paul?” chiese Valerio.

Paolo lo ignorò, rivolgendosi a Valentino: “Ascolta, io non ho voglia di affrontare situazioni imbarazzanti. Vorrei conoscere meglio Eugenia. Non so cosa tu abbia intenzione di fare ma ti chiedo di tenere in considerazione questo particolare.”

Il viso di Tino si addolcì, ma non sorrise: “Ti sei interessato a lei molto in fretta.”

Era più forte di lui, Valentino non riusciva a evitare di essere protettivo nei confronti delle donne, nonostante non ne avessero quasi mai bisogno, ma nemmeno di essere diffidente verso il genere maschile, anche quando non ce n’era motivo. Se ne rendeva conto, eppure non poteva uscire da quella fissazione mentale.

“Ci conoscevamo già”, disse Paolo, nel tentativo di essere il più cristallino possibile.

“Capisco. Allora terrò in considerazione la cosa.”

“Allora… Siamo a posto?” Il ragazzo biondo sorrise timidamente.

“Siamo a posto”, ripeté Valentino senza rispondere al sorriso.

“Bene. Vado a Letteratura Spagnola. Ci becchiamo dopo.”

Quando Paolo fu sparito oltre la porta dall’altro lato del cortiletto, Valerio sospirò: “Sei un sadico.”

“Perché?” chiese Tino fingendo di non capire a cosa stesse alludendo l’altro.

“Ti diverte fargli credere di essere davvero una minaccia?”

“Forse un po’ sì.”

Valentino non stava mentendo, stava solo omettendo una parte di verità: temeva che esplicitando il fatto di non essere per nulla interessato alle ragazze in senso fisico, uno con l’assetto mentale di Paolo potesse cambiare radicalmente visione su di lui. La scarsa perspicacia del ragazzo giocava a suo favore, in questo caso.

   
 
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