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Autore: _ A r i a    18/11/2016    3 recensioni
Prima classificata al contest “Truth or dare? Love is in the air” indetto da Sethmentecontorta sul forum di EFP
Reiji osserva attentamente l’espositore, attratto da ciò che ne trova all’interno: sorprendentemente, si scopre intento a fissare una miriade di farfalle, delle più svariate specie, i corpi ormai senza vita tenuti bloccati da dei sottili spilli metallici. Le loro ali possiedono tutti i colori che la mente umana riesce a elaborare, mentre le fattezze così delicate che paiono pronte a frantumarsi al più lieve dei tocchi.
«Sono bellissime, non trova?» mormora Kidou, incantato. Il volto del ragazzo è incredibilmente vicino alla lastra di vetro che protegge il ligneo espositore, tant’è che il suo respiro si condensa in piccole nuvolette su quello strato di rivestimento.
Sul volto di Kageyama compare un sorriso, le labbra che si piegano in una posizione così inusuale per lui che per un momento l’uomo deve sfiorarle per accertarsi che non sia un’illusione. Che strana sensazione.
«Hai ragione» conviene Reiji, spostando lo sguardo dalle falene a Kidou «in un certo senso sono anche una metafora della vita, se vuoi: così fragili, eppure incredibilmente affascinanti».
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autore: _ A r i a
Titolo: Fuoco liquido nelle vene
Fandom: Inazuma Eleven
Pacchetto: ψ
Introduzione: Fanfiction partecipante al contest “Truth or dare? Love is in the air” indetto da Sethmentecontorta sul forum di EFP
Reiji osserva attentamente l’espositore, affascinato da ciò che ne trova all’interno: sorprendentemente, si scopre intento a fissare una miriade di farfalle, delle più svariate specie, i corpi ormai senza vita tenuti bloccati da dei sottili spilli metallici. Le loro ali possiedono tutti i colori che la mente umana riesce a elaborare, mentre le fattezze  così delicate che paiono pronte a frantumarsi al più lieve dei tocchi.
«Sono bellissime, non trova?» mormora Kidou, incantato. Il volto del ragazzo è incredibilmente vicino alla lastra di vetro che protegge il ligneo espositore, tant’è che il suo respiro si condensa in piccole nuvolette su quello strato di rivestimento.
Sul volto di Kageyama compare un sorriso, le labbra che si piegano in una posizione così inusuale per lui che per un momento l’uomo deve sfiorarle per accertarsi che non sia un’illusione. Che strana sensazione.
«Hai ragione» conviene Reiji, spostando lo sguardo dalle falene a Kidou «in un certo senso sono anche una metafora della vita, se vuoi: così fragili, eppure incredibilmente affascinanti».









A Kyrie, perché a quanto pare ha la brutta abitudine di salvarmi dai miei periodi peggiori.










Un eco di passi rapidi e sicuri si propaga velocemente nella stanza, i suoni che si rincorrono da una parte all’altra delle scure e fredde pareti d’acciaio.
Kidou Yuuto attraversa senza esitazioni la notevole distanza che intercorre tra l’ingresso della presidenza e la scrivania davanti a sé, lo sguardo alto e fiero del nobile capitano rivolto al proprio interlocutore.
«Mi ha fatto chiamare, Comandante?» le sue parole si perdono nel vuoto attorno a sé, in quel silenzio austero che fa gelare il sangue a Yuuto.
Kageyama è proprio lì, davanti a lui, nella sua posizione abituale: le gambe accavallate e una guancia poggiata con indolenza sul palmo aperto della mano, il gomito puntellato su uno dei braccioli della sedia; il tutto mentre è comodamente seduto sulla sua poltrona in pelle nera, dalla quale sembra poter troneggiare su ogni cosa dinanzi a sé.
«A dire la verità sì» Reiji ruota di scatto lo sguardo, che da dietro le lenti scure degli occhiali si posa sul ragazzo «Prego, accomodati pure, Kidou. Ci sono alcune questioni di cui desidererei parlarti.»
Yuuto si siede senza aggiungere altro, chinando il capo con un cenno di riverenza, mentre Kageyama sembra incapace di distogliere lo sguardo dal giovane, come se quel corpo fosse in grado di catalizzare ogni sua singola briciola d’attenzione.
«Allora» Yuuto dondola le gambe sotto la scrivania, le mani infilate tra la seduta della sedia e le proprie cosce «posso esserle d’aiuto per qualcosa?»
Kageyama ghigna di sottecchi, osservando compiaciuto il rispetto e l’ammirazione dipingersi sul volto del suo fedele capitano. Non avrebbe potuto desiderare un soldato migliore, ha coltivato un germoglio ammirevole, facendolo crescere in tutta calma durante quegli anni e che sta adesso sbocciando, rivelando un giovane meraviglioso e promettente. In tutti i sensi, in effetti.
Se Kidou infatti è indubbiamente un giovane dotato di un intelletto straordinario e un talento di gioco pressoché ineguagliabile, non può certo negare a se stesso che sia anche un ragazzo dalla sorprendente bellezza. E Dio, neppure un cieco sarebbe in grado di negare un’evidenza del genere.
«Sì» Kageyama deve fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non perdere il filo del discorso, costringendosi ad allungare un fascicolo contenente diversi fogli in direzione di Yuuto «avrei piacere che fossi tu a controllare questi schemi di gioco: so che per te è un’inezia, inoltre immagino che ci metterai poco più di qualche minuto per farlo, perciò se vuoi che minuto per farlo, perciò se vuoi puoi anche rimanere qui, nel frattempo. Lo chiedo a te perché so di potermi fidare del tuo giudizio.»
«Certamente» Kidou accenna un lieve sorriso, dopodiché poggia gli schemi sulla scrivania e inizia a sfogliarli, studiandoli uno a uno.
Nel frattempo Kageyama non perde occasione per osservare attentamente Kidou, senza lasciarsi sfuggire neppure un minimo particolare: i capelli leggermente arruffati, la teste e le spalle chine in avanti mentre la mente è concentrata unicamente su ciò a cui sta lavorando, gli occhi che saettano da una parte all’altra di quei fogli, quelle iridi cremisi che riescono a calcolare ogni possibilità, ogni sfaccettatura in poco più di una frazione di secondo, i muscoli che guizzano, perennemente in azione e pronti a scattare in qualsiasi evenienza.
Sa che quella degli schemi di gioco da controllare è la scusa più banale che potesse venirgli in mente, tuttavia Yuuto non sembra essersene accorto e di questo Kageyama ne è estremamente sollevato. Quello non è che un pretesto, pur di ottenere un’altra misera manciata di minuti in cui beneficiare del fisico tonico e affascinante di Kidou, del quale mai e poi mai potrebbe fare a meno.
La verità è che – sebbene non possa dirlo a nessuno, men che meno a Kidou, per paura di sembrare un maniaco patetico – di quel corpo ne è invaghito e anche il solo pensiero di poterlo perdere di vista per più tempo del necessario lo farebbe morire.



Kageyama non ha idea di quando sia iniziato tutto ciò; quello di cui è certo, tuttavia, è il fatto che un giorno i suoi occhi si sono posati sull’eterea figura del ragazzo, osservandolo in maniera differente rispetto a come avevano fatto in precedenza, anche solo fino al giorno precedente: come se lo vedessero per la prima volta, con lo stesso autentico, ritrovato stupore, eppure con la consapevolezza di avere ben impresso nella propria memoria ogni singolo dettaglio di quel corpo.
È strano, perché si rende conto di aver avuto tutto il tempo per accorgersi di quanto stava accadendo, quel passaggio – forse evitabile – che l’ha portato a mutare i suoi sentimenti nei confronti del ragazzo, da un’ammirazione senza limiti ad un amore perverso, alla base del quale si trovano possessione e desiderio. Tuttavia Kageyama non ha mai cercato di mettere un freno alla sua passione, forse preferendo vivere in quella dolce illusione piuttosto che arrendersi ad una realtà amara come fiele.
Perché è chiaro che Kidou non corrisponda i suoi sentimenti; d’altronde, in che modo un giovane intelligente e affascinante come lui potrebbe provare amore per un uomo tanto spregevole? Kageyama non è uno stolto, al contrario riconosce di aver commesso una lunga serie di crimini, oltre al fatto che non oserebbe mai definire il proprio aspetto attraente – e non tanto per modestia o chissà cos’altro, quanto piuttosto perché di fatto non lo ritiene tale.
Eppure, a partire dal momento in cui ha cominciato a vedere Kidou non solo come il suo migliore allievo ma per qualcosa di più, le cose si sono irrimediabilmente complicate per Kageyama. D’improvviso ogni occasione è diventata buona per cercare un contatto con lui: che si tratti di ricercare il suo sguardo cremisi tra la folla, ogni volta che si ritrova ad attraversare i corridoi della Teikoku Gakuen – al cambio dell’ora, per esempio – o di convocarlo nel proprio studio per parlargli dell’andamento della squadra ed escogitare nuove tattiche micidiali in vista della prossima partita, per Kageyama non importa. E Reiji sa che quel bisogno impellente di vederlo – o anche solo di sentire il suono della sua voce, sempre così maledettamente melodiosa – si sta trasformando sempre di più in una pericolosa ossessione, tuttavia non c’è modo in cui possa impedirsi di farne a meno.



Kageyama Reiji ha perso ormai ogni remora in quella sua malata ossessione per Kidou Yuuto.
Ogni notte, nel proprio letto, gli sembra di rivivere sempre la stessa, identica tortura – spine acuminate che s’impigliano lungo tutto il corpo.
Inutile dimenarsi, futile persino ogni misero tentativo di sottrarsi a quel giogo infame, giacché non esiste modo per fuggire i fantasmi che abitano nella propria mente.
Si ripete con una metodica sfiancante, perennemente e sorprendentemente regolare, perpetrando nell’assillarlo senza sosta, eppure – nonostante tutto – non riesce a farne a meno, come se questa torbida routine sia ormai entrata a far parte definitivamente e indissolubilmente della sua esistenza.
Per quanto sia conscio del fatto che tutto ciò sia sbagliato e perverso, rinunciarvi gli pare impossibile, una soluzione non contemplabile, un vizio – perché ormai è di questo che si tratta – per cui non v’è modo di porre rimedio.
In fondo, forse la verità è che tutto ciò, in un recondito e insano angolo della sua mente, gli piace, affascinandolo terribilmente.
Così ecco che, quando calano le tenebre, lo spettacolo che si mette in scena nella mente di Reiji è pressoché lo stesso: corpi uniti attorcigliati tra loro e su se stessi, braccia che si stringono e che si intersecano, respiri affannati, guance arrossate e sguardi stupefatti. Il calore e il candore della pelle di Yuuto sotto di sé, attorno, ovunque.
Nonostante sappia che quei sogni siano sbagliati, contorti, fallaci non ha via d’uscita da quel labirinto degli orrori – o forse ce l’ha eccome, solo che preferisce continuare a essere convinto del contrario.
“Dopotutto devo pur dormire, in un modo o nell’altro” si ripete spesso, quando le dita gelide, oscure e affusolate della notte sono ancora una lontana prospettiva – o un ricordo fin troppo distante.
Oppure – e di questa possibilità Kageyama preferisce non tenerne conto – la verità è che non vuole che quel rituale finisca, troppo bello per immaginare di poter vivere senza di esso.
È vero, ogni notte si lascia vincere da quel tormento crudele – fiamme roventi che impietose lambiscono le sue membra.
Tuttavia, mentirebbe se dicesse che tutto ciò non gli piaccia. Perché quel che le sue notturne e tormentate visioni hanno da offrirgli gli piace, cielo, eccome se gli piace ed è per questo che non ha la benché minima intenzione di prendere in considerazione l’idea di cercare un modo per ridurre quei pensieri indecenti.
Ecco perché quando ogni volta, al risveglio, sente gli ultimi stralci di piacere scivolare via dal proprio corpo, non può fare a meno che essere estremamente dispiaciuto, un sospiro di frustrazione che gli sale alle labbra mentre stringe voluttuosamente le lenzuola tra le dita, cercando vanamente di trattenere i brandelli di estasi che ancora gli restano, seppure non gli bastino.
Non bastano mai.

Accompagnare buona parte degli studenti della Teikoku Gakuen è davvero l’ultimo dei desideri di Kageyama, eppure, contro ogni ragionevole logica, l’uomo aveva deciso comunque di sobbarcarsi ad un compito così gravoso, pur di poter così trascorrere del tempo in più con Kidou.
Monaco di Baviera li accoglie da giorni in un lucore fioco, nubi pesanti sparse in ogni dove nascondono il sole agli occhi di chiunque e un cielo perennemente invaso dalle tinte del grigio pallido. È metà marzo, fuori le temperature sono sorprendentemente rigide e un vento gelido e impietoso soffia da giorni sul capoluogo bavarese.
Quel giorno – il quarto dei sette che hanno a disposizione – sono in visita al Deutsches Museum, un centro di riferimento fondamentale per la scienza e la tecnica.
O almeno questo è quanto è riportato su uno dei volantini che Kageyama ha recuperato all’ingresso.
Sebbene l’esterno austero e datato non faccia propriamente ben sperare, con quell’aspetto tetro che la pietra grigia gli conferisce, l’interno è quanto di più moderno si potrebbe immaginare: con la bellezza di sei piani di esposizione, si può tranquillamente dire che il museo non si sia fatto mancare niente.
Il sesto piano è senza dubbio il più spettacolare, con il planetario e il soffitto di vetro che lasciano tutti i turisti con lo sguardo rivolto all’insù, affascinati da quell’incantevole spettacolo.
Gli assistenti di sala abbassano le luci, tutta la stanza rimane nell’oscurità più totale tranne che per un gigantesco proiettore, appeso al centro del soffitto, che diffonde in maniera soffusa le immagini delle più disparate galassie tutt’intorno a loro, lungo le pareti, a terra, ovunque.
In seguito alla visita all’ultimo piano, che i ragazzi effettuano tutti insieme accompagnati da una guida del museo, Kageyama lascia agli studenti venti minuti di tempo libero per girare da soli e conclude dando loro appuntamento all’ingresso allo scadere della pausa.
Mentre Sakuma trascina Genda a visitare la parte dedicata ai pinguini, Kidou indugia ancora per un momento, voltandosi in direzione di Kageyama.
Il giovane porta le braccia dietro alla schiena, stringendosi lievemente nelle spalle sotto il montgomery nero che ha indosso.
«Comandante» incomincia il ragazzo, cercando di mantenere il tono quanto più casuale possibile «posso chiederle di venire con me? Non mi va di lasciarla qua da solo».
«Non ti preoccupare, Kidou, troverò qualcosa da fare» Kageyama alza le spalle, ostentando una nonchalance che nella realtà non ha, affatto.
Glielo si deve leggere in faccia che non ha la più pallida idea di come ammazzare il tempo.
«Insisto» replica Kidou, incrociando le braccia al petto, una determinazione bruciante e disarmante che saetta nei suoi occhi «ci sarebbe una cosa che vorrei farle vedere».
Kageyama sospira lievemente, a corto di argomentazioni. In fondo, perché dovrebbe dirgli di no? Kidou è stato così gentile a preoccuparsi per lui… inoltre mentirebbe a se stesso se dicesse che non gli fa piacere ricevere un invito del genere da parte del ragazzo.
«D’accordo» concede infine, mentre osserva di sottecchi il giovane «e sentiamo, dove vorresti andare?»
«Oh, questa è una sorpresa!» commenta Yuuto, allungando una mano in direzione del suo Comandante «si fidi di me».
Con quelle parole, Yuuto non esita oltre nel condurre il suo allenatore nuovamente all’interno della struttura, destreggiandosi abilmente attraverso le varie aree della mostra. Sembra viaggiare con sicurezza, come se sapesse esattamente dove andare.
Kidou comincia a fermarsi solo quando sono ormai giunti nei pressi di una sala monumentale: le pareti s’innalzano maestose verso l’alto, rivestite da degli eleganti e pregiati marmi rosa, mentre il soffitto vitreo permette alla poca luce naturale presente in quei giorni di entrare nella stanza. Anche altre fonti d’illuminazione sono sparse per la stanza, tra cui l’imponente candelabro di cristalli trasparenti che troneggia sulla scena.
Yuuto si avvicina ad un espositore in particolare, trainando con sé anche il suo Comandante: è una lunga vetrina, appesa al muro, sottile due dita appena e alta svariati metri. Reiji osserva attentamente l’espositore, attratto da ciò che ne trova all’interno: sorprendentemente, si scopre intento a fissare una miriade di farfalle, delle più svariate specie, i corpi ormai senza vita tenuti bloccati da dei sottili spilli metallici. Le loro ali possiedono tutti i colori che la mente umana riesce a elaborare, mentre le fattezze  così delicate che paiono pronte a frantumarsi al più lieve dei tocchi.
«Sono bellissime, non trova?» mormora Kidou, incantato. Il volto del ragazzo è incredibilmente vicino alla lastra di vetro che protegge il ligneo espositore, tant’è che il suo respiro si condensa in piccole nuvolette su quello strato di rivestimento.
Sul volto di Kageyama compare un sorriso, le labbra che si piegano in una posizione così inusuale per lui che per un momento l’uomo deve sfiorarle per accertarsi che non sia un’illusione. Che strana sensazione.
«Hai ragione» conviene Reiji, spostando lo sguardo dalle falene a Kidou «in un certo senso sono anche una metafora della vita, se vuoi: così fragili, eppure incredibilmente affascinanti».
Kidou si volta di scatto verso Kageyama, lo sguardo celato dagli occhialini che tradisce comunque una certa sorpresa. A quella vista Reiji sogghigna senza indugi, a dir poco rapito dalle emozioni del ragazzo, così calde e seducenti, che finiscono per coinvolgere anche lui.
L’uomo torna a fissare le farfalle davanti a sé, subito imitato dal ragazzo. Non sa impedirsi, tuttavia, di stringere di lì a poco lievemente la mano di Yuuto nella propria.



Kageyama non sa bene di cosa si tratti. Uno scherzo del destino? Qualcuno lassù che evidentemente si diverte a prendersi gioco di lui? Non riesce proprio a darsi una spiegazione, davvero.
Eppure, una volta arrivati in hotel, all’inizio della loro settimana di permanenza in Germania, non aveva potuto far altro che apprendere dell’errore di assegnazione delle stanze, per il quale adesso si ritrovava nella stessa camera di Kidou Yuuto.
Già, poiché nonostante ci fossero camere doppie a sufficienza per poter ospitare tutti i ragazzi, il numero degli studenti era pur sempre dispari, pertanto uno di loro si era dovuto comunque sacrificare, finendo a dormire nella stessa stanza di uno degli insegnanti.
Ovviamente lo studente in questione non poteva che essere Yuuto – mai una volta che quel ragazzo non mettesse il proprio spirito di sacrifico a disposizione degli altri – e in maniera altrettanto prevedibile il professore in questione altri non era se non Reiji, visto che la sua buona sorte si divertiva sempre così tanto ad abbandonarlo.
Ora Reiji è seduto sul letto che gli è toccato in sorte, un matrimoniale fin troppo comodo, un bicchiere ricolmo di liquore ambrato sul comodino e un libro tra le mani. Sfoglia un’altra pagina, mentre sente l’acqua scorrere fluidamente fuori dalle pregiate rubinetterie della toilette.
Con ogni probabilità, Kidou si starà facendo una doccia. Sono tornati in hotel da qualche ora, dopo aver finito le loro attività per quel giorno: successivamente alla visita al Deutsches Museum i ragazzi hanno avuto tutto il pomeriggio libero, per poter girare per la città a loro piacimento. Questa volta Kidou ha seguito senza esitazioni i suoi compagni di squadra, mentre Kageyama è rimasto vittima per tutto il tempo dei suoi noiosi colleghi di lavoro. Non riesce ad immaginare un pomeriggio peggiore, sul serio.
Reiji distoglie per un momento lo sguardo dal manoscritto di Balzac che sta leggendo per osservare il paesaggio che scorge dalla finestra: le tende verdi sofficemente drappeggiate lasciano un’ampia visuale sull’esterno. Si è fatto buio in fretta, fuori sembra quasi già notte; l’unica luce che gli giunge dalla strada è quella dalle tinte aranciate dei lampioni, ormai già accesi.
La porta del bagno si apre e ne riemerge Kidou sulla soglia, avvolto in una nuvola di vapore. Si è già cambiato per la notte, visto che ora indossa solo i boxer sotto ad una t-shirt leggera.
«Non hai freddo così?» s’informa Kageyama, recuperando il bicchiere di vetro irregolare e buttando giù lo scotch tutto d’un sorso; dentro di sé si maledice, dannazione a lui e a quella patetica sfumatura di apprensione che ha pervaso la sua voce.
«Affatto» replica Kidou, mentre avanza sicuro verso il letto, percorrendo la moquette a piedi nudi «c’è il riscaldamento acceso, qua dentro fa caldissimo».
Una volta raggiunto il materasso, Yuuto non indugia oltre a sdraiarsi su di esso, rotolando appena; Kageyama osserva senza troppe esitazioni quelle gambe atletiche, alla sola vista delle quali la lingua dell’uomo scorre rapida sulle labbra – e non certo per raccogliere i residui di liquore.
«Lei, piuttosto» commenta Kidou, infilandosi sotto le coperte – rigorosamente dalla parte opposta a quella di Kageyama «non dovrebbe bere così tanto alcool».
«Era solo un piccolo sorso» ribatte Reiji, scrollando le spalle. Oh, andiamo, ragazzo, ci manca solo che tu ti metta a fare il moralista con me, specie se si tratta di un semplicissimo sorso di whisky. E dire che ne avresti, di cose da riprendermi, a partire dai pensieri licenziosi che non riesco ad astenermi dal fare su di te… ma tu di questo non sai nulla.
«Oh, beh, meglio così allora» Yuuto si stiracchia lievemente, coprendosi le labbra con il pugno chiuso della mano mentre cerca invano di trattenere uno sbadiglio «buonanotte, Comandante».
«Buonanotte, Kidou» la replica dell’uomo non tarda ad arrivare, mentre ne approfitta per osservare il ragazzo che si distende al meglio tra le coperte; sembra un cucciolo, non riesce a trattenersi dal valutare tra sé.
Tutti e due muovono contemporaneamente una mano verso la rispettiva abat-jour, tant’è che nella stanza si fa buio nello stesso istante.
Durante la notte Kageyama non riesce a chiudere occhio, troppo angosciosi i pensieri che lo tormentano a causa della vicinanza del corpo di Kidou a sé. Yuuto, per contro, dorme eccome, sebbene il suo sonno sembri essere piuttosto agitato: continua a rigirarsi tra le coperte, a tratti scivola fuori dalle sue labbra perfino qualche gemito.
In quegli istanti riaffiorano nella mente di Reiji quelle notti di languide torture, in cui sentiva quasi spine e fiamme dilaniare sul serio il proprio corpo: in fondo, adesso non si trova in una situazione poi così diversa – tranne per il fatto che ora i suoi occhi sono decisamente aperti e lui non si trova in un sogno, affatto.
Alla fine la tentazione è troppo forte per resistervi e Reiji finisce prevedibilmente per cedere, chinandosi sul corpo del ragazzo, che ora si trova disteso su un fianco; a forza di rigirarsi, un lembo della maglietta di Kidou si è sollevato, lasciando scoperto parte dell’addome pallido di Yuuto. A quella vista, Kageyama non riesce a trattenersi dal passare avidamente la lingua sulla pelle nuda del ragazzo. Kidou si lascia sfuggire un nuovo gemito, mentre Kageyama sogghigna ancora: non andrà oltre, certo, questo non toglie che possa trovare tutto ciò terribilmente eccitante.



«Me ne vado».
Quelle parole nefande risuonano a lungo nella mente di Kageyama, per quanto l’algido Comandante della Teikoku Gakuen cerchi in ogni modo di continuare ad indossare la sua maschera d’imperturbabilità. Eppure quelle sono parole che, per quanto ci si possa ostinare a negarlo, tagliano, feriscono l’anima fin nel profondo.
«No!» replica subito, mordendosi di lì a poco le labbra come a volersi punire per la propria impulsività «voglio dire, n-no, tu non puoi andartene, Kidou».
Il ragazzo è fermo in mezzo alla stanza, i pugni stretti e le braccia distese lungo i fianchi; l’espressione sul suo volto è dura, severa quasi.
Kageyama coglie la palla al balzo, sa che non può farsi trovare impreparato in una situazione del genere, visto che indugiare equivarrebbe ad un’ammissione di colpa.
«Ah, sì? E perché, di grazia?» gli occhi di brace di Kidou saettano furenti da dietro le lenti dei suoi occhialini, la rabbia che monta impetuosa nel suo animo.
Reiji si alza, percorrendo con pochi passi la distanza che lo separa da Yuuto; il ragazzo arretra istintivamente, senza rendersi conto che è proprio quello che Kageyama desidera.
«Beh, semplice» l’uomo scrolla le spalle con noncuranza, senza dar modo al ragazzo di sospettare dei suoi gesti «perché la tua presenza qui è assolutamente fondamentale, Kidou. Non vedi come tutto ruoti intorno a te? Senza contare che sei letteralmente nato per questa vita: il tuo animo sprezzante, il tuo stile di gioco irraggiungibile. Davvero credi che altrove potresti sentirti capito come qui?»
Per un momento Kidou incespica nei propri stessi passi, rischiando di cadere all’indietro. Fortunatamente alla fine il suo proverbiale equilibrio ha la meglio, permettendogli di restare in piedi; questo tuttavia non lo ferma dall’indietreggiare, anzi, poco dopo ecco che di nuovo ha già ripreso a retrocedere.
«Non mi prenda in giro» sbotta, digrignando i denti «crede che non mi sia accorto dei reati che arriviamo a commettere, pur di vincere ogni singola partita? Corruzione, estorsione… per non dire di peggio».
«E allora?» Kageyama allarga teatralmente le braccia «Eppure quando ti serviva eri d’accordo con i miei metodi, ragazzo».
«Beh, adesso ho aperto gli occhi» replica Yuuto, agitando i pugni chiusi con foga «e se questo è il modo in cui funzionano le cose, qui, non voglio più avere niente a che fare con nulla di tutto ciò».
Nel mentre, Kidou non si è minimamente accorto del gioco di Kageyama. Niente di così difficile, dopotutto: gli è bastato distrarre il giovane con le sue parole – delle quali, come al solito, è completamente succube – in modo da far sì che non si accorgesse di dove lo stava indirizzando. Di colpo infatti Yuuto si ritrova con le spalle al muro, il gelo della lamiera di cui le pareti della Teikoku Gakuen sono composte che sembra volergli penetrare fin nelle ossa.
«Eh, già» Kageyama sogghigna, sollevando con due dita il mento di Yuuto e costringendolo a guardarlo «davvero credevi di potermi sfuggire, Kidou? Dopotutto, sei la mia creazione».
Yuuto cerca di scrollare il capo, di liberarsi in qualche modo dalla morsa in cui Kageyama lo tiene intrappolato, senza tuttavia avere successo.
Reiji si avvicina a lui con uno scatto fulmineo, le labbra che di colpo sfiorano suadenti l’orecchio del più giovane.
«L’amore è una forza selvaggia. Quando tentiamo di controllarlo, ci distrugge. Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi. Quando tentiamo di capirlo, ci lascia smarriti e confusi» mormora, come un’intima confessione, facendo attenzione a carezzare la pelle del ragazzo ad ogni parola che pronuncia.
Il volto di Kidou s’imporpora, in un modo in cui raramente a Kageyama è capitato di vederlo. Solo che questa volta Reiji non lo nota, non subito perlomeno, essendo ancora premuto nella sua posizione protetta, così vicino all’orecchio del ragazzo.
«Amore?» Yuuto sbarra gli occhi, confuso «che diavolo c’entra adesso l’amore—»
Kageyama sposta il capo, portando il proprio volto nuovamente di fronte a quello del giovane. Sono così vicini che le punte dei loro nasi si sfiorano, le labbra a pochi millimetri le une dalle altre.
«Davvero non l’hai ancora capito, ragazzo?» Kageyama ghigna trionfante, una mano che non riesce a smettere di accarezzare la guancia di Kidou. Reiji realizza che non sono mai stati così vicini, nemmeno quando hanno dormito nello stesso letto, a Monaco.
Yuuto non ha la più pallida idea di che cosa replicare; ad ogni modo, anche se ce l’avesse, a mancargli di fatto sarebbe il tempo materiale: l’istante successivo infatti le labbra di Kageyama sono sulle sue, languide e possessive.
Kidou si dimena in ogni modo, non riesce ad immaginare niente di più disgustoso di quelle mani che adesso gli accarezzano i fianchi, andando alla ricerca di centimetri di pelle nuda sotto strati e strati di vestiti, o di quella lingua che adesso gli invade letteralmente la bocca.
Yuuto non ha la più pallida idea di come riesca a liberarsi: sa soltanto che se un momento prima era lì, bloccato contro la parete da Kageyama, l’istante subito successivo quella presenza opprimente era già più distante.
Deve avergli dato una spinta più forte delle altre, mentre si dimenava, nel tentativo di liberarsi. Yuuto si passa il dorso della mano sulle labbra, cercando di rimuovere ogni traccia di quel bacio non richiesto. Si sente completamente sottosopra, però di una cosa è certo: non vuole più avere niente a che fare con quell’uomo.
«Mi fai ribrezzo, Kageyama» sussurra, nauseato. Si rende improvvisamente conto che quella è la prima volta in vita sua in cui si rivolge a colui che ha sempre considerato come il suo “Comandante” senza dargli del lei. Forse perché sa già che, dopo quel che è appena successo, non ci sarà più nessun genere di rapporto, tra loro due.
«No, Kidou, aspetta—» Reiji sente un terribile groppo salirgli in gola. Non può aver rovinato tutto, non così, per uno stupido eccesso d’impulsività. Paradossale: lui, l’uomo che ha fatto della sua apparente calma una virtù e che così a lungo ha insegnato agli altri a fare altrettanto, si è lasciato prendere così tanto dai sentimenti. È sicuro che non riuscirà mai a perdonarsi un affronto del genere.
Quel che ancor di più lo inquieta, tuttavia, è vedere come Kidou fugga via da lui, nello sguardo terrore e odio cieco. Vede il suo mantello rosso sparire, come un petalo di rosa trasportato via dal vento e sa che stavolta l’ha perso per sempre.
Troppo tardi.





Angolo autrice
“Seduzione, forse?” oh, a wild brainwave appears.
Mh, dunque. Andiamo con ordine.
Anzitutto, salve. Saranno tipo due mesi che non faccio la mia comparsa con una one-shot, qui. Cioè, ad esserci ci sono, considerando che mi manifesto molto poco a random una volta al mese con gli aggiornamenti di In time ma, oh, a chi diavolo interessano i nuovi capitoli della mia long ad oc? come se a qualcuno invece possano interessare le mie one-shot deprimenti, certo.
Ad ogni modo, visto che – come tutti voi ormai ben saprete – sono una persona estremamente autolesionista, quale miglior modo di rendersi impossibile l’esistenza se non quello di buttarsi a capofitto in questa storia?
Evviva la vita.
Che poi, parliamoci chiaro: quando ho visto un contest in cui si cercava – testuali parole – “qualsiasi genere di relazione non usuale”, beh… io non potevo astenermi dal partecipare, no? *^*
E ovviamente, chi altri avrei potuto usare come protagonisti se non Kageyama e Kidou? Mamma mia, sto troppo in ansia. Perché ho paura che sia venuta una storia non ai livelli dei miei soliti standard e ahh, piango male, di sicuro andrò uno schifo, arriverò ultimaaa--
Eee, si vede che di recente sto diventando più complessata del solito? .-.
Vi devo delle spiegazioni. Parecchie.
Anzitutto, la struttura della shot. Se i vostri occhi hanno seguito lo stesso tragitto di quando inseguite la pallina durante una partita di tennis o di ping-pong, sappiate che la cosa è {purtroppo per voi} assolutamente intenzionale: ho sistemato infatti i paragrafi dispari (1, 3 e 5) a sinistra, poiché erano quelli più “narrativi” e non fondamentali allo svolgimento della storia, mentre i pari (2, 4 e 6) a destra, visto che volevo avessero maggiore risalto, essendo quelli che, ai fini della fic, hanno più importanza. All’inizio tutti i paragrafi dovevano essere tra le 600 e le 800 parole, tuttavia il contatore ci ha tenuto a ricordarmi che io, essendo solo una misera umana, non conto niente e quindi decide lui. Oh, okay.
Parlando della trama: la storia è assolutamente una what if?, ambientata in un filone narrativo in cui per la gioia di molti Endou non è mai esistito e la Raimon non si è mai riformata. Insomma, ognuno è stato a farsi i fatti suoi, ahahah. In tal modo il processo per mezzo del quale Kidou si rende conto che i piani di Kageyama sono folli viene rallentato (o almeno, io la vedo così) e il ragazzo resta a servire il suo Comandante almeno per un altro bel po’. Ammettetelo, a chi non piacerebbe una realtà del genere? Comunque, orientativamente qui Kidou avrebbe sedici anni; farlo più piccolo mi sarebbe sembrato esagerato, detta sinceramente… anche perché ricordo che in Giappone la maggiore età si raggiunge a vent’anni. Okay che loro rimangono la mia OTP in ogni caso, senza se e senza ma, solo che mi sono resa conto che non riesco a concepire di scrivere di loro due “insieme” se Kidou è troppo piccolo, invece quando si tratta di doverlo solamente leggere il problema non si pone.
Ah, il titolo: il “Fuoco liquido nelle vene” fa ovviamente riferimento alla sensazione che Kageyama avverte ogni volta che si trova vicino a Kidou, oppure quando pensa a lui. La trovate comunque largamente descritta nel terzo paragrafo il sognoH.
Ovviamente, niente lieto fine perché io è dal 9 giugno che non riesco più a scrivere storie a lieto fine, più che altro perché è difficile immaginarsi che una relazione malsana come questa possa finire bene. Ci tengo a precisare che Kageyama è letteralmente ossessionato dalla figura di Kidou – e questo credo che si sia capito bene durante la lettura – e non è innamorato di Yuuto, affatto; o meglio, lui è convinto che sia così (ed ecco spiegato perché rivolga al ragazzo quella frase, nell’ultima parte della storia – “L’amore è una forza selvaggia. Quando tentiamo di controllarlo, ci distrugge. Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi. Quando tentiamo di capirlo, ci lascia smarriti e confusi” – della quale tengo a precisare che la paternità è di Paulo Coelho) sebbene la verità sia ben altra.
Il Deutsches Museum esiste realmente e la descrizione che ne ho lasciato è in buona parte veritiera (l’esterno, il planetario al sesto piano) tranne per la sala delle farfalle, quella è una mia piccola e personalissima aggiunta: scusate, solo che ormai avevo deciso di aggiungere questa scena e quindi ho deciso di prendermi un po’ di libertà in merito.
Voi non immaginate quanto lavoro ci sia dietro a questa shot. Roba che scrivevo un paragrafo e poi lo modificavo ottocento volte: metti, togli, aggiungi, leva… a forza di limare riga su riga mi sono sentita peggio dei neoteroi (dei poeti latini che praticavano il “labor limae”, ossia proprio questa tecnica di sottrarre l’eccedenza). Questo momento nerd mi sta mettendo in imbarazzo •//• no, il fatto di avere un limite di parole – che grazie al cielo non ho sforato, a dir la verità mancandolo grandemente – mi ha messo un sacco di ansia, ecco. Quindi probabilmente questa fanfic farà schifo e io mi classificherò in una posizione orrenda, evviva. Non è che mi dispiaccia non arrivare tra i primi, solo che per prepararla ci ho letteralmente buttato sangue, oltretutto finalmente sono riuscita a scrivere per la prima volta in vita mia una storia per un contest che abbia come protagonisti i miei due personaggi preferiti di sempre… insomma, immagino che, qualora dovesse andare male, la cosa potrebbe anche farmi soffrire un po’. È colpa mia, in fondo: prendo sempre troppo sul personale certe cose, tanto che a volte a causa del dispiacere che mi comportano può capitare anche che io non riesca a scrivere per dei mesi interi. Speriamo che non sia questo il caso, ahahah.
Ultima cosa (dopodiché la smetto di rompere, lo giuro): la frase in corsivo che vedete all’inizio della shot è una dedica – che quindi non c’entra niente con il testo della fic in sé per sé, lol – ad una persona che ha fatto e che continua a fare davvero molto per me. Sapete, quando si pensa di essere gli unici ad avere per la mente certe idee si finisce inevitabilmente per darsi la colpa di tali pensieri. Scoprire però di non essere da soli, che ci sarà sempre quella voce pronta a tirarti fuori dal più buio dei tunnel… beh, credetemi se vi dico che questo da solo basti a scaldarvi ben più di migliaia di fuochi. Questo non è un bel periodo per me, ormai lo sapete… però avere la consapevolezza di poter contare su chi hai osservato da lontano per ben due anni, così piena d’ammirazione, è quanto di più eccezionale avrei mai potuto desiderare. So che per questa persona non è un bel momento e se solo potessi mi fionderei ad abbracciarla fortissimo, sebbene si trovi in una parte dell’Italia piuttosto lontana rispetto a quella in cui vivo io. Vederla star male mi spezza il cuore in mille pezzi, sul serio il che forse mi ha fatto capire quanto stesse male Ange nel vedermi soffrire, quest’estate. Comunque, questa persona è l’unica oltre me ad aver scritto sulla KageKi, qui in Italia. Condividiamo una ship che nessuno si fila – e forse anche qualcosa di più – e per me questo è davvero tanto, specie dopo anni in cui mi sono sentita una sorta di folle. Comunque, spero di averle risollevato almeno un po’ l’umore.
Niente, io la chiudo qui, non vorrei tediarvi oltre {e poi sto pensando a delle cose brutte che mi stanno facendo deprimere più del dovuto, perciò meglio che la smetta, altrimenti finirò per trasformarmi in una fontana di lacrime}. Ringrazio come al solito Seth, l’organizzatrice di questo contest, per avermi dato l’opportunità di mettermi alla prova e per aver sopportato il mio pessimo senso dell’orientamento al LCG, ahahah. Inoltre ne approfitto per rivolgere un sincero e sentito in bocca al lupo a tutte le altre partecipanti di questo contest: forza ragazze, ho scritto una storia orrenda, avete la strada spianata verso la vittoria!
Avevo anche preparato un banner, per questa storia, solo che anche quello lo trovo altamente orrendo e non so ancora se lo inserirò. Deciderò al momento della pubblicazione della storia sul sito, credo.
Bene, adesso ho ufficialmente detto tutto. Ci rivediamo (presumibilmente) presto, con il nuovo capitolo di In time, che dovrebbe uscire in maniera regolare il 27 novembre anche se non ho ancora iniziato a scriverlo e devo preparare tutte le prove, ahh oddio a i u t o
Okay, basta, la smetto, giuro

A presto

Aria
   
 
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