Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Made of Snow and Dreams    19/11/2016    0 recensioni
Ludwig Hofmann è un giovane scapestrato e disilluso nella vita quotidiana, ma il primo degli ultimi idealisti se immerso nella natura selvaggia della Foresta Nera. A riaccendere il suo spirito avventuroso sarà l'incontro inaspettato con una creatura appartenente a un mondo parallelo a quello umano, in cui giustizia e crudeltà, innocenza e corruzione, si danno battaglia senza esclusione di colpi. Raccontare la propria vita donerà l'occasione a Ludwig di esplorare un mondo sconosciuto, facendo riaffiorare in una mente tormentata ricordi dimenticati quanto dolorosi.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nel Mondo dello Specchio




Capitolo 1

Woods of freedom
 





Il mulinello di foglie ramate, tese a solleticargli parte della schiena e del collo, era la danza più armoniosa che i suoi occhi avessero mai visto. Le brezze frizzanti parevano invitarle ad abbandonarsi a quella pace, staccandole con dolcezza dai rami degli alberi, per poi sollevare in un tenue frullare di colori dorati.

A Ludwig era sempre piaciuto immaginare quel naturale incanto come uno stormo di farfalle ambrate: appena l’aria si tingeva di quell’aroma inconfondibile, si adagiava sul prato che ornava la sua casa per chiudere gli occhi e lasciarsi inebriare da quel dinamismo mai troppo esagerato. Era languido come l’abbraccio di sua madre e tenace come quello di suo padre, caloroso ma mai soffocante. Presente e affidabile. Discreto.

Mentre camminava tranquillo in quel brulicante rossore, immaginò di avere suo padre al suo fianco. Un uomo nel fiore degli anni, dotato di due occhi azzurri tanto limpidi da risultare malinconici. Un animo da poeta destinato a decantare lo splendore universale senza curarsi di tutte le piccole diavolerie tecnologiche che il progresso sfornava a intervalli più o meno regolari. Uno spirito sensibile, nato sotto un cielo macchiato dal piombo dei proiettili e disprezzato nella Luftwaffe e nella Panzergrenadier per la sua sensibilità da ‘donnetta isterica’, che trovava ristoro solo nell’oscurità del Wald in cui, spesso, il bisogno di solitudine lo spingeva.

Lo aveva allevato senza particolari restrizioni, senza punirlo quando combinava una bravata. Gli sguardi mille volte più iracondi di sua madre e i suoi rimproveri biascicati tra i denti costituivano una punizione più che sufficiente per i suoi occhi e per il suo udito. Alle volte, la donna che Albrecht Hoffman aveva sposato sembrava assumere le sembianze di una vipera velenosa pronta ad attaccare la sua preda, e non quello angelico e dolce di una donna materna e soave.
Pur tuttavia, quando il paragone gli cingeva la mente, subito Ludwig si affrettava a scacciarlo via, morso dai sensi di colpa. Suo padre si limitava a scuotere la testa in segno di arrendevolezza; qualche rara volta azzardava ad carezzare la spalla di sua moglie Anne, ma erano solo fugaci gesti di affetto. E se da bambino non aveva compreso quanto la loro relazione si stesse prosciugando, in quel momento, a ripercorrere quei momenti di intimità familiare con gli occhi di un ragazzo cresciuto, il puzzle si componeva in tutti i suoi pezzi.
 


‘Papà è andato via, non è così? ‘ mormorò Ludwig cercando di trattenere le lacrime. Si sforzava di non battere le ciglia per non spianare il percorso alle stille che gli pungevano gli occhi, ma fissare il paesaggio dalla finestra per concentrarsi nel suo intento non lo aiutava. Non quando sua madre lo guardava con tenerezza e compassione, modulando il tono di voce per non ferirgli le orecchie; non quando la sua presenza corpulenta gli ombreggiava la nuca, sperando di consolarlo senza esprimere quei sentimenti che suo figlio aveva già identificato.

‘Sì. ‘ rispose lei, sfiorandogli un ciuffo di capelli biondi. ‘Tuo padre è andato via. ‘

‘E… ‘ ribatté Ludwig, accostando il viso al vetro della finestra fino a toccarlo con la guancia. Il refrigerio lo fece rabbrividire, ma ebbe il potere di calmare il dolore che minacciava di lasciar trasparire. Chiuse gli occhi, incassandosi nelle spalle. ‘Quando torna? ‘

Un sospiro paziente a nascondere la preoccupazione di una moglie per il marito scomparso. La tensione abilmente nascosta da nuvole di polvere marcenti nello studio di Albrecht Hofmann e da scaffali pieni di libri di poesia, letteratura classica, filosofia. Fichte, Schelling ed Hegel a impreziosire le mensole, il pessimismo di Kant a renderle ancor più appetibili. Le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide a donare drammaticità e serietà in quell’angolo di cultura, saggi su Omero ad aggiungere qualche tocco di mistero. I profumi delle arance e l’afa della Sicilia a invadere lo studio, evadendo dai versi estasiati di Goethe. Enciclopedie scientifiche e morali a gravare su ogni angolo della scrivania, testi storici spalancati come infiniti portali di conoscenza. Come aveva potuto, suo padre, abbandonare tutto quello?

Di nuovo quella voce sgraziata a interrompere quella visione così appagante e così impregnata di lui. ‘Non lo so, ‘ sembrava aver detto sua madre, ma ormai le sue certezze miseramente crollate non avevano più rilievo in quelle che sarebbero state le sue decisioni. ‘Non lo so proprio. Forse tornerà presto, ‘ continuava a mormorare sommessamente, ma a Ludwig i suoni giungevano attutiti, come se nuvole di ovatta gli stessero avvolgendo il viso intero. ‘O forse no. Non ci resta che pregare il suo ritorno, ovunque tuo padre si trovi. ‘

Pregare sarà l’ultimo dei miei pensieri, madre. pensò Ludwig, mentre un breve barlume di odio – odio per l’arrendevolezza con cui ella si piegava - gli illuminava gli occhi. Tuttavia, si limitò a sorridere amaramente.
 
14 Febbraio 1984
 




Forse era stata quella la sua vera, prima missione. Mentire a se stesso. Aveva passato tutta la sua infanzia e l’adolescenza a rimuginare su quanto problematico potesse essere suo padre, e allo stesso tempo così meravigliosamente semplice. Mentre la sua stazza diveniva sempre più prorompente, abbandonando i tratti androgini di un tenero fanciullo, i suoi capelli si scurivano fino ad assumere quella sfumatura biondo scuro che lo accumunava a sua madre e crocevia di strade si offrivano come futuro ai piedi di Ludwig, il foglietto di carta lacero che sua madre si era ostinata a conservare, con su scritto poche righe vaghe d’addio, era una presenza tangibile nella sua vita di studente universitario.

Aveva scelto quella strada non perché lo studio gli piacesse – specialmente per lui, che aveva parecchie difficoltà a concentrarsi durante le lezioni -, ma per non addolorare sua madre ulteriormente. Inoltre, una doppia vita passata tra le pagine dei libri e incastrato nei corpi morbidi delle ragazze gli permetteva di non pensare a suo padre più di quanto non fosse necessario. Più di quanto non facesse da bambino.
 

Cresceva. Il suo dovere era divenuto solo quello. Crescere, sfondare ogni barriera che lo separava dalla libertà più estrema, solo senza ulteriori aiuti che non fossero l’abilità si nascondere i suoi progetti sotto la maschera di uno studente modello e una mente fantasiosa.

Sfogliare le pagine di Dostoevskij e Tolstoj in stato febbrile, assaporando ogni frase per il puro gusto di captare tra le righe la frase filosofica che avrebbe ridato un senso alla sua vita, mentre sua madre Anne si affacciava dallo stipite della porta per lanciargli un’occhiata fugace. Scuoteva la testa silente, chinando il capo mentre si affaccendava a stendere il bucato o a rammendare le biancheria stracciata, senza capire quanto fosse profonda la brama di esaudire la curiosità che suo figlio Ludwig necessitava di soddisfare fin da piccolo. Senza capire quanto fosse impellente il suo bisogno di avere un’occupazione degna del suo tempo, ispirandosi alle parole dello stesso Lev Tolstoj: ‘La calma è la vigliaccheria dell’anima. ‘

Come tutti i bambini sognano di poter essere ciò che vogliono nel loro futuro imprecisato, dopo la partenza di suo padre lui aveva scelto di essere un esploratore. Aveva imparato ad amare le foreste più intricate, le case più buie, i boschi più desolati. Ad apprezzare le temperature miti dell’estate e l’oscurarsi delle foglie dei salici piangenti, il gelo della Germania innevata con i suoi pioppi immersi nel candore, l’umidità dell’autunno con il suo tornado di odori e i suoi cieli d’argento, l’invisibile risveglio della primavera, annunciata dal risveglio dei crocchi e dal timido sbocciare dei fiori di lillà.

Aveva imparato ad osservare con occhi diversi e riflessivi per cogliere gli aspetti più beceri delle cose più comunemente ritenute gradevoli, anche a costo di assaporarne l’amarezza in bocca. I cellulari Nokia che avevano iniziato a spopolare in tutto il mondo non erano degni di attenzione. Libri che non trattassero di delicate questioni morali non potevano essere neppure carezzati. Ragazzi e ragazze immobili nei loro sogni futuristici erano solo da evitare.

 Ricordava molto bene il giorno del suo nono compleanno: era fuggito di casa per regalarsi il dono di un sogno che si avvera, con la promessa di tornare il giorno dopo all’alba, puntuale come un orologio svizzero. Giusto per concedersi il tempo necessario per esplorare tutti gli isolati limitrofi.
Sua madre, al piano di sotto, canticchiava qualche canzoncina natalizia come accompagnamento musicale mentre stendeva orgogliosamente l’ultimo strato di crema al cioccolato – Dio, quanto amava il Natale! Le prelibatezze che ne conseguivano e il tono melodioso delle canzoni allegre lo rendevano euforico– sul pan di spagna finemente decorato, e lui aveva accostato delicatamente la porta della sua cameretta per godere di quel semplice ma ben intonato motivetto, intanto che frugava nel cassetto della scrivania per cercare la sua torcia. Nello zainetto semi-aperto, che regnava come un trofeo sul materasso, aveva aggiunto anche un pacchetto di pretzel e una bottiglietta d’acqua per evenienza, e, nella tasca interna, un pennarello inserito dentro un foglio di carta arrotolato e scarabocchiato da un lato. Vi avrebbe segnato le strade da percorrere e quelle già percorse in un tracciato – a suo parere – precisissimo, costituito da tremolanti linee curve prive di indicazioni.

Suo padre sarebbe stato fiero di lui.

Rammentava bene anche i pianti di sua madre e gli sguardi inferociti che lo avevano bloccato sulla soglia di casa, quando era tornato con le guance rosee per la sua avventura conclusasi in una sola notte, fischiettando serenamente. Si era stupito non poco quando aveva ritrovato il viale che lo separava dall’uscio bloccato da tre macchine della polizia, e aveva inghiottito un fastidiosissimo groppo alla gola quando aveva scorto la sagoma della mamma accartocciata su se stessa, come un foglio di carta che brucia nel camino. Accanto a lei c’erano cinque agenti, con i quali stava discutendo animatamente.

Alla fine si era risolto tutto per il meglio: un sonoro ceffone sotto gli sguardi sbalorditi dei poliziotti, miliardi di raccomandazioni che avevano come succo la medesima frase: ‘Mi raccomando, non fare spaventare così la tua mamma. Era molto preoccupata, sai? L’hai fatta anche stare male. ’, una punizione - durata tre settimane e da lui patita - che lui aveva scontato diligentemente, sospirando da dietro le mura della sua casa. Ad attendere l’imprecisato.
 


25 Ottobre 1986



 
Gli angoli della bocca si inarcarono in un sorriso vittorioso mentre concedeva al suo corpo il privilegio di lasciarsi cullare dall’abbraccio più piacevole e languido che la natura assonnata gli poteva offrire. Godeva dello scricchiolio delle foglie secche che i suoi piedi calpestavano e dei raggi del sole morente a sfiorargli il viso, e godette ancor di più quando si accorse, con stupore e con delizia, di essersi allontanato troppo dal centro abitato.
La Foresta Nera lo aveva circondato in una morsa da cui non voleva più liberarsi, e nessun pensiero colmo di tristezza gli percosse l’animo.

Quando la sua mano destra toccò il metallo freddo dell’orologio che cingeva il suo polso, si accorse che le lancette si erano bloccate improvvisamente. Segnavano le 12, un’ora che era già trascorsa da tempo. In circostanze normali avrebbe sbuffato con indifferenza e avrebbe sostituito le batterie, ma in quel momento si limitò con sollievo a lasciar ricadere il braccio dondolante contro il suo fianco. Imperterrito, camminò fino a notte fonda.

Nella notte del 30 Dicembre 1999






Made of Snow and Dreams.
 

 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Made of Snow and Dreams