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Autore: Yvaine_    19/11/2016    2 recensioni
Eli ha conservato una preziosa collana per vent'anni. È arrivato il momento di restituirla, ma le cose non sono mai così semplici per qualcuno con un dono come il suo.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Delia Banks, Eli James, Melinda Gordon, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avviso: questa storia è nata dal gioco/ challenge “Obbligo, Verità… e Salvataggio!” organizzato dalla pagina Il Giardino di EFP su Facebook.
Scegliendo “Obbligo” mi è stato affidato il compito di scrivere una storia su Ghost Whisperer inserendo anche il personaggio di Eli.
Ringrazio Elena Zorzi per il “prompt” e mi scuso infinitamente per l’estremo ritardo con il quale sto pubblicando la storia!


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Janey


Aveva aspettato vent’anni per restituirglielo. Non sapeva perché l’avesse tenuto per tanto tempo. Se l’era praticamente dimenticato finché non se l’era trovato in mano. Un piccolo pendente.
Gli ci era voluto assai poco per ricordare a chi appartenesse e cosa aveva significato.
Jane, Janey...
Vent’anni. Esattamente venti anni.
Come si dice: “Il primo amore non si scorda mai.” E lui non l’aveva mai dimenticata. Era stata la sua prima cotta, la ragazza a cui aveva dato il primo bacio. E che gli aveva lasciato quella collanina. Ricordava ancora la storia di quel gioiello: la nonna glielo aveva regalato per il suo undicesimo compleanno e da quel giorno lei non se l’era mai tolto. A parte quella sera che, non ricordava esattamente perché, l’aveva slegato e messo nella tasca della giacca che lui le aveva prestato.
Era decisamente giunto il momento di restituirlo.

Eli James si mise al computer e digitò due parole nel motore di ricerca: Jane Mandis.
Perfetto! Si era trasferita da qualche anno non lontano da Grandview. Ancora con gli occhi fissi allo schermo Eli cercò un foglietto e una penna. Poi tastò le tasche per assicurarsi che ci fossero le chiavi della macchina, corse giù dalle scale e uscì.
Mentre guidava si sentiva sorprendentemente leggero e... felice. Non sapeva cosa aspettarsi e forse lei non lo avrebbe neanche riconosciuto, ma sarebbe stato comunque bello rivederla.
Eli cominciò a sentire un formicolio di nervosismo alla base dello stomaco quando parcheggiò davanti alla villetta di periferia che corrispondeva all’indirizzo. Si guardò una volta nello specchietto retrovisore cercando di domare – per quanto possibile – i ricci sulle tempie. Non riuscendo nell’intento, scese dalla macchina, si lisciò la giacca e si diresse verso la porta azzurra sotto il portico.
Non dovette attendere molto dopo aver bussato un paio di volte. La prima cosa che vide della donna che era venuta ad aprire fu il retro della testa con i capelli ramati mossi lasciati liberi sulla schiena. La prima cosa che sentì fu un: “Andy, continua i tuoi compiti” rivolto verso l’interno. E subito percepì anche un brivido alla spina dorsale al quale non diede molto peso perché la donna si era finalmente girata a guardare chi fosse l’ospite. Entrambi si bloccarono quando i loro sguardi si incrociarono. Aveva anche tinto i capelli, che non teneva più nella coda di cavallo che ricordava, ma gli occhi non erano cambiati. La stessa luce, la stessa profondità, lo stesso color nocciola.
«Eli...» sussurrò lei tra il sorpreso e l’incredulo.
«Ciao, Jane» rispose lui a bassa voce.
«Mio Dio, quanto tempo...»
«Vent’anni...»
«Oddio, entra, vieni...» Jane chiuse la porta dietro un Eli un po’ imbarazzato e si girò per andare in cucina. Al bancone, su uno degli alti sgabelli stava appollaiato un bambino chino sui libri pieni di immagini colorate che usavano alle elementari.
«Andy, saluta Eli. È un mio vecchio... amico» disse Jane rivolta al bambino.
«Ciao» fece subito il bambino alzando gli occhi dai suoi compiti per rivolgere uno sguardo curioso a Eli. Per tutta risposta il professore alzò la mano in segno di saluto.
«Ti va di aspettarmi in salotto, Eli? Arrivo subito» propose Jane.
Annuendo, l’uomo tornò nell’ingresso ed entrò in salotto accomodandosi sul divano di fronte al tavolino da caffè.
Qualche minuto dopo entrò anche Jane reggendo un vassoio con una caraffa di té freddo due bicchieri e un piattino di biscotti.
«Come hai fatto a trovarmi?» chiese curiosa Jane servendo il té e porgendo un bicchiere al suo ospite.
«È stato abbastanza semplice, sai. Il dio Internet arriva in soccorso di coloro che cercano aiuto.»
«Può essere d’aiuto sì...» Jane rise accomodandosi sulla poltrona di fronte al divano.
«E cosa fai adesso, Eli?»
«Sono un professore alla Rockland University» rispose lui, annuendo. «Tu?»
«Impiegata e mamma» spiegò sorridendo.
«Tuo figlio ti somiglia molto» commentò Eli.
«Grazie» rispose Jane con un sorriso dolce. «Tutti dicono che somiglia più a suo padre…»
«Sei sposata?»
«Oh, no, non sono sposata» abbassò la testa con uno sguardo triste. «Ho un compagno. Abbiamo anche una figlia.»
«Beh, complimenti!»
«Grazie» ripeté Jane con un altro sorriso. «Perché mi hai cercato, Eli?» chiese poi.
Eli non rispose subito. Posò invece il bicchiere sul tavolino e si frugò nelle tasche. Tirò fuori un sacchettino di velluto e, un po’ titubante, lo porse a Jane. Lei aveva un’espressione perplessa, ma prese il sacchettino e lo aprì rovesciando il contenuto sul palmo sinistro. Nello stesso momento in cui la catenina si aggrovigliava nel palmo di Jane si sentì un rumore venire dalla cucina, come di vaso che andava in frantumi. E poi il grido di Andy: «MAMMA!» seguito da un singhiozzo.
«Oh, no, non di nuovo!» sussurrò spaventata Jane prima di precipitarsi in cucina.
Eli la seguì e vide Andy, pietrificato, ancora sullo sgabello e con una ferita sulla guancia. Il vaso elegante che aveva notato prima nell’angolo dell’isola sembrava essere esploso disseminando schegge, acqua e fiori ovunque. Jane stava cercando di tamponare il sangue di Andy con un strofinaccio.
«Vuoi che chiami un’ambulanza?»
Solo in quel momento Jane sembrò ricordarsi di Eli.
«N-no... grazie, ma non c’è bisogno... Davvero, Eli... penso... penso che... dovremmo vederci un’altra volta...» Jane era evidentemente sconvolta e per non peggiorare le cose Eli tornò alla macchina senza che però quella fastidiosa sensazione che aveva sentito fin dal primo momento in cui era entrato nella casa se ne andasse.
C’era solo una persona che avrebbe capito.
Melinda.

«E ha detto che non era la prima volta che succedeva?»
«Non con queste esatte parole. Ha detto “Oh, no, non di nuovo”. E quando mi ha detto di andare via – sempre tra righe – era bianca come un cencio, spaventatissima...»
Eli era andato al negozio e aveva raccontato tutto a Melinda sperando che potesse aiutarlo a capire cosa stava succedendo. Fortunatamente nessun cliente era entrato e lui aveva potuto parlare tranquillamente con la sua amica e Delia.
«E poi c’era a anche quella sensazione come se qualcosa fosse fuori posto...»
«Le hai chiesto se per caso è morto qualcuno vicino a lei di recente?»
«Mmmh, tra cotte adolescenziali e vasi che esplodono temo di non aver trovato il momento adatto.»
Melinda fece finta di pensarci su applicando l’ultima striscia di scotch al pacchetto a cui stava lavorando. «No, forse non c’è stato il tempo» considerò con un sorriso.
«Non ti preoccupare» aggiunse subito dopo. «Domani andremo insieme a vedere se Andy sta bene e le faremo qualche domanda. Nel frattempo io farò qualche ricerca» lo rassicurò. «Adesso è meglio se andiamo tutti a casa.»

Quando sentì bussare alla porta del suo ufficio la mattina seguente, Eli non alzò nemmeno lo sguardo. Urlò solo: «Tornate durante l’orario di ricevimento!» in quella direzione. Sentì la porta aprirsi e stava per ripetere l’invito ad andarse quando si trovò davanti Jane che spuntava timidamente dallo spiraglio. Le fece subito cenno di entrare.
«Ciao! Non mi aspettavo di vederti qui... Andy sta bene?»
«Sì, sì, tutto a posto. Era solo un graffio alla fine. Sono venuta per ringraziarti. Per la collana. Me n’ero quasi dimenticata. Pensavo di averla persa. Significa davvero tanto per me. È l’unica cosa che mi è rimasta di mia nonna, ormai...»
«In che senso?» chiese Eli, facendole segno di sedersi.
«È morta dieci anni fa. Infarto. Era al mercato. Non c’è stato nulla da fare. È stato qualche giorno prima del matrimonio…» si interruppe con un groppo in gola. «Scusa» disse dopo un attimo, con gli occhi lucidi. «È che… non importa. Grazie di nuovo per la collana.»
Con un sorriso forzato si alzò e si diresse verso la porta senza un’altra parola.
Appena rimasto solo Eli afferrò il telefono e chiamò Melinda.
«Pronto? Sono…»
«È la nonna.»
«Come, scusa?» Melinda era disorientata.
«Di Jane. È morta prima del matrimonio e…»
«E possiamo parlarne faccia a faccia dato che sono qui» lo interruppe lei entrando nell’ufficio e chiudendo la chiamata.
«Perché nessuno viene durante gli orari di ricevimento?!»
Melinda rispose solo con una scrollata di spalle prima di dire: «Io non ho trovato nulla. Ma a quanto pare tu sì…»
Eli riferì all’amica le ultime informazioni che aveva raccolto.
«Quindi si sente in colpa…» rifletté ad alta voce Melinda.
«Non è colpa sua.»
A sentire la voce Eli si irrigidì mentre Melinda fissava un punto indefinito al di là della suo braccio destro.
«In che senso non è colpa sua?»
«Non è colpa sua.»
«È sparita» comunicò Melinda rassegnata. «Però forse c’è una persona che ci può aiutare» disse illuminandosi. «La madre di Jane abita qui a Grandview. Io proporrei di farle una visita.» E senza aspettare risposta si incamminò verso la porta seguita da Eli.

La madre di Jane, Liliana, li accolse nel suo appartamento in centro e li fece accomodare in salotto. Melinda e Eli mostrarono subito la loro preoccupazione per Jane. Liliana li ascoltò attentamente, ma non sembrava particolarmente colpita da ciò che sentiva, come se già sapesse.
«Lo sapevo» disse infatti. «Jane mi ha parlato di strane cose che accadono a casa: oggetti che volano o che si rompono, cose che cambiano posto senza che nessuno le abbia toccate… suonano così assurde…»
«Non poi così tanto…» sussurrò Melinda.
«Jane e sua nonna erano molto unite, vero?» chiese Eli
«Oh, sì, avevano un legame speciale.»
«Può darsi che Jane si senta in colpa per la morte della nonna?»
«Non “può darsi”… si prende tutta la colpa per quello che è successo…»
«Perché? È stato un incidente.»
«Non per come la vede Jane. Un paio di settimane prima del matrimonio mia madre doveva fare una visita. Aveva dei problemi al cuore – ne ha sempre avuti – e Jane si era offerta di accompagnarla. Ma non ricordo più che questione del matrimonio era venuta fuori e avevano dovuto disdire l’appuntamento perché Jane si occupasse del problema. Qualche giorno dopo mia madre ha avuto un infarto al mercato. Jane pensa che se l’avesse portata alla visita avrebbe potuto evitare che morisse. Lei e Richard hanno posticipato il matrimonio, ma la verità è che Jane si auto-punisce non concedendosi questo momento di felicità. Anche la sua prima gravidanza è stata molto travagliata. L’abbiamo aiutata per quanto abbiamo potuto e tanto quanto lei ci ha concesso. Adesso sta lentamente risalendo la china, ma chissà…»
«Lei e Richard non hanno più parlato di matrimonio?» chiese Melinda.
«Oh, sì. Credo che Richard abbia riportato a galla l’argomento un paio di volte, specialmente all’inizio, ma Jane non ne vuole sapere…»

«Dovremmo cercare di parlare con la nonna di Jane, capire perché sia rimasta qua…»
«Era lei in ufficio, prima, giusto?» chiese Eli.
«Sì, era lei. Ne ho avuto la conferma da Liliana, prima. C’era una foto in salotto di loro tre e la più anziana era esattamente come il fantasma nel tuo ufficio… e davanti a noi.» concluse Melinda con un sospiro.
«Non è colpa sua. Deve capirlo. Sono dieci anni che ci provo…»
«Facendo esplodere vasi di fiori e ferendo i suoi figli?» la interruppe Eli con lo sguardo perso nel vuoto.
«Non è facile controllare la propria forza quando non si conoscono le proprie capacità e le emozioni sono così potenti e diverse. Amo mia nipote, voglio solo che sia felice. Ma non ci riuscirà mai finché non si perdonerà.»
«Quindi non la incolpi per la tua morte?» cercò di chiarire Melinda.
«Oh, no, assolutamente! Le mie condizioni mediche, tutte le malattie di cui soffrivo… non si poteva fare molto. Quella visita non avrebbe cambiato nulla. Era solo una questione di tempo.»
«Noi ti possiamo aiutare. Possiamo parlare com Jane, farle capire…»
«Vi crederà?»
«C’è solo un modo per scoprirlo.»

«Eli?!» Di certo la sua cotta adolescenziale era l’ultima persona che Jane si aspettava di vedere sulla porta di casa sua dopo due giorni più strani del solito.
«Ciao. Scusa, lo so che sono arrivato qui senza preavviso, ma Melinda e io dovremmo parlarti.»
«Certo. Prego, accomodatevi…»
Jane li invitò ad entrare, scostandosi dalla porta e indicando salotto. Melinda ed Eli si diressero verso il divano, mentre Jane si sedette sulla poltrona di fronte ai suoi ospiti.
«Siete sposati?» chiese rivolgendosi a Eli.
«Chi? Melinda e io? Oh, no! Lei ha un marito… È una mia amica.»
«Già… Sono qui perché Eli mi ha raccontato delle cose che stanno succedendo e…»
«Le cose che stanno succedendo?»
«Sì… il vaso dell’altro giorno per esempio…»
«È stato un incidente.»
«Ma non il primo…»
«No…»
«C’è una spiegazione per tutto questo, Jane…» la rassicurò Eli. «Ma c’è qualcosa che devi sapere prima… Melinda e io abbiamo la capacità di interagire con i morti, con le anime che sono rimaste perché hanno dei conti in sospeso con i vivi.»
Jane li guardò scettica per un po’ prima di chiedere: «Morti? Anime? Non credo ai fantasmi da un bel po’, Eli…»
«Non è una fantasia…»
«Beh, allora è uno scherzo di pessimo gusto e per nulla divertente.» Gli occhi di Jane erano lucidi e stringeva i braccioli della poltrona tanto forte che le mani erano bianche.
«Non è uno scherzo…» riprovò Eli.
«Jane, tua nonna è qui» disse Melinda in tono calmo. «È sempre stata qui con te.»
«A che razza di gioco state giocando?» sibilò la padrona di casa.
«Chiedetele se si ricorda cosa le regalai al suo sedicesimo compleanno.»
«Ricordi cosa ti regalò tua nonna per i tuoi sedici anni?» riferì Eli.
«Il braccialetto che mi aveva regalato mio marito per il nostro primo anniversario di matrimonio. Faceva parte di una parure. A sua madre avevo regalato la collana. Era una parure semplice, tre strisce che si incrociavano più vote, sui toni del blu e dell’azzurro a ricordare il mare che ci piace tanto.»
«Era una braccialetto di strisce blu e azzurre che ricordano il mare. Lo regalò tuo nonno a tua nonna per il loro primo anniversario di matrimonio. Era una parure. Tua madre ha la collana» ripeté Eli.
Jane non sapeva cosa dire. Si rilassò sulla poltrona, aprì più volte la bocca per chiedere qualcosa, ma nulla venne fuori.
«So che è strano, ma tua nonna è veramente qui» disse dolcemente Melinda.
«Perché, che questione irrisolta ha?»
«Te» spiegò Eli. «Da quando è morta non ti sei mai perdonata per non averla accompagnata a quella visita, incolpandoti per la sua morte, punendoti continuamente.»
«È solo che… Avrei dovuto accompagnarla e…»
«No» la interruppe Eli. «Non c’era nulla che tu potessi fare. Quella visita non avrebbe cambiato nulla, non avrebbe prevenuto nulla. Tua nonna era malata da tempo e non si poteva fare nulla.»
«Speravo tanto di restare fino al suo matrimonio. Avrei tanto voluto vederlo. Ma adesso deve smettere di incolparsi per qualcosa che non poteva essere evitato. Deve continuare a vivere. Tutto quello che voglio per lei è che sia felice.»
«Dice che devi andare avanti con la tua vita, vivere felice e smettere di punirti per qualcosa che non poteva essere evitato» ripeté Eli.
Jane aveva cominciato a piangere silenziosamente e guardava i suoi ospiti con gli occhi grandi e piene di lacrime che rigavano le guance rosse.
«Mi dispiace, nonna» sussurrò Jane con voce rotta. «Mi dispiace davvero tanto. Non volevo che andasse così.»
«Non è colpa tua, amore mio, non è colpa tua. Vai avanti, sii felice. Ti voglio tanto, tanto bene.» Dopo aver detto queste parole accarezzò la guancia di Jane fermandosi un attimo. Poi… sparì.
«Era lei?» chiese Jane con gli occhi ancora più velati.
«Sì» rispose con sorriso Melinda, anche lei emozionata.

«Ma non è andata via, verso la Luce… cioè, tu non l’hai vista, giusto?»
Melinda e Eli stavano tornando verso Grandview e lei gli aveva detto di aver visto la nonna di Jane sparire non andare verso la Luce.
«No…»
«Perché? Cos’ha ancora in sospeso?»

La risposta non tardò a presentarsi quando Eli e Melinda parteciparono al matrimonio di Jane e Richard. In un angolo della chiesa Melinda vide la nonna che assisteva alla cerimonia, splendente di felicità. Alla fine, quando la nipote e il marito stavano percorrendo la navata per uscire, rivolse un sorriso di gratitudine a Melinda e con un cenno del capo attraversò la Luce.



Nicchia dell’autrice
Salve!
Spero che la storia vi sia piaciuta!
È la storia più lunga che ho mai scritto e spero davvero che non sia l’ultima. Ci ho messo molto più di quanto avessi pensato (o pattuito…) ma sono abbastanza contenta del risultato.
Ho cercato di mantenere i personaggio il più possibile simili a come sono stati descritti nella serie e spero di esserci riuscita!
Ringrazio ancora Elena Zorzi, alla quale porgo ancora una volta le mie scuse.
A presto,
Yvaine_
  
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