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Autore: Kaworu Nagisa    19/11/2016    0 recensioni
Ogni tanto può accadere d'innamorarsi, e il nostro protagonista lo fa in modo molto particolare: il suo è un amore che prende le mosse dalla necessità di essere compatiti ed apprezzati. È un'ossessione disperata, e per questo non può farne a meno. Più avanti arriverà a pensare che anche gli altri ne abbiano un bisogno spasmodico.
Fosse così, sarebbe di certo un grande amante.
Ripercorrere con la memoria la storia del proprio ultimo fallimento non gli sarà certo d'aiuto nel cercare una cura per questa sua mania.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Reclinò la testa all'indietro, a vedere un cielo bluastro, sporco. Stava quasi per confidare qualcosa al vento, ma ci ripensò.  E tornò in piedi, svegliato da una frustata nelle orecchie; un motorino era passato lì vicino.
 
Di solito, dopo averla incontrata, tornava a casa infervorato, e quasi si metteva ad esultare per le strade e tra i vicoli. L'amore era vivo, lo pervadeva. E poi gli pareva gonfiasse le sue forze. Nulla gli sembrava più vero di quel famoso momento di smodata felicità che colma una vita di malinconia.
Ora, senza, si sentiva nulla, più infimo di un qualunque insetto, pure più facile da schiacciare. Strisciò fino a casa. Frantumato da quell'inciampo ingiusto, non stava nemmeno guardando dove andava, accecato da qualche ossessione. Il cuore, lo sentiva svuotato  di tutto. Non era di certo bravo a soffrire, né tantomeno a lasciarsi dietro alcunché alle spalle, tanto gli piaceva esser commiserato. Era un appagamento morboso, ma mai si era sentito in colpa per questo, visto che nessuno lo aveva indagato, si era chiesto il significato di quando non riusciva a parlare, quelle smorfie occasionali. Non valevano niente, alla fine. Ma adesso gli sarebbe bastata una frazione di tutta quella foga che gli scorreva nelle vene quando era innamorato, e si sforzò di riconciliarsi con lei, con sé stesso. Perlomeno gli sarebbe stato utile per finire il racconto, poi avrebbe potuto lasciarsi andare. Pregustava quel momento, strusciava la lingua sui denti al solo pensiero. Un po' si rendeva conto di essere ridicolo, ma non gli interessava, come faceva sempre, e come facevano sempre pure gli altri sul suo conto. Si aspettava un qualche sussulto, che però tardava ad arrivare. Aveva tanti propositi per quella sera; magari poteva guardare un film, cercare qualche fonte d'ispirazione per il racconto. Davanti allo specchio dell'ascensore verso il quinto piano, sospirò  un poco. Le coincidenze erano un po' il suo tormento; aveva preso ad incolpare il caso, sentiva che si stava davvero prendendo gioco della sua anima. Magari così si sarebbe potuto riconciliare con lei.
E proprio in quel momento si sentì di nuovo rinvigorito, e l'amava ancora più di quando pareva un matto dall'euforia, e lo vedevano tutti, e di quando si lambiccava il cervello per riuscire a trovare una risposta per riempire tutti i silenzi che consumavano le speranze di felicità. Era quasi arrivato, e non poteva permettersi di essere sincero con sé stesso, ora che doveva cenare. Di certo non avrebbe mostrato segni di una qualche crisi.
 
Rabbrividì sul pianerottolo, al pensiero di tutte quelle cose che aveva fatto per lei, e che giacevano sulla sua scrivania: doveva diventare cristiano — chissà quanto di più le sarebbe piaciuto — e aveva preso a leggere dei libri che gli erano stati consigliati da un prete, lo stesso dei campi in montagna. Aveva pure iniziato un diarietto in cui teneva annotati i pensieri, nel quale si confessava. Con questo aveva scoperto di essere cattolico, dentro. O almeno ogni tanto le diceva così.
Immaginava di scaraventare tutto per terra, in un attimo d'ira, giusto per allontanarle, salvarsi
da una vita di inquietudine. Si ricompose un attimo, mentre apriva la porta dell'appartamento, e realizzò che non loavrebbe nemmeno mai fatto, per paura. Paura di deluderla mollando tutto, di un incubo feroce, di essere abbandonato.
   
 
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