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Autore: Gan_HOPE326    17/05/2009    13 recensioni
"Sono qui per lavoro."
Alla parola “lavoro” una crisi di panico attraversò come un’onda l’intero locale. Qualche donna lanciò gridolini striduli; da qualche parte un bicchiere si ruppe. Persino le luci laser strabuzzoscopiche parvero stupirsi e restarono fisse un istante. Subito, però, ripresero a lampeggiare tredicimila volte al secondo come loro solito, per la gioia delle retine di tutti gli avventori.
L’uomo che aveva parlato sorrise leggermente, con superiorità, e prese un sorso del suo Psicotropical, un cocktail che donava brevissime visioni di un paradiso caraibico senza lasciare effetti a lungo termine.
"Ma tesoro" gli disse la donna alla sua destra, una Cleopatra dagli occhi bistrati "da quando è entrato in funzione il Fighissimo, nessuno lavora più."
Genere: Demenziale, Science-fiction, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve racconto di fantascienza assolutamente demenziale scritto per il concorso nazionale “Il Sentiero dei Draghi”, il cui tema quest'anno erano utopie e distopie

Breve racconto di fantascienza assolutamente demenziale scritto per il concorso nazionale “Il Sentiero dei Draghi”, il cui tema quest'anno erano utopie e distopie. Una storia sul quello che Caparezza definisce “il tunnel del divertimento”, in pratica XD. Attendo le vostre recensioni – leggete e commentate!

 

 

 

Vivere con Stile

di Gan_HOPE326

 

-         Sono qui per lavoro.

Alla parola “lavoro” una crisi di panico attraversò come un’onda l’intero locale. Qualche donna lanciò gridolini striduli; da qualche parte un bicchiere si ruppe. Persino le luci laser strabuzzoscopiche parvero stupirsi e restarono fisse un istante. Subito, però, ripresero a lampeggiare tredicimila volte al secondo come loro solito, per la gioia delle retine di tutti gli avventori.

L’uomo che aveva parlato sorrise leggermente, con superiorità, e prese un sorso del suo Psicotropical, un cocktail che donava brevissime visioni di un paradiso caraibico senza lasciare effetti a lungo termine.

-         Ma tesoro – gli disse la donna alla sua destra, una Cleopatra dagli occhi bistrati – da quando è entrato in funzione il Fighissimo, nessuno lavora più.

-         In! Fatti! C’è il Fighissimo! – confermò confusamente una Ravanata seduta anche lei al banco.

Il Fighissimo altro non era che il Supercomputer FG 32 Xtreme, costruito dalla G.O.D. Corporation qualche secolo prima. Interfacciando in un’unica rete neurale tutte le macchine e i robot del pianeta, aveva realizzato il sistema produttivo perfetto. Le fabbriche lavoravano da sole, i veicoli trasportavano e distribuivano le merci senza che nessuno li guidasse. I governi erano spariti, perché le decisioni di FG 32 si erano sempre dimostrate più giuste di quelle che qualunque umano avesse mai preso. Così, gli uomini avevano smesso di lavorare. Di giorno dormivano, mentre le macchine mandavano avanti il mondo con efficienza e precisione; di notte, semplicemente, si divertivano. Il pianeta era ormai ricoperto di un uniforme tessuto di locali, pub, discoteche, bar, night club e ritrovi di vario genere. Vista dallo spazio, la Terra riluceva come una gemma fosforescente al neon. Dimenticate religioni e partiti politici, gli uomini non avevano però potuto cancellare la propria atavica tendenza a dividersi in fazioni. Innumerevoli Stili erano nati e morti dopo l’avvento del Fighissimo, caratterizzati ciascuno da un diverso modo di vestire, da diverse abitudini di vita e, ovviamente, dai diversi locali frequentati. Il posto in cui era stata pronunciata l’abominata parola che comincia per “L”, ad esempio, era pieno di Ravanati, strafatti di droga e musica spaccatimpani, di Cleopatre, donne dalle abitudini lascive e dall’abbigliamento (opzionale) in stile vagamente egizio, e di Illuministi. Non erano fan di Voltaire: giravano con una corona di lampadine da cento watt in testa.

Intanto, la Cleopatra aveva messo un braccio sulle spalle del suo nuovo amico e gli stuzzicava i capelli con l’indice.

-         Sei un tipo originale. Mi piaci. – sussurrò – Mi dici come ti chiami?

-         Il mio nome è Bond. – rispose l’altro.

Un secondo di pausa.

-         Tutto qui? – chiese la donna.

-         Sì. Che ti aspettavi?

-         Non so. E’ come se mancasse qualcosa.

Si stiracchiò languida e avvicinò ancora di più il viso a quello di Bond, guardandolo dritto negli occhi.

-         E che… “lavoro”… fai, Bond?

-         Un lavoro che nessuna macchina potrebbe fare. Un lavoro che richiede esperienza ed astuzia, freddezza e precisione chirurgica. Un lavoro sporco che qualcuno deve pur fare. Il lavoro più antico del mondo.

La Cleopatra squittì di gioia e si gettò sull’uomo a pesce. Tenendolo contro il pavimento gli accostò la bocca all’orecchio:

-         Dimmi, cosa vuoi in cambio di una notte?

-         Non quel lavoro. – rispose l’altro, levandosi la donna di dosso – Diciamo il secondo più antico.

Con un versetto deluso, la Cleopatra si allontanò e andò a schiaffarsi su un sofà vicino assieme a due sue simili. Si scolò all’istante un Aspides, cocktail verde marcio a base di menta molto in voga per il suo Stile.

La Ravanata fissò stralunata Bond, si passò una mano rinsecchita tra i capelli tinti di fucsia con ricrescita blu e balbettò:

-         Ma io mica ho capito cioè che lavoro è.

Silenzioso, l’uomo rispose sollevando un lembo della sua giacca e scoprendo ciò che portava allacciato alla cintola. La pistola, grossa, di metallo lucido, era una Sbrindellabudella Protonica di Classe 2. Potente, precisa e indolore. Almeno per chi la usava: chi veniva colpito, invece, in genere urlava come un pazzo.

La Ravanata spalancò gli occhi, meravigliata.

-         Cioè – disse – troppo professionale un parrucchiere che gira portandosi dietro il fon.

Bond ridacchiò e abbassò la giacca. Ravanati: si erano giocati il cervello a tal punto che anche per capire come funziona un apriscatole avrebbero dovuto leggere il libretto di istruzioni. E in genere non sapevano leggere. Perciò non mangiavano mai cibi in scatola.

L’uomo finì di bere il suo cocktail, assaporando un’ultima, fulminante immagine di palme e bellissime donne brune con collane di fiori. Poi, esauritosi l’effetto, rivolse il pensiero al suo bersaglio, al lavoro, e si concentrò solo su quello. Mister Mix, si chiamava. L’avevano visto aggirarsi in un seminterrato da quelle parti, cosa alquanto sospetta, dal momento che Mister Mix era un Fanattico: un folle adoratore dei piani alti. Lui e la sua gente vivevano solo nei superattici dei grattacieli più audaci e avevano intrapreso una furibonda crociata contro i piani terra. Molte volte avevano compiuto attentati dinamitardi contro di essi. Il fatto che, quando le loro bombe esplodevano, a crollare erano gli interi palazzi, compresi i loro amati attici, non li scoraggiava più di tanto. La classificavano più che altro come una conseguenza della congiura della lobby pianoterrista. A Bond, comunque, non importava fermarli. Solo il lavoro contava. Solo l’obiettivo era importante.

Bene, ora che aveva fatto un comodo riassunto della situazione a uso dei lettori, poteva anche andarsene. Si rialzò, senza pagare. Nessuno pagava, il denaro non esisteva nemmeno più, dal momento che il Fighissimo dava a ciascuno ciò che desiderava esattamente nella quantità in cui lo desiderava.

La Ravanata fece un gesto verso di lui, provò a dirgli qualcosa, ma poi fu distratta dalle luci strabuzzoscopiche, che cominciò a fissare estasiata, battendo le mani. Bond si avviò verso l’uscita. Vide, su un divano, la Cleopatra di prima che assieme alle sue due amiche si era gettata su un Illuminista e aveva cominciato a lavorarselo. Le urla del poveretto erano strazianti. Bond scosse la testa. Dopo un’esperienza così traumatica, quel disgraziato non sarebbe mai più riuscito a fare niente di più erotico di una partita a scacchi.

Ignorando quel piccolo pezzo di mondo, Bond aprì la porta, uscì nella notte, nell’aria della città spendente di luce artificiale.

 

Quando sei un terrorista affermato, con ottime referenze, diversi attentati di successo all’attivo e un Master in Demolizione Forzata superato con ottimi voti, c’è una sola cosa che ti può infastidire di più di vedere il tuo nascondiglio che tanto accuratamente hai tenuto segreto scoperto da qualcuno che ti stava cercando.

E cioè vedere il tuo nascondiglio che tanto accuratamente hai tenuto segreto scoperto da qualcuno che non ti stava nemmeno cercando.

-         Chi sarebbe questa testa di cazzo? – domandò Mister Mix, furibondo, alla vista del tipetto minuto e tremante che gli stava inginocchiato davanti.

-         Non è una Testadicazzo, capo. – gli rispose uno dei suoi tirapiedi – Quelli portano sempre un cappello a forma di profilattico. Direi piuttosto un Idolatra.

Il prigioniero annuì, terrorizzato.

-         Stavo cercando il mio Dio. – balbettò – Gli avevo appena dato la mia offerta votiva di croccantini quando mi è scappato via.

Gli Idolatri erano l’ultimo residuo di spiritualità rimasto sulla Terra. Conducevano tristi esistenze alla ricerca di qualcosa da venerare e a cui rivolgere le proprie preghiere. Dopo che tutti gli dei, i santi e le rock star erano stati dimenticati, per un lungo periodo avevano adorato il Vitello d’Oro. Ma poi i vitelli si erano estinti in seguito al Grande Avvento degli Hamburgofagi, e l’oro era stato tutto estratto e fuso in pesantissime catene e gioielli che procuravano grandi gioie e ancor più grandi dolori cervicali agli Hippoppettari. Adesso gli Idolatri si accontentavano di adorare qualunque cosa, previa spruzzatina di una mano di vernice spray dorata.

-         Cercava questo, cioè, capo! – gridò un Ravanato, tirando fuori da dietro una cassa un gattino dal pelo metallizzato che miagolava miseramente.

-         Che problema. – brontolò Mister Mix – Mancava solo questo ficcanaso. Come se già non ci fosse da essere abbastanza preoccupati con Havana che prepara la bomba.

-         Io faccio del mio meglio, capo! – protestò Havana, lì accanto.

Havana era uno dei migliori esperti di esplosivi nei dintorni ma era anche, sfortunatamente, un Tabagista. In qualunque momento della giornata teneva un minimo di tre sigarette in bocca. Vederlo armeggiare tra nitroglicerina e plastico con quei fiammiferi tra le labbra aveva un che di inquietante.

-         Vi prego, ridatemelo e lasciatemi andare. – biascicò l’Idolatra – Non dirò niente a nessuno.

-         Dipende, ragazzo. Prima devi rispondere a una mia domanda.

Mister Mix fissò il suo prigioniero con sguardo penetrante.

-         A che piano abiti? – chiese.

-         Al piano rialzato. – rispose l’altro, cadendo dalle nuvole – Perché?

-         SEI UNA SPIA PIANOTERRISTA! – gridò il Fanattico, invasato – Nessuna punizione è abbastanza per quelli come te! DATEMI IL GATTINO!

Mentre l’Idolatra era preda di un terrore crescente, Mister Mix si fece consegnare il gatto dorato e lo prese tra le mani. Le sue dita, forti, si strinsero sul collo dell’animale.

-         Dio! No! – gridò l’Idolatra, disperato – Lasciatelo stare!

Le dita continuarono a stringere.

-         No! Prendetevela con me! Lasciate il mio Dio!

La morsa si fece ancor più dura. Le vertebre scricchiolarono.

-         NO! BLASFEMI! MISCREDENTI! DEICIDI!

Il gattino non soffrì più di tanto. Il suo collo si spezzò con uno schianto secco. Tra le lacrime disperate dell’Idolatra e le risate sguaiate di Mister Mix e dei suoi scagnozzi, il corpo del felino venne gettato a terra. Il suo povero fedele lo raccolse e lo strinse tra le mani, continuando a piangere come una fontana.

-         Lasciatelo andare, ragazzi. Ormai è un uomo finito.

L’Idolatra venne cacciato fuori dal seminterrato. Iniziò a vagare, sperduto, tra i vicoli, sotto la luce dei lampioni. Si rannicchiò accanto a un bidone della spazzatura, gridando il suo dolore al cielo. Lo sguardo gli cadde su un mucchio di immondizia.

C’era un bellissimo scatolone vuoto.

Per molti minuti l’Idolatra lo rimirò, osservandone gli splendidi angoli perfettamente retti e la meravigliosa rotondità dei caratteri che componevano la scritta “Carta Igienica Softy”.

La vita è così, dopotutto: bisogna saper andare avanti.

Facendo spallucce gettò di lato il gattino, raccolse lo scatolone ed estrasse da una tasca dei pantaloni una bomboletta spray di vernice dorata.

 

Il metodo più veloce per trovare qualcuno, Bond l’aveva imparato in anni di lavori e di esperienze accumulate, non era infiltrarsi nel database del Fighissimo, o usare cose come segugi, microcamere volanti o pendolini magici. Il metodo più veloce per trovare qualcuno era, semplicemente, chiedere in giro. Il vero problema era a chi chiedere. Bond non aveva familiarità con tutti gli Stili in circolazione – nessun essere umano avrebbe potuto averla: era stato calcolato che nel mondo emergevano tre nuovi Stili ogni secondo. Alcuni avevano membri particolarmente diffidenti e difficili da approcciare. Bond ricordava ancora quando, qualche tempo prima, per conquistarsi la fiducia di un gruppo di folli Messigatti a cui estorcere informazioni era stato costretto a indossare un sombrero, attaccarsi una finta coda pelosa e fare le fusa al loro capo lappando del piccantissimo chili da una scodella. Mai più, si era detto dopo quell’episodio. Adesso avvicinava solo persone appartenenti a Stili relativamente innocui.

Bond entrò in un locale che gli parve adatto. La sala era semivuota. C’era un pavimento diviso in variopinte piastrelle luminose e pareti spoglie decorate solo da raggi laser dai colori smorti. In un angolo, stretti a capannello, c’erano due tizi con curiosi vestiti appariscenti e i capelli neri ingellati in una posizione assurda che tenevano per la vita due ragazze molto discinte e molto poppute. Non c’era da sbagliarsi: quelli erano Mangaccia. Scoppiati dipendenti dai cartoni pseudo-giapponesi che il Fighissimo produceva automaticamente con un procedimento basato sulla mescolanza casuale di elementi predefiniti. Di solito erano amichevoli: avevano solo strane manie. Sarebbe stato facile entrare nelle loro grazie.

-         Yo, ragazzi! – esclamò Bond, salutandoli – Come ve la passate?

-         MOSSA FINALE! RISPOSTA IMMEDIATA! – gridò improvvisamente uno dei due ragazzi, muovendo le braccia in gesti ampi e veloci, per poi calmarsi e dire, con tono normale – Non benissimo. Questo televisore riceve “Koko Densetsu”, e noi invece volevamo vedere “Raimo Gaiden”.

-         Fa’ vedere.

Bond si fece consegnare il televisorino portatile che i Mangaccia stavano guardando e ci armeggiò per qualche secondo. Al momento trasmetteva “Koko Densetsu”: la storia di un insignificante ragazzino di nome Koko che aspira a diventare il più grande atleta di arti marziali di tutti i tempi, ma per riuscirci dovrà prima sconfiggere il suo eterno rivale e salvare il mondo. Bond ruotò un po’ la manopola della sintonia, diede un colpetto allo schermo e apparve la frequenza giusta.

-         Ecco qui. – fece, porgendo nuovamente il televisore al Mangaccia.

Adesso trasmetteva “Raimo Gaiden”: la storia di un insignificante ragazzino di nome Raimo che aspira a diventare il più grande campione di Monopoli di tutti i tempi, ma per riuscirci dovrà prima sconfiggere il suo eterno rivale e salvare il mondo. Particolarmente emozionante era la scena conclusiva in cui il cattivo, finito su Parco delle Vittorie con albergo, si dissolveva in un mare di banconote facsimile tra urla raccapriccianti.

-         Favoloso. – mormorò il ragazzo, e gli si illuminarono gli occhi. Gli si illuminarono letteralmente gli occhi: i Mangaccia si facevano spesso impiantare dei LED sottocutanei per potersi accendere di aure colorate, proprio come i loro eroi.

-         Sei dei nostri! – esclamò l’altro ragazzo – Sei un maestro! Un sensei!

Bond ringraziò con un cortese inchino, mentre tutti e quattro i Mangaccia ripetevano a voce bassa “Sensei, sensei!”.

-         Ci presentiamo, sensei. Io sono Tite-kun. Lui è Akira-kun. Loro sono Hiromu-chan e Rumiko-chan.

Le due ragazze salutarono con un sorriso grazioso e sbatterono le palpebre velocemente. Avevano gli occhi dilatati chirurgicamente per occupare quasi metà del viso.

-         Io avrei bisogno del vostro aiuto, ragazzi. – cominciò Bond – Ho già chiesto un po’ in giro, ma nessuno me l’ha saputo dire. Sapete per caso se da queste parti gira un Fanattico di nome Mister Mix?

-         ATTACCO DEFINITIVO! RISPOSTA TOTALE! – urlò Tite-kun, con i soliti gesti – Mi dispiace, sensei, non ne sappiamo nulla.

Bond annuì, senza mostrare segni di particolare disappunto.

-         Capisco. Allora ci vediamo, ragazzi.

-         Addio, sensei! – gridò Rumiko-chan – Spero che troverai questo Mister Mix che stai cercando.

-         Grazie. Lo spero anch’io.

-         Ma guarda che coincidenza! – esclamò una voce cupa alle sue spalle – Anche Mister Mix sta cercando te!

Intuendo all’istante cosa fosse successo, Bond si voltò di scatto cercando di colpire con un pugno il nuovo arrivato, ma si trovò immediatamente stretto e sollevato da braccia di un diametro paradossale. L’energumeno che l’aveva afferrato era un Mistermuscolo, purtroppo. Grazie a una tecnica medica che consentiva di estrarre cellule cerebrali e trasformarle in un ormone steroide di incredibile potenza, i Mistermuscolo erano degli imbecilli dotati di un corpo gigantesco e di una forza sovrumana. Erano un banale stereotipo, certo: ma questo era meglio non dirglielo, a meno di non amare la particolare sensazione che solo una frattura multipla esposta al costato può dare.

-         Mister Mix ti vuole. – bofonchiò il ceffo – Io ti porto da lui.

-         Puoi mettermi giù. – disse Bond – So camminare. Prometto che non scapperò.

 Il Mistermuscolo, che già troppe volte era stato ingannato da trucchetti simili, non volle correre rischi. Uscì a larghi passi dal locale, del tutto inosservato, nonostante stesse portando un uomo di una settantina di chili sottobraccio come fosse una baguette. I Mangaccia non gli prestarono attenzione: fissavano concentrati il televisore, col fiato sospeso, perché Raimo stava per pescare una carta delle Probabilità che avrebbe potuto rovesciare le sorti della partita che stava giocando.

 

-         Bene, bene, bene. Cosa abbiamo qui?

-         Un Fanattico che per organizzare un attentato ha dovuto radunare un gruppo di sbandati e rifugiarsi in uno scantinato puzzolente, direi. Cos’è? Gli altri tuoi amici non erano disposti a scendere tanto in basso per la causa?

-         Quanto sei spiritoso, intruso. Ma la voglia di scherzare ti passerà presto.

Mister Mix fece un cenno e i due Ravanati che tenevano fermo Bond avanzarono di qualche passo, portando il sicario di fronte alla sedia del loro capo. L’uomo non si scomponeva: esibiva un sorriso sicuro e beffardo.

-         Quanto mi fa arrabbiare quel sorriso sicuro e beffardo! – esclamò Mister Mix – Ma te lo cancellerò presto dalla faccia! Tu sei stato mandato qui a farmi fuori da qualche sporco pianoterrista. E io cancellerò te e questo schifosissimo… seminterrato… – sputò quella parola con un disprezzo spaventoso – dalla faccia della Terra. Credevi davvero di poter chiedere di me in giro come niente fosse senza che la notizia giungesse alle mie orecchie?

-         In effetti, no. – rispose Bond – Anzi, speravo proprio che ti arrivasse. Così non ho dovuto nemmeno fare fatica: è stato quel tuo Mistermuscolo a portarmi qui.

-         Di nuovo quel sorriso sicuro e beffardo! Ma non hai capito che sei spacciato? Sei mio prigioniero e sei disarmato! Hai perso! GAME OVER!

-         Può darsi. – fece Bond.

Aveva ancora il suo sorriso sicuro e beffardo.

Mister Mix fu preso da un terribile dubbio.

-         Ehi, tu. – chiese, rivolgendosi a uno dei due Ravanati – L’hai perquisito, prima di portarlo qui, vero?

-         Certo che sì, cioè, capo! – rispose quello – Ma è pulito. C’ha solo un fon messo alla cintura.

Finì tutto in un attimo. Bond estrasse rapidamente la Sbrindellabudella, i raggi protonici sibilarono, diversi tirapiedi caddero all’istante, il Mistermuscolo venne forato e schizzò via sgonfiandosi come un palloncino e Mister Mix ebbe solo il tempo di pensare che assumere due Ravanati come guardie era stata una vera idiozia prima di ritrovarsi con un buco in fronte.

Bond raccolse una sigaretta dalla bocca del cadavere di Havana e cominciò a fumare. C’era di che essere soddisfatti: grazie a quel lavoro avrebbe guadagnato un bel po’ di punti. Sarebbe schizzato in cima alla classifica dei Killeroni! Primo in classifica. Il migliore. Suonava bene.

Quando si voltò a osservare i corpi vide che le nanomacchine si erano già messe al lavoro. Robot piccoli come batteri erano giunti invisibili attraverso l’aria e adesso stavano riparando i tessuti e rattoppando i buchi; Mister Mix e gli altri sarebbero resuscitati nel giro di una decina di minuti. Perché ovviamente nel mondo del Fighissimo nemmeno la morte esisteva più. Le nanomacchine arrestavano l’invecchiamento, guarivano le ferite, prevenivano le malattie. E tutto quell’inseguirsi e quel combattere, fare i terroristi o i sicari incaricati di eliminarli, Fanattici o Killeroni o che so io, non era altro che un gioco di ruolo a cui alcuni Stili amavano partecipare, un modo non per ammazzarsi l’un l’altro: tutt’al più per ammazzare il tempo.

Spalancando il portellone metallico che chiudeva il seminterrato, Bond tornò finalmente all’aria aperta. Era euforico. Sparò in aria. Poi gettò via la pistola e andò a mescolarsi alla gente, agli Scavezzacollo che sfrecciavano con le volauto, ai Graffitari che facevano graffiti, ai Puliziotti che li cancellavano, agli Edonisti che facevano sesso senza amore e ne andavano orgogliosi, ai Romantici che facevano sesso senza amore ma non lo ammettevano, giù, nella città infinita in cui gli uomini si erano divertiti per secoli, si divertivano ancora, si sarebbero divertiti per tutta l’eternità.

 

 

 

 

  
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