Anisa camminò più in fretta del solito lungo il
corridoio che l’avrebbe condotta nell’ufficio di T'Challa. La tazza di caffè
che teneva in mano, da cui l’aroma saliva invitante e avvolgente, oscillava
così violentemente che ogni due passi minacciava di far cadere sul pavimento
buona parte del suo contenuto. La donna era adirata con il sovrano e niente,
nel suo atteggiamento, poteva lasciare trasparire il contrario.
La notte prima Anisa aveva impiegato ore a
prendere sonno e c’era riuscita solo perché era consapevole che T'Challa
l’avrebbe informata del suo rientro. Lei voleva andare con lui a ispezionare la
centrale idroelettrica in cui le Sentinelle avevano rilevato delle presenze, ma
T'Challa non glielo aveva permesso. L’aveva convinta a rimanere al palazzo e le
aveva detto che l’avrebbe svegliata non appena avesse fatto ritorno. Tuttavia
quella stessa mattina Anisa si era svegliata al suono della sveglia come sempre
e quando aveva realizzato che la Pantera era tornata a palazzo senza dirle
alcunché, il nervosismo aveva preso il sopravvento.
Aprì la porta dell’ufficio con uno scatto, senza
bussare nemmeno; la tazza che teneva in mano concretizzò le sue minacce e
rovesciò alcune gocce di caffè sull’immacolata porta nera. Anisa trovò T'Challa
in piedi, le mani dietro alla schiena, di fronte a quello che riconobbe come
l’ologramma del primo ministro etiope. Il sovrano si voltò a guardarla un
momento, dopodiché tornò a rivolgersi all’immagine dell’uomo: «Sa che parlerei
ancora molto volentieri con lei, primo ministro» disse, sorridendo. «Tuttavia
la mia assistente mi ha sta ricordando che ho diverse faccende da sbrigare.»
«Non voglio farle perdere altro tempo, allora.
Mi informi subito se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa.»
«Senz’altro. Le auguro buona giornata.»
Il primo ministro fece altrettanto e la chiamata
venne chiusa, facendo scomparire l’ologramma dalla stanza. T'Challa si rivolse
verso Anisa, ancora immobile sulla soglia, l’espressione di chi non stava
capendo esattamente cosa accadeva. Il sovrano le fece un cenno, indicando alla donna,
in una mossa sola, di entrare e sedersi. Lei eseguì; si chiuse la porta alle
spalle e andò a sistemarsi davanti alla scrivania, guardando T'Challa in modo
confuso.
«Puoi bere tu quel caffè. Ne ho già presi due questa
mattina.»
Anisa abbassò lo sguardo sulla tazza che ancora
teneva in mano, sempre più confusa.
«Mi dispiace, mi sono dimenticato di dirti che
non lo avrei preso» proseguì il sovrano.
«Ti sei dimenticato di dirmi un sacco di cose!»
esplose la donna, appoggiando la tazza sulla scrivania con tale forza che molte
gocce di caffè volarono sul suo piano, fortunatamente sgombro di carte. «Perché
non mi hai detto nulla quando sei rientrato questa notte?»
Non riuscì a trattenersi. Aveva sperato e,
soprattutto, confidato che una volta tornato a palazzo Pantera Nera le avrebbe
subito detto ciò che aveva scoperto, anche se si fosse trattato di cose di poco
conto. Dopotutto Anisa era per T'Challa molto più di una semplice assistente;
tuttofare per il sovrano del Regno di Wakanda, combattente al fianco della
Pantera.
T'Challa le sorrise, dolcemente. «Hai ragione.
Ti chiedo scusa.»
Le poche parole parvero sufficienti a placare la
donna. Anisa si ricompose, sistemandosi sulla sedia.
«Hai trovato qualcosa?» chiese poi. Era
terribilmente curiosa di sapere la verità, di scoprire se ancora una volta
T'Challa aveva ragione e, in quel caso, di capire se avevano a che fare con
qualcuno che andava temuto oppure no.
«Ho trovato qualcuno» esordì il sovrano,
divenendo improvvisamente più serio. Anisa trattenne il respiro, senza staccare
gli occhi dall’uomo.
«È Klaw.»
A sentire quel nome la donna allentò la presa
dalla tazza, che rimase così abbandonata sul piano della scrivania, con il
proprio contenuto a raffreddarsi lentamente. Una morsa la braccò alle viscere e
un grosso senso di malessere la pervase.
Ulysses Klaw. Se c’era davvero lui dietro alle
morti, alle sparizioni e ai furti, bisognava agire in fretta e fermarlo prima
che potesse fare del male ad altre persone.
T'Challa si accorse dell’improvvisa reazione
della donna ma non riuscì a dire nulla. Lei, infatti, precedette le sue parole:
«È in quella centrale? Dove dicevi tu?»
«Sì. Non credo si fermeranno lì a lungo. Perciò
dobbiamo agire in fretta.»
«Quanti sono?»
«Ne ho contati diciassette, ma potrebbero
essercene altri.»
Anisa si alzò di scatto dalla sedia, gli occhi
spalancati. «Diciassette? Perché non li hai fermati subito? Hai affrontato
gruppi molto più numerosi di così» esclamò.
T'Challa sollevò una mano per intimarle di
calmarsi; lo sguardo fiero e risoluto con cui la guardò fece capire alla donna
che si era spinta troppo oltre. Per quanto il loro rapporto potesse essere
fraterno, quell’uomo era pur sempre il suo sovrano. Anisa tornò a sedersi e
quasi contò i secondi prima che T'Challa riprese a parlare: «Non fraintendere, Anisa.
Mi conosci perfettamente e sai che io stesso avrei agito subito, ieri notte.
Tuttavia…»
Inspirò a fondo, ripensando alle due figure che
erano rimaste nascoste nell’ombra. «Tuttavia qualcosa mi ha detto che da solo
non ci sarei riuscito.»
Lei lo guardò esterrefatta, sorpresa da quella
ammissione. Se non avesse visto le labbra di T'Challa muoversi a comporre
quelle parole non ci avrebbe creduto.
«Klaw è ricomparso dopo anni, non è uno
sprovveduto e sa benissimo con chi ha a che fare se si avvicina al Wakanda.
Sono certo che gli uomini che sono con lui non vanno sottovalutati» spiegò il
sovrano, la voce di chi era perfettamente consapevole di quanto stava dicendo.
«Perciò, cosa facciamo?»
«Prima, hai visto anche tu, ho parlato con il
primo ministro etiope. L’ho informato di ciò che ho scoperto, omettendo una
serie di cose, ovviamente» disse, un leggero sorriso in volto. «Ho avuto il
permesso per intervenire con degli uomini in quella zona. Massima segretezza.»
Anisa rimase a guardarlo, capendo tutto.
T'Challa avrebbe colpito Klaw alla centrale con un novero di soldati e,
affinché la cosa non facesse clamore – poiché un intervento wakandiano
in Etiopia avrebbe comunque fatto notizia – aveva informato dell’accaduto e
chiesto il permesso a intervenire al primo ministro della nazione. Tuttavia
nessuna informazione a riguardo sarebbe dovuta trapelare. Se l’intervento di
T'Challa avesse avuto successo, Klaw sarebbe stato eliminato prima di fare
altre vittime e le persone scomparse, i furti e i morti, sarebbero passati come
disgrazie sotto silenzio con il tempo.
«A quando l’intervento?» domandò la donna, senza
porre altre domande sul discorso fra T'Challa e il primo ministro etiope.
«Questa notte. Faremo in modo di essere alla
centrale idroelettrica intorno alle due e di tornare entro l’alba.»
«Pensi che ce la faremo?»
Il sovrano annuì. «Porterò con me trenta uomini
armati. Ma tu, Anisa, resterai qui.»
Il tono dell’uomo non ammetteva repliche, ma la donna
non gli diede peso. Si alzò nuovamente dalla sedia e guardò T'Challa con una
determinazione bruciante.
«Io verrò. Non puoi tenermi fuori da questa
storia se si parla di Klaw» proruppe.
L’uomo, che non era rimasto sorpreso
dall’affermazione di lei, distolse lo sguardo, scuotendo la testa. «Non posso
permettertelo.»
«E perché no? Come se non avessi mai combattuto
al tuo fianco, come se non avessi mai aiutato la Pantera» disse sprezzante.
T'Challa tornò a guardarla. Sapeva che sarebbe
arrivato quel momento. Conosceva l’avversione che Anisa provava per Klaw, così
come sapeva ciò che l’uomo le aveva fatto e capiva i sentimenti di lei.
Tuttavia voleva impedirle di correre il rischio di diventare schiava della
brama di vendetta, come aveva fatto lui anni prima quando aveva dato la caccia
a James Barnes.
Mantenendo il tono risoluto che lo
contraddistingueva, le rispose: «Non si tratta di questo. So che saresti
all’altezza. Solo non voglio che il desiderio di vendetta ti consumi come ha
consumato tante persone prima di te.»
Anisa non si scompose a quelle parole. Si
avvicinò al sovrano e alzò lo sguardo sul suo. Negli occhi scuri di T'Challa
c’era una leggera sfumatura di preoccupazione che per lei fu semplice da
interpretare.
«Io non voglio vendicarmi di Klaw» gli disse, in
un modo che parve quasi una confessione. «Voglio solo che venga fermato, così
da impedire che possa fare ad altre persone ciò che ha fatto a me.»
T'Challa rimase a guardarla, silenzioso. Non
poteva biasimarla e non lo avrebbe fatto.
«E sia» disse, con un leggero cenno del capo.
«Ma dovrai darmi la tua parola. Non voglio che quell’uomo ti trasformi.»
Anisa acconsentì, senza dire nulla. Non avrebbe
permesso all’uomo che le aveva stravolto la vita di farlo ancora una volta e
non gli avrebbe neanche permesso di diventare un’ossessione. Voleva solo che
fosse fermato. In quale modo non le importava, così come non le importava che
fosse lei a farlo; tuttavia, se poteva in qualche modo contribuire alla causa,
non sarebbe certamente rimasta a guardare.
*
La luna riluceva sottile come una lama sopra le
alte fronde degli alberi che costeggiavano rigogliosi il fiume Omo. Trentadue
uomini non sarebbero certo passati inosservati neanche fra quelle foreste, se a
guidarli non ci fosse stato qualcuno che conosceva perfettamente quelle terre.
La Pantera, la tuta nera e iridescente per via del vibranio, camminava avanti a
tutti posando i piedi nei punti migliori per evitare di fare rumore. Accanto a
lui Anisa si muoveva con la stessa leggerezza; anche lei portava una tuta di
fibre miste a vibranio, una maschera più simile a un elmetto così da
proteggerle la testa senza però schiacciarle i capelli che dietro, raccolti in
una lunga e stretta treccia, erano liberi di muoversi. Alla cintura in vita era
agganciata una coppia di tonfa1, l’arma con cui lei si era sempre
destreggiata.
Proseguendo nel fitto della foresta, T'Challa e
i suoi uomini arrivarono in prossimità della centrale idroelettrica. Le flebili
luci e l’uomo di vedetta davanti alla porta, fecero capire alla Pantera che non
erano arrivati troppo tardi. Si voltò verso i suoi uomini e fece loro cenno di
attendere l’inizio delle operazioni. I soldati si abbassarono, nascondendosi
fra le basse fronde della giungla mentre T'Challa, silenzioso, arrivava alle
spalle del nemico e lo atterrava con un’unica, precisa, mossa. Indicò agli
uomini di raggiungerlo e così fecero, cercando di fare più silenzio possibile.
Appostati intorno alla porta, uno degli artificieri sistemò alcune cariche in
corrispondenza delle cerniere e le fece brillare. Per quanto la detonazione
parve debole sortì ugualmente l’effetto desiderato e con un calcio assestato al
centro esatto della porta, quella si staccò dai cardini e volò oltre
l’ingresso, schiantandosi al suolo.
Gli uomini dentro la centrale ebbero a malapena
il tempo di accorgersi di ciò che stava accadendo. I sodati del Wakanda
entrarono rapidi nell’edificio cominciando a sparare. Se non fosse stato per i
giubbotti antiproiettile molti nemici sarebbero stati abbattuti subito, ma solo
alcuni caddero, colpiti alla testa. Quando T'Challa e Anisa entrarono, pochi
istanti dopo, il conflitto a fuoco era già nel suo pieno. Gli uomini di Klaw si
stavano riparando dietro a delle spesse casse, sparando con quante più armi
avevano. T'Challa e i suoi uomini, invece, erano schiacciati contro le grosse
turbine in disuso, poste proprio davanti all’ingresso. La Pantera analizzò
rapida la situazione e trovò una via sicura per permettergli di arrivare alle
spalle dei nemici. Con un cenno indicò il percorso ad Anisa, che fece a appena
in tempo ad annuire prima che un soldato wakandiano
urlasse: «Granata!»
Un boato spezzò l’aria e fece tremare ogni cosa.
Pantera Nera fece scudo con il suo corpo su Anisa e il vibranio della tuta
impedì alla deflagrazione di fargli del male. Sentì diversi uomini gridare, gli
spari proseguire e il rumore di carne lacerata. Ignorando ogni precauzione e
via sicura, T'Challa si avventò sui soldati di Klaw, affrontandoli nel corpo a
corpo. Anisa lo seguì, i tonfa stretti in mano con cui sapeva combattere e
difendersi perfettamente – anche grazie alla leggerezza e resistenza che il vibranio
conferiva loro. I nemici erano una decina; T'Challa ne abbatté due e nel mentre
venne raggiunto dai suoi uomini che presero a combattere anche loro a stretto
contatto con gli avversari.
Erano prossimi a sovrastarli quando, improvvisamente,
una risata folle si fece largo nella stanza, rimbombando in ogni dove.
«Pantera Nera!» urlò la voce, selvaggiamente
divertita.
A T'Challa non servì altro per capire che si
trattava di Klaw. Conosceva la sua voce e conosceva la follia che lo pervadeva
ogni volta che si incontravano. La Pantera si voltò verso l’uomo, i muscoli
tesi, pronto a scagliarcisi contro. Ignorò completamente i soldati che si
stavano fronteggiando intorno a lui – Anisa compresa – e focalizzò la sua
attenzione esclusivamente su Klaw.
Quest’ultimo avanzò nella stanza, i due grossi
uomini che T'Challa aveva visto la sera prima al suo fianco. Klaw allargò le
braccia, un ghigno a increspargli il volto.
«Mi fa piacere rivederti, credevo ti fossi
completamente dimenticato di me.»
A quelle parole Pantera Nera scattò; fece un
balzo, pronto ad avventarsi sull’uomo che tanto disprezzava, ma la persona alla
destra di Klaw si mosse rapidamente, scagliando un coltello in direzione di
T'Challa. Il sovrano riuscì a schivarlo al limite; sentì fischiare la lama del
pugnale accanto all’orecchio e rimase sbalordito dalla velocità con cui era
stato lanciato. Distratto da questo pensiero non si accorse della mano destra
di Klaw, sollevata all’altezza del suo petto. La fase discendente del suo salto
venne arrestata da una pressione che non riuscì a vedere: era come se qualcosa
di incredibilmente pesante lo avesse respinto indietro. Si sentì percuotere
anche all’interno della tuta della Pantera e cadde a terra, rialzandosi subito.
Accanto a sé si trovò Anisa e realizzò che, nel frattempo, i suoi uomini erano
riusciti ad avere la meglio sugli avversari. La donna teneva gli occhi fissi su
Klaw, mentre quest’ultimo continuava a scrutare avido Pantera Nera. L’uomo
sollevò nuovamente la mano destra.
«Non crederai che io sia tornato qui senza le
armi adeguate per affrontarti, vero?» domandò, retorico.
Nuovamente qualcosa di invisibile parve spingere
con una forza sovrumana T'Challa. Si accorse che lo stesso stava accadendo ad Anisa,
che però portò le mani alle orecchie nel disperato tentativo di non sentire ciò
che la misteriosa forza stava eruttando. T'Challa udì diverse grida di dolore
provenire alle sue spalle, si voltò appena per poter vedere cosa stava
accadendo dietro di sé. Molti dei suoi uomini urlavano, coprendosi le orecchie,
chiudendo gli occhi o stringendosi le braccia al petto. Alcuni di loro caddero
a terra, afflosciandosi privi di vita, finché finalmente la vibrazione cessò.
La Pantera non riusciva a spiegarsi ciò che
stava succedendo e, notando l’espressione impressa sul volto della donna, capì
che anche per Anisa doveva essere così. Ebbe malapena il tempo di prendere in
considerazione l’ipotesi di attaccare nuovamente Klaw, che l’altro uomo che era
al suo fianco, rimasto immobile fino a quel momento, fece un passo avanti. Fece
scattare l’accendino che teneva stretto in mano e, in una maniera inspiegabile,
da lì si propagò una feroce fiamma rossa che acquisì forza e dimensioni in brevissimo tempo. Sia T'Challa
che Anisa riuscirono a schivare la fiammata per un soffio, lanciandosi ognuno
nella direzione opposta. Per i soldati wakandiani – e anche per gli uomini di
Klaw, svenuti o semisvenuti a terra – non fu così. Le loro grida si fecero
largo strazianti nel vasto deposito quasi distrutto. Alcuni cercarono di
scappare, altri non ne furono in grado, mentre la rovente fiamma non ne voleva
sapere di estinguersi e lambiva vorace tutto ciò che incontrava. Pantera Nera
riuscì ad arrampicarsi su una sporgenza della parete, al riparo dal fuoco; poco
più in là vide che anche Anisa era lontano dalle fiamme, il volto intriso di
terrore e incredulità.
«Mi dispiace dover lasciare la festa così
presto, Pantera.»
La voce di Klaw tornò ad attirare l’attenzione
di T'Challa, che si accorse che le fiamme non stavano in alcun modo minacciando
il punto in cui i tre uomini erano fermi.
Klaw fece un cenno di saluto. «Ho delle faccende
piuttosto importanti da sbrigare e non mi va di perdere altro tempo. Dopotutto
era solo questione di ore prima che noi lasciassimo questa vecchia centrale.»
Detto ciò diede le spalle alla stanza e al
sovrano, allontanandosi senza apparente fretta insieme ai due uomini. La
Pantera balzò nel punto in cui i tre erano appena stati, deciso a inseguirli,
ma le urla che continuavano a sollevarsi fra il fuoco alle sue spalle gli
fecero capire che poteva ancora salvare qualcuno.
«Dobbiamo andarcene di qui!» urlò, rivolto ad Anisa.
Lei lo guardò come se non sapesse dove si
trovava. T'Challa la raggiunse, per sua fortuna il vibranio della tuta rendeva le
fiamme meno pericolose. « Anisa, dobbiamo muoverci!»
La donna si ridestò. Ancora incredula e
disgustata dall’accaduto seguì il suo sovrano, cercando in ogni modo di
schivare il fuoco. Aiutò Pantera Nera a portare fuori dall’edificio quattro
superstiti, ma quando provarono a rientrare per cercare di salvarne altri, una
violenta esplosione li ricacciò indietro.
Frastornato e stordito, T'Challa, sul limitare
della giungla, sollevò lo sguardo in tempo per vedere la vecchia centrale
idroelettrica che si accartocciava su se stessa, precipitando in un ammasso di
calcinacci, polvere e fiamme. Quando ripensò a tutte le persone che erano
ancora presenti in quell’edificio nel momento dell’esplosione e quando capì che
fine avevano certamente fatto, il gelo pervase il suo corpo. Si sentì mancare
l’aria e il cuore martellava colpevole nel suo petto. Rimase a guardare la
polvere che si posava, il rombo dell’esplosione che ancora gli rimbombava nelle
orecchie. Si alzò e si tolse la maschera della Pantera, facendo vagare
rapidamente lo sguardo fra le basse fronde e i cespugli di felci, finché non
individuò Anisa. La donna era carponi sulla terra e stava tossendo. La treccia
le si era disfatta in buona parte e il suo elmetto giaceva immobile davanti a
lei. T'Challa la raggiunse. Si chinò accanto a lei e le posò una mano sulla
spalla; sentendo quel tocco Anisa sollevò lo sguardo. Aveva il viso sporco di
fuliggine, ma per il resto era illesa.
«Come ti senti?» le chiese il sovrano.
«Io sto bene…» rispose, finendo inevitabilmente
a guardare i resti della centrale idroelettrica. Come T'Challa anche lei era
atterrata per ciò che era accaduto; si sentiva impotente, responsabile, come se
non avesse potuto fare abbastanza per impedire agli avvenimenti di manifestarsi
a quel modo.
L’uomo l’aiutò a rialzarsi e insieme andarono ad
accertarsi delle condizioni degli unici quattro superstiti che erano riusciti a
portare in salvo. Ad Anisa mancò il fiato quando li vide. Tre di loro erano
svenuti, mentre il quarto si contorceva dolorante al suolo. Tutti avevano
bruciature sparse sul corpo e il sangue delle ferite risplendeva alla luce del
fuoco e della luna.
T'Challa si rivolse alla sua assistente:
«Dobbiamo chiamare dei soccorsi. Hanno bisogno di cure mediche urgenti.»
La donna annuì e sollevò lo sguardo verso la
centrale distrutta; sotto le macerie si vedevano ancora delle fiamme danzare,
pronte a riemergere prepotenti dai resti.
«Dobbiamo anche fare in modo che l’incendio
venga spento prima che si propaghi alla foresta» disse lei. T'Challa le diede
ragione con un cenno e rimase a guardarla mentre chiedeva supporto con la sua
ricetrasmittente.
Si sentiva vuoto e completamente atterrato. Più
di venti persone erano morte in quell’attacco e ciò significava che era avvenuto
perché lui aveva sottovalutato Klaw. L’esito di quella notte era stato per lui
un duro colpo, la dolorosa conseguenza di una netta sconfitta.
Note:
1 tonfa:
il tonfa è un’arma usata nelle arti marziali. Nei film della Marvel sono spesso
usati dalla Vedova Nera. Avrei potuto dare un’arma diversa ad Anisa, ma ho
sempre avuto un debole per i tonfa e li ho inseriti ugualmente.
___________________________
Solo una breve comunicazione.
Intanto grazie a tutti quelli che hanno letto
primo e secondo capitolo (molti più di quanti mi aspettassi, lo ammetto).
Poi, ci tengo a fare una piccola precisazione
sul rapporto Klaw – T'Challa. Il loro legame in questa storia l’ho tratto sia
dal film che dal fumetto – come avevo già anticipato nel capitolo precedente. Quello
che non ho inserito – avendo tratto ispirazione maggiore dal CMU – è il perché i due si conoscono. Nei fumetti,
infatti, Klaw non è solo un uomo fissato con il vibranio che ha attaccato a più
riprese il Wakanda, ma è anche la causa della morte di T’Chaka.
Considerando però che in Civil War il
sovrano del Wakanda muore in circostanze differenti mi sono attenuta a quella
storia, perciò ho “limitato” l’odio che T'Challa prova per Klaw al fatto che ha
depredato le sue terre per anni.
Grazie ancora a chiunque abbia letto!
MadAka