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Autore: lr_ff    21/11/2016    0 recensioni
Sequel del giallo-introspettivo "L'ultima Corsa".
Trama: La Detective Alessandra indaga sull’omicidio dell'editore fiorentino Pietro Dinasti. Sulla scena del crimine incontrerà di nuovo l'aspirante scrittrice Elena, la quale avrebbe dovuto incontrare Pietro, per concordare la pubblicazione del suo romanzo, il giorno prima della morte dell’editore. Alessandra ed Elena dovranno sforzarsi di non far riemergere sentimenti messi a tacere negli ultimi mesi per non rischiare di compromettere l’indagine in corso... ci riusciranno?
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva conservato il suo sorriso migliore per quell’occasione, ci avrebbe abbinato anche un paio di lacrime di gioia se ne avesse avuto il tempo. Il lieve torpore dell’autunno stava lasciando spazio al timido inverno, pensò che lei, di gioia, non aveva mai pianto: tutte le sue lacrime erano state intrise di sofferenza. Prese più secondi del dovuto per rifletterci e si addormentò su quel pensiero, mentre il freddo, fuori alla finestra, al sicuro, nascosto dalle tenebre, trovava a poco a poco il coraggio di mostrare il suo volto. La luna se la godeva ad esserne avvolta, anche le stelle sembravano felici, quasi riflettessero quell’abbraccio. Elena sognava, un volto, qualcuno a cui dedicare tutte quelle parole; qualcosa da salvare ricordandola. Quel volto aveva proprio una bella faccia, e due occhi così verdi che a confronto sbiadiva l’Amazzonia. Aveva incontrato per la prima volta quegli occhi due mesi prima e da quel momento tutto ciò che aveva visto si era colorato di quel verde. Elena Rossi stava seguendo un corso universitario di cui non le importava niente, pensando al manoscritto che aveva inviato ad una casa editrice in quei giorni, quando in un’aula vicina ammazzarono il professor Lorenzo Montecchi. Così conobbe l’investigatrice Alessandra Nigri; le due risolsero l’omicidio del professore in pochi giorni e divennero amiche; al punto tale che l’investigatrice iniziò a renderla partecipe dei suoi casi, al punto tale che Elena modificò il suo romanzo per metterci a centro un omicidio in metropolitana sul quale le due avevano indagato: L’ultima Corsa, e lo inviò a tutte le case editrici esistenti finché non le rispose una fiorentina.
 
C’erano i poeti, e poi ci c’erano gli scrittori. C’era lei, e poi c’era il resto del mondo. E se ne compiaceva, Elena adorava il fatto che il suo sogno fosse unico, ed ogni volta che ci pensava, senza saperlo, usava quel sorriso che stava gelosamente custodendo da mesi: il migliore. Si trovava a suo agio a riposare in una città diversa, forse è ciò che succede a chi non ha patria. Abbandonata fuori il portone del convento di Sant’Anna delle Vedove, su una busta di plastica, completamente nuda, il 18 agosto del 1991, Elena non aveva mai inteso il significato della parola ‘casa’. La colpa fu senza alcun dubbio delle suore, le quali, credendo che la bambina avesse il diavolo in corpo, a causa di quegli occhi di un castano così intenso da sembrar iniettati di sangue, usavano con lei una severità incomprensibile. L’unico posto in cui si sentiva a suo agio era nella piccola biblioteca del convento, dove leggeva Cicerone senza capirne una parola; San Girolamo apprezzandone l’indecisione. Qualche volta venivano donati al convento libri logorati dal tempo più che dall’uso, per fare spazio a cose ancora più inutili più che per bontà di cuore. Elena li leggeva tutti, più e più volte, fino ad impararli a memoria, fino a confondere le parole di quelli con le sue.
 
L’ansia per il grande incontro la fece destare più volte: era così strano essere svegliata da qualcosa che somigliava, per la prima volta, ad un’ipotesi di felicità e non da quel solito paio di rimorsi. Temeva che non avrebbe provato abbastanza soddisfazione nel veder realizzato il suo sogno; questo malumore veniva sommerso dalla gioia di sapere che sconosciuti o poco conosciuti si sarebbero cercati nelle parole in cui lei si era persa. Aveva perso tante parole quante occasioni, e troppe, troppe persone. I suoi rimpianti andarono ad infittire quella nebbia fuori alla finestra. Il suo romanzo stava per uscire, chissà se sarebbe mai uscita lei dalla sua testa, occupata principalmente da ansie e paure. Richiuse gli occhi, riprese a respirare, rivide quel volto. Le disse ciò che aveva sempre saputo: era costretta ad andare avanti guardandosi indietro, a tentare di capirsi leggendosi, e a sognarla per sperare ancora in qualcosa. Quel romanzo sarebbe stato la sua rivincita, avrebbe dato un senso ad ogni cosa. I suoi pensieri erano novelli sposi che andavano, andavano nel chiarore di una certezza, nell’illusione di una vita bella come le promesse che si erano scambiati la sera prima.

Bella la notte di chi spera ancora in qualcosa, ammira se stessa riflessa in uno specchio che continua a ripeterle ossessivamente quanto sia unica; e buona la notte di chi dorme sognando tutto quello che non ha, s’accontenta di ritagliarsi tutto per sé quell’attimo eterno di felicità, collocato in una realtà che non esiste se non nel suo cuore. Cattiva la notte di chi deve allontanarsi da un balcone per paura di essere scoperto, fugge in lungo e in largo per leggere inciso, finanche nei sassi, sempre e solo lo stesso maledetto nome; pessima la notte di chi sta per morire, fa il conto alla rovescia dei suoi minuti per ritrovarsi in mano nient’altro che la sabbia che ha sprecato condannando se stesso a morte. La notte con i sogni segregati più lontano delle stelle, col cuore che, stanco di contorcersi allungandosi verso essi, li spegne tutti ad uno ad uno, e soltanto al buio riesce a guardarsi finalmente in faccia, e vede che non ha più l’età per sognare, non ha più parole da dirsi, né tempo da sprecare; vede che batte perché deve, e al buio, sottovoce, si ferma prima ancora di averne capito il motivo.
   
 
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