Serie TV > The Dukes of Hazzard
Segui la storia  |       
Autore: Bo_Belle    17/05/2009    0 recensioni
L'imprevisto entra nella vita della famiglia Duke. Potrà mai essere tutto come prima?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO VIII
CAPITOLO VIII


    Dalla sua postazione, la bella brunetta dalle ciglia finte richiamava con un ampio gesto della mano l’attenzione dell’uomo in maniche di camicia: “Signor Parker? Signor Parker! La prego, la desiderano al telefono!”. L’uomo trasalì: chi poteva essere? Non attendeva nessuna chiamata. Con sguardo perplesso si diresse all’apparecchio. “Pronto, parla Michael Parker… Oh…Buongiorno, signore!…Non ancora, signore, sono spiacente”. La mano andava ad asciugare il sudore della fronte con il fazzoletto. “Purtroppo c’è stato un increscioso quanto imprevisto ritardo dovuto alla pioggia e…come, signore?” La mano adesso non aveva più la forza di sollevarsi verso la fronte. “Ma…signore…come…”. L’ovale disegnato dalla bocca era oramai quasi perfetto. “Certo, signore” con tono rassegnato e pronto al peggio “riferirò senz’altro e attenderò il suo aggiornamento. Arrivederci signore”. Mise giù la cornetta e, sotto lo sguardo inquisitorio della brunetta, le cui ciglia finte ora battevano a ritmi vorticosi, deglutì a fatica. Con un profondo sospirò, prendendo in mano il vassoio con la tazzina di caffè che stava recando la signora bionda con lo chignon, si diresse timoroso verso il vano attiguo. Dopo aver bussato delicatamente e aver atteso il permesso, entrò lentamente.
    
    Nessuno all’interno della sala aveva posto la benché minima attenzione all’accaduto. I ragazzi Duke, in particolare, stavano ancora dibattendo sull’assenza dello zio e Luke, Daisy e lo stesso Cooter cercavano di far ragionare Bo. L’attenzione generale fu richiamata da delle urla, improvvise quanto perentorie, provenienti dal vano attiguo: “CHE COSA?!”. Tutti, stupiti, si voltarono a guardare in direzione della porta chiusa. “MA E’ ASSURDO! NON E’ POSSIBILE! MI RIFIUTO!” I presenti nella sala principale  adesso si guardavano l’un l’altro con grande perplessità. Seguì, nell’altra stanza, un silenzio breve eppure interminabile, dopodiché: “E’ CONTRO LA LEGGE! IO NON ME NE ASSUMO LA RESPONSABILITA’…E COMUNQUE NON PIU’ DI UN’ORA!”. Un altro breve silenzio attanagliò la stanza prima che, con lentezza esasperante, il signor Parker, come provato da mille fatiche, uscisse nella grande sala, decine di occhi stupefatti ad osservarlo ora madido di sudore. Provando, con il fazzoletto ormai bagnato, a riasciugarsi la fronte, l’uomo si diresse verso i ragazzi Duke. Al suo passaggio tutti rimasero sospesi, anche i quattro accaniti fumatori, che questa volta, colpiti da quelle urla impreviste, gli risparmiarono le risatine maliziose.
    
    “Signori” - esordì l’uomo, come privo di forze, con voce tremante – “Temo che dovrete attendere ancora”. “COSA?” – attaccò Bo, ormai privo di controllo, a voce altissima. Luke cercò di trattenerlo, mentre Daisy, sconfortata, abbracciava Cooter. L’uomo, intimorito dalla reazione di Bo, si era volto ora verso Luke, il quale, con una calma straordinaria, della quale nemmeno lui riusciva a comprendere la provenienza, disse: “La prego di scusare mio cugino” – e intanto guardava Bo – “Deve capirci, abbiamo già aspettato un’ora senza far niente, non è facile, si metta nei nostri panni…” la voce si stava maledettamente incrinando. Luke colse uno sguardo di comprensione nel volto impaurito del signor Parker; incoraggiato, continuò: “A che cosa è dovuto questo ritardo? E quanto si protrarrà?”. Il signor Parker, evitando di guardare Bo, ormai trattenuto a fatica, rispose: “Ecco, signori, il motivo non lo conosco. Anzi, sinceramente…” – e qui il tono diventava quasi confidenziale – “…questo ritardo appare inspiegabile. E per quanto riguarda i tempi, non so cosa dirvi, non ne ho idea”. Indietreggiò di fronte all’espressione torva di Bo. “Io riporto solo quanto mi è stato detto”. Luke lanciò un’occhiata di rimprovero a Bo, il quale, rendendosi conto dell’incolpevolezza del signor Parker, abbassò lo sguardo. Il cugino approvò, impercettibilmente, e disse: “A quanto pare non possiamo fare altro che aspettare. Grazie dell’informazione”. Parker annuì e, sperando, poco convinto, che per quel giorno le sue sventure fossero finite, andò a cercare un’aspirina.
    
    Nel brusio generale, che indifferente era ripreso, i cugini si guardarono sconfortati. “Questa attesa è terribile! E mi domando dove sia rimasto zio Jesse” – sospirava Daisy, trattenendo a fatica una lacrima – “E, Luke… Bo ha ragione, non è normale che lui in questo momento non sia qui!”. Luke la abbracciò. “Daisy, tranquilla”. Poi, con il capo, fece un cenno a Cooter, il quale capì subito: “Ehi Daisy” – disse con il tono più convincente che riuscì a trovare – “perché non mi accompagni a prendere dei caffè per i ragazzi?”. La giovane annuì e, dopo aver abbracciato anche Bo, uscì con l’amico.
Luke e Bo si rimisero a sedere. Bo sospirò e, a bassa voce confidò: “Sto perdendo la testa, cugino” – i biondi riccioli a coprire il bel volto chino – “E certamente non mi sto comportando da vero uomo”. Si morse il labbro. “Ma ho paura, Luke!” – voltandosi a cercare gli occhi del cugino. Li trovò stanchi. Luke gli mise una mano sulla spalla: “La paura è il più umano dei sentimenti, Bo. I veri uomini non si vergognano di avere paura. La paura è figlia della consapevolezza del rischio. Chi non calcola il rischio non è un vero uomo, Bo, è solo uno stupido incosciente”. Bo ascoltava. Sapeva che il cugino aveva vissuto paure più grandi. Cercava di essere comprensivo, ma non ci riusciva fino in fondo: lui aveva solo diciotto anni. “Luke” – chiese guardandolo negli occhi – “Tu hai paura?”. Con gli occhi fissi in quelli del piccolino, il maggiore rispose: “Sì, Bo. Ho paura”. Bo spalancò la bocca: “E di che cosa?”. Luke sospirò: “Di questa attesa dell’ignoto. Mi chiedo a cosa sia dovuta”. Seguì un attimo di silenzio. Erano come estraniati dal resto del mondo. “Bo” – il tono di Luke era quasi di preghiera – “Per favore, non dubitare mai più, mai più, di zio Jesse”. Bo tentennava: “Ma, Luke…”. Il tono del cugino divenne duro: “Mai Bo! Hai capito?”. Bo annuì. La convinzione di Luke, per lui, contava più della propria.

    Cooter aveva trattenuto Daisy fuori il più a lungo possibile. Voleva far svagare la ragazza, anche se in cuor suo sapeva che era una cosa impossibile. Così, dopo circa mezz’ora di scuse improbabili, si rassegnò a riaccompagnarla dai cugini, portando i caffè. L’attesa era diventata ormai insostenibile ed era resa ancora più insopportabile dalla incurante indifferenza con la quale ognuno, in quella grande sala, badava ai propri affari. L’unico che, per ragioni diverse, condivideva la stessa pena era il povero signor Parker, che stava sperimentando, con il suo martellante mal di testa, l’inefficacia di certa medicina moderna. Come i ragazzi Duke, egli guardava l’orologio insistentemente, disperandosi per la lentezza dello scorrere del tempo e desiderando, contemporaneamente, che quella ora concessa malvolentieri nel vano attiguo non passasse mai: temeva infatti guai maggiori.
E a ragione! La porta della stanza attigua si aprì e ne uscì un urlo: “PARKER!”. Il poveruomo corse trafelato, disperandosi: nel tempo trascorso nulla era cambiato, il sospirato aggiornamento annunciato nella telefonata non era arrivato. Cosa avrebbe fatto? Luke si era alzato, seguito dai cugini, giusto in tempo per udire: “NON VOGLIO SENTIRE ASSURDE RAGIONI, SMETTIAMOLA CON QUESTA FARSA!”. Il signor Parker, le cui maniche della camicia si erano miseramente srotolate, uscì e si avvicinò ai ragazzi: “Signori, tra pochi minuti vi faremo accomodare nella sala attigua per cominciare”. Luke annuì, Bo deglutì a fatica. Daisy si stringeva a Cooter che scuoteva la testa. Bo si avvicinò a Luke, che gli passò la mano dietro la schiena. Guardò l’orologio: le undici e mezza. Guardò verso l’ingresso principale. Daisy capì: “Luke,  e zio Jesse?”. Luke scosse la testa: “A questo punto temo che gli sia successo qualcosa”. Bo trasalì: “Ma allora dobbiamo andare a cercarlo, non possiamo lasciarlo…”. Il cugino maggiore lo bloccò: “Ora non possiamo assolutamente muoverci da qui, Bo! Sarebbero solo guai maggiori”. Bo non riusciva a crederci: “Ma Luke!...”. Prima che potesse aggiungere altro una voce fredda e neutra, proveniente dall’entrata del vano attiguo, li chiamò: “Lukas K. Duke e Beauregard Duke”. I cugini si lanciarono un fugace sguardo pieno d’intesa, poi, seguendo Luke, tutti si diressero verso la saletta.

    “Che  diavolo sta succedendo qui?!” Tutti si bloccarono, i ragazzi rimasero sulla porta del vano attiguo, voltandosi a guardare verso l’uscio d’ingresso della sala grande, da dove proveniva la nuova voce. Un uomo distinto, con gli occhiali, una giacca marrone e una pipa fumante in mano entrò di corsa. I Duke rimasero a bocca aperta.“Parker!” urlò l’uomo. Il poveretto, dietro una scrivania, sobbalzò: le maniche della sua camicia ormai vivevano di vita propria. “Buongiorno, signore!”. “Avevo detto di sospendere tutto, dove stanno andando quei ragazzi?” disse l’uomo indicando con il mento i Duke. Parker deglutiva a fatica: “Signore, lei non ha telefonato con gli aggiornamenti e il giudice…”. “Al diavolo il giudice!” lo interruppe il nuovo arrivato dirigendosi verso la sala attigua. “Andate a casa ragazzi!” disse rivolto a Bo e Luke, mentre, superandoli sulla porta, entrava nella stanza e chiudeva l’uscio. Nella grande sala, ora attraversata da un timido raggio di sole che faceva capolino dalla finestra, tutti erano sbalorditi. I ragazzi Duke e Cooter si guardavano l’un l’altro. Luke e Bo si volsero a guardare Parker, ormai accasciato su una sedia.

    “Zio Jesse!” gridò all’improvviso Daisy indicando la porta d’ingresso della grande sala. L’uscio si era infatti aperto e il patriarca dei Duke, respirando affannosamente stava avanzando verso i nipoti, che si avvicinarono. “Zio Jesse, finalmente sei arrivato!” lo accolse Daisy abbracciandolo. Il vecchio zio stava cercando di riprendere fiato: “Dannate scale! Non credevo che ci avrei messo tutto questo tempo a salire!”. Guardò i nipoti: Bo gli sembrò così sperduto e Luke così stanco! “Jesse, non sappiamo che succede…” - stava iniziando Luke – “…prima c’è stato…”. Jesse lo fermò con un gesto della mano. “Lo so, nipote mio” – disse volgendo loro uno sguardo amorevole – “So tutto. Andiamo a casa.” I ragazzi lo guardarono stupefatti. “Ma zio Jesse!” esclamò Bo. Lo zio gli mise una mano sulla spalla: “Ti fidi di me, Bo?”. Senza guardare il cugino, Bo rispose di sì. Jesse annuì e lo abbracciò, poi, respirando ancora faticosamente per la corsa, si girò verso la porta seguito dagli altri e uscì.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Dukes of Hazzard / Vai alla pagina dell'autore: Bo_Belle