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Autore: Julie Darkeh    22/11/2016    0 recensioni
Eleanor Cole, una giovane canadese appassionata di arte e di libri, si ritrova catapultata in un nuovo ambiente quando arriva a Londra dal padre che non vede da due anni. La sua scomoda situazione familiare non l'aiuta a trovare coraggio per affrontare un intero anno nell'umida Inghilterra e l'incontro con Valentin Virtanen, personaggio tenebroso e dall'oscuro passato della William Blake Art School, sconvolgerà tutto. Nella nuova vita di Eleanor c'è anche Gwen Berry, ex ragazza di Valentin, la quale non ha bei rapporti con quest'ultimo, ma lo tiene sott'occhio insieme alla nuova arrivata sin da subito. Inoltre al caos si aggiunge Stacie Peters, direttrice del giornalino scolastico, una ficcanaso combina guai fiancheggiata dai suoi fidati soci Ralph e Melanie. Insieme trovano sempre un modo per creare scompigli con i loro articoli di gossip e dai quali non è facile scamparvi.
Una storia che comincia come tante, ma che finisce come poche.
Intrecci, misteri da svelare, bugie e amori imperfetti.
Questa è "Baciata dalla luna".
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1 - Parcheggio privato



Me lo immaginai meno pesante, il viaggio. Il mio libro preferito non seppe per niente alleggerire il volo, poiché dopo aver letto quasi metà del romanzo mi venne sonno. Dormii per circa un paio d’ore, mi svegliai e poi fu difficile riaddormentarmi. Anche ascoltare la musica non seppe distrarmi dal viaggio e non riuscivo a credere che avrei dovuto ripetere quelle ore così pesanti anche per ritornare a casa. Pensai che sarebbe dovuto passare un anno prima di affrontare il prossimo volo, così mi tranquillizzai. Non durò per molto, però, quell’attimo di tranquillità.

Quando atterrai a Londra tirai un sospiro di sollievo, ma dopo un paio di secondi mi feci riprendere dall'ansia.

Dopo aver sceso le scale in ferro che collegavano l’aereo al suolo, avanzai con il mio borsone verso la navetta che, successivamente, mi portò ad un entrata dell’aeroporto. Prima di raggiungere mio padre e Caroline, dovetti cercare ed afferrare la mia valigia color caramello e passare attraverso le porte scorrevoli. Già mi mancava casa mia. Mi straniva sentire tutta quella gente parlare l’inglese con l’accento diverso dal mio, ma pensai che prima o poi ci avrei fatto l’abitudine.

L’agitazione in me cresceva a dismisura e avevo paura di non riuscire più a controllarla. Temevo di svenire o di vomitare. A momenti avrei rivisto mio padre dopo due anni e la sua compagna Caroline insieme a lui. Quando sbucai dalle porte scorrevoli e vidi tanta gente ammassata ad aspettare amici o parenti, cercai con gli occhi quei due, ma non riuscii a trovarli subito.

 -Ellie! Ellie! Siamo qui!- sentii all’improvviso una voce maschile chiamarmi intuendo che si trattasse di mio papà. Mi voltai in diverse direzioni, ma solo dopo qualche attimo scorsi in mezzo alla folla quel viso che mi pareva tanto familiare: occhi scuri e piccoli, baffi bruni e labbra sottili. Accanto a lui stava una donna castana, ben vestita e dall’aria dolce. Il suo sorriso serrato e le fossette vicino agli angoli della bocca mi esprimevano gentilezza e sicurezza. Quella donna era Caroline, la tanto temuta compagna di papà. Per un attimo pensai di essermi sbagliata sul suo conto, ma non cambiai definitivamente l’idea iniziale che avevo di lei. Un sorriso non ha mai determinato il carattere di una persona, giusto?
Li raggiunsi a passo calmo e deciso, senza fretta. Di certo non avevo voglia di saltar loro in braccio, ma cercai comunque di mostrarmi troppo fredda. Trovavo un po’ seccante rivedere un papà che solo dopo due anni si ricordò di avere una figlia in Canada.

- Ciao papà - salutai l’uomo abbracciandolo, ma fu lui quello a stringere di più le braccia.

- Ciao tesoro, ben arrivata - mi ricambiò lui dandomi il benvenuto e, dalla voce, sembrava anche abbastanza commosso, oltre che contento di vedermi.

- Ciao cara, sono felice di conoscerti, finalmente - mi disse Caroline non appena mi sciolsi dall’abbraccio con papà e le strinsi la mano che mi porse sotto il naso.

- Anche io - risposi sorridendole, ma in realtà non ero poi così entusiasta.

- Io sono Caroline - pronunciò la donna il suo nome, poi staccò la mano dalla mia. - Eleanor - mi presentai.

- Tua figlia è davvero molto bella, dal vivo è ancora meglio che in foto - Caroline fece i complimenti a mio padre prendendolo sottobraccio e fissando il suo volto, poi riprese a guardare me, che rimasi senza parole per quelle lusinghe.

- Assomiglia molto a Lauren - disse mio padre sorridendomi, ma io non lo ricambiai.

Non rimanemmo molto in quel punto a soffermarci in chiacchiere, per fortuna, così ci avviammo insieme verso l’uscita e, successivamente, ai parcheggi. L’auto non era lontana e ciò fu un bene, dato che non avevo per niente voglia di cercare il veicolo a lungo.

Durante il viaggio in macchina non riuscii a smettere di pensare a ciò che lasciai ad Ottawa, la mia città. I miei migliori amici Max, Tyler, Eve e Bonnie organizzarono una cena per salutarmi a casa di Andrew, quello che fu il mio ragazzo per cinque mesi e che io dovetti lasciare per via della mia partenza. Fu doloroso, ma sapevo che era la cosa migliore da fare. Mi ricordo che, dopo la cena, io ed Andrew parlammo in giardino.

 - Quindi sei proprio decisa a partire? - mi chiese lui con lo sguardo diretto verso il suolo e il piede destro che calciava i fili d’erba.

- Devo farlo, te l’ho spiegato - gli risposi cercando di trattenere le lacrime.

- Ce l’ho con tuo padre, sai?

- Pure io, credimi.

Andrew alzò il viso e mi guardò dritta negli occhi. Vidi le sue labbra tremare e le sue iridi scure divenire più lucide.

- Mi mancherai da morire, Ellie - disse il ragazzo scuotendo la testa e avvicinandosi a me con le braccia aperte, con le quali poi mi avvolse e strinse fortissimo. Ricambiai quell’abbraccio immediatamente, guancia sul suo torace, braccia attorno alle costole e mani sulla schiena. Sentivo il suo cuore battermi nell’orecchio.

- Anche tu Andy, ti amo - feci uscire quelle parole tra un singhiozzo e l’altro mentre scoppiai a piangere sulla maglietta di lui. Non scorderò mai quel profumo che sapeva di pulito, il suo profumo.

Mi risvegliai dai ricordi quando mio papà mi chiese cosa volessi per cena. Avevo gli occhi umidi e mi asciugai le palpebre inferiori con i polpastrelli.

- Non lo so, prepara quello che vuoi - risposi dopo aver deglutito rumorosamente.

- Ti va se ordiniamo le pizze? - mi propose Caroline con tono amorevole. Era palese che stesse tentando di sembrare carina ai miei occhi.

- Va bene - concordai sperando che una pizza potesse risollevarmi un po’ l’umore di quel giorno.

Ottawa era ormai lontanissima, i miei amici li avrei visti solo in webcam e Andrew non era più il mio ragazzo. Londra mi avrebbe portato almeno un pizzico di felicità? Lo speravo tanto perché ne avevo un grande bisogno.



* * *



Il primo giorno di scuola arrivò velocissimo dopo il mio arrivo in città.

In quelle giornate passate così rapidamente provai ad ambientarmi un po’ in quell’aria umida tipica dell’Inghilterra e mio papà mi fece fare il giro di Londra insieme a Caroline. Scattai molte fotografie durante i tour, soprattutto quando mi ritrovai sotto l’altissimo Big Ben. Non l’avevo mai visto dal vivo prima d’allora. Mi piacque anche salire sul London Eye, fu davvero pazzesco vedere al tramonto la città da quell'altezza.

 Dopo aver riempito lo zaino con il necessario ed essermi preparata, scesi in garage per prendere l’auto che mio papà decise di darmi per la scuola. Non credevo che ne possedesse due, eppure ne aveva una per sé e una per me. A dire il vero quella che potevo guidare era di Caroline, ma lei voleva sbarazzarsene. All’inizio mi sembrò strano che una persona potesse cedere la propria macchina a qualcun altro senza esitazioni, ma successivamente realizzai che quell’atteggiamento non era poi così anormale, dato che Caroline stava per comprare un’auto nuova di zecca. Cominciai a comprenderla ancora di più quando notai che un faro di quella che regalò a me era rotto e l’airbag del volante non poteva essere più utilizzato, poiché sul clacson c'erano strati di scotch marrone che riparavano il volante, apertosi durante un probabile incidente.

 Nonostante le condizioni della mia auto, partii di casa con l’ottimismo nell’animo. Ero agitata all’idea di frequentare una nuova scuola e di incontrare persone nuove, ma non avevo voglia di pensare negativo. Non avrei cominciato di certo bene la giornata in quel modo.

Il navigatore satellitare mi portò alla William Blake Art School, un istituto che dall’esterno mi parve subito abbastanza piccolo. Pensai che probabilmente non si trattava di una scuola frequentata da molti studenti, il che mi tranquillizzava. C’era meno gente da conoscere rispetto alle mie aspettative.
Parcheggiai l’auto poco lontano dall’ingresso della scuola. Quando scesi dal veicolo mi guardai attorno. Odiavo essere fissata come se fossi un alieno, ma soprattutto odiavo dover essere la nuova arrivata. Mi diressi verso l’entrata della scuola con lo zaino ben in spalla, poi mi sedetti su un gradino di quella breve scalinata che stava davanti all’ingresso. Guardai l’orario sul cellulare e mi resi conto di essere leggermente in anticipo, così buffai all’idea di dover aspettare venti minuti per entrare a scuola alla ricerca della mia classe.

- Scusa, è tua quella macchina? - sentii una voce femminile non appena una ragazza piuttosto bassa, occhialuta e con i capelli lunghi e color caramello si avvicinò a me indicandomi l’auto grigia che avevo appena parcheggiato.

- Sì, è la mia, perché? - chiesi con una punta d’ansia nel petto.

- Non ti conviene tenerla lì - mi consigliò la ragazza guardandomi con aria buffa.

- E’ per caso un posto riservato?

- Sì, è di un tipo che è meglio non sottovalutare.

A quella frase mi irrigidii, ma non volli alzarmi per spostare la macchina. Per quanto potesse avermi un po’ allarmata il consiglio di quella stramba tipa, considerai il fatto del posto privato una sciocchezza.

- Non credo che quello sia l’unico parcheggio di questa scuola, quel tizio potrebbe trovare benissimo un altro posto, no?- dissi fingendomi molto sicura di me e ciò che ottenni fu un sorriso da parte di quella ragazza.

- Sei nuova e anche coraggiosa - osservò lei. - Io sono Stacie Peters, tu? - aggiunse presentandosi e sedendosi accanto a me sul gradino.

- Eleanor Cole, piacere - risposi porgendo una mano a Stacie e lei me la strinse.

- Non sei di queste parti, vero?

- Da cosa l’hai notato? Dal mio accento, scommetto - dissi io.

- Già, hai un accento diverso - notò Stacie.

- Sono canadese, vengo da Ottawa - ammisi.

- Oh, interessante! - esclamò la ragazza, euforica, e cominciò a scrivere qualcosa su un blocnotes che tirò subito fuori dal suo zaino.

- Che stai facendo? - le chiesi, perplessa, mentre diedi un’occhiata a cosa stesse scrivendo.

- Sto prendendo appunti - mi rispose lei senza smettere di agitare la penna.

- Perché?

- Hai accanto a te la direttrice del giornalino della scuola - mi disse ammiccandomi e indicando il suo corpo con un indice. Smise di scrivere e cominciò a farmi altre domande.


- Perché ti sei trasferita qui? Hai dovuto lasciare molti amici? Come mai hai scelto proprio questa scuola?

- Ferma un attimo! - le ordinai sollevando le due mani e mettendogliele davanti. - Io non voglio che tu scriva un articolo su di me - le dissi prima che potesse già progettare qualcosa per il suo giornalino e sul volto di Stacie si formò un’espressione di delusione.

- Oh, non credevo che ti potesse dare fastidio - mi disse perdendo l’allegria che l’accompagnò dal primo momento che mi vide. – Ma sai, io scrivo sempre articoli sui ragazzi nuovi e…

- Magari un altro giorno, okay? Per adesso voglio solo integrarmi nella scuola, ma non attraverso un articolo di giornale - dissi ciò che pensavo alla ragazza occhialuta e lei ripose il blocnotes e la penna nello zaino.

- Beh, se mi dici che posso scrivere qualcosa su di te tra qualche giorno... per me va bene.

- Perdonami, non volevo comunque deluderti o altro del genere - le garantii per toglierle quell’aria rassegnata che si era formata sul suo volto vispo.

- Figurati, tanto prima o poi scriverò comunque qualche parolina su di te, tranquilla - mi ammiccò ancora una volta Stacie. – Alla fine finiscono sempre quasi tutti sulle pagine del giornalino scolastico!

- Conosci proprio tutti di questo istituto? - chiesi incredula e Stacie annuì. - Che anno frequenti? - le domandai, curiosa.

- Quest’anno il terzo - mi rispose la ragazza. - E tu? - rivolse la domanda a me.

- Il quarto, e spero che passi in fretta.

- Perché dici così? Vedrai che ti piacerà qui!

- Sì, ma tra dodici mesi ritorno ad Ottawa.

- Ah, quindi non sei venuta a Londra per restarci... passerai qui anche l’estate, allora?

- Sì, purtroppo.

Avevo la strana impressione di star sbagliando tutto. Non dovevo partire con quella negatività che inizialmente non volevo avere in corpo. Stavo decisamente snobbando Londra davanti ad una sua abitante e forse fui anche offensiva nei suoi confronti. Mi pentii di aver dato quelle risposte troppo sincere.
 In quel momento arrivò davanti alla scuola un’auto blu con una portiera ammaccata e notai che un bel po’ di gente la stava fissando e commentando man mano che avanzava nel cortile in cerca di un parcheggio. Quando la macchina si fermò dietro la mia, ne uscì un ragazzo alto e con i capelli ondulati e castani, lunghi fino alle spalle. Aveva una sigaretta tra le labbra e due orecchini tondi penzolanti dai lobi.

- Oh, eccolo, è arrivato - mi annunciò Stacie guardandomi e indicando con un pollice il ragazzo della macchina blu.

Lo guardai ancora e lo vidi voltarsi di qua e di là fondendo il suo profilo in una nuvoletta di fumo.

- Di chi cazzo è questa macchina? - chiese il tipo ad alta voce riferendosi a tutti i presenti, ma nessuno rispose.

- Ma chi è? - chiesi sottovoce a Stacie riferendomi a quell’individuo.

- Valentin Virtanen, un pessimo elemento - mi rispose la ragazza bisbigliando.

- Allora? Di chi è? - riprovò Valentin a chiedere e il vociare della gente si intensificò leggermente. Perché tutti commentavano ma nessuno osava rispondergli? Mi feci coraggio e mi alzai dalla scalinata. Per quanto io possa essere una ragazza ansiosa, ho sempre avuto il vizio di buttarmi in ogni situazione. Non ho mai capito questo mio strano contrasto.

 - E’ la mia! - esclamai mentre raggiungevo il ragazzo e lui voltò la testa verso di me guardandomi con diffidenza. Aveva un’aria particolare: il suo sguardo era un mix di mistero, fascino e malizia. Mi sentii trafiggere il petto quando quegli occhi color ghiaccio incontrarono i miei color oceano.

 - Chi sei? Non ti ho mai vista - disse Valentin girando tutto il corpo verso di me e squadrandomi dalla testa ai piedi con uno strano ghigno in faccia. Da quella strana aria diffidente passò ad uno sguardo interessato.

- Sono nuova, vengo dal Canada, mi chiamo Eleanor - gli risposi con la maschera di una ragazza sicura di sé, ma in realtà mi tremavano un po’ le ginocchia.

- Sai, piccola canadese, questo posto è mio, di Valentin Virtanen - disse lui con la sua voce tremendamente profonda e suadente poco prima di soffiarmi in faccia una nuvola di fumo e si indicò con un dito quando pronunciò il suo nome. Agitai una mano per spazzare via quell’odore acre dal mio naso, ma fu inutile. Il fumo si impregnò nei miei capelli.

Fu un momento davvero imbarazzante per me, quello. Avevo davanti un ragazzo molto strano e attorno a noi c’erano studenti che ci fissavano scambiando tra loro numerosi commenti sulla scena alla quale stavano assistendo.

Quando Valentin rialzò la mano per portarsi nuovamente la sigaretta alla bocca, notai intorno al polso un tatuaggio rappresentante un intricato gioco di rami che probabilmente continuava su per il braccio, nascosto dalla manica della giacca di jeans.

- C’è scritto il tuo nome da qualche parte? - lo sfidai con quella domanda e lui ridacchiò con la sigaretta tra i denti e portandosi una mano tra i capelli.

- Non c’è bisogno di una targa col mio nome, qui - mi garantì Valentin riprendendo la sigaretta tra le dita e facendo cadere della cenere a terra. - Lo sanno tutti che questo è il mio parcheggio, ma visto che tu sei nuova… - lasciò in sospeso la frase e, anziché parlare, si impegnò a fissare il mio corpo con malizia. Stavo cominciando a pensare che la sua rassegnazione dipendesse dal mio corpo.

- Che guardi? - chiesi infastidita e gli occhi glaciali di Valentin si incastrarono nei miei.

- La ragazza che mi ha rubato il parcheggio - mi rispose lui con ovvietà abbozzando un sorrisetto e facendomi roteare gli occhi al cielo. Rimasi in silenzio e Valentin, dopo aver buttato il mozzicone a terra per poi pestarlo con un piede, tornò in macchina. Indietreggiai e vidi il ragazzo parcheggiare accanto alla mia auto. Gli studenti che erano rimasti tutti a fissarci mentre parlavamo continuavano a commentare: “Non ci credo, Valentin ha ceduto”, “Quella ragazza è appena arrivata e doma Virtanen con facilità? Ma chi si crede di essere?”, “Incredibile, ce l’ha fatta”, “E’ ovvio che Valentin non abbia litigato, con le belle ragazze fa sempre il cascamorto”.
Quando Valentin scese dalla sua macchina, prese un borsone dai posti posteriori e chiuse la portiera lanciandomi un’altra occhiata.

- Domani facciamo cambio, okay bellezza? - mi chiese lui riferendosi ai nostri parcheggi, ma più che una proposta mi sembrò un ordine.

- Come vuoi - risposi con espressione neutra.

Valentin mi diede le spalle e scomparve dal retro della scuola senza proferire alcuna parola. Guardandolo andar via, notai come fosse bello il suo didietro e in un lampo mi venne in mente Andrew. Era impressionante come Andy e Valentin avessero lo stesso fondo schiena. Anche la camminata era simile. L’unica cosa che li differenziava era il modo di porsi con le persone. Mi risvegliai dal mio stato di trance quando mi chiesi come mai Valentin stesse entrando a scuola dal retro. Fu in quel momento che sentii la campanella suonare.

- Eleanor, non ci posso credere! - esclamò Stacie quando la raggiunsi sulle scale e si alzò in piedi per entrare nell’edificio con me.

- Cosa? - le domandai facendo finta di non capire.

- Se tu fossi un ragazzo, Valentin ti avrebbe messo le mani addosso! E se fossi una ragazza poco carina, probabilmente non avrebbe chiuso un occhio lasciandoti andare così- mi svelò Stacie.

- E’ davvero così stronzo? - chiesi incredula.

- “Stronzo” nel suo caso è riduttivo - disse la ragazza occhialuta.

Io e Stacie raggiungemmo il piano di sopra salendo le scale insieme agli altri studenti e mentre parlavo con lei di Valentin, non riuscivo a credere con che tipo ebbi appena avuto a che fare.

- Oggi scriverò un articolo che intitolerò “Finlandia VS Canada: quale stato è più potente da accaparrarsi un parcheggio?” - annunciò la scrittrice, fiera di sé per aver trovato un titolo, a parer suo stellare. Non pensavo che quel Valentin fosse finlandese, ma ripensando al suo nome particolare mi fu tutto più chiaro.

Io scoppiai a ridere.

- Sei simpatica, sai? - le confessai con il sorriso.

- Oh, anche tu lo sei, e lo pensa anche Valentin, sicuramente! - mi disse Stacie, ancora una volta con uno dei suoi occhiolini. - Mi piaci, sei tosta! - aggiunse infine la ragazza facendomi ridere nuovamente.


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Angolo autrice.

Buon pomeriggio himesters e non, bentornati :)
Quale giorno migliore di questo sarebbe potuto essere adatto per un aggiornamento di "Baciata dalla luna"? Oggi il nostro Valo compie la bellezza di quarant'anni e bisogna ammettere che il tempo non permette al suo fascino di sbiadire, anzi migliora come il gusto del vino.
Ma chiusa questa parentesi, qui abbiamo il primo capitolo della storia e Ville/Val fa la sua prima apparizione. Prime impressioni sui personaggi fin ora incontrati?
Vi dico soltanto che qualsiasi esse siano, nel corso della pubblicazione cambieranno.
Non mancate al secondo capitolo!

Kisses and heartgrams,
Julie Darkeh.

PS: scusate se avete trovato delle imperfezioni del font di scrittura, ma NVU fa sempre i suoi sporchi giochetti.

   
 
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