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Autore: Amor31    24/11/2016    3 recensioni
Elizabeth scruta il mare dalla cima della scogliera e sospira, il cuore così pesante da trascinarla sul fondo dell'oceano.
Nei suoi occhi si riflette l'orizzonte vuoto, sulla pelle sente cadere inesorabili le gocce del tempo.
Elizabeth ha paura, ma continua ad aspettare.
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- Questa storia partecipa al contest "The unsustainable beauty" indetto da Phae sul forum di EFP -
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Will Turner
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Gocce di tempo, attesa sul mare

 

L'erba è alta, sulla cima della scogliera. Fruscia contro la sua gonna, le sfrega le ginocchia, ma Elizabeth la ignora e continua a camminare. Ha lo sguardo fiero proprio come alla fine della battaglia contro la Compagnia delle Indie e lo tiene fisso lì, su quell'orizzonte ora azzurro ora verde, in attesa. Aspetta, mentre il vento ulula nelle sue orecchie e le soffia i capelli sugli occhi, quasi volesse impedirle di vedere la persona che più le manca al mondo.
Will Turner se n'è andato da tre anni. In quell'unico giorno di terra ha conosciuto suo figlio, un ometto di dieci anni che ha gli occhi di sua madre e i capelli di suo padre; in quell'unico giorno di terra, Elizabeth lo ha stretto a sé così forte da sperare di non doverlo più lasciare andare, ma l'abbraccio e i baci non sono bastati a trattenerlo lì con loro, lì con lei.
Sono trascorsi tre anni e sa bene che rivedrà il suo amore perduto solo tra sette. Questo però non le impedisce di salire tutti i giorni sulla sommità della scogliera, lì dove lo ha aspettato insieme al piccolo Henry per la prima volta. Anche allora l'erba era alta, ma non come adesso. Anche allora la brezza marina le scompigliava i capelli, ma non era tumultuosa e fredda come in questo momento.
Elizabeth si ferma sull'orlo del precipizio e continua a guardare davanti a sé. Il mare si distende fino ai confini del mondo, lo sa bene, ma non ha ancora intenzione di restituirle suo marito. Il mare le ha donato la libertà che agognava a Port Royal, ma le ha anche rubato la felicità che aveva conquistato. Quei colori intensi catturano la sua attenzione e d'improvviso si ritrova a fissare gli abissi che si aprono sotto la scogliera: le onde si infrangono sulle rocce, la spuma imbianca la spiaggia. Lo sguardo di Elizabeth vaga ancora e ogni angolo della baia nasconde un ricordo che si dischiude ai suoi pensieri.
Lì in fondo, dove acqua e sabbia si confondono, lei e Will hanno portato in secca la scialuppa che li ha riportati a terra la prima volta. Si sono tenuti per mano e hanno trovato riparo più in là, dietro alcuni massi che il tempo e la pioggia stanno sgretolando. Ormai al sicuro, è su quella sabbia dorata e calda che si sono amati per la prima volta. Elizabeth lo ricorda bene, nonostante siano passati tredici anni da allora: si è seduta a terra, trascinando dietro di sé Will, e lo ha guidato alla scoperta del suo corpo. Entrambi nudi, entrambi distesi sull'oro della sabbia, intrecciati armoniosamente e pieni di tutto l'amore represso nei mesi che hanno portato alla battaglia finale. Poi il giorno è giunto alla sua fine e il tramonto li ha sorpresi a scambiarsi un ultimo bacio prima dei dieci anni di lontananza, mentre la spuma di mare accarezzava e travolgeva i loro piedi immersi nell'acqua.
Elizabeth lascia che i pensieri corrano e le riportano alla mente le ultime parole di Will; un'unica frase, pronunciata spostando lo sguardo da lei al forziere portato via a Davy Jones: “È sempre appartenuto a te". E in quel momento ha capito che il cuore del suo unico amore sarebbe rimasto insieme a lei nonostante lui navigasse per mari che le sono inaccessibili. Infine, il monito che riecheggia anche adesso nella sua testa: "Tieni gli occhi piantati sull'orizzonte". Proprio ciò che ora non le dà pace.
Elizabeth sente il cuore accelerare. Torna per un momento alla realtà e spinge lo sguardo ai limiti del promontorio, ricordando come, tre anni prima, l'Olandese Volante è entrata nella baia sotto gli occhi emozionati del piccolo Henry, in piedi al suo fianco lì sulla scogliera. Ricorda i colori vivaci del cielo, caldi e festosi per dare il bentornato a Will, e li paragona al grigiore che ora prova a riflettersi sulla superficie del mare. "Devono trascorrere altri sette anni", pensa. "Il cielo piangerà con me finché lui non sarà di ritorno".
Prova a scacciare dalla mente la malinconia che l’affligge, ma non può scappare dall’immagine dell’amato che corre da lei tra le onde, deciso a riabbracciarla dopo la lunga separazione. Non può dimenticare come l’impeto della passione li ha travolti ancora una volta su quella spiaggia, attenti a non farsi sorprendere da Henry, intento a giocare verso casa. Di nuovo stesi sulla sabbia, la pelle che assapora il calore del sole, Elizabeth si posiziona su un fianco e sposta dal viso arrossato dall’amore i capelli resi crespi dal sale, osservando il petto di Will alzarsi e abbassarsi al ritmo del cuore custodito sì nel forziere, ma impazzito per l’amplesso. L’uomo socchiude le palpebre, serrate per trattenere l’immagine del viso della sposa, e sorridendo le restituisce lo sguardo, tendendosi verso di lei per baciarla ancora una volta e gettando lontano un’alga nerastra che le si è arricciata ai capelli insabbiati. La guarda ed Elizabeth si chiede se in lei rivede una dea del mare. Si domanda se per lui è come Calypso.
“Sette anni”, pensa ancora, tormentandosi con il contare i giorni, i mesi, gli anni che mancano al suo ricongiungimento con Will. “Passeranno, ma sempre più lentamente. Passeranno e io sarò ancora qui, ad aspettarti. Mi riconoscerai? Mi amerai come l’ultima volta che sei tornato?”.
Il vento ulula più forte e la costringe a portarsi una mano alla gola per ripararsi dal freddo. Le dita toccano appena la mandibola ed Elizabeth trasale accorgendosi che la pelle comincia a cedere. Non è più fresca come qualche anno prima, non ha la stessa tonicità. Il peggior nemico che abbia mai affrontato non è Barbossa o Davy Jones, no: è il tempo. È quel flusso continuo che plasma in modo indelebile il suo fisico e la sua anima. Elizabeth ha paura.
Si è accorta del passare inesorabile del tempo per puro caso, un giorno d’estate. Era seduta nella cucina di casa, davanti alla finestra spalancata. Stava osservando il mare, proprio come ha promesso a Will, quando Henry è entrato e le ha fatto una semplice domanda.
-Mamma, vuoi giocare con me?-.
-Quale gioco?-.
-Non lo so… Mi annoio. Cosa posso fare?-.
Il bambino la fissa con aria smarrita, allargando le braccia con fare insoddisfatto. Elizabeth sorride e avanza una proposta: -Vuoi rendere più bella la tua mamma?-.
Gli occhi di Henry si spalancano per la sorpresa, ma poi annuisce, curioso di sapere come fare.
-Prendi il pettine-, gli dice sua madre, indicando il cassetto di un piccolo mobile in legno grezzo. -Aiutami a sistemare i capelli-.
Il piccolo obbedisce e si avvicina di nuovo alla sedia su cui siede Elizabeth. Non sa da dove cominciare ed è intimorito, ma gli incoraggiamenti della donna fanno sì che prenda la prima ciocca e che passi attentamente il pettine per districare i nodi causati dalla brezza marina.
Rimangono in silenzio per lunghi minuti, riempiti solo dallo strofinio dei denti del pettine a contatto con la chioma chiara di Elizabeth. Henry si impegna e poco alla volta, presa confidenza, chiede a sua madre se le sta facendo male. La risposta negativa lo invoglia a continuare.
Di colpo il bambino si blocca. Con la coda dell’occhio, Elizabeth nota che si è spostato al suo fianco per osservare qualcosa. Incuriosita a sua volta, gli domanda se va tutto bene.
-Mamma… Hai dei capelli bianchi, proprio qui-.
La voce di Henry è molto seria e ciò la spaventa. All’improvviso, realizzando ciò che ha detto suo figlio, si sente colpita da un pugno nello stomaco.
-Davvero?-, chiede, cercando di mantenere un tono pacato quando in realtà vorrebbe solo avere con sé uno specchio per poter esaminare il proprio riflesso.
-Ce ne sono… quattro, cinque… sei. Sono sei, mamma-.
Henry poggia il pettine sul ripiano del mobile e afferra con cautela due dei capelli per cercare di farglieli vedere; Elizabeth è immobile, irrigidita dalla notizia ricevuta dal bambino. Quando finalmente riesce a vederli, sente il mondo crollarle addosso: per lei e Will non ci sarà più tempo. Gli anni diventeranno sempre più lunghi e di colpo non saranno più dieci, ma sembreranno venti, poi cinquanta, poi un’eternità. È tardi, il tempo sta scolpendo il suo corpo a proprio piacimento e lei non ha alcun rimedio per fermare lo scorrere incessante dei minuti e delle ore.
Il vento adesso si è abbassato ed Elizabeth può domare la chioma arruffata. Si spinge dietro le orecchie le ciocche impazzite e fissando l’orizzonte vuoto sente gli occhi pizzicare. Il pensiero di Will, lontano miglia dal suo fianco, lì dove dovrebbe e sarebbe dovuto stare, le fa seccare la gola, mentre interiormente sussurra “Non ho più parole”.
Le mancano perché ha trascorso gli ultimi mesi chiedendosi ripetutamente che cos’è, in sostanza, il pensiero che l’affligge. “È qualcosa che a volte lacrima”, si dice, portandosi le mani al viso e pressandosi le palpebre per sforzarsi di non esplodere in un pianto. Il volto dello sposo lontano freme di nuovo nel buio degli occhi chiusi ed Elizabeth, ripensando al pettine che gli ha rivelato la verità, si vede già vecchia, nella continua attesa di un uomo che, al contrario di lei, resterà per sempre giovane perché afflitto dalla maledizione che ha impedito loro di vivere insieme l’uno nelle braccia dell’altra, giorno dopo giorno fino al sopraggiungere della fine.
Sente le lacrime aprire un varco tra le ciglia e adesso non riesce più a frenarle. Si lascia cadere a terra, in ginocchio, spostando ancora lo sguardo sull’orizzonte, tremolante attraverso quel pianto liquido, e resiste alla voglia di urlare tutto il suo dolore, tutta la frustrazione nei confronti del tempo che rema contro di lei e contro il suo amore dannato. L’erba alta le gratta la schiena sotto l’alito del vento ed Elizabeth si sente completamente impotente. Sono lontani i giorni del coraggio mostrato in battaglia, sono lontani i giorni dell’ardore. Ora si sente come cenere e l’unico pensiero che la consola è che, se davvero lo fosse, la brezza potrebbe farla volare in alto, in quel cielo plumbeo, e trasportarla lontano, fino ai confini del mondo, fino da Will.
-Mamma?-.
La voce di Henry le arriva come un’eco lontana. Elizabeth si volta e il figlio accorre al suo fianco, chiedendole se si sia fatta male cadendo. Lei scuote la testa, senza pronunciare una sola parola, e aggrappandosi al braccio che il ragazzo le porge si rialza, passandosi velocemente le mani sul viso per asciugare i solchi che le lacrime hanno tracciato sulle sue guance.
-Stai bene?-, domanda ancora Henry, spiando dal basso l’espressione rattristata della madre. Elizabeth non risponde ancora; adesso si limita a guardare suo figlio.
“Assomiglia sempre di più a Will”, riflette, osservandogli i capelli e il fisico asciutto. “Ha il suo stesso carattere”, aggiunge, mentre le lacrime tentano di risalire fino alle ciglia. Stavolta, però, a provocarle è un sentimento diverso. “Il pensiero a volte dà luce”, dice a se stessa; perché Will, in fondo, non se n’è mai andato davvero. Il suo cuore è con lei, in quel forziere intarsiato, e la sua anima giace nel petto del loro unico figlio, Henry. La sola gioia e unica luce in una vita in cui il tempo e il mare le hanno portato via ciò che di più caro aveva al mondo.
-Sto bene, sì-, afferma alla fine, lisciando la gonna stropicciata e staccando i fili d’erba rimasti impigliati nel tessuto. -Torniamo a casa-.
Poggia una mano sulla spalla del ragazzo per guidarlo lontano dalla scogliera, ma prima di allontanarsi non resiste al desiderio di lanciare un ultimo sguardo all’orizzonte.
“Sette anni”, pensa di nuovo, trattenendo un sospiro. Poi torna a puntare gli occhi sulla schiena di Henry e, accennando un debole sorriso, sussurra nel vento: -Aspettami anche tu-.

   
 
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