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Autore: OnnanokoKawaii    25/11/2016    2 recensioni
Un mondo in cui il suicidio diventa una malattia contagiosa che colpisce gli adolescenti. Un futuro prossimo in cui viene trovata una Cura: Il Programma.
Ma davvero il Programma è la risposta? Come può essere una cura valida se gli individui poi perdono il loro passato?
Riusciranno Oikawa e Iwaizumi a raggiungere la maggiore età senza ammalarsi nonostante la morte e la tristezza che li circondano? Ma soprattutto... riusciranno a sfuggire al Programma e a conservare i ricordi della loro infanzia e del loro amore?
Genere: Angst, Avventura, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Issei Matsukawa, Takehiro Hanamaki, Tooru Oikawa
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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PREPARATEVI A SOFFRIRE IN QUESTO VIAGGIO CHE VI PORTERA' NELLA FOLLIA  nd OnnanokoKawaii



Tornò a casa a piedi Tooru Oikawa, svuotato di ogni speranza, privo di qualsiasi voglia di credere che qualcosa sarebbe migliorato.
Non voleva andare a scuola, non voleva vedere nessuno e soprattutto non era sicuro farsi vedere da quell Istruttore insistente quando non era certo di riuscire a mantenere la facciata che si era così faticosamente costruito.


Concentrati.

Svuota il cervello.

Salì al piano di sopra, fino in camera sua dove crollò sul letto senza nemmeno levarsi la giacca. Non sentiva il caldo; non sentiva nulla.
Quando entrava in quello stato di quiete emotiva ogni sua sensazione era anestetizzata.
Era l’unico modo per tenere a bada il dolore.
Quando il suo respiro tornò regolare e il battito del suo cuore smise di rimbombargli nelle orecchie Tooru decise di esaminare il suo incontro con Iwaizumi.
Si corresse mentalmente.
Con quello che era stato Hajime. Con quella persona irrimediabilmente rotta al di là di ogni possibilità di riparazione.
Forse, pensò, tutti i  Rientranti erano rotti. Forse la differenza stava solo in quello che poteva percepire visto il grado di confidenza e conoscenza che aveva con gli altri ragazzi presi dal Programma.
Forse stava solamente cercando di giustificare il fallimento colossale a cui era andato inconsapevolmente incontro quella mattina.

L’entusiasmo ormai dimenticato, sostituito da un gelido senso di ineluttabilità e sconfitta.
Era andato in pezzi molte volte nell’ultimo periodo ma in qualche modo era sempre riuscito a rimettersi insieme. Certo, il risultato era un grottesco patchwork che teneva insieme frammenti di ciò che era stato. Ogni volta qualcosa veniva perso per sempre.

A quel ritmo quanto ci avrebbe messo a perdersi del tutto?
Giorni, ottimisticamente parlando… probabilmente una settimana.
Con un sospiro decise di scendere a mettere qualcosa nello stomaco che si contraeva tristemente vuoto da ore.
Quanto era stato immerso nei propri pensieri?

Al piano inferiore trovò sua madre affaccendata in cucina per preparare la cena. Doveva essere più tardi del previsto.
Non fece in tempo a cucirsi in viso la solita espressione spensierata e felice. Non riuscì a trovare la convinzione e la prontezza. Non ebbe voglia di riproporre la farsa che metteva in scena ogni sera da settimane.
L’espressione di sua madre lasciava ben poco spazio alla speranza. Lo mitragliò di domande.

-Tooru? Eri già a casa? Perchè non hai risposto quando sono entrata?-

Non ebbe il tempo di rispondere.

-So che sei andato al Centro Benessere a trovare Iwaizumi, come lo hai trovato?

Perse l’attimo e ancora fu incalzato.

-Mi hanno telefonato dalla scuola avvertendomi che non eri tornato per le lezioni pomeridiane dopo aver lasciato il Centro. Dove sei stato?

L’agitazione si era impossessata della fragile personalità di sua madre  e le ultime parole quasi gli forarono i timpani tanto era alto e stridulo il tono con cui erano state pronunciate.
Il fuoco gelido del terrore le brillava negli occhi sotto le lacrime a stento trattenute.

Sorridi.
Non ci riuscì.

Sorridi coglione, lei è l’unica persona che potrebbe mandare tutto a puttane nel giro di qualche minuto.
Con una sola telefonata.
Ancora il suo viso rimase immobile, inespressivo.
Vuoi davvero perdere ogni cosa? Cancellare ogni fottuto ricordo che ti resta della tua felicità?

Finalmente sorrise.
Sapeva che la sua era una pallida imitazione del solare e dolce sorriso che sfoggiava di solito ma era il massimo che riusciva a fare in quel momento.
Il panico di sua madre parve attenuarsi un pò così come il tremito della sue esili mani che ancora brandivano il mestolo.

Ora rispondi a quelle domande.

Menti.

Continua a sorridere.

-Scusa Mamma, sono tornato a casa dopo aver incontrato Hajime… ero agitato all’idea di incontrarlo e stanotte non ho dormito bene quindi ho pensato di tornare  e farmi un pisolino. -

SI, poteva andare. Doveva solo credere a quelle fesserie, doveva fingere che fosse tutto vero.

-Credevo di svegliarmi in tempo per andare a seguire le lezioni del pomeriggio ma… ho dormito fino a poco fa. Non ho nemmeno…-

Si, vai così, continua a mentire, continua a inventare.

-... sentito la porta quando sei entrata

Sua madre lo scrutava in viso alla ricerca di una bugia che non voleva vedere. Sbattè le palpebre e le lacrime scomparvero dai suoi occhi lasciandovi una lieve traccia umida illuminata dall’indulgenza dello sguardo che gli rivolse.

-Va bene, immagino che l’idea di incontrare il tuo migliore amico dopo il trattamento del Programma giustifichi una notte insonne. La prossima volta prendi una delle mie pastiglie. Sono miracolose.

Sì, le pastiglie di sua madre. L’ansia e la paura che il suo unico figlio cadesse vittima della malattia la consumava. Era dimagrita, il volto scavato dalla preoccupazione non era più bello come lo ricordava Tooru, le sue forme sensuali erano scomparse sostituite da esili spalle smagrite e fianchi troppo stretti per essere definiti belli.
L’insonnia l’aveva logorata a lungo prima che finalmente, spinta dal figlio, non aveva deciso di rivolgersi a un medico.  Da quel giorno nell’armadietto del bagno facevano bella mostra di sè barattoli e scatole di pastiglie per gestire ogni possibile disturbo dovuto allo stato cronicamente ansioso della donna.

Il senso di colpa che lo perseguitava sempre e a cui non aveva più pensato da quando Hajime si era consegnato al Programma tornò prepotente a farsi sentire.
Il gusto amaro della bile gli riempì la bocca. Doveva fare qualcosa.

Mosso dall’istinto si avvicinò alla donna di un passo e la strinse a sè stupendosi ancora una volta di quanto fosse smagrita e fragile. Contro il proprio corpo sano e forte sentiva le sporgenze delle ossa di lei, tra le proprie braccia la donna quasi scompariva inglobata dalle sue membra mascoline.

-Come… come stava Iwaizumi?-

La voce di sua madre gli giunse incerta, ovattata dal maglione contro cui premeva il viso.
Come poteva rispondere a quella domanda?

-Sta bene. L’ho visto… bene.

La sentì tremare contro di sè.

-Si… ricordava…

Non l’avrebbe lasciata finire.

-No. Non sapeva chi fossi. Non era nemmeno curioso di scoprirlo. Hanno… ripulito tutto. Non…

Cazzo. Gli tremava la voce e il profumo familiare di sua madre lo spingeva a crollare.

Ripigliati.

Respira.

-... non è più l’amico d’infanzia che conoscevo.-

La stretta debole di sua madre si fece insolitamente forte.

-Mi dispiace. Ma… almeno è vivo e sta bene.

Per sua madre quello era l’importante e nessuno, nemmeno lui aveva il diritto di mettere in discussione una convinzione tanto radicata.
Ma no. Non era una consolazione che Iwaizumi fosse in salute perchè il vero Hajime era morto.
Senza far rumore, all’interno del labirinto che è la mente umana, era morto il suo migliore amico scomparendo poco a poco nel buio dell’oblio.

Non riuscì a fermarla.
Una lacrima trovò il modo di sfuggire al suo ferreo controllo. La sentì rotolare giù per la gota fino al mento e poi cadere.

La serata trascorse in modo strano. Sua madre era stata dolce e affettuosa, persino suo padre, durante la cena era parso davvero interessato ad Hajime.
Sembrava che avessero capito quanto fosse difficile per lui gestire la nuova realtà. Quanto gli fosse di peso cercare di conformarsi a quella che sarebbe diventata la sola realtà importante.
Si sentiva svuotato mentre con un sorriso pallido saliva in camera propria sollevato eccezionalmente dalle incombenze.

Crollò sul letto ancora sfatto dalle ore trascorse in trance lì sdraiato.
Pareva quasi di non averla vissuta quella giornata e con questo pensiero spaventoso in testa si trovò a considerare quanto fosse confortante non aver vissuto affatto dopo aver incontrato l’involucro vuoto di Iwaizumi.
Chiuse gli occhi sperando che un bel sonno potesse curare l’apatia che sembrava essersi impossessata di lui.

Passarono ore o forse secondi, non sapeva dirlo visto il buio assoluto che regnava nella propria stanza.
Il silenzio rotto dal ticchettio della sveglia, il motore di un’auto che passava sotto alle finestre.
A cosa era dovuto quel senso di allarme?
Il cuore gli batteva forte nelle orecchie, tutti i suoi muscoli erano pronti a scattare in una fuga disperata.
Ma da cosa?
Non c’era alcun pericolo.

Si rimise in ascolto. Nulla di insolito.
Poi eccolo.
Proprio nel momento in cui stava iniziando a rilassare le spalle contratte lo sentì.
Un suono di passi. Troppi passi.
Chi c’era in casa sua? Chi stava salendo le scale cercando di non far rumore?
Con il cuore di nuovo in gola rimase in ascolto qualche secondo, giusto il tempo di avvertire il singhiozzo soffocato di sua madre seguito da un’imprecazione a mezza voce.
Una voce che, seppur ovattata, avrebbe riconosciuto ovunque: l’Istruttore che a scuola lo aveva preso di mira.

Stavano venendo a prenderlo.
Sua madre alla fine aveva deciso di distruggere suo figlio nonostante sapesse che sarebbe tornato irreparabilmente rotto.
Avrebbe pagato un prezzo altissimo per essersi lasciato andare una singola volta.

Non poteva scappare e lo sapeva. Ma cosa poteva fare in quei pochi attimi che aveva prima che facessero irruzione nella sua stanza?
No. Non si sarebbe arreso.
Con l’aiuto della moquette  arrivò silenziosamente alla porta e la chiuse a chiave, piantò la sedia sotto alla maniglia e corse alla finestra.
Era stranamente lucido e calmo. Nel momento in cui aveva deciso di non arrendersi, di non scappare dalla tristezza e dallo schifo come aveva fatto Hajime, era divenuto così efficiente da spaventarsi da solo.

Dalla finestra poteva vedere l’ambulanza e le auto degli Istruttori a fari spenti che attendevano silenziose in cortile. Non poteva saltare, ma poteva arrampicarsi sul tetto.
Come aveva promesso di non fare più quando aveva sette anni e sua madre era quasi morta di paura quando dalla strada lo aveva visto aggrappato alla canna fumaria con un telescopio fatto di cartone e cannucce.

Silenziosamente aprì la finestra, proprio in quel momento sentì il primo tentativo di aprire la porta.
Merda.
Poi iniziarono i colpi.
La sua speranza di fuggire sul tetto sembrava sfumare. Per passare sulle teste di coloro che erano in cortile aveva bisogno che non alzassero lo sguardo e con quel baccano… sarebbe stato impossibile.
Doveva tentare lo stesso. Oppure…
Strinse i pugni con quel pensiero inciso in testa e nel cuore.
Oppure morire provandoci.

Scavalcò il cornicione e si stupì quando dal basso non arrivò alcun suono rivelatore.
Non stavano nemmeno guardando.
Sollevato si issò sul cornicione e cercando di non far rumore fece forza con le braccia per arrampicarsi fin sul tetto.
Le tegole erano scivolose e sporche, il suo appoggio pericolosamente precario, ma tentò comunque di spostarsi per  non essere più visibile dal basso.
Stava spostando il peso sulla gamba sinistra che aveva un appoggio più stabile quando la tegola sotto il suo piede destro si staccò e iniziò a scivolare sbilanciandolo.

Accadde in un attimo ma a lui sembrò passare un secolo prima che la tegola volasse oltre al bordo precipitando a terra e il suo corpo sbattesse con violenza contro la grondaia prima di iniziare a scivolare verso il vuoto. Sentì di sfuggita le grida degli Istruttori e quelle stridule di sua madre mentre il suo corpo lungo e atletico oscillava nel vuoto.
Non sarebbe riuscito a reggersi per molto tempo con le punte delle dita.
Sarebbe caduto.
Un volo di quasi dieci metri.

Lottò con tutte le sue forze per rimanere aggrappato, per sollevarsi oltre il bordo; fece forza sulle braccia ma rischiò di perdere la presa. Non aveva più tempo, già sentiva qualcuno issarsi dalla suafinestra.
Non voleva essere preso, non voleva che lo facessero a pezzi. Non voleva lasciar andare la sua infanzia, i suoi bei ricordi i suoi amici e soprattutto…. non voleva lasciare andare Hajime. I ricordi erano tutto ciò che gli era rimasto e voleva che restassero i suoi.

Nessuno glieli avrebbe portati via.

Cercò con ancora più vigore di tirarsi su e con un grugnito ci riuscì. Stava per rimettersi in piedi quando un dolore bruciante gli fiorì su una spalla serpeggiando come una lingua infuocata in tutto il corpo.
Merda.
Aveva dimenticato i taser in dotazione agli Istruttori.
Mentre ricadeva pesantemente sulle tegole sudice si ritrovò a sorridere per l’ironia della situazione.
Poi tutto divenne buio.
Avrebbe perso tutto. Se stesso, i suoi ricordi… Hajime.
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Ok... chiedo scusa... per questo capitolo così confuso ma... state tranquilli... era voluto. Doveva proprio rendere l'idea di una persona che non percepisce più la realtà nel modo giusto. Qualcuno che sta pian piano perdendo comtatto con la propria partre razionale per sprofondare nella pazzia.
Spero non mi abbandonerete da sola in balia di questa storia perchè ho davvero bisogno di tanto supporto per andare avanti e continuare a far soffrire i miei bambini speciali. >///<
Si sono sadica. Li amo e li torturo. Più li amo più li faccio soffrire.
Gomen
OnnanokoKawaii

   
 
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