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Autore: crazy lion    26/11/2016    8 recensioni
Rajni è una ragazza indiana di sedici anni. Vive con il padre e la matrigna e soffre ancora molto per la prematura morte della madre. È intelligente e ha buoni voti a scuola. Quando comunica ai suoi la decisione di voler continuare a studiare e sposarsi in seguito, non sa ancora che questo le costerà molto caro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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                    RAJNI
 
 
Rajni abitava in un villaggio dell'India.
Si svegliò alle prime luci dell'alba. Sdraiata sul suo giaciglio di paglia, guardava il sole entrare dall'unica, piccola finestrella della capanna, composta da una sola stanza: tre giacigli per lei e i suoi e poco più in là un tappeto sul quale mangiavano. C'era anche un caminetto in cui veniva cotta la carne, le poche volte che riuscivano a cibarsene. Per la maggior parte del tempo si nutrivano di frutta e verdura, sempre rispettando la natura e il suo equilibrio. Già a quell'ora faceva caldo, lì dentro. I suoi genitori non c'erano.
Saranno già andati a lavorare nei campi, pensò.
Suo padre l'aveva sempre odiata, fin dal giorno della sua nascita, sospettava. Perché? Semplice: perché era una femmina.
In quel momento l'uomo entrò chiudendosi la porta alle spalle. Era vestito con abiti da lavoro, tutti coperti di erba, terra e polvere. Le si avvicinò e Rajni sentì un brivido gelato correrle lungo la schiena. Non avrebbe voluto provare questo, ma non poteva farci niente. La gigura imponente del padre la spaventava, ma a terrorizzarla di più, a volte, erano le parole che pronunciava. Aveva i capelli nerissimi e due occhi dello stesso colore che sarebbero stati stupendi se Rajni vi avesse scorto un po' d'amore. Tuttavia, non era raro che nella sua cultura i padri fossero autoritari con le figlie, per cui ci era in un certo senso abituata.
"Cos'hai intenzione di fare oggi?" le chiese, in tono rude.
"Quello che faccio tutte le mattine," rispose Rajni alzandosi piano dal letto, "andare a scuola ad imparare cose nuove."
Nel villaggio c'era un'insegnante che, oltre a insegnare a lei e alle sue compagne a dipingere, a tessere, a costruire un vaso, dava loro un'istruzione più completa. Molti genitori ritiravano le figlie da scuola dopo pochi anni, soprattutto nei villaggi o non ce le mandavano proprio, ma la mamma della ragazza si era sempre opposta al padre quando lui avrebbe voluto fare lo stesso. Era per questo che, grazie alla donna che insegnava a lei e alle altre regazze, queste sapevano scrivere, leggere, far di conto e conoscevano anche l'inglese, la storia dell'India e da un paio d'anni avevano iniziato biologia.
"A cosa credi ti servirà studiare?" le domandò ancora lui, avvicinandosi e guardandola con due occhi che parevano iniettati di fuoco.
"A farmi una cultura, a diventare una donna indipendente e libera" rispose, con convinzione.
A quelle parole il padre rise fragorosamente.
"Sei molto divertente, sai? Questa frase dove l'hai imparata? Chi ti ha insegnato le parole "indipendente" e "libera" riferite ad una donna?"
"La mamma" rispose la ragazza, mentre una lacrima le rigava il viso.
"Non nominare quella puttana!" urlò.
"La mamma non era una puttana!" gli rispose Rajni, a tono.
L'uomo le diede uno schiaffo che la fece cadere. Per fortuna era seduta e non si fece male, ma la guancia le doleva. A farle più male, però, era il cuore. Accadeva spesso che lui le desse degli schiaffi e il dolore interiore che Rajni provava era sempre più forte. Una lacrima le rigò il volto.
"Che cosa ti ho sempre detto? Non si piange!" gridò ancora il genitore, colpendola un'altra volta. "Sei sempre stata tanto determinata quanto stupida" le disse ancora, più calmo, ma mantenendo sempre la sua voce ferma.
"Non sono stupida e nemmeno la mamma lo era. Solo perché ha voluto farmi studiare non significa che lo fosse; e non era nemmeno una puttana. Ha cercato di amarti nonostante il vostro matrimonio combinato e questo lo sai. Tu, invece, non l'hai mai amata, o almeno non dal momento in cui io sono nata. Mi ricordo, quando ero piccola, che sguardi di odio le lanciavi quando eravamo tutti e tre insieme papà, non puoi negarlo."
"Non capirai mai niente, Rajni! Tua madre ti ha riempito la testa di idee sciocche."
Lei non si considerava stupida, nemmeno un po'. Sua madre aveva sempre voluto che Rajni fosse tutto ciò che lei non era riuscita ad essere. Non era andata a scuola perché i genitori, entrambi contadini, non avevano voluto, anche se avrebbero potuto permettersi di darle un'istruzione, avendo dei risparmi da parte. L'avevano invece costretta a lavorare con loro nei campi fino a diciassette anni. La donna era cresciuta completamente analfabeta. Non sapeva nemmeno scrivere il suo nome e questo l'aveva sempre fatta sentire diversa e inferiore ad altre persone che aveva conosciuto. Quando aveva compiuto diciassette anni i genitori le avevano detto che si sarebbe dovuta sposare con un uomo molto più grande di lei. La ragazza non aveva obiettato né aveva provato a ribellarsi sapendo che, in ogni caso, l'avrebbero avuta vinta loro. Si era quindi sposata con un uomo che quasi non conosceva, che aveva quindici anni in più di lei e che, ovviamente, non amava. Aveva provato a farlo, si era sforzata di conoscerlo, di essergli se non altro amica, ma non ci era riuscita. Lui era sempre stato violento, freddo e duro. Dopo due anni era nata Rajni, e in quel momento Suman aveva sentito rinascere in lei la speranza. Adesso aveva qualcuno a cui dare amore e da cui riceverlo, non sarebbe stata più sola. La mamma l'aveva sempre viziata e coccolata, crescendola come una persona e non come un oggetto, come invece la definiva suo padre. Le aveva insegnato a tenersi sempre in ordine e pulita nonostante il lavoro nei campi e a lavarsi ogni volta che ne avesse avuto l'occasione. La donna credeva nelle proprietà terapeutiche dell'acqua e aveva cresciuto la figlia con la convinzione che avere una buona igiene personale l'avrebbe fatta star meglio, prevenendo alcune terribili malattie. Era anche riuscita a mandare la sua bambina a scuola, utilizzando i risparmi che i genitori le avevano lasciato. Aveva voluto darle una vita migliore. Rajni aveva amato molto sua madre, il loro rapporto era stato veramente profondo, si erano sempre capite al volo, tanto che a volte bastava loro uno sguardo per dirsi tutto. Si erano abbracciate molto spesso e date tantissimi baci. Rajni aveva sempre adorato quelle coccole. Pensava che gli abbracci della mamma fossero i migliori del mondo. Sei anni prima, però, una tragedia le aveva colpite: la donna era morta a causa di un'epidemia di colera che aveva fatto ammalare molte persone nel villaggio. Rajni era stata vicina alla mamma da quando aveva iniziato a stare male fino al giorno della sua morte quando era spirata tra le sue braccia mentre il padre, menefreghista, non si era minimamente curato di lei. Rajni aveva visto morire la mamma davanti ai suoi occhi e aveva pianto, da sola, tenendo quella mano che diventava sempre più fredda. Per fortuna lei non si era ammalata, ma la morte della madre l'aveva fatta soffrire atrocemente. A volte, ancora adesso, si sentiva soffocare.
"Io vado a lavorare, tu fai quello che vuoi, ma prima o poi questa storia dovrà finire" le disse il padre, riportandola improvvisamente alla realtà.
"Verrò nei campi dopo scuola come sempre, padre."
"Sì, ma potresti utilizzare queste ore lavorando con me e mia moglie anziché sprecarle. E lo farai, te lo giuro. Non so quando, ma lo farai."
Rajni aspettò che uscisse, poi sospirò. Si preparò per la scuola vestendosi con il sari, una lunga fascia di tessuto che si avvolse intorno al corpo e che terminava con un lembo colorato. Si mise anche la collana della mamma, che portava ogni giorno. Era tutto quello che le rimaneva di lei. Quando la pensava sentiva il cuore scoppiarle. Come avrebbe voluto averla di nuovo lì con lei! La sua vita sarebbe sicuramente stata migliore.
 
Rajni tornò da scuola nel primo pomeriggio. Prima di entrare in casa si tolse le scarpe. Avrebbe dovuto farlo se fosse andata da qualcun altro - era un'usanza del suo Paese - ma la matrigna esigeva che fosse così anche a casa sua. Se la ragazza non obbediva, l'altra si offendeva. Era già successo. Rientrata in casa, appoggiò il suo zaino a terra.
"Ciao Rajni" la salutò Choti, la sua matrigna.
Non aveva mai sopportato quella donna. Il padre l'aveva sposata pochi mesi dopo la morte della moglie, come se fosse riuscito a dimenticarla in pochissimo tempo e se quella tragica perdita non lo avesse colpito. Rajni non ricordava nemmeno una volta nella quale l'avesse sentito piangere per lei.
"Buon pomeriggio, signora" salutò. "Come state?"
Le davadel voi per portarle più rispetto. Non la chiamava per nome prché in India non ci si rivolge ad una persona superiore chiamandola con il proprio nome.
"Sto molto bene, ti ringrazio. E tu?"
Sorrise, ma era un sorriso falso. Anche lei indossava il sari e si era tagliata i capelli scuri molto corti fin sopra le spalle. Le sue braccia erano adornate di bracciali altra uanza tipica delle donne indiane. Di solito anche Rajni li metteva e a volte si infilava degli orecchini con dei pendenti. Choti era una donna molto magra ma non troppo, indubbiamente era bella. Aveva le mani con qualche callo, nonostante le tenesse ben curate così come i piedi, che in India sono considerati impuri, non era mai riuscita a renderle lisce come sicuramente erano state quand'era più giovane.
"Sto bene, vi ringrazio."
"Com'è andata a scuola?" chiese la donna, pronunciando l'ultima parola di quella domanda con evidente disprezzo.
"Bene, vi ringrazio" rispose la ragazza, gentilmente.
"Sei un'ingrata, Rajni! Con tutto quello che facciamo per te, dovresti almeno ringraziarci lavorando nei campi con noi; invece no, nonostante tu abbia, grazie a me e a tuo padre, del cibo sulla tavola ogni giorno, preferisci andare a studiare piuttosto che aiutarci con il lavoro."
La voce di quella donna era roca e grave e tutto ciò che diceva a Rajni erano solo critiche.
"Io studio per diventare una persona migliore. E comunque, quando finisco vengo sempre a darvi una mano, signora. So quali sono i miei doveri."
"Certo, come no. Studi per spendere in cose futili il gruzzolo di tua madre, semmai!"
"Non sono cose futili, matrigna. Era la mamma a volere che studiassi e io..."
"Basta, basta! Vai sul letto e smettila di annoiarmi. Parleremo, io e tuo padre. Questa storia deve finire!" urlò, mentre le guance le si facevano sempre più rosse.
"No, aspettate, lasciatemi finire, lmaledizione! Io voglio studiare perché per me è importante. Bene, ora rimarrò in silenzio come volete voi, ma prima avevo bisogno di dirvi queste cose."
"Non dire più "maledizione" in mia presenza."
La ragazza si sedette sul letto, con la testa fra le mani, sentendo Choti che, a poca distanza da lei, mangiava tranquilla. Anche Rajni aveva fame, ma capì che avrebbe dovuto saltare quel pasto. Era sempre così, quando la faceva arrabbiare. La capanna era piccola, grande appena 12 metri e Rajni poteva vedere chiaramente gli sguardi di odio e di disprezzo che la matrigna le lanciava di tanto in tanto, ma lei non se ne curava. Quando la donna finì di mangiare, uscì.
Rajni allora si alzò, si avvicinò al suo zaino e prese un libro. Il giorno dopo avrebbe avuto un compito di geografia sull'Africa e aveva bisogno di ripassare. Aveva già studiato i giorni precedenti, ma era una ragazza molto diligente e aveva bisogno di ripetere più volte anche il giorno prima di una verifica. I voti che prendeva erano sempre eccellenti, era la più brava della classe.
 
La sera il padre e la matrigna le impedirono di cenare. Lei sentiva il suo stomaco vuoto, sudava ma allo stesso tempo aveva freddo e, soprattutto, era molto debole.
"Fatemi mangiare qualcosa, anche poco, vi prego, per favore!" supplicò.
"No" le rispose il padre, "perché così non impareresti la lezione. Non mangiando riuscirai, in parte, a sentire il dolore, il vuoto che lasci dentro di noi andando in quella maledetta scuola. Esci da qui, Rajni, io e Choti dobbiamo parlare seriamente di te e del tuo avvenire. Non si può continuare a questo modo, qualcosa deve cambiare subito."
Rajni si alzò e uscì. Come potevano, loro, usare le parole "vuoto" e "dolore" solo perché lei continuava a fare la cosa che le piaceva di più al mondo? Perché non pensavano mai al suo, di dolore e alla solitudine che provava non avendo più dei veri genitori?
Camminò nel silenzio del suo villaggio. Il sole era già tramontato, ma il forte caldo di quella giornata era ancora imprigionato nel terreno e Rajni poteva sentirlo salire dalla terra fino al suo viso. Era un caldo soffocante, ma lei oramai ci era abituata. In lontananza si sentiva un rullo di tamburi e qualcuno che lavorava, forse un uomo stava scolpendo qualcosa. Camminò a lungo, assaporando il silenzio della notte e lasciando che il vento caldo le scompigliasse i capelli neri. Proseguì con la tristezza e la paura negli occhi. Che cos'avrebbero deciso i suoi? Le avrebbero impedito di andare a scuola? Lei non voleva smettere di studiare, perché la sua vita sarebbe stata rovinata senza i libri, senza vedere ogni giorno le sue compagne.
Non aveva un rapporto molto stretto con loro, ma ci parlava volentieri qualche volta. Era una ragazza piuttosto silenziosa, riservata e solitaria. Da piccola era stata molto aperta ed espansiva, ma dopo la morte della mamma si era chiusa in se stessa e non si confidava molto con le altre persone. In parte lo faceva perché non voleva contrtgiarle con la sua continua tristezza e con la solitudine che provava, in parte perché, non poteva negarlo, le piaceva stare da sola. Amava camminare nel silenzio della sera, ascoltando i rumori della natura. A volte pensava che solo gli elementi naturali potessero capirla e che l'acqua del fiume, o il canto degli uccelli, riuscissero a confortarla e a farla sentire capita.
"Mamma, aiutami, ti prego! Fa' che mi lascino continuare a studiare, che io riesca ad essere libera come tu mi hai insegnato. Fa' che comincino a volermi bene. Io ho bisogno d'amore da parte loro, prima di riuscire a darne agli altri. Per ora non ce la faccio, non riesco ad aprirmi con le persone se non ricevo affetto dalla mia famiglia. Questa sarà una debolezza, ma io sono fatta così. Vorrei viaggiare, mamma, vedere tanti posti, andare a Londra o a Parigi all'università, sposarmi con l'uomo che amerò e che sarò io a scegliere, avere tanti bambini ed essere felice" disse ad alta voce, mentre le lacrime le rigavano il viso.
Era uscita dal villaggio, ormai. Si avvicinò ad un piccolo fiume. Alzò gli occhi al cielo e in quel momento vide la luna. Era stupenda, piena. Si rifletteva nell'acqua creando un'atmosfera magica. Il cielo era limpidissimo e pieno di stelle. Il gorgoglio del fiume era l'unico rumore che Rajni udiva. Lei adorava quei momenti di tranquillità, pace e solitudine e sperava che anche i suoi figli li avrebbero apprezzati tanto quanto lei. A volte pensava al proprio futuro. Le sarebbe piaciuto avere dei bambini, sui quali riversare tutto l'amore che a lei era mancato. Sarebbe stata una mamma attenta, presente e non avrebbe mai trattato male i suoi bambini. Li avrebbe amati come sua mamma aveva fatto con lei. Si specchiò nelle acque del fiumiciattolo e sorrise. Vide una Rajni felice, diversa, con i capelli neri e gli occhi dello stesso colore. C'era una luce nuova in quegli occhi, un sorriso che prima non li aveva mai illuminati così tanto. La luna e l'acqua le avevano ridato speranza. Era come se la mamma le avesse mandato un segno dal cielo: la speranza che le cose sarebbero andate meglio, cambiate. Avrebbe lottato, Rajni, ora ne era convinta. Non si sarebbe arresa né piegata a qualsiasi volere dei suoi. Avrebbe combattuto per ciò in cui credeva. Sentendosi più forte, sulle ali della speranza, corse a casa in un battibaleno.
 
Quando entrò, suo padre le venne incontro e le disse:
"Ti stavamo aspettando. Abbiamo deciso che ti sposerai il più presto possibile. Troveremo qualcuno..."
"No!" urlò Rajni.
"Cosa?" chiese la sua matrigna, stupita.
"No" disse ancora la ragazza, con voce ferma. "Io non mi sposerò, almeno non adesso e sicuramente non con un uomo che troverete voi. Voglio sposare l'uomo che amerò davvero, ma non adesso. Prima voglio continuare a studiare, andare all'università all'estero e solo dopo penserò al matrimonio."
"Non puoi fare così, Rajni, devi sposarti con un uomo della tua religione e della tua casta."
"Perché? Chi mi obbliga a farlo?" chiese, infuriata, ma cercando di non urlare e di non perdere il controllo.
Se si fosse comportata a quel modo, avrebbe solo reso le cose più difficili.
"Lo diciamo noi" disse la matrigna. "Tu lo farai."
Non era una domanda, bensì un ordine, deciso e perentorio.
"Allora voi non mi volete bene, neanche un po', altrimenti cerchereste di capirmi, di accettare le mie scelte e di comprendere di che cosa ho bisogno. Io non voglio essere così. Non voglio vivere incatenata qui, ad una vita nella quale dovrò essere sempre sottomessa."
"Quand'è così," disse il padre, "dobbiamo intervenire in modo definitivo. Mi dispiace, Rajni, ma ci costringi a farlo."
"Che cosa..."
Non ebbe il tempo di finire la frase. Choti e suo marito presero la ragazza per le spalle, lui la tenne ferma e lei la imbavagliò. Rajni provò a graffiarli e ci riuscì, tirò qualche pugno ma non aveva molta forza nelle braccia, quindi non ottenne nulla. Morse loro le mani, ma nemmeno questo li fermò. Si mosse ancora, provò a fare di tutto per scappare, ma alla fine dovette arrendersi domandandosi quale sarebbe stato il suo destino. Respirava male, sia per il bavaglio sia, soprattutto, per l'ansia che la attanagliava. Era come avere un coltello nel petto che andava sempre più in profondità secondo dopo secondo, aprendo sempre di più una ferita che sanguinava copiosamente. Il dolore al petto provocato dall'agitazione e quello, altrettanto forte, alla testa non la lasciavano in pace. Intanto i due le legarono mani e piedi mentre lei si dimenava ancora. Ma era da sola, Choti e suo padre in due. Era troppo debole. La sollevarono e la portarono, di peso, lontano dal villaggio, in un luogo isolato, in campagna, dove nessuno avrebbe potuto sentire nulla. Il padre si allontanò e la matrigna rimase con lei, ma non le restò vicina né le disse alcun che. Si allontanò di qualche metro, come se rimanerle accanto avrebbe potuto trasmetterle qualche malattia.
Rimasta lì, sulla terra nuda e fredda, Rajni cominciò a piangere e a pensare a sua madre. Lei non avrebbe mai permesso tutto ciò. Immaginava che cosa il padre avrebbe potuto farle, ma non voleva pensarci. No, non sarebbe riuscito ad arrivare a tanto. Non lo credeva capace di un gesto del genere. Era cattivo, sì, ma non fino a tal punto.
Sentì i suoi passi pesanti avvicinarsi lentamente e quelli più leggeri, di Choti, che lo seguiva. Senza dire una parola, il padre aprì un contenitore. Rajni spalancò gli occhi e guardò. Sembrava una tanica di benzina. Aveva un'etichetta, sulla quale la ragazza poté scorgere appena il nome: Cherosene. Oh no, no, no! Stava succedendo davvero. Lei stava per... per... Un freddo glaciale la avvolse. La paura, anzi il terrore più cupo e profondo si impossessò di lei, le entrò nelle vene, fece tremare ogni fibra del suo corpo. Sentì che il padre le versava addosso il cherosene e poi... le dette fuoco. Suo padre, che aveva aiutato la sua defunta moglie a metterla al mondo e la matrigna, che avrebbe dovuto volerle bene ma in realtà non l'aveva mai veramente amata... Loro, proprio loro la stavano uccidendo. Rajni urlò per il dolore, sentendo la sua pelle e le sue ossa scaldarsi violentemente e poi bruciare. Era insopportabile, qualcosa che non si poteva descrivere con le parole. Era una sofferenza atroce. Rajni si muoveva in quel fuoco, scalciava, urlava pur avendo la bocca chiusa.
"Vi odiooooooo!" gridava, arrabbiata e in preda ad un dolore sempre più forte, sentendo il fuoco bruciarle la pelle e le ossa. "Vi odio! Avete fatto tutto questo solo perché io volevo continuare a studiare, per distruggere questo sogno innocente! Cos'avete dentro? Siete dei mostri, degli orrendi, schifosi bastardi!"
Non si fece problemi, in quel momento, a dire parolacce a suo padre. In un'altra situazione non si sarebbe mai permessa. Doveva portargli rispetto e lo sapeva, ma ora non le importava più. Sapeva anche che la legge indiana vietava il matrimonio prima dei diciotto anni, ma questa era largamente ignorata. Poco dopo tutto cominciò ad offuscarsi. Non riusciva più a pensare lucidamente. Il dolore per le bruciature che pian piano le si stavano formando sul corpo era troppo forte. Urlava, ma perfino le sue grida sembravano lontane ormai. Sentiva l'odore terribile della sua pelle e delle ossa che stavano bruciando. Non credeva che avrebbe potuto essere tanto insopportabile.
"Mamma, ti voglio bene" riuscì a dire, poi gridò come non aveva mai gridato.
Fu un urlo più simile a quello di una bestia che di una ragazza, un urlo liberatorio, di dolore ma anche di frustrazione. Lei aveva cercato di lottare contro quella legge ignorata, contro le decisioni prese da altri sulla sua vita e sul proprio futuro, aveva combattuto per quello in cui credeva fino alla fine, ma aveva perso.
Suo padre e la sua matrigna le versarono addosso dell'acqua per spegnere le fiamme e se ne andarono.
 
Rajni, quella dolce ragazza di soli sedici anni, venne portata in ospedale da una donna che la trovò lì, agonizzante, dopo molte ore. Le si avvicinò, la toccò e lei si risvegliò, aprendo piano gli occhi.
"Chi ti ha fatto questo?" le domandò inorridita.
"Mio padre... e la sua... nuova moglie."
Disse i loro nomi e poi aggiunse:
"Volevo studiare, ma loro... Fa molto, molto... male."
Non seppe nemmeno come riuscì a pronunciare quelle parole, tanta era la sua debolezza e con quel dolore fisico che le dilaniava il corpo.
"Lo so, ora ti porto in ospedale, andrà tutto bene. Dammi la mano."
Rajni strinse pianissimo la mano della donna che, con quella libera, prese il telefono e chiamò un'ambulanza. Lei era medico, ma aveva bisogno di rinforzi per curarla. Non era in servizio in quel momento e non aveva niente con lei per provare a guarire le numerosissime e gravissime ustioni della ragazza.
Poco dopo arrivò un'ambulanza e i medici portarono immediatamente Rajni in ospedale. Durante il tragitto, però, la ragazza ebbe un arresto cardiaco. Provarono a rianimarla. Le fecero il massaggio cardiaco, ma non funzionò. Passarono allora alla respirazione bocca a bocca e quando, dopo un eterno minuto, Rajni tornò a respirare, la donna e gli altri suoi colleghi tirarono un sospiro di sollievo. Se fosse stata in arresto per qualche minuto in più avrebbe potuto avere danni cerebrali permanenti.
Arrivati a New Delhi iniziarono a curarla immediatamente. Tuttavia lecondizioni della ragazza erano gravissime e i medici sapevano che non c'era molto da sperare. La donna che l'aveva trovata aveva già avvertito la polizia dell'accaduto, riferendo le parole della ragazza.
Il padre e la matrigna vennero arrestati, dichiarandosi colpevoli.
 
Rajni, quella ragazza dolcissima che, spero, voi abbiate amato come ho fatto io scrivendo questa storia, morì tre giorni dopo a causa delle ustioni presenti sul novanta per cento del suo corpo; ma non fu sola in quel momento. Con lei c'era quella donna che l'aveva trovata, il medico che aveva cercato di tenerla in vita. Le tenne la mano fino alla fine, le cantò delle canzoni per distrarla, mentre entrambe piangevano. Rajni alternava lunghe ore di incoscienza a brevissimi attimi di coscienza, in alcuni era lucida e in altri no. In quell'attimo lo era. Le due erano donne, capivano le sofferenze che essere una femmina nel loro Paese comportava e sapevano una cosa: che non era giusto.
Rajni morì il 7 febbraio del 2012. Quando esalò l'ultimo respiro la donna le strinse più forte la mano e le disse:
"Non sei sola, ti voglio bene."
Mentre la sua vita scivolava via piano, Rajni disse:
"Grazie. Arrivo, mamma."
Morì sorridendo, pensando a sua madre, all'unica persona che l'aveva veramente amata.
La donna lanciò un urlo straziante quando quella povera ragazza morì. Era morta a causa di due persone che definire orribili era poco. Non aveva colpe, voleva solo essere amata ed essere libera.
Andò al funerale, al quale parteciparono lei e i parenti della ragazza, esclusi ovviamente suo padre e la matrigna. Li vide piangere distrutti dal dolore e si lasciò andare anche lei, versando lacrime amare.
Ogni sette del mese va ancora sulla tomba di Rajni a salutarla, a pregare per lei e perché, almeno adesso, sia felice.
 
 
 
NOTA:
mi sono informata sulle usanze dell'India rurale, tutto ciò che ho detto è vero e spero di essere stata abbastanza accurata. Mi scuso se le descrizioni sono un po' povere, il mio intento era quello di concentrarmi più sui sentimenti.


ANGOLO AUTRICE:
ripubblico questa storia perché non riuscivo a metterla in HTML.
L'ho scritta perché sono stata ispirata da una notizia che mi ha scioccata. A febbraio di quest'anno una ragazza indiana di sedici anni è stata uccisa dal padre e dalla matrigna perché, anziché sposarsi, avrebbe voluto continuare a studiare. I suoi le hanno dato fuoco. La ragazzina è morta pochi giorni dopo in ospedale. e i due assassini, denunciati dal fratello della ragazza, sono stati arrestati.
Ho scritto questa storia perché non è giusto che tante ragazze muoiano così, solo perché volevano inseguire un loro sogno ma le famiglie lo vietano loro. Questa è una delle cose che non capirò mai: come certi genitori possano uccidere i loro figli.
Spero che questa storia, per quanto triste e straziante sia, lasci nei vostri cuori un segno e nelle vostre menti qualche ricordo e un pensiero a quella povera ragazza strappata, così giovane, alla vita.
   
 
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