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Autore: _Blanca_    26/11/2016    1 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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20.





XX. Deuteronomio




Alla vista della ragnatela di segni perlacei, un torpido battito di palpebre accompagnò il silenzio di Anna. I segni coprivano interamente il piano del tavolo: un cerchio ne seguiva la circonferenza e, all’interno del cerchio, decine di quadrati intrecciati e sovrapposti formavano una complessa figura geometrica. Anna sfiorò le linee: le avvertì fredde, levigate, in rilievo.
In quel momento, Milton soffiò inferocito, conficcando gli artigli sulle braccia di Lily. La cameriera, trattenuto per miracolo uno strillo, lo lasciò andare e il gatto schizzò via, alla velocità di un proiettile. E si nascose.
Sotto al letto.
«No!» ringhiò Anna, scattando all’inseguimento. Si inginocchiò di fianco al letto. Alzò la cortina delle coperte.
Due tonde pupille rifletterono la luce della lampada.  Milton era acquattato in un angolo; appiattì le orecchie e snudò le piccole zanne in un altro soffio. Anna allungò una mano. E la ritrasse immediatamente: Milton l’aveva graffiata.
«Che gli è preso?» pigolò Lily, alle spalle di Anna.
«Non lo so» sibilò Anna. «Ma non possiamo lascia―» Tacque. Accostò un poco di più la lampada alla gambe del letto. «C’è qualcosa... nascosto qui sotto.» Affidò la lampada a Lily, facendole cenno di continuare a illuminare il pavimento sotto al letto, e protese le braccia verso una sagoma bassa e squadrata. Al tatto, l’oggetto era liscio e rigido, freddo.
Era un bauletto di latta, del genere che poteva aver custodito del tè, o cioccolatini, o biscotti. Il cammeo, sul coperchio, racchiudeva tre cinciallegre accoccolati su di un ramo di ciliegio in fiore.
Anna aprì il bauletto.
E lei e Lily aggrottarono la fronte all’unisono.
Fogli: piegati in due, l’uno dentro l’altro.
Anna li stese sul pavimento e Lily li illuminò.
Sul primo foglio compariva un’unica parola; le lettere erano in maiuscolo, grandi, traballanti, come tracciate da una mano inesperta.

F O R G I V E

Anna rivelò la seconda pagina. Di nuovo una parola. Di nuovo la stessa calligrafia insicura.

D E A T H
E il terzo foglio:


M A M A

E l’ultimo:
D T 3 2 3 5

Tump!
Con un sobbalzo, le ragazze si guardarono attorno. E non videro nulla. Anna tolse la lampada a Lily e si alzò, per scrutare meglio. Trovò la fonte del tonfo prima ancora di vederla, percependo qualcosa di duro premere sotto la suola della babbuccia sinistra. Per un attimo, con un’ondata di disgusto, pensò di aver pestato un insetto dalla corazza dura. Sollevò il piede: aveva frantumato la testa di una statuina di Biscuit.
Il resto del giocattolo decapitato ― una pastorella che suonava il flauto ― giaceva poco più in là. La testa doveva essersi staccata nell’urto contro il pavimento, perché la statuina era caduta dallo scaffale vicino.
Da sola.
Anna si trascinò indietro di un altro passo e il cuore perse un battito: tra gli ululati del vento, e i scricchiolii della casa, si stava insinuando un terzo rumore.
Musica.
Proveniva proprio dallo scaffale.
Era uno dei caroselli. La chiave era ferma. I cavallini erano fermi. Eppure, il carillon suonava. Suonava la malinconica Greensleeves: acuta e lenta, troppo lenta, sempre più lenta, sempre più acuta. I rintocchi cristallini mutarono in note stridule, simili a quelle di un pianoforte scordato, da far sanguinare le orecchie. Poi, terminò: un silenzio secco e improvviso.
Anna stava ancora trattenendo il fiato quando Lily si appigliò di peso al suo braccio. «Anna... Anna, andiamo via!» si sentì supplicare.
E Anna fu assolutamente d’accordo.
«Metti via la scatola. Io penso al tavolo.»
«E il pupazzo?»
«Lascialo.»
Pochi secondi e tutto fu al suo posto. Di contro, non ci fu verso di calmare Milton: riempì Anna di graffi e morsi e quando lei riuscì a trascinarlo fuori da sotto il letto, tenendolo per la collottola, si dimenò come un indemoniato. Soffiava e miagolava. Anna gli restituì il favore, sbattendolo a terra non appena furono oltre la soglia della nursery. Ma Milton atterrò prontamente sulle quattro zampe e corse via, con il pelo ritto sulla schiena e la coda gonfia, verso le scale di servizio.
Anna chiuse la porta. Fece scattare la serratura, tirò via la chiave e si voltò a controllare Lily: la cameriera respirava forte e tremava peggio di un fringuello infreddolito, tenendosi la lampada stretta al petto.
«Va’ in camera tua» disse Anna, sottovoce, con una fermezza che strideva violentemente con il suo reale stato d’animo. «Io rimetto a posto la chiave e ti raggiungo―». Non poté finire la frase: ammutolì davanti alla smorfia di terrore che si stava impadronendo del volto di Lily. Non ebbe bisogno di guardarsi alle spalle. Col fiato bloccato in gola, serrò la mascella; poi, inspirò. «Lily, non 
urlare. Non  urlare» ordinò. «Non può avvicinarsi alla luce.» In una mano, prese il manico della lampada, nell’altra il polso di Lily e, con un cauto mezzo giro su sé stessa, si voltò.
L’Ombra era del corridoio: immobile, ritta sulle gambe scheletriche, i piedi nudi a un soffio dall’argine dell’alone di luce. La si scorgeva a fatica, quasi fosse un tutt’uno con l’oscurità, quasi fosse l’inganno di un occhio allucinato. Eppure, la sua presenza era innegabile. Pesava nell’aria. La imputridiva. La ammorbava, come un gas venefico. Strisciava nei polmoni, nei cuori, nella mente di chi osava restare al suo cospetto.
Anna strinse con maggior vigore il polso di Lily. Riconosceva, adesso, quella sensazione di essere spiata che l’aveva vessata sin dal suo arrivo a Bon Fleur Place.
Si udì uno schiocco: l’Ombra si era mossa. Aveva drizzato la testa e due minuscoli puntini rossi baluginavano nel buio, là dove avrebbe dovuto trovarsi il viso dell’Ombra.
Anna inghiottì; le sembrò di aver in bocca sabbia invece di saliva. Fece forza sui muscoli irrigiditi dall’adrenalina e sollevò la lampada. «Non può avvicinarsi» rimarcò.
Con crepitio improvviso, una venatura attraversò la campana di vetro della lampada, da cima a fondo.
La fiamma ebbe un tremito.
L’Ombra strascicò le membra malferme verso la parete della nursery, se ne lasciò fagocitare... e scomparve.
Un tonfo sordo strappò ad Anna un sussulto. Il polso di Lily le sfuggì e lei si voltò di scatto.
Lily era sul pavimento, priva di sensi.

*

Anna strizzò il fazzoletto e l’acqua, nel catino, si tinse di rosa: alcuni graffi stillavano sangue, altri erano dolorosi rigonfiamenti.
«Che cosa è successo?» domandò Lily, racimolando la forza di parlare, con un fil di voce, dopo cinque minuti di mutismo. Per farla rinvenire era bastato uno scrollone; farle ritrovare la calma era umanamente impossibile. Sedeva ai piedi del proprio letto: le mani nascoste tra le ginocchia e gli occhi fissi al pavimento; a furia di dondolare avanti e indietro col busto aveva fatto scivolare lo scialle sul materasso.
«Abbiamo visto l’Ombra» disse Anna. «E lei ha visto noi.» Il suo tono, il suo sguardo, i suoi gesti erano al contempo ferrei e sereni; desiderava far da scudo tra Lily e la paura, perché pur incapace di essere coraggiosa per sé stessa, sapeva fingere sangue freddo per il bene degli altri.
Lily osservò Anna: diritta in piedi, le dava il profilo, fingendosi religiosamente dedita ai graffi.
«Vuol dire che moriremo?» esalò la cameriera.
Anna scosse il capo. «Non ci ha sussurrato nulla. Fin quando siamo vigili e sveglie, non può farlo. Però, è più potente di quanto pensassi» ammise. «La statuina. Il carosello. La lampada... Ha ucciso, si è nutrita come una sanguisuga e, a ogni pasto, la sua capacità di interagire con il mondo materiale deve essersi rinvigorita.»
Lily morse le labbra, sul punto di scoppiare in un pianto. «Come fai a parlare così?» esplose, in un sussurro rotto. «Come fosse qualcosa di... normale? Io... io non so se sto per svenire di nuovo o per vomitare!»
«Questo è normale. Si chiama paura» troncò Anna. Corrugò la fronte. «Quei segni sul tavolo, però, non mi sono chiari. Devono essere lì da prima che mia zia ricevesse William Hall, il mese scorso. E quella non deve essere stata la prima e unica volta che si sono incontrati nella nursery.» Sospirò. «La maggior parte delle sedute spiritiche sono una farsa, perché per squarciare davvero un passaggio tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti servono ― come posso spiegarlo? Servono delle chiavi, ecco. I simboli, come quello sul tavolo, fanno da chiave. Ma non sono conoscenze alle quali chiunque può accedere. ― In quanto ai fogli nascosti sotto al letto, a giudicare dalla calligrafia, sembrano il risultato di una scrittura automatica. Durante una seduta, lo spirito evocato prende il controllo di uno dei partecipanti e scrive risposte a delle domande. Solitamente.» Abbandonò il fazzoletto sul bordo del catino e piantò le mani sui fianchi. «Il punto è che» proseguì, contemplando l’impenetrabile coltre notturna oltre l’abbaino, «non sono sicura che un’Ombra sia il genere di spirito che  abbia bisogno di comunicare attraverso un tramite umano.»
Lily fissava Anna dal basso. Deglutì. «Ma tu perché sai queste cose? Passino le storie che ti raccontava tua madre, ma la scrittura ― scrittura ― cosa? Automatica? Simboli? Sedute spiritiche? Hai partecipato a certe cose, in passato?»
«Non esattamente.»
«Allora, qual è l’esattamente?» implorò l’altra.
«Per questa notte basta con le stranezze.»
«Stranezze le chiami?» protestò Lily, stridula.
«Preferisci la parola orrori?»
«Stai nascondendo qualcosa.»
«Non lo nego.»
«E io non ho il diritto di sapere? Questa casa è infestata, Anna!»
«Sì! E poche ore fa, mi hai chiamato pazza, per aver detto la stessa cosa.» Anna le rivolse uno sguardo di sopportazione. «Il mio passato è un’altra storia. Buona per un altro giorno. Non peggioriamo la situazione.»
«Come può andare peggio?»
«Può, credimi. Può.»
La cameriera nascose il viso tra le mani. Gemette, esasperata.
«Oh, Dio aiutami!»
Anna si voltò apertamente, sciolse le braccia e andò a sedersi accanto a Lily. «Mi dispiace. È spaventoso ― lo so. Ma per favore, cerca di stare calma.» Le carezzò i capelli sulla schiena. «Vuoi del tè?» tentò.
«Vorrei poter essere altrove» singhiozzò Lily.
«Buona idea» disse Anna. «Puoi licenziarti. Torna a Broomsfield. Lascia Bon Fleur. Dopotutto, una cosa è certa: dopo questa notte, mia zia manderà l’Ombra contro me ― ammesso che non fosse già nei suoi piani.»
Lily scostò le mani, mostrando i bei lineamenti deformati dall’accoramento. «E chi ti assicura che a Broomfield sarò al sicuro? Chi ti assicura che non manderà quel mostro contro di me, come ha fatto con Mary? Io non voglio morire!»
Anna agguantò le mani di Lily. Le strinse, forte. «No. Lily, no 
tu non morirai!» E cercò l’umido sguardo di Lily con il proprio: energico al limite del rabbioso. «E nemmeno io. Perché farò finire questo incubo. Mia zia, e quel maledetto scrittore, la pagheranno. Hanno distrutto una famiglia. Hanno ucciso persone innocenti. Alice, i bambini, Mary, mio zio... meritano giustizia. E l’avranno.»
«Ma non puoi portarli in tribunale! Non hanno creduto ad Alice Mallory e non crederanno a te!»
«Leggi e tribunali non hanno spazio in questa faccenda. L’unica che può - che deve - agire sono io.»
«L’unica? Tu? Perché?»
«Te l’ho detto: perché devo. È un mio dovere. È una mia responsabilità. E perché...» Anna prese fiato - e insieme al fato, il coraggio di confessare: «Perché, anche se l’ho accettato soltanto in questi ultimi giorni, fuggire e fingere di non vedere... non è una soluzione. Mai.»
«Io non capisco.»
«No. Ma quando saremo al sicuro, allora capirai.»
Lily guardò le pareti spoglie e il basso soffitto della stanzetta, nell’ammirevole tentativo di non crollare.
«Ma che puoi fare tu contro quella creatura?»
«Posso toglierla alle grinfie di mia zia, tanto per cominciare. 
Ti ho detto che per mantenere il controllo di un’Ombra è necessario possedere un oggetto che, in vita, fu importante per quell’anima  ricordi?»
Lily annuì.
«È anche un lasciapassare per il mondo dei vivi. Troverò l’oggetto e lo distruggerò. E l’Ombra sarà costretta a tornare nel mondo a cui appartiene.»
Lily rimase in silenzio.
«Per adesso invece» continuò Anna, «restiamo vicino alle luce e aspettiamo il giorno. Domani mattina, porterò io la colazione a mia zia e, prima di svegliarla, rimetterò la chiave al suo posto.»
«No» la interruppe Lily. Tirò su con il naso. Asciugò le guance con il dorso della mano. «Io porterò la colazione. E rimetterò la chiave al suo posto. Io resto. Qui. Con te.» Le tremava la voce, ma continuò imperterrita: «Te l’ho promesso: avrai sempre me. Sempre.»
Anna, a corto di parole, curvò la bocca in un sorriso dolente e appoggiò la fronte a quella di Lily.
Con l’avanzare della notte, mentre il vento spegneva la voce, Lily cadde in una sorta di stremata apatia. Si raggomitolò sotto le coperte e Anna le stette accanto: seduta sul letto, intenta a rimirare il chiarore di lampada e candele. Faticava ad attendere il giorno, era in febbricitante bisogno di azione e, a un certo punto, chiese a Lily se avesse qualcosa per scrivere.
Lily si levò a sedere e aprì l’unico cassetto del traballante comodino dalle gambe secche. Ne cavò fuori un lapis e della carta per corrispondenza di rozza fattura.
Anna scrisse: ‘perdono’, ‘morte’, ‘madre’ e, infine, la sequenza di numeri e lettere. Ormai le era chiaro che anche il secondo segno fosse una lettera; se aveva confuso la T con il numero sette era per via del pessimo stato dell’incisione sul pavimento.
Restava l’enigma del significato.
Anna fissava il foglio. E rifletteva. Rifletteva e fissava. Fissava e rifletteva. Non badò a Lily, che si rigirava nel letto e allungava uno sguardo verso di lei. Dopo una  manciata di secondi, Lily sfilò il foglio dalle dita di Anna e aggiunse dei segni alla sequenza.

DT - 32 : 35

«Due lettere e due coppie di numeri.» Strascicava le parole per la spossatezza. «Possono indicare i versetti della Bibbia.»
«Davvero?»
«Non ti offendere: ma ho sempre sospettato che tu non sia andata spesso in chiesa.»
«Nessuna offesa.»
«Sei almeno battezzata?»
«Sì. Fu una delle poche cose su cui mio padre riuscì ad averla vinta. Diceva che mi avrebbe reso la vita più facile.» Sospirò. «Non divaghiamo. Dimmi del versetto.»
Lily si allungò di nuovo verso il comodino e, questa volta, tirò fuori un libriccino dalla copertina rossastra: una piccola Bibbia. «‘DT’ potrebbe indicare il libro del Deuteronomio, nell’Antico Testamento.» Sfogliò le pagine. «Trentadue: il Cantico di Mosè. Versetto trentacinque: eccolo.»
«Che cosa dice?»
«Mia sarà la vendetta e il castigo, quando vacillerà il loro piede. Vicino è il giorno della loro rovina e il loro destino si affretta a venire.»














   
 
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