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Autore: SamuelCostaRica    26/11/2016    0 recensioni
Un nuovo mondo.
Antichi nemici.
Ma il mondo è davvero nuovo e i nemici sono davvero antichi o è il contrario?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
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All’interno il pullman era buio, anche se dai finestrini, senza vetro, si vedeva una luce abbagliante che lo avvolgeva.
Lei era accovacciata, di fianco alla paratia metallica di protezione al guidatore, con la schiena appoggiata al cruscotto del pullman.
Era pensierosa.
Aveva i capelli rossi, lunghi, arruffati, raccolti in una coda a treccia.
Il viso era ovale, zigomi non troppo sporgenti, labbra carnose: gli occhi erano nascosti da degli occhiali militari a doppia lente separata, con una cinghia elastica che gli tenevano ben aderenti al viso.
Da sotto gli occhiali spuntava il naso adunco, unico difetto di quel grazioso viso, lasciato di qualche suo antico parente scozzese: d'altronde, una che si chiamava Kirsty MacRae non poteva che non avere tali origini.
La tuta militare nascondeva un corpo graziato, ma ben strutturato e muscolo, con il giubbetto antiproiettile che non nascondeva del tutto il suo seno prosperoso.
La mano sinistra era appoggiata al fucile mitragliatore che teneva con il calcio appoggiato al pavimento del pullman con la canna rivolata verso l’alto, la sicura tolta, il selettore sul fuoco rapido e un caricatore inserito, con un altro, con l’ingresso dei proiettili verso il basso, legato al primo con del nastro adesivo per cavi elettrici grigio.
Sulla tuta erano riportati i gradi di colonnello dell’aereonautica militare, anche se lei non aveva mai volato su un aereo.
Il pullman viaggiava a folle velocità su quel terreno sconnesso, sollevando, dietro a se, enormi nuvole di polvere.
L’autista del pullman, un certo Gray Gronners, teneva gli occhi puntati davanti a sé.
Aveva i capelli corti, quasi rasati, e portava occhiali militari a una sola lente, scuri.
Il viso rotondo era seminascosto da una sciarpa con un disegno a scacchi che gli copriva parte del viso, per proteggerlo dalla polvere che passava dalla feritoia della piastra metallica messa davanti a lui, per proteggerlo da eventuali proiettili sparati contro di lui.
Indossava una maglietta a maniche corte nere, da cui uscivano delle braccia da culturista.
Indossava anche pantaloni di una tuta militare e stivali militari, neri, con lacci da scarpe marroni.
Teneva saldamente il volante, guardando ogni tanto dalla feritoia posta sulla piastra alla sua sinistra, per vedere chi lo stava seguendo da quel poco che era rimasto dello specchietto retrovisore, e poi a destra, per vedere se il colonnello era ancora lì, con quella faccia impietrita che aveva da quando l’aveva conosciuta.
Il colonnello guardava l’interno del pullman, guardando ma non vedendo i suoi occupanti.
Erano una parte militari ed alcuni civili, uomini e donne, pronti a tutto pur di salvare la pelle.
Dietro all’autista si era posizionata il sergente addetto alle telecomunicazioni Mary Houng, un tipo minuto, che quando non indossava le lenti a contatto aveva un paio di occhiali da nerd.
E in effetti lo era: una vera nerd, una a cui i computer non potevano dire di no.
Era finita lì perché era entrata in un computer di un qualche laboratorio segreto e i militari, come al solito, le avevano proposto due soluzione: o la prigione a vita o diventare un militare.
Certo, un po’ di disciplina le avrebbe fatto bene e messa a posto la testa, ma lì la disciplina serviva poco.
Davanti a sé aveva una apparecchiatura elettronica, larga circa novanta centimetri, profonda quarantacinque e alta altrettanto, da cui fuoriusciva, sulla parte destra, un monitor piatto, mentre il resto del piano era occupato da una tastiera da computer, una mouse a rotella e vari pulsanti ed indicatori elettronici.
Seguiva con gli occhi, nascosti dietro a degli occhiali militari a una sola lente, chiari, i numeri che il monitor sputava e gli indicatori elettronici.
Una luce rossa illuminava la parte sinistra dell’apparecchio, con di fianco una luce verde che non voleva saperne di accendersi.
Aveva la bocca protetta da una mascherina antipolvere metallica con filtri sostituibili.
La sua tuta militare era di un colore unico, forse kaki, alquanto sgualcita e con alcune bruciature sulla gamba destra.
Non portava guanti, per poter usare liberamente la tastiera.
Oltre a quella apparecchiatura, alla sua destra, ben protetta da una cassaforte senza portello, appoggiata a terra, vi era una radio satellitare.
Sul fondo del pullman, davanti alla fossa in cui vi erano i due motori a scoppio che spingevano il pullman a tutta velocità, senza il cofano di copertura dall’abitacolo, vi era un omino piccolo, pelato, magrolino, a cui nessuno avrebbe dato un centesimo per la sua vita.
Si chiamava Julius Fronteau ed era seduto sul bordo del vano motore e controllava il funzionamento dei due mostri, con le turbine che fischiavano più di un locomotore a vapore e i cui pistoni urlavano il loro dolore, spinti al massimo su quel terreno accidentato, con gli ammortizzatori degli assali che non riuscivano ad attutire le vibrazioni e i supporti dei motori pronti a rompersi da un momento all’altro, con la gomma quasi sfatta.
Il pullman aveva un carrozzeria anni ’50, con una parte di essa sopraelevata.
Nella parte superiore, da cui si accedeva da una scala posta a destra dell’addetta alle comunicazioni, vi era un buon numero di uomini, tutte con la tuta militare di colore blu, elmetti del medesimo colore, giubbotti antiproiettile e varie armi, dai fucili mitragliatori ai fucili a pompa ai lanciagranate, più varie granate e bombe a mano.
Erano in venti, tutti seduti sul fondo del pianale rialzato, con l’orecchio teso alla auricolare della radio portatile, pronti a sentire le informazioni date dal loro comandante.
Il comandante si chiamava Frazer, solo ed esclusivamente Frazer: a nessuno era dato di sapere il suo nome.
Era un tipo brusco, con i lineamenti del volto squadrati, una mascella da vero duro, occhi neri, naso aquilino, capelli corti, con taglio di capelli alla marines.
Il caldo di sopra era soffocante e fastidioso, come lo era il rumore dell’aria che entrava dai finestrini rotti e il fracasso dei motori spinti al massimo.
All’improvviso una luce si accese sul cruscotto dell’autista.
Gronnes, dopo un primo momento di sgomento, premette il pulsante della sua radio
«Fronteau! Fronteau!… » Urlò nella radio, facendo sobbalzare tutti.
«Cosa vuoi?» Rispose Frontenau, senza distogliere gli occhi dai motori, cercando di sovrastare il loro rumore.
«Si è accesa la luce della riserva del carburante!» Rispose Gronnes, tutto preoccupante, grondante di sudore più per la paura che il pullman si fermasse che per il caldo insopportabile.
Fronteau grugnì qualcosa alla radio, si alzò e si diresse verso una delle botole poste sul pavimento del pullman, la alzò e si infilò dentro, con la testa, fino alla cinta.
Dopo poco i motori tossicchiarono e poi ripresero il loro rumore assordante.
Fronteau si alzò, chiuse la botola e trotterellando si avvicinò al Colonnello.
La donna al momento non gli diede retta, ma l’uomo la risvegliò dal suo torpore scuotendola con la mano sinistra sulla spalla destra di lei.
Lei lo guardò in faccia, con fare interrogativo.
«Non è il caso che Gronnes urli alla radio per una stupida spia! Abbiamo gasolio per parecchi kilometri ancora!» Gridò alla radio, sovrastando il rumore all’interno del mezzo e facendosi sentire da tutti.
«Ormai non dovremmo essere lontani da…»
La frase del colonnello fu interrotta a metà da un urlo proveniente da uno degli uomini del piano di sopra.
«Colonna di polvere all’orizzonte! Qualcuno ci segue!»
Il Colonnello si alzò e si guardò intorno.
Per prima cosa prese atto della posizione degli altri due pullman che li seguivano, uno allo loro destra ed uno alla loro sinistra, leggermente arretrati rispetto a loro.
A bordo di quei veicoli vi erano solo uomini ben armati: avrebbero dovuto difendere a tutti i costi il pullman del Colonnello con sopra gli scienziati.
Il Colonnello contatto il primo pullman.
«Maggiore Truman! Maggiore Truman! Cosa vedete dietro di noi?»
La concitazione salì sul pullman e i passeggeri e i militari si alzarono a sufficienza per sporgere le teste dai finestrini e cercare di vedere quello che succedeva fuori.
La polvere alzata dai pullman copriva la visuale ed era impossibile vedere dietro a loro.
Il Maggiore Truman non rispose e allora il colonnello salì al piano di sopra e con il Capitano Frazer, con in mano i lori binocoli, cercavano di vedere qualcosa che li seguiva.
All’improvviso la radio gracidò.
«Qui Maggiore Truman! Qui Maggiore Truman! Vedo una colonna di fumo, a circa ore sette! Si, ore sette! Polvere di almeno altri tre mezzi! Dietro vede dell’altra polvere, forse alzata da altri mezzi, sicuramente più pesanti, ma non si vedono! Sono bassi rispetto all’orizzonte!»
«Dannazione!» Disse il colonnello, abbassando il volto e passando le labbra sulla manica della tuta.
Si inginocchio di fianco al Capitano.
«Non ho idea di quando saremo al punto di contatto! Speriamo di non dover combattere ancora! Non potremmo respingere un altro attacco!» Disse il Colonnello, guardando il Capitano, il cui volto era diventato ancora più duro di prima.
«Lei si preoccupi di arrivare là dove siamo diretti, al resto ci pensiamo io e i miei uomini!»
La voce di Houng alla radio raggiunse tutti.
«Colonnello! Colonnello! Quelli che ci seguono hanno anche loro un ricevitore! Usano un’altra frequenza! Lo hanno appena messo in funzione! Però non posso dirle se sono amici o nemici! ...»
«A tutti, ripeto a tutti! Parla il Colonnello! Niente comunicazioni radio, se non indispensabili! Niente comunicazioni radio!» Le ultime parole furono ben scandite dal Colonnello alla radio, affinché tutti capissero bene l’ordine e tutto quello che esso significava.
Il Colonnello scese da basso e si avvicinò a Houng.
Guardarono tutte e due il macchinario, silenzioso, che continuava a visualizzare numeri incomprensibili e uno degli indicatori si muoveva in modo anomalo.
Houng indicò, con il dito medio della mano sinistra, quella anomalia.
All’improvviso un cicalino suono dentro la macchina e la luce rossa si spense e, dopo un po’, quella verde si accese.
Sul monitor apparve una pianta, che indicava a circa cinquanta kilometri un bunker.
Il Colonnello afferrò il bottone della radio e chiamò l’autista.
«Gronnes! Gronnes! Svolta a destra per quindici gradi! Quindici gradi! Gira adagio, non diamo ai nostri inseguitori indicazioni di dove stiamo andando!» Lasciò il pulsante e parlò con Houng. «Tra quanto ci raggiungeranno?»
«Quelli dietro di noi non ci raggiungeranno mai, vanno più lenti! Quegli altri… non so!» Disse Houng, scuotendo la testa.
Il Colonnello si alzò in piedi e si avvicinò all’autista, cercando di vedere dove erano diretti.
Il pullman del Colonnello e gli altri due continuavano nella loro folle corsa.
Le modifiche effettuate ai motori da Fronteau erano state efficaci e i mezzi si erano dimostrati all’altezza della situazione.
Erano di una compagnia di viaggio chiamata “Greyhound” (il levriero), molto famosa in quella parte del pianeta.
Il Colonnello prese in mano il binocolo e incominciò a cercare davanti a sé il bunker.
Il pullman viaggiava a centocinquanta kilometri orari su quella distesa, per cui il bunker si sarebbe dovuto vedere in meno di venti minuti.
Il Colonnello controllò l’orologio, ma il tempo sembrava non passare mai.
Poi, all’improvviso, una installazione militare si presentò di fronte a loro, leggermente spostata sulla loro destra.
Il Colonnello diede una botta sulla spalla destra di Gronnes e gli indicò la costruzione.
Gronness girò lentamente il volante, posizionando il mezzo verso quella che sembrava una apertura nell’edificio.
Tutti si alzarono in piedi e guardavano il bunker avvicinarsi.
Il Colonnello voltò per un attimo il volto per vedere dietro a sé, per controllare la posizione degli altri due pullman e vide tutti i suoi uomini in piedi.
«Tutti a terra!» Urlò inferocita.
Tutti si inginocchiarono e tacquero.
Lei si rivolse verso il bunker, che si stava avvicinando sempre di più.
Houng si avvicinò, a carponi, tirandoli i pantaloni.
Il Colonello abbassò il volto.
«Anche gli altri hanno il codice verde!» Disse Houng, urlando.
Il Colonnello rispose scuotendo la testa in modo affermativo.
Il bunker si avvicinava sempre più e le sue dimensioni diventavano impressionanti.
Solo nell’ingresso i tre pullman sarebbero entrati così, come erano in formazione, lasciando abbastanza spazio di manovra e di sicurezza verso i muri perimetrali dell’imboccatura.
All’esterno nessuna luce dava indicazioni sul fatto che il manufatto fosse o no in funzione e fosse o no occupato da umani o umanoidi.
Il nero che si nascondeva dietro il portone di ingresso faceva abbastanza paura da far alzare il piede dall’acceleratore da Gronnes.
Il Colonnello gli diede una scoppola dietro alla nuca e Gronnes, lamentandosi, rischiacciò il pedale fino in fondo.
I pullman iniziarono a rallentare prima di imboccare il portone, frenando improvvisamente dopo l’ingresso.
L’interno si illuminò di colpo, rischiarandolo a giorno.
Il  Colonnello scese e diede subito ordini.
«Mette i pullman davanti all’ingresso, ma lasciate abbastanza spazio per far passare chi ha un pass dal sistema! Svelti! Capitano, i suoi uomini dietro ai mezzi, non sopra! Svelti! Svelti! Hougan, scarica i tuoi materiali! Metttee al riparo gli scienziati!»
Hougan scarico il materiale con l’aiuto di un’altra donna scienziato, mentre alcuni uomini del Maggiore Truman cercavo un posto dove mettere al riparo gli scienziati.
Quando tutto fu pronto, il Colonnello andò da Hougan.
Non servirono domande da parte sua.
«Sono a circa quindici minuti da qui! Arrivano a centoquaranta kilometri orari. Il sistema continua a dargli il benestare! Quelli che li inseguono stanno rallentando! Sembra che il sistema li abbia riconosciuti come nemici e li sta ostacolando! Non mi chieda come, Colonnello, ma li sta facendo rallentare!»
Il Colonnello si tolse gli occhiali e i suoi occhi azzurri apparvero in tutto il loro splendore.
«Tenente Closser. Prenda due uomini e faccia un giro di ispezione. Si ricordi che non conosciamo il posto. Solo una perlustrazione e mi informi immediatamente di ogni novità. E si ricordi che le radio prendono anche sotto terra, per cui qualcuno potrebbe intercettare le nostre comunicazioni. Per cui siate brevi e precisi.»
Il Tenente Closser, un tipo basso, muscoloso, tutto d’un pezzo, saluto il Colonnello, prese due uomini e si inoltrò nel bunker.
Il Capitano Frazen non era molto contento: Closser era solo un marines, neanche tanto in gamba, non uno dei corpi speciali e di sicuro avrebbe fatto un casino trovando qualcosa fuori posto.
Ma il Colonnello sapeva che Closser faceva il rigido solo per la forma: in realtà era un uomo dei servizi segreti, addestrato per anni da gente che uccideva un uomo con un dito solo e di certo una qualsiasi “anomalia” non lo avrebbe messo in difficoltà.
Ma al momento quella cosa non la interessava.
I pullman del secondo gruppo erano ormai prossimi al varco.
Il Colonnello cercò dove erano i sistemi di chiusura del portone e li vide, lì a mezz’aria, sul muro di confine con il portone.
Appena i pullman entrarono, frenarono svoltando a destra, incanalandosi nello spazio lasciato libero dai primi pullman.
I due gruppi di militari si fronteggiarono, armi alla mano, pronti a sparare.
«Fermi! Fermi! Grifon! Grifon! Non sparate, lo conosco io!»
Il Colonnello corse incontro ad un uomo emaciato, alto più di due metri, con una tuta da militare a brandelli, che sosteneva a mala pena un mitragliatore.
I suoi uomini erano più o meno nelle sue stesse condizioni e i civili che erano con loro, più numerosi di quelli portati dal Colonnello, caddero sul pavimento dell’ingresso esausti.
«Frazen, chiudete il portone! Presto!»
Frazen corse ai pulsanti e schiacciò quello rosso.
L’enorme portone in cemento prima si mosse verso l’interno poi, scorrendo su delle guide, poste sia a terra che a soffitto, scricchiolando, con un rumore di motori che li trascinavano.
Quando le due parti furono a contatto, il portone scivolò verso l’esterno e chiuse perfettamente l’ingresso, da cui non entrò più la luce esterna.
Improvvisamente l’aria dell’ingresso da pesante e irrespirabile divenne fresca e leggera.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, mentre il Colonnello e il nuovo arrivato se la ridevano, abbracciandosi per terra.
«MacRae che ci fai qui?»
«E tu, Griffon, da che buco dell’inferno sei uscito?»
I due furono distolti dai loro convenevoli dal Tenente Closser, che giunse urlando.
«Colonnello! Colonnello! Di qua, svelta! Abbiamo trovato una sala comando!»
«Sì! Calma! Non così! Frazen, i mezzi! Disponeteli davanti all’ingresso: due davanti e quattro dietro! Fate un muro! Se dovessero sfondare il portone, troveranno una barriera!» Il Colonnello non perse la calma e prima di muoversi dall’ingresso voleva essere sicuro che si sarebbero salvati.
Mentre spostavano i mezzi e scaricavano i materiali e le armi, gli uomini in forza aiutarono gli altri, sfiancati da un viaggio lungo e irreale.
Dopo aver fatto la barriera, aiutandosi gli uni con gli altri, trascinando il materiale e le armi stoccate in enormi cassoni, seguirono il Tenente Closser.
Le grida di dolore si mischiavano agli incitamenti a camminare verso un posto più sicuro.
Quello che il Tenente Closser aveva chiamato “una sala comando” non dava l’esatta idea del posto.
Per accedere alla sala si doveva scendere una rampa da garage larga almeno dieci metri e ruvida, che di certo avrebbe aiutato e permesso a qualsiasi mezzo di scendere o salire dai piani più bassi.
A circa cinquanta metri dall’ingresso vi era un paratia stagna, che consentiva l’accesso ad una sala a chiocciola larga, con la singola rampa di scala larga almeno due metri.
Tutti guardavano quel luogo enorme stupidi.
Uno degli scienziati, uno anziano, piccolo, con i lineamenti tipicamente orientali, non sembrava così stupefatto.
Quando scesero le scale e si trovarono davanti all’altra paratia che immetteva alla sala comando, l’uomo passò davanti a tutti, facendosi spazio a spintoni e fermò tutti sulla porta.
«Ssssst!» Disse, mettendo il dito medio della mano sinistra sulla sua bocca.
La luce all’interno riempiva l’ingresso.
L’uomo entrò e guardò dentro, dove i due uomini mandati in perlustrazione si guardavano intorno, senza capire cosa stesse succedendo.
Su dei monitor appesi alle pareti comparivano i volti dei due uomini e del Tenente Closser, con i loro nomi, gradi, codici di riconoscimento e altro non ben definito.
Quando l’uomo entrò, i video inserirono il suo volto, con il suo nome e altri dati.
«E’ un computer quantico! Legge la mente! Non vi preoccupate e non allarmatevi! Andrà tutto bene!»
L’uomo entrò seguito dal Colonnello, preoccupato che il computer svelasse la sua vera identità.
Ma il computer quantico sembrò comprendere i timori del Colonnello e, quando la scansionò, iniziò con una M, per poi modificarla con una C.
Il suo nome e grado apparvero esattamente come lei voleva.
Per cui il computer quantico non solo poteva fare, ma poteva anche interagire con chi fosse stato presente nella stanza.
Il Colonello ebbe un attimo di panico, sperando che gli altri non se ne accorgessero.
La sala comando, quanto tutti furono entrati, autonomamente accese tutte le luci, facendo scoprire una locale lungo più di cinquanta metri, largo trenta e alto circa dieci metri.
All’improvviso, una voce uscì da alcuni altoparlanti, modulando la voce in modo buffo.
«Benvenuto Colonnello Kristy MacRae! A lei e a tutti i suoi servitori!»
«Arretrato!» Disse il Capitano Frazen.
Il Colonnello, ridendo tra se e se, disse:
«Non sono miei servitori, ma miei aiutanti! Che non è la stessa cosa! Ma tu, come ti chiami, visto che sai tutti i nostri nomi! Ah, un’altra cosa: se puoi leggerci nella mente, puoi anche parlarci con tale sistema?»
In meno di un secondo, tutti sentirono, nella loro mente, una voce suadente che parlava.
«Se è così che preferisci che io ti parli, lo farò! E scusate per il termine, ma i miei costruttori avevano un gerarchia piuttosto rigida! Io mi chiamo Omnia! Per quanto riguarda tutto quello che volete sapere, al momento non mi sembra il caso! Chi vi seguiva è stato rallentato ma non fermato! Sul monitor principale potete vedere chi sono i vostri inseguitori!»
Sul monitor più grande, posto alla sinistra della paratia di ingresso, si vedeva chiaramente più mezzi, di forma strana, che rimanevano sospesi dal terreno e correvano verso l’ingresso del bunker, rallentati da una strana forza che li rallentava.
«Sono stati nemici per secoli dei miei costruttori, e non sono mai riusciti a sconfiggerli. Poi i miei costruttori se ne sono andati, con la speranza di poter tornare, ma non li ho più rivisti.»
«Omnia, hai una immagine dei tuoi costruttori?» Chiese ad alta voce il Colonnello.
Su un tavolo apparve un ologramma, ad altezza naturale.
«Ti assomiglia molto, Colonnello!» Disse la voce nella mente di tutti.
“Un po’ troppo!” Pensò il colonnello.
Una copia: era un fedele copia del Colonnello, solo con vestiti più succinti.
Una risatina corse sui volti di tutti gli uomini presenti, squadrati dal Colonnello.
«Scusa, non volevo, ma questi sono i vestiti che usavano i miei costruttori e aver trovato nel database una che ti assomiglia mi sembrava una cosa carina.»
«Omnia, direi di tenere a bada il tuo database fino a che non ci avremo capito qualcosa in quello che sta succedendo! E ora facci capire come distruggere quelli, senza provocare ulteriori danni al pianeta. Cosa sai di quei esseri? E non perdere tempo con classificazioni inutili! I più stretti termici scientifici!» Sbottò il Colonnello.
«Sì. Sono degli esseri come voi, con una base di silicio anziché di carbonio. Hanno armi avanzate per voi, ma che i miei costruttori erano riusciti a riprodurre e usarli contro di loro. Ma il perché i miei costruttori se ne sono andati, io non lo so.»
«Sì, ma per distruggerli senza fare ulteriori danni?» Insistette il Colonnello, spazientita.
«Le loro armi possono essere usate contro di loro, ma sono, in effetti, parecchio distruttive.» La voce di Omnia sembrava dispiaciuta di ciò.
Il Colonnello guardò gli scienziati, che avevano ancora la bocca aperta per tale meraviglia.
No, così non andava.
Non voleva essere una dura con gli scienziati, ma non aveva scelta.
«Allora, signori! Gli scienziati seguiranno le indicazioni di Omnia per vedere di migliorare le armi e provocare meno danni possibili! I militari verranno con me e vedremo come sono quelli armi e impareremo ad usarle! E vediamo di fermare quei maledetti!»
Omnia diede indicazioni agli scienziati di dove trovare i dati nel suo database, mentre il Colonello e gli altri ripreso la scala e continuarono a seguire la rampa in discesa.
Dopo aver seguito la rampa in discesa per dieci minuti, un enorme portone si aprì d’innanzi a loro, immettendoli in un enorme garage, dove facevano bella mostra di sé parecchi veicoli, di notevoli dimensioni.
«No, non ci siamo. Come è possibile che per distruggere quegli esseri ci vogliono armi così enormi. Dopotutto sono simili a noi, perché tutto questo?»
La domanda del Colonello era più che appropriata e il tenete Closser tentò una spiegazione.
«Sono dotati di esoscheletri che resistono a qualsiasi nostra arma, tranne che a queste.»
Il Maggiore Frazen guardò il Colonello e il Tenente, ben comprendendo che gli stessero nascondendo qualcosa.
«Colonello! Ben comprendendo che io non sono un fulmine di guerra e che non sono così alto in rango come lei, ma potrei sapere esattamente cosa ci facciamo qui? Non una spiegazione generica, una veritiera!»
Il Colonello guardò il Tenente, poi indicò a tutti di mettersi seduti di fronte a lei.
«Tutto iniziò quando posizionammo nello spazio la nostra base Cartagena nello spazio.»

 

 

 

 

 

   
 
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