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Autore: kuutamo    27/11/2016    0 recensioni
" My computer thinks I'm gay, I threw that piece of junk away - hai veramente scritto questa canzone a Parigi? " chiese, indirizzandosi a Brian.
Eccola, la domanda dell'anno: e non perché fosse effettivamente una buona domanda ma perché era sempre la solita che tutti finivano per chiedere, all'inizio o alla fine.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brian Molko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cosa può mai succedere di così terribile alle persone per farle diventare estranee a se stesse? Quando avviene quel cambiamento per il quale il nero diventa bianco e il bianco diventa nero? L'uomo non conosce queste risposte; si ritrova direttamente alla fine del percorso, con la puntina che ormai batte senza sosta su un punto morto dove non c'è più traccia registrata, prosciugato dagli eventi e da tutto quello che ha donato, con le mani in mano chiedendosi cos'è successo, dove sia andato davvero il tempo. E perché la vita sia così amara, a volte.

 

                                                                                                                   30.09.13

' Nonostante avessi prenotato in prima classe, su questo aereo c'è un ronzio insopportabile. So già che non chiuderò occhio e arriverò consunto fino all'ultimo momento ' pensò Brian, chinando il capo all'indietro per trovare un po'  di comfort e staccare il cervello per il tempo che lo separava all'atterraggio. Aveva gli occhiali da sole calati sugli occhi, nonostante le poche luci fioche rimaste accese, un'aria molto stanca nonostante fosse soltanto all'inizio del tour promozionale per il suo nuovo album, e il solito sguardo ormai pensieroso e da adulto.

Essere adulti comporta delle responsabilità, responsabilità che non puoi buttare via dalla finestra quando un bel giorno ti alzi con la luna storta, come spesso gli accadeva. Con gli anni aveva imparato anche a mettere da parte i suoi capricci, o meglio a metterli da parte rispetto ad altre cose. Una di queste era Cody, la cosa più bella che gli fosse capitata, ma anche la più impegnativa. Anche se era passata l'età critica, ogni giorno era aperto ad imparare cose nuove: si diceva che poteva farcela, e che infondo educare un figlio era un po' come scrivere il proprio pensiero in una canzone ed entrambe le cose richiedevano del coraggio. Inizialmente non sapeva se ce la avrebbe fatta. Ma poi Brian si disse che infondo doveva soltanto essere se stesso, educare un altro essere vivente alla vita significava insegnargli ad essere libero, renderlo libero. Ciò che cercava di urlare al mondo da tutta una vita.

 

 

Solo mezz'ora prima, una donna si era seduta qualche sedile avanti a lui, nella fila affianco. L'aveva notata distrattamente mentre si sistemava al suo posto e prendeva il suo ipod riposto nello zaino. Ora nella noia, stava esaminando i suoi capelli che sfuggivano al cuscinetto della poltrona della fila centrale: erano neri e molto lunghi, ma avevano proprio bisogno di essere tagliati, pensò. Era sempre stato affascinato dai dettagli delle persone, e uno di questi erano i capelli, ma solo quelli la cui forma e colore gli aggradavano. Era una di quelle cose maniacali di lui che solo poche persone conoscevano, una delle tante stranezze che probabilmente aveva. 

Mentre Brian era perso nei suoi pensieri, la donna voltò il corpo verso il suo lato, svelando i lineamenti sottolineati dalla visuale che si disegnava dagli zigomi. Dal suo grembo cadde qualcosa e immediatamente tonfò sonoramente sulla moquette del corridoio. 

'Heartsick' lesse mimandolo con le labbra sottovoce e sporgendo la testa di lato per vedere meglio. 'Déprimé' disse subito tra sé e sé : a volte gli capitava di associare le parole al loro corrispettivo in francese, ma non era perché non riuscisse a capirne bene il significato, quanto più il fatto che amava il suono che le parole producevano risuonando nella sua testa.

Si alzò leggermente per chinarsi e raccogliere il libro. 

" Mi scusi? " disse . 

Vedendo che la donna non rispondeva, allora le picchiettò il braccio e dopo qualche secondo si destò.

" Mi scusi, le è appena caduto questo " ripeté,  porgendole il libro dalla copertina rossa.

" Oh, grazie mille. Sono molto sbadata "

" Si figuri, succede "

Brian accennò un sorriso e con questo si congedò, tornando al suo schienale.

 

 

Dai suoi occhiali scuri non era possibile notarlo, ma nonostante la posizione che aveva assunto non aveva gli occhi chiusi. Stava guardando il soffitto sopra di lui e stava già pensando al momento in cui sarebbe tornato a casa. Nonostante l'amore e la passione che metteva nel suo lavoro, questa parte la odiava. Odiava andare in giro a farsi esaminare come se fosse un animale da osservare accuratamente dai vetri di uno zoo. Per fortuna però la maggior parte delle domande che gli ponevano erano tranquille, molte insulse, ma la cosa che lo faceva rilassare e prendere tutto con una certa filosofia era che erano pressapoco le stesse, solite e noiose. E poi doveva promuovere il nuovo disco, far capire di cosa si trattava o almeno provarci. C'erano voluti degli anni per completarlo, era stato scritto a pezzi, e lui aveva vissuto con la paura costante che qualcosa si perdesse per strada. Sperava che il mood e l'anima dell'album fosse trasparente. Il problema di spezzare il lavoro e far passare del tempo tra un intervallo e un altro è che inevitabilmente si perde lo stato mentale in cui si è, e la cosa difficile era stata non lasciare andare le sensazioni. È probabilmente questo uno dei motivi per i cui aveva provato a scrivere qualcosa in maniera diversa per non lasciare che i pensieri gli sfuggissero come il vento, ma presto si era reso conto di come non potesse farcela da solo. Il ritratto della sua esistenza. Ciò che si era venuto a creare era qualcosa che si discostava totalmente dai Placebo, e i Placebo erano Brian. Brian era i Placebo. Sotto un punto di vista più intrinseco e complesso: Stefan e Brian rappresentavano la spina dorsale che come un collante teneva insieme il tutto, erano sempre stati loro, gli artefici. Di conseguenza, la musica creata insieme era così appropriata alla loro essenza che loro stessi erano la band, formata da tessuti viventi che i due tenevano in vita senza alcuno sforzo. Ed era la cosa più naturale del mondo, come se fosse un prolungamento di loro stessi. Senza Stefan, senza i Placebo, Brian era sempre Brian, ma si sentiva un uomo incompleto. Quindi continuava a dire alla gente che aveva lasciato perdere il progetto per via della batteria o il piano che non riusciva  a suonare molto bene. Tutti etichettavano quel patetico tentativo come un progetto solista ma in realtà era stato solo il suo modo di vedere cosa rimaneva di lui senza la band. Il risultato era stato una composizione più confusionale e complessa del solito, da cui nacquero alcune canzoni come Hold on to me e Rob the Bank, inserite poi nel seguente album imminente.  

Ora, seduto su quella comoda poltrona, si guardava indietro ed esaminava se stesso come spesso faceva. Tutte le decisioni giuste e sbagliate che aveva preso. Non si curava di come appariva alle persone in generale, ma di cosa emergesse di lui ai suoi occhi. L'autoanalisi, più o meno profonda, era sempre stata un modo per riuscire a districare i suoi comportamenti e cercare di capire se stesso. Si diceva che farlo, probabilmente, lo aveva aiutato nel corso degli anni a migliorarsi nella scrittura, in cui si sentiva con un po' più di esperienza e padronanza a volte. Il processo creativo era sempre complesso e lo era ancor di più riuscire a tradurre correttamente cosa gli passava per la mente. A volte era spaventato a morte, perché non sapeva che cosa dire al mondo, non sapeva se quello che aveva dentro fosse effettivamente la cosa giusta da dire. Non lo sentiva come un compito da compiere ma più come un'espressione che doveva a se stesso, non importa a quale prezzo. Se alla gente non piacevano le sue canzoni non era di certo un suo problema, e non gli importava nemmeno di essere capito. Ciò che era necessario era tirare fuori tutto, e svuotarsi. Cosicché un po' del veleno e del disagio che da sempre facevano parte di lui si sarebbe confuso nell'ossigeno che respirava il mondo. 

 

La donna del libro a volte si voltava verso di lui, ma non riusciva a capire se fosse sveglio o se stesse riposando. 

Quando squillò il cellulare, prontamente lui lo afferrò nella tasca dei jeans e ne sbloccò lo schermo.

 

' Io e Steve siamo arrivati qualche ora fa, ce la fai per tempo o dobbiamo rimandare? 

Stef '

Brian lesse l'sms e iniziò a scrivere la sua risposta.

' Dovrei arrivare in piena notte. Certo che ce la faccio. Ci vediamo domani '

 

I ragazzi erano partiti la sera prima, ma Brian non ce l'aveva fatta ad arrivare in tempo, quindi aveva dovuto prendere il volo successivo che aveva degli orari davvero scomodissimi. 

Diede un'ultima rapida occhiata e poi lo mise via. 

 

" Viaggia per lavoro? " chiese all'improvviso la voce della donna.

Brian si voltò e cercò di essere carino, in fondo quella donna non gli aveva fatto nulla. Anche se quello era uno di quei giorni in cui si era alzato decisamente male.

 

" Cosa glie lo fa pensare? "

" Chi altri viaggia di notte altrimenti? Le persone in vacanza sono molto più rilassate "

" Sa, ha ragione. Sto raggiungendo i miei amici in Italia per lavoro "

" Di cosa si occupa, se posso chiederlo? "

Probabilmente o non aveva riconosciuto Brian o era estranea del tutto ai Placebo. Perché nemmeno la sua voce altisonante e riconoscibile tra mille altre le aveva suggerito nulla. A volte succedeva, e trovava piacevole il fatto di poter parlare ed avere ancora un dialogo con le persone normalmente. Senza nessuna pretesa da soddisfare. Non che si sforzasse. 

" Sono un musicista. E qual'è la sua scusa per viaggiare in questi orari assurdi? "

La donna sorrise con gli occhi, alzando impercettibilmente un sopracciglio. 

" Beh, sto tornando a casa per un po' di tempo. Diciamo che avevo bisogno di staccare tutto e tutti, incluso il mio cellulare. E per guadagnare tempo ho preso l'ultimo aereo "

" Non so come faccia a dormire comunque, vorrei avere la sua stessa capacità "

" In realtà non capita spesso, ma devo aver avuto una specie di crollo fisico "

" L'ho notato - inarcò un angolo della bocca a mò di sorriso - Qualche anno fa ho letto il libro che stava leggendo. Le piace? "

" È avvincente. L'ha deluso? "

" No, per niente. Sappia però che è una serie. Quindi è ancora in tempo per cambiare idea. Personalmente, dopo che lo lessi non ebbi tempo a sufficienza per leggere i successivi. Però mi ha affascinato, per quello che vale. "

" Ruota intorno a questo rapporto malsano che il detective ha con la sua carnefice, una donna che mette i brividi. A volte mi sembra che voglia in tutti i modi farsi ammazzare.. Non capisco cosa lo attiri così tanto verso di lei "

" La sua serial killer preferita è anche la sua droga preferita, più delle medicine da cui trae un mero conforto. Allo stesso tempo è ciò che lo fa stare bene ma anche ciò che lo porterà alla morte. Molto sublime nel concetto, il male necessario e attraente "

" Vedo che s'intende di queste cose. Si vede che le è piaciuto "

" Beh, quando trovo una cosa che vale la pena leggere, non la dimentico facilmente "

" Comunque io sono Julianne, piacere " allungò la mano.

" Brian. Julianne.. Se è italiana, o i suoi genitori hanno la mente molto aperta o sono fan di Springsteen, il che rimanda alla prima opzione "

" In effetti mia madre sembra ancora una fangirl troppo cresciuta. Se la si lascia sola in casa è inevitabile ritrovarla con una spazzola in mano facendo finta di cantare " 

Entrambi risero a quell'immagine che gli si era creata nella mente.

" Tua madre deve essere forte… T'importa se ti do del tu? "

" Assolutamente "

" Quindi la tua famiglia è molto libertine, è un bene sai. "

" Ho imparato a considerarlo un male "

" Che vuoi dire? Tutti avrebbero voluto avere dei genitori come i tuoi, me compreso "

" Quando vivi 24/24 con delle persone che si comportano da ragazzini facendoti sentire irrimediabilmente vecchia già a 20 anni, allora capisci che c'è qualcosa che non va. Dovresti essere tu quella giovane e piena di vita, ma ammetto che la prospettiva di scollarsi di dosso  genitori severi e apprensivi sarebbe stata un'idea allettante anche per me se ne avessi avuti di così rigidi "

" Non sai quanto, credimi " rise.

" E tu come hai fatto? "

" Ti riferisci, a scappare dai miei genitori? Non c'è stato un giorno preciso in cui l'ho deciso, sono sempre stato me stesso. Anche quando mio padre voleva che levassi il trucco per andare a scuola. Sai, lui credeva non fosse appropriato per un uomo truccarsi e so che ci sono molte persone che pensano lo stesso " 

Fece una pausa. Voleva controllare se lei fosse una di queste.

" Oh, tranquillo. Io sono per la libera espressione, non faccio parte di quella categoria "

" Beh, non fa molta differenza insomma, chi se ne frega, giusto? " chiese retoricamente con spavalderia. 

 

" Che genere di musica suoni? Anche se dall'abbigliamento posso immaginare " disse, ma nel suo tono non c'era disdegno o rimprovero.

" Mhm, non saprei catalogarci come in uno scaffale di un negozio, io e la mia band, ma credo che facciamo rock. Sai, chitarre con amplificatori al massimo, sintetizzatori, quella roba lì insomma "

" E ti piace ? "

" Sarei riduttivo e monotono se ti dicessi che è ciò di cui vivo ma essenzialmente è così che stanno le cose "

" È da molto tempo che fai questo per vivere? "

" Da quando ho iniziato a camminare da solo nel mondo, sono passati quasi 20 anni e devo ammettere che a volte mi sento così vecchio.. Insomma, dove cazzo è andato a finire il tempo?"

" Ti capisco… Mi sembra fosse ieri di stare nella mia camera a scrivere storie d'introspezione al limite della sana logica "

" Scrivere è rilassante,  autentico " affermò Brian.

La riflessione restò a mezz'aria e quelle parole risuonarono nell'ambiente che tutto a un tratto si era ammansito. La donna analizzò la veridicità di quell'affermazione e subito le parve di avere come l'impressione che in quello strano, androgino, stanco uomo ci fosse molto più di ciò che le apparenze lasciavano intendere. La superficialità che ostentava non era che un'illusione, un'impressione che voleva dare di sè. Dopotutto, il mondo si basava su questo, prime stupide inutili impressioni. Si riprese dai suoi pensieri, che ogni tanto uscivano come una vocina che provvedeva a mettere i sottotitoli di ciò che pensava inconsciamente. 

Anche Brian stava riflettendo su ciò che aveva detto. Quello era il suo modo di stare al mondo, che si trattasse di fare a pugni o d'amare.

 

" Allora, se sei cresciuta in una famiglia così aperta alla musica, devi avere una formazione piuttosto classica, suppongo che ascolterai Led Zeppelin e tutta quella roba lì "

Julianne scostò gli occhi dirigendoli verso il basso.

" Non esattamente " 

" Non dirmi che ti piace la musica classica, con tutto il rispetto non sembri il tipo " disse con un espressione sorpresa.

" No " disse con un sorriso mesto. Quando riportò gli occhi verso l'alto, in una posizione più adatta per essere studiati dal suo interlocutore, espirò.

" Diciamo che non ascolto musica, in effetti "

Brian rimase sbigottito, interdetto. Subito la sua mente elaborò che prima o poi a questo punto la conversazione sarebbe terminata, o almeno così i fatti lasciavano supporre la cosa. 

" Perché? "

" Non mi piace "

Rimase ancora più sbigottito. ' Non potrei mai passare più di qualche ora con qualcuno così ' pensò senza volerlo.

" Davvero? Mi sono sempre domandato come sia possibile, ma immagino avrai le tue buone ragioni - disse, scandendo bene le ultime parole - credo che i tuoi ti abbiamo portato all'esasperazione " azzardò.

" Può essere " rispose. 

 Il silenzio calò per qualche secondo, quello che Brian aspettava e che secondo lui inevitabilmente sarebbe arrivato. Ma ormai non si dava molte preoccupazioni, infondo quella era solo un'estranea con cui stava facendo conversazione, e se questa fosse divenuta imbarazzante o scomoda per qualcuno, avrebbero anche potuto prendersi a cattive parole che nessuno dei due avrebbe più rivisto l'altro. 

 

" Mi dispiace, devo sembrarti una vera maleducata. Rispetto tuttavia il lavoro che fai, anzi, credo sia abbastanza impegnativo. Dimmi, come si chiama la tua band? "

" Placebo " disse incerto. 

'Come, prima dici che non ti piace la musica e ora vuoi googlarci?' pensò mentre parlava.

" Scommetto che siete bravi. Prima - disse indicando un punto a caso con l'indice- sembrava che tu sapessi davvero ciò che stavi dicendo e poi penso che la tua voce renda molto, è particolarissima. "

" Oh, lo dici solo per essere gentile. La verità è che una cosa finché non la si conosce non si possono dare giudizi campati in aria " disse un po' troppo severamente.

" L'educazione non prevede di mentire per fare la carina, almeno per quanto mi riguarda " 

" Dovresti sapere di cosa parli, è soltanto un consiglio che posso darti "

" Infondo credo di avere più o meno la tua età, so cosa aspettarmi dal mondo " 

" E come fai? "

" In che senso? "

" Ragazza, se sai come fare il culo al mondo giorno dopo giorno allora possiedi il segreto più prezioso di tutti "

" È solo che credo di capire bene le persone. La sensazione che uno come te mi trasmette è perciò di uno che sa di cosa parla e se ne intende, ma comunque, sono punti di vista " 

" Già, su questo sono d'accordo " assentì Brian. 

 

Ci fu un altro stacco pieno di silenzio. Non si sa come, ma i toni tra i due si erano leggermente accesi e piuttosto irrigiditi. La confidenza iniziale era come svanita, e piano piano le loro menti stavano tornando ai loro problemi di sempre.

 

" Scusa, ma devo chiedertelo, tu di cosa ti occupi? " insistette Brian voltandosi di scatto verso la donna. 

" Scrivo, o meglio, lavoro in una casa editrice " 

 

Fu allora che scoppiò in una sana, spontanea fragorosa risata che fece sussultare i passeggeri addormentati lì accanto. Per lui era davvero un controsenso.

 

" Ho capito bene, per vivere scrivi? O scrivi per vivere? Perché sai, a volte le due cose si fondono e non se ne capiscono più i limiti. Scusa il mio scetticismo ma non capisco proprio come una persona che scrive e quindi conosce ciò che comporta, odi la musica. È da ipocriti. "

" Io non la odio "

" No? Finora è questa l'unica cosa che ho ben capito, anche se non ho chiaro il perché visto il tuo lavoro "

" Sono due cose totalmente diverse, due mondi diversi. Credo che i testi delle canzoni siano differenti da pagine e pagine di una storia "

" Pochi versi possono ucciderti ed essere immediati come uno schiocco di dita, credimi "

" Mi hai fraintesa : non è mia intenzione screditare il tuo lavoro o il genere specifico di chi scrive versi. Dico solo che è diverso, il che non implica necessariamente maggiore facilità o minore lavoro. Forse dal tuo punto di vista possono essere uniti ma, io non sento il bisogno di ascoltare musica, non più . "

 

' Non esiste nessun genere. Chi scrive, scrive e basta ' frullò nella testa del cantante.

 

A quest'ultima informazione Brian iniziò a fare supposizioni,  a lavorare di fantasia e inventiva per capire cosa poteva essere successo nella vita di quella donna che la aveva portata ad essere così indisposta nei confronti di qualcosa che lui amava così tanto. 

 

" Cos'è che ti ha ferita, la musica… o una persona? "

 

Lei rimase in silenzio, come una cassaforte che non voleva farsi aprire. 

 

" Sono le persone il vero male di questo mondo, non la musica. La musica è solo la salvezza che sta lì per curarti e che non se ne andrà mai " 

 

Julianne alzò lo sguardo e finalmente guardò negli occhi il suo interlocutore che nella foga si era appena tolto gli occhiali. 

Notò subito la nitidezza e il calore che emanavano quegli occhi magnetici e solo dopo qualche secondo, esaminandoli come un dottore, si accorse della palpebra che leggermente calava di più su uno dei due. Probabilmente senza quel piccolo dettaglio insignificante sarebbe stata totalmente un'altra persona, pensò. Quello sguardo vissuto e le ciglia lunghissime che incorniciavano delle lievi occhiaie, l'aveva completamente catturata nella sua rete, e fece fatica a distaccarsene. 

 

" Il mio Placebo è la scrittura " rispose.

" Ma il Placebo è una medicina che non funziona, tesoro "

" Lo so, nulla funziona davvero. È solo il mio modo per ingannare il tempo, che altrimenti impiegherei a pensare. Dopotutto tutti noi facciamo qualcosa per pensare a qualcos'altro "

 

Doveva aver passato un brutto periodo, disse tra sé e sé, visto che le ferite che ostentava sembravano essere così fresche e piene di risentimento.

 

" Probabilmente ora rimpiangi di aver alimentato questa conversazione fino a questo punto " disse.

" Affatto. Credo che sia un bene scambiarsi opinioni, non credi? "

" Sì " 

 

' Si avvisano i passeggeri che il volo 73246 sta per atterrare nell'aeroporto di Milano Linate. Si ricorda inoltre che è obbligatorio allacciare le cinture di sicurezza alla destra del vostro sedile e che non è permesso alzarsi fino all'atterraggio. Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia. '

 

 

" Oh, però il tempo questa volta è volato " disse la donna. 

" Bene, mi ha fatto piacere parlare con te " disse Brian slacciandosi la cintura alzandosi per prendere il suo zaino.

" Grazie, e mi scuso ancora se posso essere sembrata acida o maleducata "

" Non importa. Beh, spero che combatterai la tua avversità per la musica prima poi, allora. "

" Non ci spererei molto ma..  Suppongo che dovrei dire: mai dire mai, giusto? Magari in questi giorni sentirò un pezzo dei famigerati Placebo alla radio "

" Sarei davvero onorato se accadesse. Allora, addio Julianne "

" Buona fortuna, Brian ".

 

Brian s'incamminò per lo stretto corridoio dell'aereo dove di certo lui non faceva fatica a passare, lasciando la donna indietro al suo posto, da dove stava raccogliendo i suoi effetti personali. 

 

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" Ciao mamma " 

Erano state queste le parole esordienti quando si era presentata alla porta di quella che una volta era casa sua. Sua madre le era andata ad aprire asciugandosi le mani in un canovaccio, che poi aveva gettato a terra nell'emozione del momento. Erano due anni che non vedeva la sua bambina, certo aveva passato i 30 da una vita ormai, ma agli occhi della donna che l'aveva messa al mondo sarebbe rimasta sempre la piccolina che giocava sul portico davanti casa con i propri gatti. E guardando quel portico, Julianne si era resa conto di quanto in fretta fosse passato il tempo in realtà : nella sua testa si susseguivano le immagini della sua vita, come un riassunto troppo veloce delle cose essenziali, belle e brutte. Si rivedeva, come un'ombra evanescente, mentre il suo sorriso svaniva lentamente dal suo volto ingenuo negli anni e si trasformava nell'espressione dura che adattava ogni giorno. Guardava se stessa, come allo specchio, con la differenza che non aveva più quel fiocco blu tra i capelli che le piaceva tanto come non aveva più quella purezza che hanno i bambini. 

 

Non tornava a casa da due anni, ma se n'era andata molto tempo prima. Quella dove si trovava adesso era casa di sua nonna, dove aveva trascorso i pomeriggi più belli della sua infanzia; una villetta modesta ma immersa di verde, con intorno siepi e alberi da frutta piantati anni prima. I suoi si erano trasferiti lì da un pò, per stare più tranquilli e godersi la pensione lontano dalla caoticità di Milano. Julianne aveva studiato letteratura all'università, nonostante le iniziali perplessità del padre, e  subito dopo essersi laureata aveva mandato le sue referenze ad una piccola casa editrice di Londra, la quale fortunatamente era in cerca di personale e la prese dopo un solo colloquio. Era sempre stata una di quelle ragazze un po' fuori dal mondo, che segue una linea tutta sua senza curarsi troppo degli altri e dei vestiti all'ultimo grido che facevano fatica a pagarsi pur di averli. Perciò aveva ben chiaro che dal mondo non cercava chissà cosa, né tanto meno era in cerca di un prestigioso posto di lavoro in una delle maggiori case editrici. Aveva fatto di tutto per mantenere delle speranze basse, al minimo, così da non rimanerci troppo male se la vita le avesse dato un calcio nel di dietro di tanto in tanto. Prima o poi succedeva a tutti.

Essendo piuttosto riservata ma non timida, aveva avuto qualche ragazzo durante gli anni del liceo e poi dell'università, ma da quando era a Londra le sue interazioni con l'altro sesso si erano sensibilmente ridotte anche a causa del lavoro che le rubava moltissimo tempo. Ultimamente aveva guadagnato una sorta di promozione che le permetteva di passare più tempo a casa e lavorare da lì senza spostarsi, ma nonostante ciò non si era decisa a mettersi in tiro ed andare per locali come un maschio in calore in cerca di braccia calde. Non era da lei, e non sapeva se mai l'avrebbe fatto davvero. A sentire le sue colleghe a lavoro, che spesso adottavano questa tattica, la cosa in sé era molto liberatoria e secondo loro ne aveva bisogno: 

'Si vede che non fai abbastanza esercizio. È palese, devi fare qualcosa mia cara ' le dicevano di solito la mattina dopo una loro notte di caccia. Senza ombra di dubbio ora era felice di lavorare a casa anche per questo, così non era costretta a sentirle parlare e fare discorsi che non voleva affrontare con persone che neanche le piacevano. 

Il suo lavoro consisteva nel rivedere e controllare bozze di nuovi libri prima che andassero in stampa: controllava che tutto fosse in ordine, il che richiedeva ovviamente più revisioni da persone differenti. In qualche occasione aveva anche scritto la prefazione di qualche opera sconosciuta. Altre volte però le veniva affidata la lettura delle nuove proposte che arrivavano alla casa editrice, e quest'ultimo compito la emozionava molto. Non succedeva così spesso, ma quando una nuova storia arrivava sul suo tavolo, non si tirava mai indietro, anche se questo compito comportava in sé anche la frustrazione e il senso di colpa del segare le gambe a nuovi scrittori. Perciò cercava di essere obbiettiva : non seguiva al dettaglio la guida e i punti chiave che la casa editrice prevedeva, ma quando però si trovava d'innanzi a qualcosa che la smuoveva dentro, allora quello era il segno che quel preciso libro doveva essere pubblicato, e poi chissà, forse avere anche del successo tra il popolo dei lettori. 

Le storie, Julianne, le aveva sempre amate. Era fermamente convinta che attraverso di esse le persone dessero il meglio di sé: scrivere era una di quelle cose che ti spogliava dei tuoi vestiti, della tua pelle, delle maschere personali che potevi crearti e grazie ad essa, o per colpa sua, ti davi a chiunque fosse lì a leggere per come eri fatto realmente. Dicono che non tutte le storie siano autobiografiche, ma in un certo senso lei credeva che lo fossero: ogni storia nasce da una mente, più o meno influenzata da ciò che la circonda, influenzata dai ricordi e dalle esperienze che ha collezionato durante il suo tempo su questo mondo. La prima regola per uno scrittore è basarsi su ciò che si conosce, e di conseguenza ciò che si conosce, anche se dovessimo scrivere un romanzo fantasy, rifletterebbe ciò che siamo o comunque avrebbe connaturato in esso, più o meno in profondità, qualcosa di personale che riguarda l'autore che lo ha scritto. E questo era inevitabile, pensava; appeso ad ogni riga che si scriveva veniva lasciato un pezzo di sé, che poteva servire come ammonimento o come promemoria sia a se stessi che agli altri.  Il lettore sarebbe in ogni caso entrato dentro la mente dello scrittore, volente o nolente.

 

Era tornata per pochi giorni per rilassarsi e mollare il lavoro per un po' di quality time con la propria famiglia. Il problema era che anche se c'erano momenti autentici in cui le mancavano, dopo un po' l'aria in casa diventava irrespirabile, figurativamente, e lei era costretta ad inventare scuse per evadere da quello che sembrava ancora una volta un tuffo nella sua adolescenza. Gli voleva un bene immenso, ma a volte sentiva che non era proprio quello il suo posto. Era lì con loro solo da poche ore, dopo aver passato le prime della mattina alla stazione ad aspettare il treno delle 5.30 che l'avrebbe portata nel paesino dove si erano trasferiti i suoi. Quella mattina si era soffermata poco sull'aria austera di Milano, né tanto meno era passata al suo vecchio appartamento, la vecchia casa dove abitava con i suoi, dove lei era rimasta per avere un posto comodo dove studiare negli anni universitari, facendo visita ai propri cari nel fine settimana e a volte anche durante la stessa. Dopo aver riposato qualche ora nella sua camera, distò i pochi bagagli e successivamente decise di andare a recuperare alcuni libri al vecchio appartamento, quindi prese in prestito la macchina della madre che non usava quasi mai perché alla sua età aveva paura, diceva. 

Avevano deciso di non venderla, ma ormai quando Julianne guardava quelle mura, non vedeva i momenti in cui c'era cresciuta, ma solo lo schifo che ne aveva fatto teatro di eventi spiacevoli. C'erano ancora i mobili ma era evidente che non ci viveva più nessuno ormai da tempo. Pensò che i suoi avrebbero potuto affittarla a qualche studente.

Durante la sua permanenza era rimasta nella sua stanza, il suo mondo, non dilungandosi a personalizzare l'intero ambiente. Quella casa era troppo grande per lei, si ripeteva spesso, ma fare ogni giorno avanti indietro, passando gran parte del tempo su un treno, non era una prospettiva che l'allettava molto. 

 

Con qualche passo si avvicinò alla finestra e tirò su la persiana scricchiolante, poi l'aprì per far entrare un po' d'aria e alleviare quell'odore stantìo che sicuramente si era già attaccato ai suoi vestiti. L'aria di settembre entrò nei suoi polmoni e ne raffreddò le pareti ; c'erano 19 gradi, pioveva e la settimana che aveva davanti si prospettava anche peggio.Si strinse nella maglia e rimpianse di non aver portato con sé un giubbotto. 

Si guardò intorno: era tutto uguale, nessuno aveva toccato niente, specialmente lì dentro. Ma una cosa cambierà, si disse, e così aprì la sua sacca e posandola sul letto iniziò a staccare tutti i foglietti che erano attaccati al muro. Aveva sempre avuto la malsana abitudine di appendere tutto ciò che scriveva, in chè creava più problemi che cose positive dal momento che spesso perdeva dei pezzi o che peggio sua madre si fermasse a leggerli mentre riassettava la camera, imbarazzante. Ma nonostante ciò era più forte di lei, nella sua visione doveva sempre avere sott'occhio ciò che aveva buttato giù, anche il più insignificante pensiero stupido che gli era saltato fuori durante la lezione di chimica. L'aiutava a mantenere un certo ordine, o per meglio dire così facendo spostava il disordine nella sua testa e lo trasferiva nel mondo reale, attaccato a una puntina, dove non sarebbe potuto sfuggire, né al tempo né alla memoria. 

Doveva avere tutti quei ricordi trasferiti su carta con lei, e magari dargli un'occhiata qualche volta, quando non avrebbe ricordato chi fosse. Si chiese allora se effettivamente all'epoca lo sapesse, ma non trovò risposta. 

Quando finì richiuse la sacca, ma un particolare attrasse il suo sguardo verso il piccolo spazio illuminato dalla luce tra il muro e il letto: lì dietro era probabilmente andato a finire uno dei suoi famosi fogli, così vi infilò il braccio e si chinò. Appena toccò la consistenza della carta si accorse di essersi sbagliata: sapeva benissimo che cos'era, e non era di certo uno dei suoi pensieri d'adolescente confusa. 

 

What's wrong with this picture?

 

 

Era una vecchia foto, vecchissima. Risaliva a poco tempo prima della sua imminente partenza per il Regno Unito. Julianne l'aveva scattata di nascosto e il risultato era stata naturalezza allo stato puro. Il ragazzo della foto, Davide, era intento a compiere i suoi soliti giri prima di rientrare a casa e lei lo aveva seguito per quasi due ore, e poi finalmente si era trovata in una posizione abbastanza comoda da dove aveva poi aveva premuto l'apparecchio e fatto la foto. Una volta la riteneva il suo personale capolavoro: si vantava spesso di come fosse riuscita a far entrare l'obbiettivo tra le strettissima sbarre del cancello di un parco e di aver fatto un primo piano davvero da pochissima distanza senza farsi accorgere di nulla. 

Guardando quella foto, nel presente, non vedeva più quella ragazza innamorata di una volta, permeata fino ai capelli di quella dissonante ingenuità che fa credere per un po' che il mondo sia meno duro di quanto venga descritto. Guardando quella foto, ora, vedeva solo un ragazzo imbronciato e perso nei propri pensieri, pensieri dove lei non avrebbe mai voluto entrare né tanto meno sbirciare. Non le importava più sapere che cosa pensava, ormai da tanto tempo. E non si era mai voltata indietro, aveva fatto le valigie e aveva fatto il grande passo. Nessun accenno, nessun biglietto tenuto fermo sul frigo da qualche stupido magnete. Aveva chiuso la porta di quella casa e aveva aperto quella della sua nuova vita, letteralmente. 

 

Prese l'accendino dalla tasca e accasciandosi per terra verso il centro della stanza, diede fuoco agli angoli della foto. La patina di cui era ricoperta creò delle strane forme tonde man mano che si espandeva mangiando la carta, e poi, come succede al cuore di tanto in tanto, si smaterializzò fino a diventare soltanto cenere per il vento.  

Respirò fino a risentire quel senso di freddo, lì nel fondo dei suoi polmoni, poi si alzò e dando un'ultima occhiata alla stanza, richiuse tutto e spense la luce. Sollevò la scatola con la cernita dei libri che aveva fatto e scese per larghe scale di marmo.

Ormai non faceva più male.

 

Salì in macchina e per un po' mentre scaldava il motore restò a guardare la palazzina che severa la scrutava dall'alto, come se fosse stata una formichina. 

Ovviamente, come mai mancava in quella città, il traffico dell'ora di punta non si era ancora dileguato, nonostante ormai fosse pomeriggio inoltrato e lei avesse una gran fame. Anche se con velata forzatura, accese la radio e giocò un po' con le stazioni, senza trovarne nessuna decente. 

 

' Ora ti piace di nuovo ascoltare questa roba soltanto perché uno sconosciuto qualsiasi ti ha messo in testa tutte quelle cazzate sulla salvezza? ' 

 

' Mi annoio. '

 

Dopo qualche minuto di vani sforzi per trovare qualcosa di decente, tra una stazione e l'altra le sembrò di riconoscere una voce che aveva già sentito prima. 

 

 

 

 

" Beh, non è così strano: le relazioni sono sempre state uno dei temi per molte delle nostre canzoni. Quando scrivevamo il tema emergeva da solo. Ma non è una cosa così strana, basta pensare a 'Without You I'm Nothing', una vera Placebo lovesong "

 

" Se dovreste definire cos'è l'amore per voi, cosa direste? Solo, ascolta il disco e lo capirai da solo, oppure..? "

 

" Non è possibile rispondere a questa domanda " sentenziò serio Brian. La giornalista lo notò e nascondendo un po' d'imbarazzo passò oltre.

 

" Devo dire che non è un disco immediato, che si ascolta facilmente .. "

" Bene ! " esclamò.

" ..Hai bisogno di riascoltarlo un po' di volte, è una cosa pensata di proposito? "

 

Steve prese la parola e con nessun problema né peli sulla lingua rispose :

 

" Quando scriviamo un album non ci preoccupiamo di cosa suona <>, non guardiamo troppo in là, né tantomeno cosa pensa la gente. È un buon modo per fare un album, devi fare ciò che per te è giusto. E il fatto che si capisce a poco a poco è una bella cosa, molti dei dischi che preferisco sono quelli che devi ascoltare un po' più a lungo "

 

Brian fa un ok a Steve per complimentarsi con lui riguardo alla bella risposta che ha appena rifilato. La donna dall'altro lato del tavolo rosso iniziò a leggere delle righe da un foglio.

 

" My computer thinks I'm gay, I threw that piece of junk away - hai veramente scritto questa canzone a Parigi? " chiese, indirizzandosi a Brian.

 

Eccola, la domanda dell'anno: e non perché fosse effettivamente una buona domanda ma perché era sempre la solita che tutti finivano per chiedere, all'inizio o alla fine. Si chiedeva sempre da dove sprigionassero tutta quella fantasia le persone che preparavano queste domande. Se doveva girarsi l'Europa per ritrovarsi a rispondere sempre alle stesse domande, allora tanto valeva scrivere una sorta di comunicato sul sito ufficiale della band con le risposte alle domande più frequenti, nonché le più stupide.

 

" No, non ero a Parigi - disse, soffermandosi sul nome della città, pronunciandola in modo particolare - ma stavo cercando qualcosa che rimasse bene con gay, e pensai che Champs-Elysées andasse bene. Ma mi è davvero capitato: ad un certo punto il mio computer mi aveva etichettato come un maschio eteri e poi un giorno, non sono sicuro di cosa io abbia fatto, ma la mattina quando mi sono alzato il mio pc ha iniziato ad indirizzarmi specificamente a contenuti omosessuali. E questo è davvero, davvero, davvero assurdo. - alzò la voce, per sottolineare la sua incredulità - Mi sono detto, 'wow, oggi il mio computer pensa che sia gay'. Quindi è questa l'idea di partenza della canzone. Capita, devo aver guardato, non so cos'ho guardato, forse l'ho fatto o forse sto solo fingendo, non ricordo cos'ho visto " disse provocatorio ed ermetico, volto a creare quella curiosità che non avrebbe lasciato il piccolo cervello dell'interlocutrice, fino alla fine dell'intervista e forse anche oltre, con il fatale dubbio di quale video possa aver guardato Brian Molko per divertirsi.

 

Tutti risero, coinvolti dall'ilarità di Brian. Poi si passò ad un'altra domanda:

 

" La canzone 'Bosco' "

 

" È stata scritta in una foresta italiana, è per questo che si chiama 'Bosco' " disse ridendo sfacciatamente. Ovviamente si stava divertendo, per quanto potesse, a prendere in giro la giornalista di turno, burlandosi di lei ma fingendosi carino.

 

" L'avete scritta davvero in una foresta? "

 

" Si, abbiamo costruito un accampamento, mangiato dei funghi magici.. "

 

" E bevuto il vino del bosco " disse Stef ridendo.

 

" .. Ci siamo dipinti la faccia - riprese Brian - e abbiamo fatto una sorta di rito sciamanico in questa foresta italiana. Le persone dell'altre parte, sai da un altro universo, sono tipo venuti e hanno preso le nostre mani per suonare il piano, e così abbiamo scritto la canzone in questo modo " ma quanto si divertiva.

 

" Quindi avete già lo script per il prossimo video? " chiese scherzosa la donna delle domande mentre i tre ospiti scoppiavano in risate fragorose. 

 

Quella sì che era una domanda seria, pensò. Quell'intervista era solo la prima di quel pomeriggio che si sarebbe concluso con un'altra infinità di domande sciocche e banali. Le interviste che piacevano a Brian andavano riducendosi sempre più, quelle in cui c'era una padronanza e una conoscenza abbastanza profonda di quello di cui si stava parlando, perché un'intervista non era a senso unico, pensava: c'era la persona intervistata e l'interlocutore che in teoria avrebbe dovuto estrapolare da essa nuove informazioni affinché si arricchisse una qualche conoscenza o sapere sulla stessa. E invece, anziché sapere ciò di cui si parlava e non soltanto sfogliando velocemente wikipedia, si ritrovava ogni giorno di fronte persone che erano semplicemente pagate per leggere domande su un foglio che non erano neanche frutto della loro scarsa immaginazione, ma bensì di un terzo che era messo peggio di loro. Per loro era un lavoro come un altro, una band come un'altra venuta a promuovere il nuovo album, e così si tiravano fuori dai cassetti impolverati tutti i vecchi 'per sentito dire' o comunque episodi avvenuti anni prima, cercando miseramente di trovare un certo feeling con l'intervistato, cosa che non avveniva mai, in realtà. 

 

 

" Per una nuova band che si avvicina a questo mondo, oggi internet è uno dei veicoli primari. Avete qualche consiglio per le band emergenti basato sulla vostra esperienza? " chiese la donna.  

 

Stefan prese la parola, ribadendo un concetto che stava alla base della sua etica, e un po' in quella di tutti. Brian allora girò delicatamente il microfono verso di lui.

 

" Devi rimanere sui tuoi obbiettivi, fare quello che senti. Seguire la tua voce e ascoltare i suoni che hai in testa. Ciò che è difficile per molti artisti è come conquistarsi un' audience, come fare soldi, ma la cosa più importante è continuare a fare musica perché altrimenti le opportunità non verranno da sole verso di te. Se fai le cose per bene, queste ti ritorneranno: serve molto duro lavoro, devi provare a far sentire la tua voce il più possibile. "

 

" Quindi restare attaccati alla propria musica è ancora il consiglio più importante? "

 

Che riduzione spicciola, è un discorso molto più ampio e complesso, pensò Brian riflettendo sulle parole del suo amico. 

 

" Assolutamente " rispose Stef di rimando, poi Brian intervenne.

 

" Devi fare il tipo di musica che tu senti - disse sottolineandone il pronome - cosa ti emoziona, perché altrimenti non durerai molto a lungo perché la moda cambia sempre "

 

" Pensate che il successo vi abbia cambiato sia come band che come singoli individui? "

 

" Sai, siamo diventati famosi subito con il nostro primo album. Avevo 22 anni e Stefan 20. - ribadì, come spesso era solito fare - Di certo tutto questo ebbe un grosso effetto su di noi ma oggi i amo delle persone totalmente diverse rispetto a quelle che eravamo, per fortuna. Altrimenti significherebbe che non ci siamo evoluti, rivoluzionati come esseri umani. Siamo cresciuti sotto i riflettori, e questo significa che fai un sacco di errori, in pubblico. Le persone scattano foto, tu le vedi e sei davvero imbarazzato. Ma personalmente non ho nessun rimpianto, e tu Stef? " si rivolse all'amico.

 

" No, penso che l'esperienza ti fa diventare chi sei oggi, penso che il fatto sia accettare tutte le cose che hai passato, perché alla fine non puoi cambiare il passato. E credo che sia una dichiarazione di come la musica sia ancora quello che vogliamo fare, la cosa più importante "

 

L'attenzione si spostò ancora una volta su Brian, con una domanda ancora una volta inutile.

 

" Sei considerato un sex symbol, come vivi con questo? "

 

' Ecco. '

 

" Non lo faccio. Quando mi alzo e mi guardo allo specchio non mi vedo così e sono davvero grato per questo. Penso che altrimenti sarei una persona spiacevole con cui spendere del tempo se lo facessi . Quindi non ci penso. So che le persone hanno molte opinioni su di me, spero che la maggior parte siano positive ma so che altre sono negative, e va bene. Ma se dovessi considerare me stesso con questa base ogni giorno, inizierei a sentirmi davvero imbarazzato e non è una buona cosa per un artista. Perché ciò che fa un artista è esprimere se stesso e come artista devi prenderti dei rischi. Se ti preoccupi di mantenere alte le apparenze o cosa le persone pensano di te allora non prenderai alcun rischio. Quindi non mi considero un sex symbol, trovo divertente che molte persone lo pensino ma è davvero molto lusinghiero per me perché non è quello che vedo allo specchio, per niente.  "

 

 

Brian a dirla tutta, non si era mai visto troppo bene allo specchio, né aveva guardato troppe volte alla sua immagine riflessa. Non aveva mai amato la sua figura, la sua immagine troppo bassa e goffa con degli atteggiamenti che a volte odiava lui stesso. Ma quell'immagine riflessa era lui e non poteva cambiarsi, così aveva piano piano imparato a convivere con se stesso, a conciliare quello che si dipingeva nella sua mente e quello che realmente rifletteva lo specchio: un naso e un mento pronunciato, la palpebra calante con quello sguardo che sembrava sempre stanco, il petto non sviluppato e aggraziato quasi come quello di una donna, così come le spalle. Nonostante tutto però, a volte addirittura si piaceva, si piaceva nella sua totale imperfezione e quei giorni si sentiva un po' più apposto con se stesso, perché con il mondo era comunque impossibile chiarire e andare d'accordo.

 

 

 

" Allora ragazzi speriamo di rivedervi presto in Italia, avete già qualche data? " 

 

Era questo che intendeva riguardo ad incompetenza e scarsa documentazione.

 

" Si, suoniamo a Bologna a novembre " disse Brian.

" Sì, ma è solo una data "

 

" Per quest'anno " precisò con acidità il cantante.

 

" Ma il prossimo tornerete? "

 

" Lo speriamo "

 

" Molto  bene ! Grazie mille ancora per l'intervista "

 

" Grazie a te " dissero in coro, iniziando ad alzarsi dal tavolo rosso.

 

 

La radio subito dopo passò il nuovo singolo e la musica partì.

 

Love on an atom, love on a cloud

To see the birth of all that isn't now

Can you imagine a love that is so proud?

It never has to question why or how

Total abandon the love in my dreams

When I wake up I'm soaking in my sheets 

 

' Loud Like Love ' pensò Julianne, quasi mimando le parole con le labbra. 

 

Lunedì 30 settembre 2013, 19° gradi, 14:35 avvertiva il display del cruscotto.




Note:

Prima storia sui Placebo. L'avevo inziata a scrivere tempo fa, ma poi è rimasta incompiuta. Avevo salvato il documento semplicemente con "Molko" perchè non avevo pensato ad un titolo ben preciso. Non escludo del tutto però che prima o poi possa riprenderla in mano e vedere dove mi porterà. 
Spero piaccia.

Ringrazio chi commenterà o leggerà soltanto.

  
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