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Autore: Lady1990    27/11/2016    3 recensioni
[Questa storia è il seguito di "Nell", di cui si consiglia la lettura per un'adeguata comprensione.]
Sono trascorsi poco più di vent'anni dalla scomparsa di Ysril. Nell, dopo aver atteso invano il suo ritorno, ha lasciato la valle di Mesil e si è messo sulle sue tracce. In compagnia di Reeven, un improbabile ladro che somiglia in modo inquietante al suo amato demone, e altri compagni, dovrà scoprire cosa è successo a Ysril e salvarlo da una minaccia ancor più grande della guerra che incombe sul mondo intero. E se una strega arriva a complicare le cose, la missione non si profila certo una passeggiata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Di grazia, spiegatemi chi accidenti è lui.” ordinò secco Suna, squadrando con sospendo il ragazzino sconosciuto che era arrivato nel covo insieme a Qolton e Reeven.
In particolare si soffermò su quest’ultimo, notando come stesse appiccicato al biondino. Si accigliò e attese pazientemente una risposta, di cui si fece carico un imbarazzato e perplesso Qolton, dal momento che Reeven pareva naufragato su altri lidi con la testa, mentre guardava quello scricciolo d’uomo con aria persa e vagamente sognante.
“Ecco, lui si chiama Nell. Stava rubando un manoscritto dalla biblioteca e Reeven ha deciso di adottarlo.” illustrò sintetico.
“Mh. Va bene.”
“Va bene?!” esclamò confusa Phyroe.
“Sì, tanto stanotte ci sciogliamo. Ognuno andrà per la sua strada, non c’è più alcuna necessità di mantenere segreto il nostro covo.”
Nell ascoltò quello scambio di battute con le palpebre a mezz’asta, palesemente irritato. Era chiaro come il sole che avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte, tranne che lì. Invano aveva tentato di convincere Reeven a lasciarlo andare, quel gigante biondo non si era staccato un solo secondo, peggio di un parassita. Anche adesso egli era fermo alle sue spalle, leggermente chino su di lui, quasi volesse fargli da scudo. Oppure per annusarlo meglio, Nell era indeciso. Reeven, infatti, aveva tenuto il naso incollato ai suoi vestiti per tutto il tragitto nelle fogne, talvolta emettendo un mugolio deliziato, talaltra un sospiro. La cosa era piuttosto strana, visto che non si lavava da una settimana. Perciò o Reeven aveva un naso che non funzionava bene, o aveva dei gusti decisamente discutibili.
“Scusate?” li richiamò Nell, attirando su di sé l’attenzione dell’intero gruppo, “Io avrei urgenti incombenze di cui occuparmi, quindi, col vostro permesso, sparirei.”
“Come ti pare.” sbuffò Suna disinteressato, facendo spallucce.
“Grazie. Perdonate il disturbo.”
“Figurati. Addio.”
Nell, soddisfatto, girò i tacchi, pronto a imboccare l’uscita del capannone, quando all’improvviso si accorse di un’ombra che torreggiava su di lui. Si voltò di scatto e sorprese Reeven a un palmo di distanza dalla sua schiena. Era ovvio che non possedesse il concetto di “spazio vitale”.
“Che problema hai?” lo aggredì Nell, stufo della sua presenza ingombrante.
“Eh? No, nessun problema.” rispose Reeven, come se solo in quel preciso istante si fosse risvegliato da un sogno.
“E allora smettila di starmi addosso. Mi dà fastidio.”
“Sì, scusa.” disse, ma le sue gambe rimasero immobili, pesanti come macigni.
“Intendevo: scollati.” 
L’altro fece una smorfia buffa, strinse le labbra, assottigliò le palpebre e infine scosse il capo.
“Vengo con te. Dove sei diretto?”
Nell esalò un sospiro esasperato e puntò lo sguardo supplicante su Qolton, il quale si sentì chiamato in causa.
“Reeven, dai, lascialo stare.”
“Non sto facendo niente.”
“Sei soffocante. Il ragazzino non ti vuole intorno, l’hai capito?”
“Sì… ma voglio stare con lui.”
“Reeven, guarda la mia mano.” lo invitò Nell, sfoggiando un sorriso accomodante, “Dimmi, cosa ho in questa mano?” gli chiese, usando lo stesso tono affabile e velatamente scocciato che si usa con i bambini duri di comprendonio.
“Nulla.” rispose Reeven, scrutandolo con smarrimento.
“Esatto. E ‘nulla’ è anche la misura in cui mi importa di ciò che vuoi tu. Pensa un po’ che coincidenza.” sibilò Nell, continuando a sorridere serafico.
Reeven si intristì di colpo, ferito dalle parole del biondino, anche se non ne capiva la ragione: non era la prima volta che qualcuno lo prendeva in giro o lo insultava, però questa volta, al contrario delle altre, gli fece male, molto male. Perché l’opinione di Nell, uno sconosciuto, contava tanto per lui?
Tutti i presenti rimasero interdetti nello scorgere un’espressione tanto nuova sul viso del loro amico. Al massimo Reeven si imbronciava, non si abbatteva di certo in quel modo. Finora non aveva mai fatto gli occhi da cucciolo abbandonato sotto la pioggia, non li aveva mai avuti tanto grandi e lucidi, come se si stesse sforzando di trattenere le lacrime. Mancava solo che si mettesse a uggiolare. 
Pure Nell si bloccò, ricacciando indietro un altro insulto che gli era salito su per la gola. Lo studiò dal basso verso l’alto, chiedendosi cosa ci fosse in Reeven che lo spingeva a reprimere la sua vena cattiva, quasi a suggerirgli di non osare superare quel limite invisibile, oltre il quale c’era un baratro oscuro e spaventoso pronto ad inghiottirlo. Non voleva essere bastardo con Reeven, non se lo meritava, e non erano gli occhioni da cucciolo bastonato a farglielo pensare, a intenerirlo. C’era qualcos’altro in lui, qualcosa di indefinito che, chissà come, riusciva a far leva su quella piccola parte di sé rimasta pura e candida, appellandosi ad essa con disperazione e speranza fanciullesca, reclamando affetto.
Meglio che mi dia una calmata.
E pensare che, se lo avesse conosciuto durante l’epoca d’oro, quando ancora viveva a Rocca Smeralda, non si sarebbe astenuto dal trattarlo fin da subito come un amico. Ma era cambiato molto da allora, era pressoché irriconoscibile. La sua cattiveria, adesso, era alquanto spiccata: negli ultimi anni si era premurato di svilupparla a dovere, al fine di scansare le fastidiose attenzioni degli uomini e delle donne che lo importunavano, scambiandolo per un docile agnellino a causa del suo aspetto da adolescente. Appena il suo viaggio era iniziato, aveva compreso che con le buone, cioè con sorrisi e gentilezza, non si ottiene niente, o poco, dunque si era risolto a usare e affinare le maniere forti, verbalmente parlando - la sua forza fisica era ancora equivalente a quella di un criceto, era inutile farci affidamento -, così che con qualche frase grondante veleno messa nel punto giusto riusciva a liberarsi di ogni tipo di insetto. Eppure in quella circostanza, per la prima volta dopo molto tempo, si sentì uno schifo. Chi era lui per trattare Reeven a pesci in faccia, quando lo aveva salvato? Chi era lui per calpestare una persona che aveva messo spontaneamente a rischio la sua vita per tirarlo fuori dai guai?
Si morse l’interno di una guancia e si grattò uno stinco con la punta dello stivale.
“Sto andando a nord-est, ho delle faccende da sbrigare. Se anche tu vai in quella direzione, possiamo fare un po’ di strada insieme.” disse con voce monocorde, dando l’impressione di stare recitando, senza neanche troppa convinzione, una formula trita e ritrita.
Reeven si illuminò come le lanterne della festa del raccolto e sorrise raggiante: “Con immenso piacere!”
Nell schioccò la lingua e borbottò qualcosa, per poi girarsi e marciare verso la porta. Giunto sulla soglia, si fermò e guardò il biondo.
“Beh? Non vieni?”
Reeven si mise in moto e gli si accostò. Prima di sparire nelle strade ricoperte di neve, elargì un cenno di saluto agli amici. A Suna, Utros e Benial riservò un sorriso mesto, a Phyroe un ghigno ammiccante e a Qolton uno sguardo colmo di gratitudine.
“Addio, ragazzi. Buona fortuna.”
Dopodiché trotterellò via accanto a Nell. Sembrava un cagnolino scodinzolante.
La porta si chiuse e nel capanno scese il silenzio.
A un tratto, Utros parlò: “Reeven non si è preso la sua parte del bottino.”
Quell’affermazione risvegliò gli altri dalla catalessi in cui erano caduti e si misero a imprecare contro quel biondo col cervello di gallina. L’unico calmo era Suna, il quale stava già raccogliendo le sue cose per andarsene, incurante dell’agitazione che lo circondava.
“Suna?” lo chiamò Qolton, “Dobbiamo portare a Reeven-”
“Pensateci voi. Io ho tutto ciò che mi serve per tornarmene finalmente a casa.” lo interruppe, poi si rivolse a Benial bisbigliando, “Ti avevo promesso un tetto sopra la testa quando ti cacciarono dall’esercito, perciò sarai il benvenuto nella mia modesta dimora.”
“Sicuro che non sarò un peso? Insomma, hai una moglie e tre figli…” rispose titubante il compagno, mascherando con successo la delusione nel pronunciare la seconda metà.
“Certo. La mia famiglia ci aspetta.” stirò lievemente gli angoli della bocca, che per lui equivaleva a fare un sorriso a trentadue denti, “Mia moglie, nell’ultima lettera, mi ha scritto che la camera della mia figlia più grande si è liberata, dato che si è sposata. Non preoccuparti.”
“Oh, uhm, allora… credo che approfitterò della tua generosità.”
“Finiscila, siamo amici, è naturale che voglia aiutarti.”
Utros, che aveva origliato, si intromise nella conversazione: “Di dove sei, Suna? Ora posso chiedertelo, giusto?”
Suna curvò ancora la bocca e sembrò che non aspettasse altro che raccontare della sua patria.
“Sono di Gurnam. Anzi, non esattamente. I miei avi colonizzarono un’isola a sud di Gurnam e vi si insediarono, costruendo villaggi, dighe e un porto. La mia casa è su una collina che si affaccia proprio su questo. All’alba l’aria profuma di salsedine e fiori di campo, e il sole, prima di indorare le vallate intorno, benedice le mie mura con la sua luce. Allevo capre e galline, anche qualche pecora. Non ci manca niente. Ma il merito di tutta la bellezza e la prosperità va a mia moglie. Da quando sono stato obbligato a partire per la guerra, si è presa cura da sola dei nostri possedimenti e dice che gli affari sono sempre andati bene. Il mio secondogenito dovrebbe avere diciannove anni, lavora come garzone in una bottega di pelli giù al porto. La più piccola, invece, non ha che sedici primavere. Tu mi dirai: è adulta, dovrebbe sbrigarsi a trovare un marito. La mia risposta è no. Tassativamente, categoricamente e indiscutibilmente no. Taglierò le mani a chiunque oserà toccarla, caverò gli occhi a chiunque oserà guardarla più del necessario e castrerò chiunque abbia reazioni inappropriate in sua presenza.” dichiarò mortalmente serio.
Phyroe scoppiò a ridere, fissandolo con espressione indulgente: “Ah, i padri… cosa non farebbero per le figlie.”
“Io farei di tutto per la mia piccolina.” annuì solenne, “Non che sua sorella maggiore sia da meno, eh! Bella come una rosa, dolce e gentile, simile a una principessa. Anzi, più meritevole di lodi di qualsiasi vera principessa. Solo che ormai la frittata è fatta, si è sposata e ha lasciato la casa, è troppo tardi. Non posso mettermi a rincorrere suo marito con un’ascia per l’aia. Comunque, se lei è felice, ingoierò il rospo.”
“Ma lo sanno che per dieci anni hai fatto il ladro?” indagò Utros.
“Ovviamente no. Ho detto loro di aver trovato un impiego come guardia del corpo di un nobile e che avrei aspettato il termine del contratto per tornare, possibilmente con un bel gruzzoletto in tasca.”
“Tua moglie sarà felice di rivederti.” 
Utros realizzò che l’attitudine al comando di Suna derivava, oltre che dall’aver servito nell’esercito, dal fatto di essere padre, cosa non valida per loro, che di prole non ne avevano nemmeno l’ombra. Si spiegava così anche il suo successo nelle vesti di paciere durante le dispute o il suo atteggiarsi da mentore nei confronti dei membri più giovani del gruppo, cioè Phyroe e Reeven.
“Anch’io. Sono convinto che è ancora bellissima come quando l’ho sposata. Le mie figlie hanno ereditato i suoi tratti, sapete.”
Mentre Suna era tutto intento a decantare le virtù delle sue donne, con grande stupore e divertimento di Utros e Phyroe, che non avevano mai intravisto il lato ciarliero del loro leader - Benial, invece, lo conosceva bene, sin dai giorni da soldato, e sapeva che si innescava solo quando si nominava la sua famiglia -, Qolton rimuginava su Reeven. Non poteva esimersi dal provare sincera apprensione, considerando che il biondo aveva a più riprese dimostrato di attirare pericoli e disastri come la fiamma di una candela con le falene. E se proprio in quel momento avesse avuto bisogno di aiuto? E se l’indomani fosse caduto in una trappola? E se qualcuno lo avesse arrestato con l’accusa di furto? E se si fosse immischiato in una rissa di troppo? E quel ragazzino, poi? Chi gli diceva che non portava guai? Dall’aspetto non sembrava una minaccia, ma Qolton aveva imparato a sue spese che l’apparenza inganna. Come dimenticare quella volta in cui aveva abbordato un’affascinante prostituta e, poco prima di arrivare al nocciolo, aveva scoperto l’esistenza di una parte in sovrappiù che proprio non-
Cancella, cancella! Mi ero giurato di non pensarci mai più! Dei, che schifo.
Digrignò i denti e lanciò improperi mentali a Reeven, che, persino indirettamente, gli faceva ricordare cose spiacevoli come la peggiore spina nel fianco che era. Che si preoccupava a fare? Meglio che se ne andasse lontano. Qolton si era sempre lamentato, in silenzio e a gran voce, di quanto gli scocciasse fargli da balia, e ora eccolo accontentato: niente più Reeven, niente più ansia. Niente più ansia, niente più rughe. Niente più rughe… niente più rughe. D’ora in avanti si sarebbe dedicato a una vita sana e pacifica, magari segregandosi in un eremo sperduto attorniato da alberi e teneri animali.
E se si perde in un bosco e non riesce più a trovare l’uscita?
“Dannazione.” grugnì, arrabbiato con se stesso e la sua parte da mamma chioccia.
“Bene, noi andiamo. Buona fortuna, vi auguro di vivere serenamente fino alla morte.” concluse Suna, imbracciando il fagotto con i suoi pochi beni.
“Ciao, ragazzi. È stato un piacere.” salutò Benial, ricevendo una pacca sulla spalla da Utros e un sorriso spento da Phyroe, “Mi mancherete.”
“Anche voi. Fate buon viaggio. Da qui la strada per Gurnam è lunga.” disse la donna.
“Che gli dei ci assistano.” sospirò Suna, “Coraggio, voglio essere fuori dalle mura di questa maledetta città prima dell’alba.”
I due uscirono all’aria aperta e una raffica di vento gelido sferzò loro il viso. La porta del capanno si chiuse una seconda volta e di nuovo calò il silenzio.
Adesso erano rimasti in tre: Qolton, Phyroe e Utros. Nessuno sapeva cosa fare. Avevano vissuto dieci anni come ladri e, ora che altre prospettive di vita di spalancavano innanzi a loro, non avevano idea di quale direzione prendere.
“Potrei aprire una bottega mia.” esordì Utros, incerto, “Ho un debole per i manufatti antichi. Potrei acquistarne un po’ con i gioielli che abbiamo rubato e rivenderli.”
“Buona idea. Ti ci vedo.” lo appoggiò Qolton, a disagio.
“Phyroe, tu potresti, sai, provare a cercare una compagna. La vita da ladra non ti dava modo di costruire un rapporto solido, ma ora non c’è nulla che te lo impedisce.” azzardò Utros, osservando di sottecchi l’amica.
Phyroe sbuffò e iniziò a giocherellare con la treccia rossa che le ricadeva sul seno, fasciato da un corpetto di pelle nera talmente stretto da far pensare che non respirasse.
“Non lo so… prima dovrei trovare un lavoro onesto, una casa…”
“Qolton, tu che vuoi fare?”
Il moro sospirò stanco, passandosi una mano sul cranio rasato: “Negli ultimi giorni ci ho riflettuto e… tutto ciò che mi è venuto in mente è stato partire e basta. Di certo non voglio restare qui, ne ho abbastanza di questo posto. Uno si immagina che la capitale sia una sorta di mondo splendente, pari a quello degli dei, ma a Ferenthyr ho trovato per lo più miseria e un tanfo nauseabondo. Per non parlare della gente, la feccia dell’umanità. E io ne ho fatto parte per un bel pezzo. Adesso voglio soltanto andarmene… mettere quante più leghe possibili tra me e questa odiosa città e non tornare mai più.”
“Perché non dirigerti a sud, nelle tue terre?”
“No, nemmeno se mi si offrisse tutto l’oro del mondo. Sono fuggito da lì e non intendo tornarci. Torun si diverte a fare ancora il tiranno, ti assicuro che laggiù è peggio di qua.”
“Capisco.”
La conversazione languì, nessuno trovava altri argomenti. 
Qualche minuto più tardi, fu ancora Utros a prendere la parola.
“Ad essere onesto, l’idea di aprire una bottega di antichità era di mio fratello. È morto giovane, a soli ventidue anni. Io ero più piccolo di tre. Mi promisi che avrei esaudito il suo sogno, un giorno, ma ora che ne ho l’occasione… sento che rimarrei insoddisfatto. Non so, è tutto così… difficile. La libertà, e le infinite opportunità di cui è madre, mi sconcerta. Non credevo che avrei avuto problemi a scegliere il nuovo cammino, invece eccomi qui, combattuto tra il tener fede a un voto fatto più di quindici anni fa e il lasciarmi trasportare dalla corrente del Destino per vedere dove mi porterà. Forse ci sono altre avventure in serbo per me, come posso saperlo?”
“Di sicuro, amico mio, non hai mai parlato così tanto.” scherzò Qolton, “Tra te e Suna, non so di chi essere più sorpreso.”
“Hai ragione.” ridacchiò Utros, “Ma penso sia dovuto al fatto che la tensione mi ha abbandonato. Prima dovevo restare concentrato e vigile persino mentre dormivo, nel timore che le guardie regie venissero ad arrestarmi. E l’ansia mi attanagliava lo stomaco ad ogni furto, perché c’era sempre il rischio di venire scoperti e inseguiti.”
“Vero. Anch’io mi sento diverso.”
“Io mi asterrò da qualunque decisione finché entrambi non avrete preso la vostra.” disse a quel punto Phyroe, “Quando resterò sola, vedrò.”
“Sei brava con veleni e pozioni, potresti aprire una rete di rifornimenti clandestina e far soldi a spese dei nobili.” la spronò Utros.
La donna ghignò, poi scrollò le spalle: “Forse.”
“Io ho una proposta.” dichiarò all’improvviso Qolton.
Gli altri due si fecero attenti e lo esortarono a continuare.
“Boh, ve la butto lì…” bofonchiò esitante, “Ho sentito che a nord-est c’è una città libera, Durandel, dove il commercio è fiorente e il tenore di vita sopra la media. I tentacoli del re non vi arrivano per via del fitto bosco, pressoché impenetrabile, che la circonda. L’unica modo è un sentiero che passa dai monti Lerisa, abbastanza impervio, ma tutto sommato praticabile. Si dice che nessuno conosca la fame e la povertà e che non esistano neppure delle leggi, perché a nessuno viene voglia di commettere un crimine quando è immerso nell’agiatezza.”
“A nord-est, dici?” considerò Utros, con finta aria meditabonda.
“Sì.”
“Uhm. Anche Reeven e Nell stanno andando a nord-est.”
“Mi pare di sì. Hanno detto nord-est o nord-ovest? Non ricordo.”
“Nord-est.”
“Ah, ecco.”
“Sembra bello.” commentò Phyroe, fingendo indifferenza, “Potremmo raggiungerli e aggregarci per un pezzo di strada.”
“Perché no?”
“Potrebbe essere un’idea.”
“Secondo voi sono già fuori dalle mura?”
“In teoria dovrebbero, sperando che non si siano persi, ma conoscendo Reeven…” sbuffò Qolton e non ebbe bisogno di completare la frase.
“Forse dovremmo affrettarci e andare a soccorrerli. Se scopriamo che sono sani e salvi, tanto meglio.”
“O forse”, intervenne Phyroe, “dovremmo lasciarli andare avanti per non dar l’impressione che li stiamo pedinando. Perché noi non li pedineremo.”
“No, affatto.”
“Quindi sarebbe meglio dargli un po’ di vantaggio?”
“Direi di sì.”
“Ma Reeven non ha preso la sua parte del bottino. Potrebbero aver bisogno di soldi o merce di scambio.”
Si guardarono e, nel medesimo istante, diedero sfogo alla stizza, chi calciando un sassolino, chi roteando gli occhi e chi schiaffandosi una mano sulla faccia.
“Dannazione.” grugnì Qolton e, seguito a ruota dai suoi due compagni, corse fuori.
La candela sulla panca si spense sotto l’azione di uno spiffero e stavolta il silenzio piombò per sempre nel capanno che per un decennio era stato il covo di una banda di ladri incalliti, fedeli gli uni agli altri nel comune proposito di derubare il prossimo per arricchirsi.

“Ecco, questa è una scorciatoia.” disse Reeven, indicando un vicolo ancor più fatiscente di tutti gli altri che avevano attraversato.
“Sei sicuro?” gli chiese Nell, inarcando un sopracciglio.
“Sicurissimo.”
“Eppure mi sembra che ci stiamo allontanando dalle mura.”
“Non possiamo prendere la via maestra, rischiamo di incappare nelle guardie. Io rischio più di te, perché per otto anni ho fatto il ladro e non sempre sono riuscito a svignarmela senza essere visto. Qualcuno potrebbe riconoscermi e dare l’allarme. E poi tra i bassifondi non c’è da fidarsi di nessuno, chiunque arriverebbe a vendere il proprio fratello per denaro.”
“Mah… secondo me dovremmo andare da quella parte, mantenendoci perpendicolari alle mura.”
“Sarebbe la scelta più logica, senza dubbio, ma da lì si entra in un quartiere molto malfamato, potrebbe rivelarsi pericoloso.”
“Non c’è un’anima in giro, è notte fonda!”
“Non si sa mai, meglio essere cauti.”
“Va bene, facciamo come dici tu.” si arrese Nell, “Ma se non funziona, si fa come dico io.”
“D’accordo.”
Imboccarono la scorciatoia e mezzora dopo si resero conto di non essersi avvicinati di un passo alla meta. Le alte mura di pietra, adesso, erano alla loro destra, mentre il palazzo reale alla loro sinistra.
“Non capisco. A quest’ora avremmo dovuto già essere al passaggio secondario…” borbottò Reeven tra sé e sé, grattandosi la nuca con crescente perplessità.
“Visto? Avevo ragione io. Andiamo dritti, tenendo il palazzo alle spalle.”
Suo malgrado, Reeven fu costretto ad acconsentire, pur avendo la netta sensazione che la via prescelta da Nell non fosse quella giusta. L’accantonò in un angolino e reputò gentile concedergli una possibilità, assieme al beneficio del dubbio.
Si infilarono in una strada deserta, l’ennesima, e costeggiarono le case di legno, più simili a stamberghe che vere abitazioni, che parevano ammassarsi una sopra l’altra senza alcun criterio, dando l’impressione di un tale disordine che, dopo un po’, generava un acuto senso di frustrazione. Il legno esterno era ammuffito o scheggiato e pieno di buchi, e i tetti spioventi erano interamente bianchi. C’era da augurarsi che non si scatenasse un’altra tormenta, sennò sarebbero stati sepolti vivi nel ghiaccio. 
I loro stivali lasciavano ad ogni passo orme nitide sulla neve e il rumore delle suole risultava attutito, tanto che per sentirli bisognava tendere bene le orecchie, ma forse neanche quello sarebbe stato sufficiente per individuarli. Si strinsero nei vestiti leggeri che avevano addosso, cercando di non rallentare il ritmo nella speranza di scaldarsi muovendosi. Nell rabbrividì quando dell’aria fredda si insinuò sotto la casacca di cotone, accarezzandogli la pelle, e serrò i denti per evitare di farli battere. Gli colava il naso e l’umidità contribuiva a renderglielo una stalattite insensibile. Al contrario, Reeven sembrava poco scalfito da quel clima proibitivo, benché anche lui, di tanto in tanto, si sfregasse le braccia nude con i palmi delle mani. I loro respiri si condensavano in piccole nuvolette di vapore, che si disperdevano dopo un attimo. Entrambi, senza saperlo, stavano pensando alla stessa cosa: un camino in cui ardeva un fuocherello caldo e una zuppa di carne, rigorosamente bollente, tra le mani. 
Ad un tratto, Nell si arrestò per guardarsi intorno.
“Ehm… siamo tornati al punto di partenza?” domandò Reeven, pregando di sbagliarsi.
“Non capisco come sia possibile…” Nell non negò.
Allora Reeven si spazientì e, complici la stanchezza e il gelo che gli era entrato nelle ossa, sputò: “Dovevi dare retta a me! Sei straniero, si vede, cosa ne capisci dei labirinti della capitale?! Io ci vivo da anni, ho imparato a memoria la pianta dell’intera città e con ciò intendo non solo quella in superficie!”
“Non sembrava che stessimo andando nella giusta direzione, dato che non ci avvicinavamo di un dito!” strepitò Nell di rimando, nervoso, teso e stremato dal freddo.
“Beh, non mi pare che la tua decisione sia stata migliore!”
“Io almeno ho usato la logica!”
“Ma quale logica! In questo caso non serve pensare, bisogna solo sapere! Io so, tu no.”
“Oh, scusami tanto, genio! Ti ricordo che sei stato tu a dire di voler stare con me, nessuno ti ha costretto!” lo rimbeccò il ragazzino.
“Era per farti un favore, che credi?” si difese Reeven, distogliendo lo sguardo, “Se non fosse per me, adesso saresti a marcire in qualche cella, in attesa della forca!”
“Ma chi ti ha chiesto di intrometterti?! E cosa te ne frega? Perché mi stai appiccicato?”
“Non c’è un motivo!”
“Sì che c’è! Te lo leggo negli occhi. E guardami mentre ti parlo!”
“Chi sei, mia madre?!” lo provocò sarcastico, incrociando le braccia sul torace e divaricando le gambe, assumendo una posa difensiva.
“Deduco che la tua non ti abbia insegnato le buone maniere!”
“Io non ho mai avuto una madre, né un padre. Mi hanno abbandonato davanti a un orfanotrofio quando non avevo che pochi giorni. Questo era tanto per la cronaca. Ma se le mie maniere non ti piacciono, puoi pure andartene!”
“Bene!” rispose Nell dopo un momento di esitazione, si voltò e imboccò una via a caso, percorrendola a grandi falcate e sbattendo i piedi sulla neve per sfogare la rabbia.
Aveva percepito una fitta la cuore quando Reeven gli aveva rivelato di essere sempre stato orfano, non immaginava neanche che genere di vita avesse dovuto sopportare. Nonostante quella sensazione fosse poi svanita in un battito di ciglia, essa si era impressa a fuoco nella sua anima, lasciando un’impronta indelebile che ora lo pungolava dall’interno, come se avesse un chiodo conficcato nelle carni che venisse ripetutamente seviziato da un martello. 
Oh, insomma! Che gliene importava, in fondo, di quel Reeven? Era un estraneo e il loro incontro era stato soltanto una fortuita coincidenza, mica avevano firmato un contratto di collaborazione? Tanto meno avevano siglato un patto di amicizia. Non poteva permettersi distrazioni, aveva un compito da portare a termine. Che il ladro andasse per conto suo, Nell aveva chiuso. Si trovava meglio da solo, senza gente intorno che pretendesse cose da lui, tipo attenzione, conversazione, un sorriso, un’occhiata, una carezza, un aiuto, eccetera. Non era più incline alla gentilezza o alla generosità, il suo spirito si era indurito, temprato dalle difficoltà che aveva incontrato lungo il cammino, dalle perdite e dagli addii, l’ultimo dei quali con sua sorella e sua nipote. La vita gli aveva insegnato presto come cavarsela con le proprie forze e ora Nell non aveva più bisogno di un protettore: sapeva come maneggiare un’arma, come scalare una rupe, come arrampicarsi sugli alberi, come cacciare un cervo e persino come uccidere. Finora aveva ucciso solo animali, ma non aveva dubbi che, all’occorrenza, avrebbe saputo gestire anche un essere umano. 
Se c’era una cosa che l’assenza di Ysril gli aveva dimostrato, è che era giunto il tempo in cui doveva assolutamente abbandonare l’ingenuità e il candore della giovinezza, al fine di diventare adulto a tutti gli effetti. E, per diventare adulto, doveva assumersi delle responsabilità e prendere in mano il carosello caotico in cui si era trasformata la sua esistenza, provando a piantare dei paletti ed erigere muri per dare una parvenza di ordine, e al contempo tracciare una strada precisa da percorrere, con un inizio e un chiaro traguardo. Il traguardo era scoprire dove si fosse cacciato Ysril, trovarlo, dirgliene quattro - o anche dieci -, punirlo per bene e… beh, mettergli il guinzaglio. Uno resistente. Infine scappare da qualche parte, magari davvero su un’isola deserta, come aveva proposto il demone poco prima che si separassero, così che nessuno venisse a importunarli. Ecco, questa era la missione che si era prefissato, nulla lo avrebbe distolto da essa, men che mai un ladruncolo da quattro soldi con un bel faccino che gli ricordava Ysril.
Può andare a rotolarsi tra le pecore, per quel che mi riguarda. Stupido bifolco.
Seguitò a masticare insulti per i successivi minuti, finché non si accorse di aver di nuovo girato in tondo, a giudicare dalla figura di Reeven che si stagliava di fronte a lui, immobile, in mezzo alla neve, nell’esatta posizione in cui lo aveva lasciato.
Il biondo lo scrutò scettico: “Di’ un po’: ce l’hai il senso dell’orientamento?”
“Certo che sì! E il tuo non mi è sembrato tanto meglio.” ribatté acido, “È che fa un freddo cane e non riesco a ragionare bene…”
“Stavo per venire a cercarti, non mi va che vaghi da solo, per giunta di notte, in quest’area.”
“Uh, che cavaliere!” lo sbeffeggiò Nell, tremando come una foglia.
Reeven strinse i pugni e si impose la calma, cosa che si rivelò più facile del previsto, tanto che si sentì sbollire in pochissimi secondi. Che fosse la presenza di Nell a sopire i moti impetuosi del suo carattere? Come farebbe una tisana rilassante, più o meno. Paragonare Nell a una tisana dava luogo a una visione parecchio divertente, ma Reeven ritenne saggio tenerla per sé, in modo da non rischiare di rinnovare l’alterco e farlo scappare un’altra volta.
“Va bene, ascolta: non voglio litigare con te, mi fa star male, non so spiegartene il motivo. Vieni, ti guido io, e stavolta prometto di portarti fuori. In caso contrario, potrai riversarmi addosso tutta la tua collera e io non mi lamenterò.”
“Hmpf. In questo momento accetterei qualsiasi offerta, basta che mi si porti lontano da questa maledetta città.” farfugliò il biondino.
“Dammi la mano.”
Nell obbedì senza discutere, troppo concentrato a schermarsi dal vento gelido per registrare il gesto.
Appena le loro mani si intrecciarono, accadde ancora. Benché le dita di Nell si fossero trasformate in ghiaccioli, Reeven avvertì una scossa di calore pervaderlo da capo a piedi, inondandogli il petto di un soffice e piacevolissimo tepore. L’aveva sperimentato solamente due volte, inclusa questa, ma già sapeva di adorare la sensazione che gli causava quel contatto, quasi che finalmente avesse trovato il posto a cui apparteneva, ossia proprio lì, accanto a quel ragazzino. Che fosse la sua anima gemella? Lo guardò di nascosto, attento a non farsi beccare. Un vortice di emozioni lo ghermì con la violenza di un fortunale, ma quella che prevalse alla fine fu una sorta di incomparabile affetto misto a tenerezza, che lo spingeva ad orbitargli attorno e non perderlo mai di vista. Ne andava della sua capacità di respirare, di vivere. Desiderava proteggerlo, prendersi cura di lui e, al medesimo tempo, persuaderlo a fare altrettanto, riscoprendo quel senso di sicurezza che non provava da chissà quanto. A dire il vero, non ricordava quando mai lo avesse provato, eppure aveva l’impressione che non fosse una novità. In un passato remoto, Reeven era certo di aver goduto di un amore immenso, ne era stato il diretto destinatario. Lo innervosiva non rammentare le circostanze, ma, per quanto potesse sembrare assurdo, sentiva che Nell era la chiave. Era legato lui, anche se non sapeva né come né perché. Per il momento, si sarebbe limitato a seguirlo nel suo viaggio per vedere come si sarebbe evoluta la situazione. Era sempre in tempo ad andarsene.
“Ma guarda! Ve lo dicevo che era meglio sbrigarsi.”
La voce di Qolton riscosse Reeven dai suoi pensieri. Si voltò, sbigottito nello scorgere la sagoma possente dell’amico avanzare verso di lui. Phyroe e Utros gli erano dietro, infreddoliti, tremanti e imprecanti. Il suo viso divenne una maschera di autentico stupore e non nascose il sollievo.
“Ragazzi! Che ci fate qui?”
“Siamo venuti ad accertarci che foste sani e salvi.” rispose Qolton, “Abbiamo lasciato un ragazzino in tua compagnia e mai decisione fu più stupida. Lui è un forestiero, si vede, mentre tu non hai il minimo senso dell’orientamento.”
Nell volle protestare, dato che quel moro era già il secondo che sottolineava quanto fosse evidente la sua origine straniera. La questione lo incuriosiva, perché era sicuro di non essere vestito in maniera poi molto diversa dagli altri. Che fosse l’aria smarrita che si sforzava di celare, chiaramente invano? Ma venne distratto dal successivo commento di Reeven, che lo indispose non poco.
“Dici a me? Dovresti vedere lui!” additò Nell, “È infinitamente peggio.”
Nell, offeso, lo incenerì con un’occhiata e districò con una mossa brusca le loro mani. Reeven avvertì subito un senso di perdita, ma lo scacciò stizzito.
“Ecco, allora abbiamo fatto proprio bene a raggiungervi. Se volete uscire dalle mura, la strada è quella là, la terza a destra. Reeven, possibile che tu non l’abbia riconosciuta? In fondo c’è l’insegna di una delle tue taverne preferite.”
“La finiamo di chiacchierare? Sto gelando.” ringhiò Phyroe, avvolgendosi meglio nel corto mantello nero.
“Sì, tra poco sarà l’alba. Muoviamoci.”
“Anche voi lasciate Ferenthyr?” s’informò Reeven.
Qolton tossì imbarazzato, ma si diede un contegno: “Ci è venuta voglia di recarci a Durandel.”
“E cos’è?”
“È una città, Reeven.”
“Ah. E dov’è?”
“A nord-est.” rispose conciso Qolton, in un borbottio impacciato.
Nell assottigliò le palpebre e lo guardò di traverso.
“Quindi farete la strada con noi?” chiese Reeven, felice di poter godere ancora un po’ della compagnia di Qolton, ma anche di quella della bella Phyroe.
“Sì, per un pezzo. Ah, ti sei dimenticato di prendere la tua parte di gioielli. L’abbiamo noi.”
“Giusto!”
“Come si fa a scordarsi di gioielli che valgono una fortuna?!” esclamò sconsolata Phyroe.
Reeven ridacchiò e spiò Nell, che stava osservando la ragazza con interesse. Percepì montare la gelosia solo quando essa fu sul punto di venire a galla, ma la soffocò prima che traboccasse. Non stette neppure a sprecare tempo a riflettere se fosse geloso dell’amica o del ragazzino, non aveva voglia di porsi domande spinose che lo avrebbero condotto a snervanti dilemmi esistenziali. Ragionare non faceva per lui.
In quattro e quattr’otto furono fuori dalla capitale, senza che nessuna guardia li avesse fermati. Merito di Qolton, che si era messo in testa al gruppo senza tanti indugi.
“Bene, ci siamo. Per prima cosa dobbiamo procurarci dei cavalli. Conosco un tizio che li vende, abita qua vicino.” disse Reeven.
“Non credi che dovremmo aspettare almeno che sorga il sole?” gli fece notare Nell.
“Perché?”
“Perché stanno tutti dormendo!” sbottò.
“Se ci sono dei clienti, si svegliano.”
“È da maleducati.”
“Ha parlato l’esempio di gentilezza. Ragazzino, ricordi?” ghignò il ladro, indicandosi, “Orfano, criminale, cresciuto per la strada. L’educazione non è il mio forte.”
“Come usare il cervello, suppongo.”
Reeven levò gli occhi al cielo ed emise un lamento: “Dai, non litighiamo. Ti ho detto che non mi piace.”
“Sembrate una coppia sposata.” scherzò Utros.
“Io ho già un marito.” se ne uscì Nell, provocando uno shock a catena e subitaneo negli altri.
“Cosa?” domandarono in coro.
“Sì. È lui che sto cercando. È scomparso e mi sono messo sulle sue tracce.”
“Piuttosto, chiediti perché è scomparso.” ringhiò Reeven, senza premurarsi di nascondere la gelosia, stavolta.
“Non so di preciso come sia scomparso, ma so perché non è qui con me.”
“E cioè?”
“È una storia lunga.”
“E a noi piacerebbe ascoltarla, dico sul serio, però stiamo diventando un tutt’uno con la neve e vorremmo, a discrezione di sua maestà Reeven, o rifugiarci in una locanda a caso fino a riacquisire la sensibilità dei nostri poveri corpi, o comprare ‘sti benedetti cavalli e allontanarci veloci dalla città.” espose Phyroe, pacata, la bocca arricciata in un sorriso dolce dal quale traspariva un desiderio omicida mal represso.
Reeven, intercettando il suo sguardo di pece, deglutì: “Sì. Cavalli. Un paio d’ore, tempo di arrivare a Feroth, poi locanda fino a nuovo ordine.”
“Ah, quindi sei tu il capo ora?” indagò Utros e la sua domanda non voleva essere sarcastica.
“Io non seguirò mai questo qui.” dichiarò Phyroe, lapidaria come solo Suna sapeva essere.
Qolton ghignò.
Si vede che l’ha tirata su lui.
“Nemmeno io.” si accodò Nell.
“Per me è indifferente.” disse Utros.
“Sarò io il capo, perché sono il più vecchio e quello con più sale in zucca, senza offesa per i miei egregi compagni di sventura.” intervenne Qolton, sedando il diverbio sul nascere.
Nessuno obiettò. Nell si rimangiò in tempo l’informazione che, se proprio si doveva fare a gara a chi era il più vecchio, lui avrebbe vinto. Se se lo fosse fatto sfuggire, non avrebbe più finito di rispondere alle domande. Inoltre, era meglio che la sua natura ibrida restasse un segreto il più a lungo possibile: non voleva creare problemi e nemmeno diventare il bersaglio di qualche caccia al demone. Mantenere un profilo basso era la chiave per la sopravvivenza.
“Ottimo. Ora subito a comprare i cavalli, le selle e tutto ciò che serve. Poi in marcia verso Feroth.”
“Feroth è a ovest. Io devo andare a nord-est. E anche voi.” puntualizzò Nell.
“Se andiamo ora a est non troveremo alcun riparo, invece abbiamo tutti bisogno di riposo dopo una nottata del genere. A Feroth staremo tranquilli, non ci sono molte ronde, e il cibo non è male. Mangeremo, dormiremo, faremo provviste e domani mattina ripartiremo. Ci sono rimostranze?”
Nell scosse la testa, imbronciato. Qolton aveva ragione, faceva troppo freddo per proseguire e la stanchezza stava diventando sempre più pressante. Per quanto non lo esaltasse l’idea di perdere un giorno, non poteva fare altrimenti. 
“Aspettate un attimo.” proferì senza preavviso, bloccando gli altri, “Perché dovrei seguirvi? Io sono da solo. Non ho capi, non ho servitori, non ho amici né compagni di avventura. Non mi unirò alla vostra allegra combriccola, ho già fatto presente che non intendo avere appresso inutile zavorra. Voi fate quello che vi pare, io non posso fermarmi. Ogni giorno che non trovo mio marito, potrebbe essere l’ultimo per lui. Gingillarmi, mangiare o dormire non rientrano fra le mie priorità. Ho dei soldi per comprarmi un cavallo, perciò penserò io a me stesso.”
“Nell.” lo chiamò Reeven, incredulo e frastornato, indeciso se dare ascolto a Qolton o restare incollato al biondino, come il suo istinto gli suggeriva.
“Reeven, non c’è bisogno che vieni con me. A quanto pare, abbiamo una meta in comune, quindi sicuramente ci rincontreremo lungo il percorso. Rimani pure con i tuoi amici, lo vedo che ti stanno a cuore. Davvero, a me va benissimo. Il mio piano era viaggiare da solo sin dal principio, sei stato tu a metterti in mezzo, testardo come un mulo.” piegò le labbra in un sorriso mesto e lo incoraggiò con un cenno a raggiungere i compagni.
L’altro serrò la mascella, si protese con uno scatto e lo afferrò per un braccio. Poi piegò il busto e accostò la bocca al suo orecchio per non far sentire agli altri ciò che diceva.
“Ti prego, è pericoloso. Non posso lasciartelo fare.” scandì, trattenendo un sibilo rabbioso.
“Non sono uno sprovveduto, so cavarmela. Ho viaggiato in completa solitudine per anni.”
“Che significa ‘per anni’? Ne avrai a malapena diciotto, non darti arie da uomo vissuto.”
Nell sorrise enigmatico, mostrando i denti piccoli e bianchi. Reeven lo fissò stranito, incapace di interpretare l’espressione sul viso del ragazzo. Quella distrazione permise a Nell di divincolarsi e subito si affrettò a precederli verso un casolare circondato dalla nebbia mattutina, a circa trecento passi da loro, da cui si udiva provenire il nitrito di un cavallo.
Reeven sospirò afflitto. Incrociò l’occhiata spaesata di Qolton e quelle sussiegose di Utros e Phyroe. Infine, levando una preghiera agli dei per far sì che lo dotassero di un oceano di pazienza, si pettinò i capelli all’indietro e, in un lampo, si catapultò alle calcagna di Nell. Gli altri non poterono che imitarlo, pur tra sbuffi seccati e insulti mormorati a mezza voce. Se quello sarebbe stato l’andazzo, compiere insieme il viaggio non pareva più una trovata così entusiasmante.










 
  
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