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Autore: esmoi_pride    28/11/2016    8 recensioni
"Storie di Saab" è un medieval fantasy slash nato nel mondo di Pathfinder che racconta le vicende della famiglia imperiale dell'Alba di Saab, città devota al dio minore Saab e dalla recente fondazione, luogo di grandi promesse e di speranza. E' l'ideale se siete alla ricerca di drow poco ortodossi, elfi carini, slash andante e una misteriosa storia sulle origini del Dio e della sua città, da scoprire capitolo dopo capitolo.
E' una storia che si domanda cosa è giusto e cosa è sbagliato, e lo scopre attraverso le esperienze di Vilya Goldsmith, un ragazzo che non sa se potrà mai riuscire a diventare un uomo. Lo scoprirà proprio a Saab, città creata sotto antiche rovine secondo la missione di suo padre Azul: riunire la gente oppressa e discriminata in un solo popolo che guadagni forza e unità, e che accolga tutti quelli come loro. Intrecci tra molteplici personaggi mostreranno una città ricca di diversità, e le azioni di Vilya ci porteranno a chiederci quanto possa essere doppia la linea estrema dove le cose non sono più giuste, né sbagliate, e quanto spesso potremmo finire per percorrerla.
Genere: Dark, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Avviso chi già sta leggendo questa storia che questo capitolo è stato aggiunto dopo la pubblicazione dell'ora quarto capitolo per chiarire alcune cose riguardo il contesto della storia, dato che sollevava alcune domande. E' stato creato per rispondere a queste domande ed aiutare nella lettura, e spero che assolva il suo compito (fatemelo sapere!). E' ambientato nel passato rispetto alla storia effettiva. Inoltre, dal momento che non riuscivo a sostituire il primo capitolo al secondo, ho dovuto copincollare il primo capitolo nel link del secondo e quindi le recensioni di questo capitolo precedenti il 2017 appartengono in realtà al secondo capitolo (e quelle del secondo al primo). Scusate il disagio ^^' e buona lettura.


 
Assoluzione.




 
Il drow di bassa statura posò lo sguardo sull’orizzonte davanti a sé. Poco lontano dalle rovine che lo circondavano, appena oltre la città perduta, prendeva piede una foresta alta e fitta che si prolungava per diversi chilometri. I suoi enormi occhiacci gialli cercarono di scovare il movimento delle creature che vi abitavano, tra un tronco e l’altro dei primi alberi, invano. Evidentemente era un orario troppo soleggiato perché si avvicinassero al limitare del loro luogo sicuro.

Il cozzare dei sassi ne fece fremere le orecchie appuntite e lo distrasse da ciò che stava guardando. Voltò la faccia spigolosa per incontrare la sagoma dell’umano alto e robusto che lo stava accompagnando. L’uomo portava capelli ramati e mossi, e una barba incolta. Aveva il capo chino, guardava un rimasuglio della rovina grande quanto un pugno, se lo rigirava sotto lo stivale studiandolo. Dal suo sguardo impenetrabile, che si era soffermato sul pezzo di pietra, trapelò l’angoscia nel comprendere di trovarsi in un luogo ormai rinnegato.

“Tra quanto dovrebbero arrivare?” la voce del drow arrivò nitida alle orecchie dell’altro. “Tra non molto.” Gli rispose.

Lasciò perdere la pietra e avanzò di poco, osservandosi attorno. I suoi occhi alla fine si posarono sul drow basso che lo fissava con i suoi occhi da serpente. Aveva uno sguardo diffidente – non era insolito che lo guardasse così. Tastava continuamente il terreno. Era inevitabile, avevano passato troppo tempo insieme perché non si insospettisse del suo comportamento apatico. L’uomo fu rassicurato di non scorgere, insieme a quella diffidenza, alcuna traccia di allarme nei suoi occhi. Questo era l’importante. Non doveva fidarsi di lui. Era della missione, che doveva fidarsi.

“Quella è la Foresta Incantata?” gli chiese, con un cenno del capo. L’umano annuì dando una rapida occhiata alla foresta. “La avremo vicina. Sarà una buona fonte di legname… e anche di piccoli scambi, se facciamo amicizia con gli elfi.” Il drow piantò le mani sui propri fianchi “Anche questo me lo permetterà il tuo Dio?” I due si fissarono. “Non penso.” Replicò l’umano. “Quello lo lascerà a te.”

“Oh, grazie.” Il drow incrociò le braccia al petto scarno e tornò a guardare la foresta, per ostinarsi a ignorare l’altro in un gesto esplicito, pur continuando a parlargli. “Allora c’è qualcosa che un farabutto ignorante come me può fare per questo mondo.” L’umano restò a scrutare la sua figura e il silenziò riempì l’aria, interrotto dal cinguettio lontano degli uccelli, prima che avanzasse di un passo verso l’altro. “Ne dubiti?”

Le orecchie appuntite del drow si drizzarono, le sue sopracciglia si inarcarono, distrattamente. “Se io, Azul Goldsmith, dubito di poter governare una intera città destinata alla gloria e alla leggenda, servendomi solo delle mie capacità di miserabile criminale qualunque, non essendo mai stato parte della nobiltà in alcun modo se non per camuffamento, e avendo vissuto tutta la mia vita nel contesto più lontano possibile da ciò che mi aspetta?”

Allora si voltò verso l’uomo.

“Mmmmh. No. Perché ho te.”

Gli concesse un’occhiata furba. Era quasi – quasi – un complimento. L’altro ne fu appena colpito.

“E tu Imesah?” Continuò Azul, nella tonalità e postura altezzosa, che curiosamente gli donava sempre, nonostante fosse un uomo minuto. “Ti stancherai mai di fare la pedina di qualcosa più grande di te?” Per quello che Imesah aveva capito di lui, immaginava che il drow lo stesse semplicemente stuzzicando. “È grave?” Gli replicò, con la stessa ironia, raggiungendolo. Come cambiarono le distanze tra loro, così Azul si smosse, voltandosi di istinto verso di lui. Il movimento del suo corpo si fece più incerto. Lui perse la sicurezza che ostentava. Ancora una volta, Imesah non vide allarme nei suoi occhi. Vide qualcosa di più caldo e titubante. “Non lo so.” Disse il drow. “Anche io sono un’altra pedina dopotutto, non è così?” Aveva abbassato lo sguardo sul petto dell’umano, ma ora cercò di nuovo i suoi occhi “Lo siamo tutti. Stiamo solo seguendo il suo copione. Quello che lui vuole fare di noi.”

Assottigliò le palpebre. Imesah sostenne quello sguardo crudo. Sentì il desiderio di avvicinarsi, ed insieme ad esso, l’insicurezza di poterselo permettere. Osò, gli bastò fare un altro passo per raggiungerlo e prendere un suo polso sottile nella mano. Azul non lo allontanò e non si sottrasse alla sua presa morbida. Puntò gli occhi sul gesto. A Imesah sembrò di vedere lo sguardo ipnotizzato di un serpente, quando nota qualcosa muoversi tra le foglie. Non sapeva dire se Azul era compiaciuto o spaventato da quel tocco. Però sapeva che ne era attratto.

“C’è sempre spazio per scrivere quello che vuoi in questo libro.” Gli rispose Imesah. Azul lasciò che il silenzio seguisse, e lentamente sollevò di nuovo gli enormi occhi su di lui. Rifletteva, molto. Alla fine si decise a parlare. “Su questo libro c’è scritto che persi i miei genitori da bambino e insieme a loro la memoria e la mia identità. Venni catturato e reso un assassino. Fuggii da vigliacco e mi arruolai tra i tagliagole. Ho scritto di aver fatto tante cose orrende e da questo non si può tornare indietro.”

Zittì. Imesah sosteneva, ancora una volta, il suo sguardo, esortandolo a continuare. I polmoni di Azul si riempirono di aria, il piccolo petto si sollevò. “Sì, scriverò qualcosa di mio. Lui lo sa.” “… È quello che vuole, Azul.” Imesah si avvicinò ancora. Costrinse l’altro a sollevare il mento per continuare a guardarlo. “Vuole che sia tu a scrivere.”

Azul scrutò a fondo negli occhi verdi dell’uomo. Inspirando, poté sentire il suo profumo. Era un profumo di alberi e di rugiada. Quello gli fece realizzare quanto fossero vicini, e per un momento il cuore aumentò il battito in un inizio di attacco di panico. Senza scomporsi emise uno sbuffo sarcastico dalle narici, distendendo le labbra carnose in un ghigno, e gli diede le spalle allontanandosi. Prese le distanze con il discorso alleggerendo i toni, e così poté liberarsi di Imesah anche fisicamente, compresa la stretta al polso, che l’umano si era fatto sfuggire dalle dita senza insistere.

“Del resto, cosa posso aspettarmi da un Dio che ha preso te come suo cavaliere?” Salì su un piccolo ammasso di pietra che nel cadere, tanto tempo prima, aveva formato una specie di scala. Si godette la sensazione di essere la creatura più alta nell’area in quel momento. “Aveva bisogno di un imperatore e sapeva che io volevo diventarlo. Non gli è importato perché.” “Forse sì.” Lo interruppe l’umano, affiancando l’ammasso di pietre. Azul, interdetto, gli lanciò un’occhiata. “Mi stai dicendo che ha a cuore la mia missione? Unire la feccia della società in un solo buco dove può vivere in pace la sua vita, un luogo dove le parole ‘nobile’ e ‘schiavo’ non hanno significato…” Parlando, il tono si abbassò. Il suo sguardo si perse solenne nel paesaggio della Foresta Incantata. “Dove si può ricominciare.” Mormorò.

“Tu non lo conosci abbastanza.” Dichiarò Imesah, prima di unirsi ad Azul nel guardare la foresta “Ma non preoccuparti. Ci sarà tempo per questo.”

Azul non sapeva quanto tempo avessero passato ad ammirare le fronde degli alberi scosse dal vento, ma il rumore sordo di rami smossi contro il suolo di pietra, dietro di sé, gli disse finalmente che non erano soli. Si voltò e… un gruppo di persone li stava fissando, smuovendosi appena. Evidentemente aspettavano che si rendessero conto di loro. Azul si sarebbe fatto afferrare dalla paura se non si fosse aspettato il loro arrivo. Anche Imesah si era voltato per guardarle.

La creatura più avanti sembrava esserne a capo: era una donna di media statura. Aveva lunghi capelli mori e una bandana nera le fasciava la testa. Un corpetto scuro era stretto attorno al suo petto, e da esso sbucavano le pieghe di una camicia grigia. Pantaloni neri erano infilati in stivali leggeri. Da dietro le spalle sbucavano le else di due sai incrociati. Un’altra bandana le copriva il muso, da metà naso fin sotto il mento. I suoi occhi non erano due grandi biglie come quelli di Azul: avevano una normale forma umanoide, tuttavia erano anch’essi gialli e dalla pupilla verticale come quelli di un rettile. Trasmettevano serietà e concentrazione. La loro forma umana permetteva alla donna di non avere l’aspetto inquietante di Azul, e di non celare il calore dello sguardo.

“Signori.” Parlò lei.

“Qual è il tuo nome?” Chiese Azul, scendendo senza fretta dall’altura su cui si trovava.

“Sonia.” Gli rispose lei. Tenne gli occhi fissi su di lui. “Solo Sonia.”

Poi si voltò per osservare le persone che la precedevano. Da come li studiava si poteva indovinare che non li avesse mai visti prima.
Imesah serrò le labbra e si preparò a spiegare. “Siete stati guidati fin qui da ogni continente della nostra terra, ascoltando la voce di Dio. Aspettavate da tempo il momento in cui Saab in persona vi avrebbe chiamato. Siete i suoi fedeli più devoti, pronti a sacrificare qualsiasi cosa per lui, e siete stati scelti per costruire insieme a noi il suo nuovo Regno.”

Si interruppe per scrutare i loro sguardi. Scorse la sagoma di un piccolo halfling in prima fila. Non sapeva di preciso a cosa stava andando incontro, non aveva idea di chi fossero gli altri, e aveva probabilmente abbandonato tutto ciò che conosceva per arrivare fin lì, ma aveva gli occhi infuocati dalla determinazione, senza ombra di incertezze. Condivideva quell’espressione con tutti gli altri.

Imesah sapeva cosa lo muoveva. In quel momento l’halfling si sentiva bruciare di energia. Sentiva il suo potere potenziale evaporare dai pori della pelle. E tutte le particelle del suo corpo erano tese verso un solo obiettivo: seguire il richiamo innato che percepivano da quando Saab lo aveva chiamato in quel luogo. Sentiva che fosse giusto, sentiva che fosse l’unica cosa da fare, e ogni titubanza era stata lasciata oltre i suoi passi. Imesah lo sapeva, perché anche lui, come loro, percepiva lo stesso fuoco dentro di sé.

Saab era un dio minore, uno dei tanti numerosi dei che decidevano delle sorti di quel mondo, e non poteva di certo vantare dell’incredibile numero di accoliti di cui vantavano le otto divinità maggiori. Ma i pochi cavalieri, chierici e fedeli che possedeva avevano tutti la stessa fede incrollabile.

“Le rovine che ci circondano sono ciò che rimane della città di Fajjar Saeb. Cinquemila anni fa, Saab creò un luogo di pace dove creature di discendenza divina e mortale vivevano insieme armoniosamente. Questo luogo fu spazzato dalla faccia della terra e dalle mappe dei continenti, ma ora il Dio ci chiama a sé per eseguire nuovamente il suo volere e creare la sua dinastia in terra.”

Avanzò di un passo. “Il mio nome è Imesah Hos. Sono un Cavaliere del Dio, e sono stato chiamato da Lui per eseguire la sua volontà. Saab mi ha ordinato di trovare l’uomo che Lui ha scelto, e di comandarvi una volta giunti qui.”

Si voltò verso Azul.

“L’uomo che è insieme a me è Azul Goldsmith, scelto dal Dio. Lui sarà il vostro imperatore.”

Le persone che si trovavano davanti a loro non mossero un dito. Si limitarono a fissarli.

Azul poi si rivolse a tutti.

“Vi vedo, uomini e donne. Giovani, adulti, di una razza o di un’altra. Siete tutti diversi fra voi. Alcuni di voi hanno la pancia più vuota di altri. Ma nei vostri occhi vedo la stessa scintilla infuocata, la stessa voglia di mettersi in gioco.”

Avanzò verso gli uomini, attenuando le distanze. “In ogni regione di ogni continente ci sono creature sull’orlo della disperazione, spezzate dalla fame, dalla povertà o dalla discriminazione. Donne a cui viene tolta la libertà di decidere il loro destino. Uomini resi schiavi dai prepotenti. Figli rinnegati per la loro natura diversa. Famiglie umili, schiacciate da nobili che non sanno cosa fare del loro danaro. Signori della guerra che mandano a morire gli eserciti per i loro capricci. Ognuna di queste persone è alla continua ricerca di un luogo dove tutto questo non esiste.”

Con un gesto delle braccia indicò la terra sotto i loro piedi. “Fedeli di Saab, vi sembrerà di essere solo noi in questo momento. Ma il Popolo di Saab calpesta già la terra, ed è ovunque, in ogni luogo. Chiameremo ognuno di loro, gli daremo la giustizia che cercano, e quando verranno e riempiranno ogni angolo della città saprete che il Popolo di Saab è il più vasto di tutto questo mondo.”

Scrutò i loro sguardi, uno per uno. “Quello che ci aspetta è grande. Se non siete in grado di prenderlo nelle vostre mani, andatevene adesso. Perché se ora fate un passo avanti, non potrete tornare indietro.”

Nessuno dei fedeli mosse un dito, nessuno mostrò una nota di incertezza. Alcuni smossero il peso del corpo da un piede all’altro, con gli occhi attenti sull’Imperatore.

Azul li osservò bene, poi scrollò il capo e annui. “Bene.” Si voltò, e si allontanò. Imesah iniziò a parlare loro, mentre lui tornò a osservare la Foresta, incrociando le braccia. Sentì un profumo femminile sfiorargli le narici, e capì che Sonia lo aveva affiancato senza fare il minimo rumore. Anche lei osservava la Foresta, ma le sue orecchie erano tese verso le parole di Imesah: “Il vostro primo compito è raccogliere accoliti da ogni regno. Vogliamo incantatori, falegnami, fabbri, costruttori e ingegneri. Quando la città sarà in buone condizioni ci occuperemo degli abitanti…”

Quando il Cavaliere ebbe finito, Azul si voltò verso tutti. “Venite con me.” Con un cenno della mano, esortò Imesah ad affiancarlo e si incamminò. Avanzavano di qualche metro più avanti nel guidare la manciata di persone con Sonia a capo. Le macerie li circondavano. Massi ormai adagiatisi da cinquemila anni nelle loro posizioni attuali, da tempo non più pericolanti, costantemente fermi nelle loro posizioni.

Azul si interruppe quando scorse il baluginio di qualcosa che luccicava tra le foglie delle piante selvatiche, quelle che avevano preso il dominio del luogo in alcune zone. Lo cercò, con il piede scostò le piante, e alla fine trovò la fonte. Si chinò per raccogliere un sasso d’oro. Un sasso completamente fatto d’oro, altrettanto pesante, che riempiva i palmi di entrambe le sue mani.

“Dev’essere un resto del Palazzo dell’Imperatore.” Disse Imesah vedendo quell’enorme pepita tra le mani del drow. “Il Palazzo era interamente scolpito nell’oro. Quando la città cadde in rovina, fu saccheggiato in ogni modo possibile. Quello è ciò che ne resta.” Azul inarcò le sopracciglia, sorpreso. “Un palazzo… interamente scolpito nell’oro.” I suoi occhiacci avidi luccicarono. Gli altri li avevano già raggiunti e si erano fermati a fissarli, in attesa che avanzassero. Azul dovette riportare la pepita al suo posto, e riprendere il cammino.

Quando si fermarono, fu chiaro a tutti il perché.

Davanti a loro, tra gli arbusti sparuti del terreno, si stagliava qualcosa che nessuno di loro aveva mai visto prima, né immaginato, né sentito parlare. Era, se possibile, descrivibile come una sorta di gigantesca capsula verticale modellata e piegata nel metallo, alta quanto un albero, ellittica, lunga e sottile, e dalle estremità appuntite. Essa distava dal terreno quanto una persona, ed era tenuta in piedi da otto arti rannicchiati, anch’essi lunghi e sottili, che salivano fin oltre la capsula e ricadevano per terra poco distanti. Sulle pareti della capsula c’erano delle fenditure nel metallo, riempite con un materiale molto spesso che sembrava vetro, e verso il basso dei piccoli oblò che però non erano sicuramente finestre.

Gli uomini dietro Imesah e Azul restarono a bocca spalancata e occhi sbarrati, sentendosi mancare il respiro. Non poterono fare più di questo. Azul invece non se ne preoccupò. Lui si avvicinò all’oggetto non identificato e allargò le braccia.

“Allora,” urlò ad alta voce alla capsula “prendi nota: voglio un cazzo di palazzo interamente scolpito nell’oro!”

Con orrore di tutti, dopo pochi istanti una calda luce filtrò dal vetro della capsula, illuminando l’erba, le rovine e le facce dei presenti prima di spegnersi gradualmente. Azul abbassò le braccia, rilassando la postura.

“Credo che Saab abbia detto sì.” Commentò Imesah.

 
Ciao a tutti! Grazie per aver letto questo capitolo. Spero che vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito a leggere il resto della storia. Non esitate a lasciarmi delle recensioni per farvi sapere se vi è piaciuto o meno, soprattutto se avete dei consigli o delle critiche, che verranno accettate di buon grado! Vi aspetto nel prossimo capitolo :)
 


 
Azul Goldsmith.

   
 
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