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Autore: EffieSamadhi    29/11/2016    5 recensioni
{Post 5x14 | Le mille e una tata}
«Sono stato un grande idiota per la maggior parte del tempo» aggiunge, e quasi riesce a sentire l'eco della voce di Niles che grida Sì, signore, lo è stato!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fran Fine/Francesca Cacace, Maxwell Sheffield
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I Delitti Del Cuoco - Francesco [Vorrei Che...]

{ Disclaimer | I personaggi presenti nella serie non mi appartengono, ma sono proprietà di Fran Drescher e Peter Marc Jacobson, che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. }

{ Personaggi/Pairing | Francesca Cacace, Maxwell Sheffield | Francesca/Maxwell }

{ Note dell'autrice | "La tata" è probabilmente la prima sitcom della quale mi sia innamorata – e questo, anche se un po' mi scoccia dirlo, è avvenuto all'incirca vent'anni fa. Certo, all'epoca non capivo i doppi sensi e le frecciatine e mi limitavo a ridere per la straordinaria mimica facciale di Fran Drescher e Daniel Davis. L'ho però ripresa, recentemente, e ho scoperto che non mi ha mai abbandonata – e anche dopo vent'anni, è ancora una delle sitcom più originali e divertenti che abbia mai avuto l'onore di guardare. Senza contare che soltanto adesso ho imparato ad apprezzare lo straordinario fascino del signor Sheffield. }

{ Timeline | Post 5x14, "Mille e una tata" }






Alla mia socia, DadaOttantotto, perché non so a chi altri

potrebbe interessare una parola di ciò che scrivo.

E a Kashmir, che oltre ad essere un'altra potenziale vittima

condivide il mio amore per tutto ciò che è british.






Confessioni notturne






New York, primavera 1998


Gracie entra in casa trascinandosi dietro la valigia, ansiosa di raccontare a Maggie e Brighton ogni dettaglio della sua splendida vacanza in Medioriente. Rimasto solo con la tata, il signor Sheffield chiude la porta, pronto a godersi la pace dell'anticamera. Stringe a sé Francesca, prendendosi un istante prima di dirle ancora che l'ama, ma quell'attimo di esitazione rivela una strana sfumatura negli occhi della donna. «Va tutto bene, Francesca?»

«Splendidamente, ora che sono di nuovo a casa» risponde lei, piegando gli angoli della bocca in un sorriso radioso. «Però non posso fare a meno di domandarmi quanto ci vorrà perché cambi di nuovo idea. Non mi illudo certo che questo ti amo sia quello definitivo» aggiunge dopo un istante, mentre il suo bel volto si rabbuia.

Ed è in questo momento che il signor Sheffield capisce di averla ferita, di averlo fatto così tante volte e così profondamente da non meritare alcun perdono. Stringe un po' di più la presa sui suoi fianchi sottili e si rende conto di non avere scuse, perché cinque anni sono davvero troppi per ammettere di aver bisogno di qualcuno accanto, soprattutto quando quella persona è sempre stata lì – ed è sempre stata lì per te. «Mi dispiace molto di averti fatta soffrire, Francesca» sussurra, così piano che non è nemmeno sicuro che lei possa sentirlo. «Sono stato un grande idiota per la maggior parte del tempo» aggiunge, e quasi riesce a sentire l'eco della voce di Niles che grida Sì, signore, lo è stato! «Ma ti prometto che ora farò del mio meglio per rimediare ai miei errori.» Poggia lievemente le proprie labbra sulle sue, senza riuscire a comprendere i motivi che l'hanno spinta a rimanere in quella casa nonostante tutti i suoi dubbi, nonostante le incertezze, nonostante le dichiarazioni ritrattate e le innumerevoli occasioni di costruirsi una felicità sicura. Pensa che deve amarlo davvero molto per essere riuscita a vincere ogni istinto di fuga.


Sono le tre di notte, e in casa Sheffield tutti dormono. Tutti dormono, ma Francesca no. Dovrebbe essere sfinita dal fuso orario, stremata per il viaggio e frastornata dalla realizzazione del suo sogno di sempre, eppure non le riesce di chiudere gli occhi e scivolare tra le braccia di Morfeo. Vorrebbe addormentarsi e sognarsi sposata, o meglio ancora scoprire di esserlo già quando riaprirà gli occhi, ma c'è qualcosa che continua a tormentarla – un tarlo che continua a roderle il cuore e non vuol saperne di lasciarla stare, tanto che sta pensando di battezzarlo zia Assunta.

Quando finalmente decide di prendere in mano la situazione e fare qualcosa per risolvere il problema, sono quasi le tre e mezza. Esce dalla propria camera in ciabatte e senza nemmeno indossare la vestaglia sopra il pigiama, ma a metà strada verso la cucina cambia idea, sicura che ad un'abbuffata di gelato sia preferibile affrontare la cosa di petto.

Bussa alla porta della camera da letto del signor Sheffield, senza ricevere risposta. D'altronde, sono le tre e mezza del mattino – un'ora in cui la gente normale, di solito, non fa altro che dormire. Scoprendosi ignorata, Francesca non si fa problemi ad aprire la porta e farsi avanti nella stanza semibuia, proprio come fosse casa sua. Il signor Sheffield dorme, e Dio solo sa se lei non vorrebbe vederlo sempre con quell'espressione così beata e tranquilla. Ma come si fa a stare tranquilli quando si condivide la casa con un ciclone?

Si avvicina al letto in punta di piedi, attenta a non fare rumore. Alza una mano e accarezza il bel ciuffo grigio del signor Sheffield, sorridendo al pensiero di quanti mesi ci siano voluti per fargli acquistare quel dettaglio che lo rende così interessante. «Maxwell» sussurra, chinandosi appena per farsi sentire meglio. «Maxwell» ripete, e a quel secondo richiamo il signor Sheffield finalmente apre gli occhi.

«Francesca, che succede? Ti senti bene? Uno dei ragazzi sta male?»

«No, stanno tutti bene. È solo che non riuscivo a dormire, e allora ho pensato... ho pensato fosse il momento giusto per scambiare due parole con te. Scusa per l'ora.»

«Figurati, hai fatto bene a venire qui» risponde lui, mettendosi a sedere mentre si strofina il volto. Fino ad un paio di giorni fa si sarebbe indispettito, ma ora non più – non dopo che lei si è anche scusata per il pessimo tempismo. «Siediti e dimmi tutto» aggiunge, spostandosi un po' per farle spazio. «Che succede, Francesca?» le domanda, accarezzandole i lunghi capelli sciolti sulle spalle.

«Penso che potresti aver commesso uno sbaglio, laggiù in Medioriente» comincia lei, abbassando lo sguardo. «Quando hai detto di amarmi» specifica, quasi ce ne fosse bisogno. «Forse sul momento ti sembrava la cosa più giusta da fare, ma temo che potresti aver commesso uno sbaglio.»

«Intendi... intendi forse come quando ho detto di amarti perché temevo che l'aereo precipitasse e poi ho ritrattato?»

«Sì, qualcosa del genere.»

«Ma è passato più di un anno, Francesca» replica lui con lo stesso tono accondiscendente che userebbe con la figlia minore. «Non sono più l'uomo che è tornato da Parigi.»

«Il punto è proprio questo, Maxwell. Nemmeno io sono più la donna che è tornata da Parigi» gli fa eco lei, sollevando finalmente lo sguardo per guardarlo negli occhi. «Se dovessi di nuovo decidere di fare marcia indietro, questa volta non credo potrei sopportarlo. Sarei costretta ad andarmene. E non come tutte le volte in cui ho minacciato di andarmene e poi sono tornata» aggiunge, gesticolando nella maniera buffa e insensata che ha contributo a fare di lei la sola donna che Maxwell riesca ad immaginarsi accanto. «Vivere di nuovo con zia Assunta e zio Antonio sarebbe più sopportabile che vivere con un uomo che continua a rifiutarmi.»

«Francesca, perché temi che potrei ritrattare ancora?»

«Perché tu sei fatto così. Ti piace che il mondo ti veda come un uomo integro e coraggioso, ma ogni volta che hai l'occasione di uscire dagli schemi te la fai sotto dalla paura. Non fraintendermi, è anche questa una delle cose che amo di te. Solo, non credo potrei sopportarla più a lungo di quanto abbia già fatto.»

Maxwell smette di accarezzarle i capelli, comprendendo di non aver mai pensato davvero ai bisogni della tata, ma soltanto a sé. «Sono stato un grande egoista, Francesca. Me ne rendo conto soltanto adesso» sussurra nella penombra della stanza. «Se fossi in te, non so quante volte mi sarei già preso a schiaffi.»

«Bada, non mettermi in testa strane idee» sorride lei, riprendendo quell'espressione serena che tanto le si addice. «Voglio solo essere certa che tu sia sicuro di quello che stai facendo. Sono sempre stata una che perdona, ma quando è troppo è troppo.»

Maxwell le si avvicina un po', cercando i suoi occhi scuri per rivelar loro, finalmente, la verità che si cela nei propri. «Francesca, credo di amarti da anni. Da molto prima di Parigi, in effetti. Sei la prima donna che mi abbia fatto provare il desiderio di ricominciare dopo la morte di mia moglie. Sei la prima che non sia scappata urlando di fronte ad uno degli scherzi di Brighton, la prima che sia riuscita a far uscire Maggie dal suo guscio. E sei anche la sola persona al mondo di cui Gracie si fidi ciecamente.»

«Se la metti in questi termini, mi viene da pensare che forse dovrei sposare i tuoi figli» replica lei, incapace di rimanere seria per più di cinque minuti.

«Proprio perché la metto in questi termini dovresti renderti conto che non ritratterò» riprende lui, poggiando la propria mano sulla sua. «Non sei importante solo per me, Francesca. Sei importante per tutti noi. Credo che Niles inizierebbe a portare il lutto, se te ne andassi» conclude, strappandole una risatina. «Spero che tu non abbia intenzione di andare da nessuna parte, perché io non ho più voglia di scappare.»

«Dici davvero?»

«Dico davvero» sussurra ancora lui, prima di avvicinare il proprio viso al suo per un bacio, con un po' di fortuna il primo di una serie infinita. Le braccia di Francesca salgono a cingere il suo collo, e mentre la stringe di più a sé Maxwell sente di non aver più voglia di tergiversare, di non aver più intenzione di sfuggire a quello che, ormai lo riconosce, è il suo destino. «Stanotte resta qui» sussurra ancora, spostando la propria bocca sul lungo collo aggraziato della donna che sposerà.

   
 
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