Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: ElenaNJ    29/11/2016    1 recensioni
[crossover con Cosmowarrior Zero]
Siamo nel 2984 e la rinata Federazione Terrestre è sotto shock: Tadashi Daiba, il suo amatissimo Primo Ministro, è stato assassinato da un individuo identificato come... Harlock!
Warius Zero, di ritorno da una lunga missione ai confini del cosmo, è contattato in gran segreto da Yuki Kei e, messo al corrente degli inquietanti fatti che fanno da contorno e precedono il delitto (tra cui il sospetto di una cospirazione ai livelli alti del Governo e la sparizione di gran parte dell'equipaggio dell'Arcadia), decide di portare a termine la missione che gli era stata affidata quattordici anni prima: catturare Harlock.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap 8 Ishikura sistemò per l’ennesima volta il colletto dell’uniforme e tornò a fissare le schiene dei tre uomini che lo precedevano lungo il corridoio.
Acciaio.
Non c’era altro modo per definirli.
Harlock, Daiba e il Capitano Zero. Metà di quel che avevano passato negli ultimi tempi avrebbe spedito sottoterra o in un ospedale psichiatrico chiunque… e invece eccoli lì, ritti sulle loro gambe e ancora capaci d’intendere e volere.
Per la verità, ogni tanto il Capitano sembrava avere la testa chissà dove, Harlock s’era richiuso nel suo mutismo finché Daiba non aveva ripreso i sensi e quest’ultimo barcollava ancora un po’, ma per uno che aveva passato ventiquattr’ore attaccato a una macchina per la circolazione extracorporea e quasi un mese a letto a far saldare tre costole rotte, combattere febbre e geloni e smaltire i postumi dell’impianto d’un ICD* con dosi da cavallo di farmaci, era in forma strabiliante.
Ishikura roteò la spalla sinistra. I tendini scattarono e un dolore sordo gli percorse l’avambraccio fino al gomito. Gemette a labbra strette.
Non sarò mai stoico come loro, però li capisco.
Stress, notti insonni e postumi delle ferite o meno, non sarebbe voluto essere da nessun’altra parte, a costo di lasciarci le penne.
Sfiorò il calcio della sua pistola d’ordinanza con l’intenzione di controllare la carica della cella ma si ricordò d’averlo fatto appena cinque minuti prima, e già per la terza volta da quando erano entrati nel Palazzo del Governo.
– Nervoso?
Accanto a lui, Tetsuro Hoshino sorrise.
– No, per niente.
In realtà, il succo d’arancia e il tramezzino che Marina l’aveva obbligato a ingurgitare per colazione minacciavano una sortita.
– Io, invece, sono teso come una corda di violino – dalla sua espressione imperturbabile e dalla scioltezza con cui stiracchiò le braccia, non sembrava proprio – Dopo dieci anni, finalmente scriveremo la parola fine al Progetto Herakles. Ancora non mi sembra vero.
Ishikura sfiorò la foto con Takeshi e Minoru nella tasca interna della giacca e pensò a suo padre. Come se gli avesse letto nel pensiero, Tetsuro gli diede una leggera stretta sull’avambraccio. Non gli aveva solo rivolto una frase di circostanza, durante quella riunione: da quando si erano rincontrati, aveva davvero preso a comportarsi come una specie di fratello maggiore acquisito… nonostante fosse più giovane di lui.
– Ragazzi, ma avete visto le facce di tutta questa gente? – Sylviana gli trotterellò accanto, gli tirò la manica come una bambina e ridacchiò, in brodo di giuggiole – Sembrano tutti sul punto di farsela addosso!
Un momento: Sylviana?!
Ishikura si guardò attorno e alle spalle: che fine aveva fatto Rai? Perché Grenadier non l’aveva trattenuta all’entrata col resto della squadra? A che cavolo stava pensando Marina? Poteva anche arrivare a capire, con un colossale, titanico sforzo, che ormai tutti sulla Karyu e sull’Arcadia avessero accettato il suo andarsene ovunque volesse quando volesse, ma che persino le guardie del Ministero…
Poi, la sua mente si soffermò sulla composizione del gruppo nel quale s’era imbucata.
Il ricercato numero uno in tutto l’universo. Il Primo Ministro della Federazione, ufficialmente morto per mano sua. Il Capitano della nave che aveva sconfitto l’Hell’Castle nella battaglia di Teknologhia. Lui, forse il solo a non essere famoso o famigerato, ma che lì dentro tutti conoscevano grazie a Minoru. L’eroe delle guerre contro i Meccanoidi di Promesium. E per finire in bellezza, Yuki Kei, scomparsa ormai da mesi, forse rapita, forse assassinata, Marina, Yattaran che si gingillava con un modellino dell’Arcadia nuovo di zecca e il Dottor Zero che canticchiava allegro col suo gatto accovacciato sulla spalla e una fiaschetta di saké che gli spuntava dalla borsa.
Non c’era da stupirsi che, dopo quella parata di celebrità, una pazza in minigonna rosa fluo, doppi cinturoni e stivaloni da cow-girl fosse passata inosservata.
E non c’era da stupirsi che, in effetti, si fosse radunata tutt’intorno e dietro di loro una folla che li fissava attonita e li seguiva mormorando.
Il corridoio terminò davanti a una porta sulla cui semplice targhetta d’ottone si leggeva la scritta: “Ufficio del Primo Ministro”.
Daiba mosse un passo avanti, tirò fuori dal taschino la sua chiave elettronica e la fece scorrere nella serratura.
Aggrottò la fronte nel sentirla scattare e Ishikura pensò che sì, era d’accordo con lui: il non aver ancora escluso dal sistema di sicurezza il codice di un uomo assassinato, anzi, il non aver nemmeno verificato che fine avesse fatto la sua chiave dopo tutto il tempo che era passato, era indice d’un lassismo imperdonabile.
La porta s’aprì con un sibilo e il piede di Daiba urtò contro una pila di documenti buttati alla rinfusa sul pavimento. Sollevò quello che faceva capolino all’estremità, tutto spiegazzato, macchiato di caffè al centro e scarabocchiato sui bordi. Il suo cipiglio s’accentuò. Ishikura sbirciò da sopra la sua spalla: era il piano per il potenziamento della rete di trasporti della Federazione a cui stava lavorando col suo esecutivo prima di subire l’attentato. Buttò l’occhio sulla colonna di carta: lo seguiva un plico d’accordi e disposizioni in merito agli approvvigionamenti da e per le colonie contrassegnato come “da rivedere – urgente” più di tre mesi prima.
E se tanto mi dà tanto, il povero Daiba avrà parecchio da fare nei prossimi giorni.
Ishikura lo compatì dal più profondo del cuore nell’osservare l’altra dozzina di colonne di scartoffie che costellavano il pavimento, ognuna delle quali alta almeno mezzo metro e tutte disposte a mo’ d’ostacolo attorno ai banchi di sabbia, alle collinette e alle buche in plastica d’un set da minigolf da ufficio.
– E Fulmine passa in vantaggio, a due giri dalla fine!
Dalla scrivania ingombra di mazze, palline, carte da gioco, riviste, piatti e bicchieri vuoti, l'immagine tridimensionale d’una folla accalcata in un ippodromo ruggì eccitata. Harlock s’avvicinò in tre rapide falcate e spense il proiettore olografico.
– Ehi, tu! – Chīsanahito guardò in su indignato – Ma come o…
Harlock incrociò le braccia sul petto, un cipiglio a dir poco spaventoso sul volto sfregiato.
Chīsanahito sbiancò, fece un salto sulla poltrona e lanciò un urlo stridulo.
– A-a-a-aiuto! – si mise a scavare tra le cianfrusaglie davanti a lui, alla disperata ricerca di qualcosa – Guardie! Guardie! Ma dove diavolo è finito l’interfono?!
Daiba s’affiancò ad Harlock e squadrò il terrorizzato Ministro dalla testa ai piedi, sul volto uno sguardo truce che non aveva proprio nulla da invidiare a quello del suo Capitano. Gli occhi di Chīsanahito raggiunsero le dimensioni di due palline da tennis nel posarsi su di lui. Si tolse gli occhiali, li pulì col fazzoletto da taschino, li inforcò di nuovo e s’appiattì contro lo schienale.
– Da-Da-Daiba?! S-s-sei davvero tu?!
Dalla tasca della giacca, il Capitano Zero tirò fuori un paio di manette e si voltò.
– Signor Ishikura, a lei l’onore.
Ishikura sobbalzò. Il succo e il tramezzino fecero un altro giro di giostra nel suo stomaco e poi su per l’esofago. Doveva aver stampato sulla faccia un “davvero?” grande come una casa, perché il Capitano annuì, gli mise fra le mani le manette e lo spedì avanti con la pacca sulla schiena e il sorriso benevolo che di solito riservava alle reclute più impaurite.
Ishikura fece un profondo respiro e raggiunse Harlock e Daiba davanti alla scrivania.
Guardami, Minoru.
– In nome del Governo Federale Terrestre…
– Lascia perdere le formalità, soldato – Chīsanahito era ormai diventato tutt’uno con lo schienale della poltrona e agitava come un forsennato la mano destra, l’indice puntato su Harlock – Arresta quel pirata pazzo! Anzi, sparagli, prima che ci ammazzi tutti!
Ishikura oltrepassò Harlock e Daiba, fece scattare il dentino delle manette e si sporse oltre la scrivania.
– … la dichiaro in arresto per alto tradimento, cospirazione politica mediante associazione e banda armata, attentato alla sicurezza, integrità, indipendenza e sovranità della Federazione, rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, istigazione, favoreggiamento e complicità in crimini contro l’umanità, terrorismo, strage, tentato omicidio e sequestro di persona,  Ministro Ichiro Chīsanahito.
Chīsanahito ansimò, un sorriso incerto sotto i radi baffetti a spazzola.
– Cos’è – allentò la cravatta sul colletto spiegazzato e macchiato di sudore – Una candid camera? Divertente, divertente, ma ora basta, su, levatevi quelle maschere: un bel gioco dura poco...
– E il suo è durato fin troppo, Chīsanahito – Daiba incrociò le braccia sul petto in una posa speculare a quella di Harlock – O forse dovrei chiamarla Odhrán?
– N-non capisco. Daiba, vecchio mio, ma di che parli?
– La smetta di fare il finto tonto, Chīsanahito – Tetsuro staccò un filo dall’orlo spiegazzato del suo vecchio poncio e lo soffiò via – Abbiamo le prove che lei è coinvolto nel Progetto Herakles.
– Hoshino, lo sapevo! Ci sei tu dietro tutto questo! Non dargli retta, Daiba, qualunque cosa t’abbia detto! Lo sai che quel fanatico anti
progresso mi odia… e odia anche te perché tolleri i corpi meccanici! Vuole metterci uno contro l’altro per prendere il potere e vessare gli onesti cittadini meccanoidi della Federazione!
Se non fosse stato nauseato dalla sua bassezza, Ishikura si sarebbe messo a ridere per l’assurdità di quell’accusa.
– Ma davvero? – Yuki Kei mosse un passo avanti, gli occhi azzurri che fiammeggiavano – A me risulta che quello che ha spedito una copia sotto controllo mentale di Harlock a far saltare una colonia piena d’onesti cittadini della Federazione per screditare Tadashi e prendere il suo posto sia proprio lei.
– Kei, mia cara…
– E siccome non è bastato, ha pensato bene di mandarla a eliminare fisicamente Tadashi, me… e persino Mayu!
Lo sguardo che gli lanciò avrebbe gelato le fiamme dell’Inferno.
Se fosse stato destinato a lui, Ishikura era certo che se la sarebbe fatta sotto e non sarebbe più riuscito a parlare per le successive sei ore.
Chīsanahito, invece, spalancò le braccia e sorrise come un vecchio zio un po’ tonto che non riuscisse a capire perché la sua nipotina preferita gli tenesse il broncio.
– Kei, mia cara ragazza, ma se non ho fatto altro che pregare che tu e la piccola tornaste a casa sane e salve! Non sai quanti appelli ho lanciato da quando siete scomparse, quante…
Ishikura sollevò le manette.
– Mi porga i polsi, Ministro Chīsanahito.
Era nauseato. Amareggiato. Incazzato nero.
L’idea che suo padre e suo fratello fossero morti per colpa d’un buono a nulla viscido, falso e codardo come quello era insopportabile.
Invece di lasciarsi ammanettare in silenzio e mostrare che aveva almeno un briciolo di dignità, Chīsanahito nascose le mani dietro la schiena.
– Non avete prove!
– Altroché se le abbiamo – Yattaran fece dondolare il suo modellino in su e in giù – Più di duemila fotogrammi video in Ultra HD 8K del suo faccione mentre comunica con un laboratorio clandestino del Progetto Herakles nella periferia di Megalopolis, una bella registrazione in cui fa i nomi di Kurai e Hell Matia e per finire col botto la confessione spontanea resa dal suo tirapiedi Sven Arngeir alias Thorn, ex Rosa Rossa.
Chīsanahito si passò le mani fra i capelli, appoggiò la fronte sulla scrivania e gemette.
– E voi credete a quel farabutto? – piagnucolò – Una spia doppiogiochista, un assassino senza scrupoli! È stato lui a organizzare tutto… e… e… e mi ricattava!
Il Capitano Zero rigirò fra le mani il suo cappello senza degnarlo d’uno sguardo.
– Il fatto che lei fosse coinvolto anche nel Progetto Rosa Rossa e nell’assassinio del vero Comandante Arngeir non è certo un’attenuante, tutt’altro. Al posto suo, farei molta attenzione con le parole, ma prego… s’alleggerisca pure la coscienza. Sarò ben lieto di ripetere ogni cosa che dirà davanti ai giudici della Corte Suprema Federale.
Ishikura provò un forte slancio d’affetto per lui nel sentire tutto il disgusto che trapelava dalla sua voce.
Guardò verso Sylviana. S’era aspettato che avrebbe inveito contro il Ministro o addirittura che gli sarebbe saltata addosso al minimo accenno ai Rosa Rossa, invece era stranamente tranquilla.
– Voi non capite! –  Chīsanahito sbatté i palmi sulla scrivania – C’era la guerra! Bisognava difenderci e qualcuno…
– Doveva pur fare il lavoro sporco? – Tetsuro gli rivolse un ghigno amaro – Ci ha già pensato Thorn a deliziarci con questo ritornello. Ce lo risparmi. L’unica cosa che lei ha difeso su El Alamein sono stati la sua poltrona e i suoi privilegi. E per quello che ha fatto dopo, non ha giustificazioni.
Ishikura non avrebbe potuto essere più d’accordo. Si protese oltre la scrivania.
– Mi porga i polsi, Ministro.
 Chīsanahito si ritrasse di nuovo.
– Non l’ho fatto apposta! Non volevo far del male a nessuno, credetemi! – grosse lacrime rotolarono sulle sue guance e gli imperlarono i baffi – Non mi rendevo conto, non sapevo! Anche Elpìs… non sapevo che ci fossero tutte quelle persone! Avevo sbagliato a segnarmi la data e pensavo che i coloni sarebbero arrivati il giorno dopo! Volevo solo fare qualche danno per rosicchiare un po’ di voti alle elezioni di settembre! Ve lo giuro, è stata una svista!
Ishikura si gelò con la mano a mezz’aria e la manetta che dondolava su una catasta di riviste sportive e ricevute di scommesse ippiche.
Inghiottì il fiotto di bile che gli aveva inondato la gola.
Tutte quelle vite...
Una svista.
Non sapeva.
Guardò Chīsanahito. Dallo sguardo speranzoso e supplichevole che teneva puntato su Daiba, era evidente che per lui “non sapevo” e “una svista” fossero giustificazioni del tutto valide e che pensasse di non aver fatto davvero nulla di male, in fondo.
Ishikura serrò la presa attorno alla manetta fino a farsi sbiancare le nocche.
Era sempre più nauseato, turbato nel profondo da quanto dolore avesse potuto provocare la superficialità di quell’ometto mediocre che non si rendeva nemmeno conto della gravità delle sue azioni e delle loro conseguenze.
– E mandarvi contro l’Herakles non è stata certo un’idea mia! – Chīsanahito tirò fuori dal taschino il fazzoletto e si soffiò il naso – Sono stati quei tre mostri: Thorn, Lia Zone e Hell Matia! Io non volevo ammazzare nessuno, meno che mai Mayu! Daiba, Kei, avanti, ma vi sembro capace di far del male a una bambina?!
Daiba inarcò un sopracciglio.
– Se ben ricordo, quando avevo l’età di Mayu, lei mi fece togliere tutti i diritti civili, rinchiudere in carcere e condannare a vent’anni di prigione a Porto Inferno – spazzò via un bicchiere di plastica e un mucchietto di tovaglioli appallottolati da sopra la cornice d'una foto che sporgeva dal bordo della scrivania e ne strofinò il vetro: in piedi su un’altalena, una Mayu di forse dieci anni rideva felice fra lui e Yuki Kei, che reggevano le corde – Ufficialmente perché qualcuno, forse, m’aveva visto scendere dalla nave di Harlock… In realtà perché mi rifiutai d'ucciderlo per lei.
Chīsanahito s’afflosciò come un pallone bucato.
– Kirita...
Daiba posò la foto e lo mise a tacere con un gesto secco.
– Certo. La responsabilità è di qualcun altro, come sempre – si massaggiò la radice del naso, gli occhi chiusi, la voce stanca – Meglio se morto, così non può ribattere. Sia come sia, potrà discolparsi finché vorrà in tribunale. Signor Ishikura, per favore, proceda all’arresto. Qui ho del lavoro da fare.
Chīsanahito s’inginocchiò sulla poltrona e giunse le mani.
– No, ti prego, Daiba! – frignò senza ritegno – È stata tutta colpa di quei tre e del Professor Kurai, te lo giuro! È vero, li ho riuniti io, ma poi hanno preso il sopravvento! M’hanno obbligato a coprirli e fornirgli informazioni! Mi tenevano in pugno, non potevo farci nulla! Avevo… avevo paura!
Ishikura afferrò il polso destro di Chīsanahito lo tirò verso di sé.
– Non poteva farci nulla? – serrò la presa, fuori di sé. Vedeva rosso, la voce gli usciva a fatica dalla gola contratta – La tenevano in pugno? Bé, non era il primo né il solo!
Suo padre. Suo fratello. Tutte le persone i cui nomi erano finiti su quella maledetta lista. Quei bambini su El Alamein.
Loro erano stati davvero in trappola, loro non avevano avuto scelte né vie d’uscita.
Quanto alla paura che dovevano aver provato, gli scoppiava il cuore già solo a immaginare di trovarsi al loro posto.
Chīsanahito lanciò un urlo stridulo.
– Ifiklìs! – si tirò indietro, terrorizzato – Che ci fai tu qui?!
Ishikura lo mollò, interdetto.
M’ha scambiato per Minoru? Ma cosa...
Poi capì, e il sangue gli ribollì nelle vene una volta di più.
Stava davanti a quell’individuo da almeno dieci minuti, ma a quanto pareva non s’era ancora degnato di guardarlo in faccia. Così come non s’era degnato di scomodarsi a capire perché l’assistente d’un suo diretto sottoposto non si presentasse al lavoro da ormai più d’un mese. E poi l’aveva chiamato “Ifiklìs”, il nome “Ishikura” non gli aveva strappato la minima reazione...
Minoru è morto per colpa sua… e non si ricorda neppure il suo vero nome!
Magari, non gli era neanche mai importato di saperlo.
Era troppo. Davvero troppo.
Serrò il pugno. Lo sollevò.
Era un ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni.
Quello che stava per colpire sul naso era un Ministro della Federazione e portava anche gli occhiali.
Non gliene fregava un fico secco.
Un vento caldo gli sfiorò i capelli, una luce l’accecò, l’urlo di Chīsanahito gli intronò le orecchie e un acre odore di fumo gli riempì le narici. Sbatté le palpebre e le manette gli caddero di mano.
Chīsanahito era riverso sulla poltrona, gli occhi rovesciati nelle orbite, la bava alla bocca. Una chiazza rossa si stava allargando sulla sua giacca attorno alla bruciatura tonda d’un colpo di laser, poco sopra il taschino.
Ishikura si voltò.
Accanto a Marina, Sylviana soffiò sulla canna di una delle sue pistole e la rinfoderò.
Ishikura girò lo sguardo sui presenti, sbigottiti quanto lui.
Non sapeva che dire. Non sapeva che fare. Non sapeva che pensare.
Mosse un passo verso Sylviana, si bloccò, guardò di nuovo verso Chīsanahito con la speranza d’aver avuto un’allucinazione.
Il Dottore lo oltrepassò di corsa.
– Sylviana – la voce gli uscì strozzata, le spalle gli tremavano – Ma che hai fatto?!
Lei si ravviò una ciocca di capelli.
– Quel che andava fatto, Shizuo. Niente più, niente meno.
Ishikura ripensò a quando aveva risparmiato Thorn, nonostante tutto quello che le aveva fatto, nonostante fosse furiosa.
Un Boy Scout di mia conoscenza m'ha fatto notare che per certe cose ci vogliono un tribunale e magari anche delle prove.
E adesso aveva sparato a sangue freddo all’uomo che suo fratello aveva dato la vita per incastrare, quello che più di tutti meritava di finire in un
aula tribunale… e proprio mentre lo stava arrestando.
– Quel… quel che andava fatto? – ansimò, mosse un passo verso di lei – Quel che andava fatto?! Ma ti rendi conto...?
Gli mancarono le parole. Urlò di rabbia e frustrazione.
– Sei tu che non ti rendi conto, Shizuo...
– Non chiamarmi Shizuo, maledetta serpe! – le andò incontro a passo di carica, i pugni serrati, i denti stretti – Credevo che fossi una brava persona, nonostante tutto, credevo di potermi fidare di te...
Qualcuno lo afferrò per un braccio. Si liberò con uno strattone.
– E invece sei tale e quale a Thorn, anzi, peggio!
Sylviana trasalì, lo guardò a occhi spalancati, aprì la bocca per dire qualcosa e la richiuse subito. 
– Un’assassina, egoista, bugiarda… a cui non frega niente di nessuno!
Marina gli si mise davanti e gli poggiò le mani sul petto per trattenerlo.
– Aspetta! Calmati, Ishikura!
La prese per le spalle e la spinse via.
– Dovevi vendicarti a tutti i costi, vero? – stese la mano verso Sylviana. Un passo ancora e l’avrebbe afferrata – E al diavolo se Minoru è morto per mandare quel bastardo in galera, chi se ne frega di quell’idiota di Shizuo, chi se ne frega della giustizia! “Sono solo parole”, per te, è tutto una recita!
Sylviana gli tirò qualcosa addosso.
Ishikura si fermò di riflesso e l’afferrò a pochi centimetri dal suo naso: qualcosa di piccolo e duro, freddo al tatto.
Qualcuno lo abbrancò da sotto le ascelle e lo tirò indietro.
Lottò per liberarsi, ma quella persona aveva una presa d’acciaio e gambe solide come colonne di marmo. Sylviana lo guardò dritto negli occhi.
– Pensa quel che ti pare – gli voltò le spalle – Io qui ho finito.
Premette il pulsante d’apertura e sparì oltre la porta, in un mare di facce incuriosite.
La persona che lo aveva trattenuto lo lasciò andare. Era il Capitano Zero.
– Se fossi in te le correrei dietro, Ishikura.
– Sì. Per arrestarla.
Sbuffò. Non aveva alcuna voglia di farlo.
Non voleva vederla. Non voleva parlarle. Non era certo di cosa le avrebbe fatto se se la fosse trovata di nuovo davanti.
– Io darei retta al tuo Capitano, ragazzo – Harlock girò attorno alla scrivania e si piegò accanto alla poltrona di Chīsanahito – E le chiederei scusa, visto che probabilmente ti ha salvato la vita.
Si tirò su. In mano reggeva una pistola con la sicura disinserita. Una pistola carica.
Ishikura trasalì. Il suo stomaco si contrasse ancora e ancora.
– Quando… – ansimò, il cuore che gli pulsava nelle tempie – Come…
Daiba s'avvicinò ad Harlock e sfilò dalla scrivania un cassetto dalle dimensioni d’un astuccio.
– C’è uno scomparto segreto proprio qui. Anch’io ci tenevo la pistola, ma non pensavo che Chīsanahito ne avesse una.
Nemmeno Ishikura. Anzi, aveva dato per scontato che un tipo del genere non sapesse nemmeno da che parte s’impugnasse un’arma.
Tetsuro s’avvicinò al Capitano Zero.
– L’ha presa quando l’hai lasciato andare, Shizuo – gli strinse la spalla e sospirò – Stavo per sparargli anch’io, ma Sylviana m’ha preceduto.
Il Capitano annuì.
– È la prima volta che la vedo estrarre prima di me o Harlock. E non credevo che avesse una mira così precisa.
– Può dirlo forte, Capitano! – il Dottore trangugiò un sorso dalla sua fiaschetta – L’ha beccato proprio fra la clavicola e la prima costa, e senza scalfire i nervi e la succlavia!
Ishikura deglutì.
– Non l’ha…
– Macché! – il Dottore rise – Gli ha fatto un bel buco tra il deltoide e il pettorale, ma niente che non si possa sistemare con qualche punto. È svenuto dalla paura, direi.
E lui si sentiva svenire dal sollievo.
– Comunque, ha esagerato – si mise a camminare avanti e indietro, nel disperato tentativo di rimanere arrabbiato e ricacciare indietro il senso di colpa che già s’affacciava in un angolo remoto della sua mente – C’era proprio bisogno di sparargli al petto? Magari non avrebbe premuto il grilletto. O non avrebbe preso nessuno. E poteva anche parlar chiaro! “Quel che andava fatto, Shizuo”… Ma che cavolo! Mica posso leggerle nel pensiero!
Marina gli si piantò di fronte a gambe larghe, lo agguantò per il bavero della giacca e gli mollò un sonoro schiaffone.
– Sei un idiota, Ishikura! – lo lasciò andare, le spalle che tremavano – Non t’hanno insegnato, in Accademia, quanto sono pericolosi i principianti spaventati con un’arma in mano? Bé, quello era nel panico più totale, e tu gli stavi proprio davanti!
Ishikura la guardò a bocca aperta.
– Anch’io gli avrei sparato, se ne avessi avuto il tempo materiale … e pur d’impedire che t’ammazzasse, anche solo per sbaglio, avrei mirato alla testa, e al diavolo l’arresto, il processo e tutto il resto! La vita di un mio compagno è molto più importante!
Una lacrima le scese sulla guancia. Il Capitano le cinse le spalle.
Yuki Kei le porse un fazzoletto.
– Lo sa perché Sylviana è riuscita a sparare prima di tutti noi, Signor Ishikura?
Ishikura le fece cenno di no col capo, un nodo che gli serrava la gola.
La sua rabbia era già svanita, le sue gambe volevano seguire il consiglio del Capitano e di Harlock ma rimanevano lo stesso inchiodate lì, pesanti come piombo. Quanto alla sua testa, era un caos di rabbia, ansia, rimorso e qualcos’altro che non sapeva definire.
– Perché da quando siamo entrati ha tenuto gli occhi sempre puntati su lei e Chīsanahito e non ha mai staccato la mano dalla fondina. Quando lui ha tirato fuori la pistola, lei aveva già preso la mira da un pezzo.
Marina annuì.
– Ha pensato non solo a proteggerti, ma anche a fare in modo che il Ministro arrivasse vivo al processo, proprio come voleva tuo fratello. Per tutto il tempo. E tu… tu le hai detto che non le importa niente di nessuno, che è uguale a Thorn, che sa solo fingere di provare dei sentimenti! Come hai potuto?!
– Io – ansimò – Mi dispiace…
Marina indicò la porta.
– Dillo a lei, non a me, razza di idiota!
Le sue gambe si sbloccarono. La sua mano premette il pulsante d’apertura. Si tuffò nella folla assiepata nel corridoio, sgomitando per aprirsi un varco, pestando piedi, ignorando domande e proteste. Nella hall, premette il tasto di chiamata di tutti e sei gli ascensori. Più volte.
Quanto cavolo ci mettono? Sono tutti guasti? Al diavolo!
Imboccò le scale. Perché diamine li facevano così alti e immensi, quei dannati edifici?
E poi, Sylviana era tipo da uscire dall’ingresso principale?
No, certo che no.
Si bloccò a metà della quarta rampa, la risalì e corse verso le prime scale antincendio di cui trovò l’indicazione. Si diede dell’imbecille: già che c’era, avrebbe potuto scendere ancora un piano. Avrebbe perso la metà del tempo e si sarebbe stancato meno. Spalancò la porta con una spallata e l’allarme antintrusione scattò.
Chi se ne frega!
La scala era deserta, la strada piena di gente su tutti i lati. Una folla di curiosi s’assiepava attorno all’ingresso principale presidiato da Grenadier con la sua squadra e un altro nutrito gruppetto era accalcato proprio lì sotto, tenuto a distanza da una delle tre squadre di supporto capitanate da Kaibara, Nohara ed Eluder. Non riusciva a vedere il retro e nemmeno l’estremità opposta dell’edificio, ma là c’erano le altre uscite.
Scese i gradini a due a due, il petto che gli faceva male, le cosce in fiamme, i polpacci di gelatina. Arrivato in fondo alla rampa, mancò il gradino e inciampò.
– Ishikura, ma che ci fai qui? – la voce di Eluder, il suo braccio metallico attorno al polso – Non dovresti essere...
– Sylviana – ansimò, la gola un inferno di fuoco, le tempie che pulsavano al ritmo del battito cardiaco. Si rimise in piedi e si guardò attorno – Hai... per caso… visto Sylviana?
Eluder scosse il capo.
– Di qui non è passata – inclinò la testa di lato – Ishikura, ma che hai fatto?
– Devo trovarla – si diresse verso il cordone di uomini – Trattienila, se la vedi! E chiamami!
– Usa la radio, no? – la sua voce lo raggiunse mentre già sgomitava fra la folla – Chiama Grenadier, Nohara e Kaibara alle altre uscite!
Ishikura avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
Era quello che avrebbe dovuto fare fin da subito.
Tirò fuori la radio dalla tasca e s’incamminò verso l’entrata principale con tutti i sensi allerta. Intorno a lui, solo volti sconosciuti.
– Sylviana? Certo che l’ho vista – la voce di Grenadier era appena percettibile tra gli strepiti di sottofondo – È uscita una decina di minuti fa, senza manco dirmi “crepa”. Che hai combinato, Rompiscatole? Stavolta mi sa che non ti basterà farle la manicure…
Ishikura chiuse la comunicazione e si fermò.
No. Non sarebbe bastato.
Io qui ho finito.
La sirena di un’ambulanza lacerò l’aria. Qualcuno lo urtò, qualcun altro lo spinse di lato senza troppe cerimonie. Camioncini di troupe televisive stavano già manovrando avanti e indietro nel piazzale e la folla di curiosi migrò verso le luci della ribalta come falene attratte dal fuoco.
Tutti urlavano, tutti scattavano foto e filmavano, nessuno si preoccupava di non stare tra i piedi ai suoi commilitoni e ai soccorritori.
E nessuno faceva caso a lui.
Accarezzò l’idea di tornare sui suoi passi, svoltare l’angolo e fare un giro dell’edifico, magari anche dell’intero isolato. La scartò subito.
Sylviana era una spia addestrata e di sicuro sapeva come far perdere le sue tracce. In una città come Megalopolis, poi, doveva essere un gioco da ragazzi.
Si guardò le mani e si rese conto che nella destra stringeva ancora l’oggetto che lei gli aveva lanciato contro per fermare la sua carica.
Aprì le dita. Sul suo palmo, i due anelli che Sylviana aveva comprato quella fredda mattina di fine ottobre scintillarono sotto i raggi d’un sole smorto, legati al loro nastro bianco ormai tutto sgualcito. Li tirò su e li rigirò fra il pollice e l’indice della mano sinistra. All’interno di ognuno, qualcuno aveva inciso la scritta “S. & S.”. Nella stessa grafia, un bigliettino tutto accartocciato e molliccio di sudore recitava: “A perenne ricordo della nostra missione. L’altra S. – P.S: Non farti idee strane!”.
Alzò gli occhi al cielo percorso da nuvole grigie, proprio come quel giorno. Una folata gelida lo investì e gli sembrò di sentire la sua risatina sommessa, le sue braccia che gli cingevano la vita sotto il cappotto.
Come spia e come attore fai davvero schifo. Ma forse...
Sospirò, strinse fra le dita gli anelli e se li fece scivolare in tasca.
Ti sbagliavi, Sylviana. Sono proprio senza speranza.
S’incamminò verso l’ingresso del palazzo.
Fra poco, Grenadier avrebbe iniziato a menar le mani per l’esasperazione, qualcuno doveva pensare a far sgomberare la via per l'ambulanza e i cellulari, disporre un cordone di sicurezza, dirigere il trasporto… e al ritorno sulla Karyu, l'avrebbero aspettato una sfilza di rapporti da leggere, scrivere e catalogare da far invidia alle pile di lavoro arretrato nello studio di Daiba.

Chissà se al Dottore era avanzato un goccio di quel suo torcibudella... ne aveva davvero bisogno.



* L'ICD è un piccolo defibrillatore che viene alloggiato nella parte sinistra del torace e collegato al cuore tramite degli elettrocateteri. Non appena il cuore varia in maniera anomala il proprio battito, registra la variazione ed emette una scarica elettrica correttiva, volta a ripristinare la normale frequenza cardiaca.


Penultimo capitolo... non ci posso credere! Sempre che non debba scappare in Alaska ora che l'identità del misterioso, temibile (...) 
Odhrán è stata svelata. Alla prossima!


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

   
 
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