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Autore: Shadow writer    29/11/2016    2 recensioni
Dopo l'ultimo caso, che ha messo in discussione la sua carriera e la sua vita, il detective Harrison Graham credeva di aver finalmente trovato la pace insieme alla figlia, Emilia, e alla donna che ama, Tess. Ma un nuovo ed imprevisto caso lo trascina in un'indagine apparentemente inverosimile, in cui nulla è ciò che appare e nessuno appare per ciò che è. La ricerca lo costringe a collaborare con il suo acerrimo nemico, Gibson, ma soprattutto porta alla luce il fantasma del passato di una persona a lui molto, molto vicina, e a realizzare che forse, il detective non l'ha mai conosciuta veramente...
[AVVISO: "Smoke and Mirrors" è il seguito di "Blink of an eye", che potete trovare sul mio profilo]
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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2_ Il secondo furto


 
 
Tess Graves era sempre stata una persona curiosa. I genitori le avevano insegnato a fare tesoro di ogni esperienza, perché ciò che nella vita non si smette mai di fare, è proprio imparare.
Così lei era sempre stata pronta ad affrontare ciò che non conosceva per farlo proprio. Forse il suo essere metodica la portava a considerare ogni esperienza come un immaginario nuovo quaderno pieno di appunti da aggiungere alla propria biblioteca mentale, che poteva sfoderare in caso di necessità. Questo suo atteggiamento ben si sposava con la sua passione per il teatro, perché più imparava, più persone poteva diventare sul palcoscenico.
Ma nonostante tutte queste convinzioni, realizzò che c'erano cose per cui non era ancora pronta. 
Come ad esempio gestire un gruppo di neoadolescenti che facevano affidamento su di lei.
Dopo aver capito che non era portata per gli sport di alta montagna, aveva realizzato che quelli che nell'aula scolastica sembravano docili alunni talvolta un po' annoiati, all'aria aperta si trasformavano in trappole legali per chi ne aveva la responsabilità. Aveva dovuto ricorrerli sulla neve stando attenta alla propria instabilità quanto a quella dei ragazzi, rimanere sveglia fino a tardi per assicurarsi che tutti stessero bene, quando lei stava per crollare dal sonno e gli studenti sprizzavano energia da tutti i pori. 
Quello che voleva in quel momento, era andare a casa e dormire per un'eternità o due, prima di dover tornare ancora tra quei ragazzi.
Ma come nel teatro, anche nella vita bisogna rivestire dei ruoli e lei non poteva scollarsi di dosso quello di insegnante fino a che non fosse stata fuori dalla portata dei suoi studenti. Così attraversava l'aeroporto con il proprio trolley fingendo di possedere ancora l'energia necessaria per avere un portamento dignitoso, quando avrebbe voluto crollare a dormire sulla prima panca libera.
Doveva ancora assicurarsi che i ragazzi tornassero a casa sani e salvi e lei doveva interpretare l'insegnante seriosa e professionale.
A rovinare tutti i suoi sforzi, ci pensò Harrison.
Tess non vedeva l'ora di riabbracciarlo, ma quando lo distinse dall'alto delle scale mobili, il primo impulso fu quello di balzare a terra come un'amazzone e strozzarlo.
L'uomo teneva in mano un cartello che recitava: "Ben tornata Tessie Bear", con tanto di lettere colorate -da Emilia, suppose la donna- e disegnini di caramelle e orsacchiotti. Come se non bastasse, Emilia, accanto all'uomo, teneva tra le mani due palloncini rossi a forma di cuore, come una bambina al luna park.
Tess sentì alcuni suoi studenti ridacchiare e indicare divertiti, ma la maggior parte dei commenti che giunsero alle sue orecchie erano di approvazione per Harrison da parte delle ragazzine, che sottolineavano quanto fosse carino il suo gesto.
L'uomo sorrideva come un bambino che ha fatto ciò che non doveva fare, ma non se ne pente per nulla.
Tess lo fulminò con lo sguardo, ma quando le scale mobili la depositarono a pochi metri da lui, non poté trattenere un sorriso e corse ad abbracciare entrambi.
Harrison la strinse a sé con forza e la baciò a fior di labbra, poi la donna prese in braccio Emi e la bambina si aggrappò al suo collo senza lasciare i palloncini.
«Bentornata Tess!» sussurrò lei nel suo orecchio.
«Grazie, sono contentissima di vedervi» replicò la donna sorridendo.
Harrison prese i suoi bagagli e Tess si ritrovò a dover portare solo un palloncino pieno di elio, mentre Emilia teneva l'altro.
Uscirono dall'aeroporto e raggiunsero l'auto dell'uomo parcheggiata all'esterno.
«Devi raccontarci tutto quello che è successo» informò Harrison mentre cominciava a guidare verso a casa.
Tess sbadigliò: «Facciamo tra qualche ora di sonno»
 
 
Tess entrò in cucina lunedì mattina sentendosi come se fosse rinata fisicamente e spiritualmente.
Nonostante fosse appunto lunedì, si sentiva più riposata che mai, e l'idea di trascorrere la giornata tra le aule di alunni all'improvviso non le sembrava poi così terribile, rispetto a quello che aveva passato nei giorni precedenti.
Harrison aveva già preparato la colazione ed Emi sedeva al tavolo disegnando con una mano e centrando la bocca con il cucchiaio di latte e cerali con l'altra.
Il profumo di caffè investì le narici della donna e si accorse di desiderarlo profondamente. Come se le avesse letto nel pensiero, Harrison gliene piazzò una tazza davanti al naso e lei gli sorrise di risposta. 
«Giornata impegnativa, oggi?» domandò guardando il detective.
Lui scrollò le spalle: «Il caso che sto seguendo è ad un punto morto. Devo darmi da fare. Anzi, devo controllare alcune cose prima di andare al lavoro. Emi, mi passi il computer?»
La bambina lasciò cadere il cucchiaio nella tazza e la matita sul foglio per allungarsi a prendere il portatile.
Lo aprì e lo schermo si illuminò subito, rivelando l'ultima pagina visitata dall'uomo.
Comparve la fotografia del dipinto di un viale alberato illuminato dalle luci della notte.
Emilia fissò l'immagine con gli occhi sgranati.
«È bellissimo» sussurrò «Voglio imparare a farlo anche io!»
«E lo imparerai, piccola» replicò Harrison prendendo il computer.
«Di cosa state parlando?» domandò Tess guardandoli mentre sorseggiava il proprio caffellatte. 
L'uomo ruotò il portatile per mostrarle la fotografia: «Si tratta del quadro rubato giovedì sera alla Galleria in città, non ci sono ancora indizi riguardo il furto»
«È stato rubato?» esclamò Emi «E tu lo ritroverai, papi?»
L'uomo sorrise: «Non è compito mio, ma qualcuno se ne occuperà di certo»
La bambina ci pensò su per un istante, poi commentò: «Magari al ladro piaceva così tanto che l'ha rubato»
Harrison rise: «Ai ladri interessano solo i soldi, Emi, a loro non piace l'arte»
Lei non parve convinta, ma corrugò la fronte e dall'altro lato del tavolo Tess ridacchiò, perché aveva davanti agli occhi la stessa espressione dipinta sul volto di padre e figlia.
«Quando cattureranno il ladro, potresti chiederglielo. Magari a lui piace» aggiunse pensierosa la bambina e l'uomo sorrise dolcemente: «Va bene, lo farò, piccola. Ma ora devi prepararti per andare all'asilo, finirai il tuo disegno più tardi, forza»
Lei ubbidì e così venti minuti più tardi, ognuno era in viaggio verso la propria meta, Tess ed Emi verso l'asilo e poi le scuole medie, Harrison verso la centrale.
Il detective entrò nella centrale con passo spedito, ma si fermò davanti alla scrivania di un collega.
«Buon giorno Bobby» salutò «Per caso sai chi si sta occupando del quadro scomparso?»
L'uomo alzò lo sguardo su di lui: «Intendi il quadro rubato all'asta privata ieri sera? Credo sia stato affidato a Gibson»
Harrison corrugò la fronte: «No, intendevo quello rubato alla Galleria...» le parole dell'uomo furono interrotte dal suono della suoneria del suo cellulare. Si allontanò da Bobby e rispose.
«Detective Graham» disse e ascoltò chi parlava dall'altro capo.
«Va bene» annuì poi «Arrivo subito»
Due minuti più tardi, era di nuovo a bordo della sua Oldsmobile 88, alla volta dell'indirizzo che gli era stato comunicato al cellulare.
Non impiegò molto a raggiungerlo: si trattava di una casa verde oliva, che non passava inosservata rispetto ai colori tenui delle altre abitazioni del quartiere.
L'uomo parcheggiò davanti alla casa ed entrò trovando le stanze già affollate di agenti. L'interno era arredato in modo stravagante, ricco di oggetti superflui ma artistici e anche i mobili più "normali", erano stati alterati da dettagli come fronzoli intagliati nel legno o gambe trasformate in zampe di animali.
Intravide il tenente Carter e le si avvicinò in fretta.
«Tenente, sono partito appena ho ricevuto la sua chiamata»
«Non ne dubitavo, Graham» replicò la donna rivolgendogli uno sguardo serio.
Harrison si guardò attorno e notò che la maggiore concentrazione di persone si trovava davanti ad una delle porte della casa. Si diresse in quella direzione e ne scoprì il motivo.
La stanza al di là era probabilmente uno studio, a giudicare dagli scaffali e dalla grossa scrivania, su cui stava ripiegato esanime un uomo. Harrison ne vedeva la testa ricciuta piegata sul legno e il sangue che si apriva intorno come un'aureola scura.
Quando sollevarono il capo della vittima, il detective intuì subito perché era stato chiamato lui. L'uomo aveva la gola tagliata e a giudicare da come si muoveva la scientifica per la casa, non era ancora stato trovato nulla.
Esattamente come per l'omicidio di Benjamin Collins.
Fermò un agente e domandò, accennando al cadavere: «Chi era?»
«Daniel Grisham, critico d'arte, non aveva famiglia. Per ora non sappiamo altro» 
Il detective fece un cenno di assenso e lo lasciò tornare al lavoro. Si guardò attorno a studiò la stanza, fino a che vide il tenente Carter avvicinarsi.
«Cosa sta succedendo, Graham?» domandò lei fermandosi accanto all'uomo.
«Me lo dica lei, tenente» replicò Harrison «Quest'uomo è stato ucciso dalla parte opposta della città rispetto a Collins, ma non ho bisogno di un conoscente per dire che non è stato rubato nulla. Se Grisham era un critico d'arte, tutti gli oggetti in casa sua devono valere molto più di quanto appaia al nostro occhio ignorante, eppure nessuno è fuori posto»
«Stai dicendo che c'è un legame tra i due omicidi?» domandò la donna scrutandolo attentamente.
«Omicidio senza furto. Sarei uno stupido a non considerarlo» replicò l'uomo scrollando le spalle.
Carter gli rivolse uno sguardo penetrante: «Se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un serial killer»
Harrison strinse le labbra, pensieroso, poi annuì con aria cupa.
«Non ho altro da fare qui» annunciò «Vado in centrale per cercare le informazioni che abbiamo sulla vittima»
La donna fece un cenno di assenso con il capo e lo lasciò andare via senza parlare.
Il detective salì in auto, raggiunse la centrale e si mise subito al lavoro per raccogliere informazioni su Daniel Grisham, consultando gli archivi. 
Nonostante il fatto che fosse un collezionista d'arte piuttosto eccentrico, il suo fascicolo non conteneva nulla al di fuori del normale.
Harrison tentò di confrontare il suo omicidio con quello di Collins, seguendo il proprio istinto, ma anche questo tentativo non dette alcun risultato significativo.
Dopo ore di lavoro, decise di concedersi una pausa e uscì nel piccolo cortile interno della centrale.
Accanto ad uno dei muri di cemento grigio, trovò l'ultimo uomo che avrebbe voluto vedere in quel momento, ovvero Paul Gibson. Il suo rapporto con il collega si era sempre ed esclusivamente basato su frecciatine saccenti e sarcastiche e in quel momento si sentiva troppo esausto per formulare battute pungenti ed originali.
Pregò che Gibson non lo notasse, invano.
«Graham, cos'è quell'aria afflitta?» lo apostrofò infatti l'uomo «Hai capito di essere destinato ad essere un numero due, un beta, una seconda scelta?»
Harrison alzò gli occhi al cielo, poi si voltò verso di lui: «No, Gibson, si dà il caso che io stia seguendo delle indagini piuttosto complicate e che quando risolverò tutto, perché lo farò, qualcuno potrebbe notare e lodare le mie prodezze. Te lo dico così cominci ad abituarti all'idea»
Il detective ammiccò con un'espressione divertita negli occhi verdi, ma l'altro non si lasciò scalfire. 
«Davvero? Be', si dà il caso» disse facendogli il vero «Che anche la mia indagine sia piuttosto complicata»
Harrison gli rivolse uno sguardo di sfida: «Mi sto occupando di due omicidi, nessuna traccia»
Gibson raccolse la sfida e sfoderò un sorrisetto arrogante: «Due furti in luoghi chiusi e affollati, neanche un indizio»
«Due assassinii programmati, ma senza alcun apparente corrispondenza. Le vittime non si conoscevano»
«I due oggetti rubati non erano i più famosi della collezione, quindi il motivo dei furti non è economico. Ho a che fare con dei professionisti»
Harrison strinse gli occhi: «Mi hai rubato le parole di bocca. Ora scusa, ma il lavoro chiama»
Voltò le spalle a Gibson e si avviò verso la porta, rimuginando sui propri casi.
Adorava esagerare le reali circostanze solo per sfidare il collega, ma in quel dialogo lui aveva semplicemente detto la verità: il caso pareva inverosimile. Ricordò ciò che gli aveva detto Bobby quella mattina e realizzò che Gibson stava seguendo i casi di due furti diversi, uno dei quali riguardava il quadro che aveva visto Emilia quella mattina.
Bobby aveva detto che l'ultimo furto era avvenuto la sera precedente, mentre lui aveva letto che il primo aveva avuto luogo giovedì sera.
L'uomo si bloccò di colpo, davanti alla porta a vetri che conduceva all'interno.
Nonostante l'aria fredda, cominciò a sudare e il suo cervello elaborò rapidamente tutte le informazioni che vi scorrevano all'interno.
Si voltò in tempo per vedere Gibson che veniva verso di lui. 
Si fermò poco distante e lo guardò negli occhi, rivolgendogli un'espressione eloquente.
Per quanto detestasse ammetterlo, Harrison sapeva che Gibson era in gamba, almeno quasi quanto lui. 
E in quel momento avrebbe preferito che non fosse così, non per un egocentrico desiderio di sapersi migliore di lui, ma perché sapeva esattamente cosa stava passando nella testa dell'altro uomo. E non era nulla di buono.
I due detective erano giunti alla stessa conclusione.
Omicidi e furti erano avvenuti negli stessi momenti compiuti dalle stesse persone.
 
 
Il tenente Carter aveva un'espressione perennemente seria che chi non la conosceva avrebbe potuto scambiare per perenne incazzatura. La motivazione più probabile era che la donna avesse deciso di indossare quella maschera per salvaguardarsi nell'ambiente in cui lavorava e per non cadere dal gradino che aveva raggiunto.
Mentre fissava Harrison e Gibson in quel momento, le sue iridi nere sembravano più cupe che mai, tanto da confondersi completamente con la pupilla, e questo non era di certo rassicurante.
«Quello di cui state parlando, richiede organizzazione, professionalità e anni di preparazione per i criminali» commentò la donna facendo saltare lo sguardo da un detective all'altro, come se volesse assicurarsi di fulminarli entrambi equamente.
«Esatto e questo significa che dobbiamo trovare questi pazzi prima che riescano a procedere con il loro folle piano» replicò Harrison sorreggendo lo sguardo del tenente. 
La donna guardò l'altro detective: «E tu Gibson credi a questa teoria? Capisco che Graham sia giovane e fantasioso, ma tu dovresti aver capito che questo non è un telefilm poliziesco, ma la vita vera!»
«Se devo essere sincero, tenente» cominciò lui «Mi offende il fatto che mi consideri così più vecchio di Graham, ma posso sorvolare solo perché mi ritiene più saggio di lui. In ogni caso, sì, credo che la corrispondenza tra questi crimini sia evidente. E credo anche che i colpevoli vogliano che lo sia»
Carter sollevò le sopracciglia e Harrison si affrettò a spiegare: «Se il loro unico scopo fosse stato far fuori quei due uomini e rubare i due quadri, avrebbero trovati delle tecniche originali per farlo, in modo da rendere più difficili i collegamenti. Invece sembra che ci stiano dicendo: "Guardate qui! E prestate attenzione"»
Prese la parola Gibson: «I due black out e le gole tagliate, troppo appariscenti per avere un solo scopo. Vogliono comunicare qualcosa»
La donna strinse gli occhi e si appoggiò allo schienale della propria poltrona, guardandoli. 
Nessuno parlò per qualche istante e l'aria pareva carica di elettricità.
«Va bene» disse infine il tenente «Ammettiamo che abbiate ragione, mi fido del vostro intuito. Qualcuno sta uccidendo persone con uno stesso modus operandi e nello stesso istante ruba anche delle opere d'arte»
«Grazie, tenente» fece Harrison abbozzando un sorrisetto sghembo.
La donna lo bloccò alzano l'indice della mano: «Ma...questo significa che il caso è molto più grande di quello che avevamo presupposto»
«Esatto» annuì Gibson.
Carter fece un cenno di assenso a sua volta: «Il caso è affidato a voi, entrambi. Voglio che collaboriate e che lo risolviate prima che diventi una questione pubblica e soprattutto federale, intesi?»
I due detective ammutolirono. 
Guardarono per qualche istante la donna, in silenzio, cercando di capire se fosse seria.
«Noi due...insieme?» domandò cautamente Harrison per chiedere conferma.
Lei fece un vigoroso cenno di assenso con il capo: «Sì, a meno che tu non voglia rinunciare al caso, Graham»
«No, è solo che...» cominciò lui e Gibson intervenne: «Quello che il mio collega vuole dire, è che noi due non siamo abituati a collaborare»
«Be', c'è sempre una prima volta, no?» domandò retorica la donna «Ora andatevene, devo tornare al lavoro!»
I due detective rimasero immobili.
«Siete sordi? Forza, uscite!»
Si alzarono in piedi insieme, con il rumore delle sedie strascicavate sul pavimento e si scontrarono mentre si avvicinavano alla porta.
Il tenente alzò gli occhi al cielo.
«Uomini» stabilì con un sospiro e tornò al proprio lavoro.
 
 
Gibson fissò l'ultima immagine alla bacheca con una puntina e si scostò per permettere agli altri presenti di osservare la sua opera. Aveva decorato la parete di sughero con tutte le informazioni che aveva trovato riguardo i due furti e i due omicidi, raccolte durante il pomeriggio.
Da una parte stava la fotografia del quadro del viale alberato nella notte e al suo fianco quella del cadavere di Benjamin Collins, mentre dall'altro lato della bacheca erano affiancate la fotografia di un altro quadro di arte moderna -ingranaggi oro e argento su uno sfondo giallo- e quella di Daniel Grisham accasciato sulla propria scrivania.
«Quello che sappiamo» cominciò Gibson guardando Harrison, comodamente stravaccato sulla sedia del proprio ufficio, e Sadie, che stava velocemente digitando qualcosa sullo schermo del suo cellulare, come se stesse chattando, «è che ogni volta che avviene un omicidio, contemporaneamente si verifica anche un furto in un luogo affollato, come una mostra o un'asta privata. Considerando l'evidenza dello stesso modus operandi, deduciamo che i colpevoli vogliono sottolineare i legami tra questi casi»
«Credi quindi che ci stiamo mandando un messaggio?» domandò Harrison scrutando con occhi critico le fotografie.
Gibson fece un cenno di assenso con il capo: «Il disegno è il mezzo di comunicazione più antico ed entrambi questi quadri possono caricarsi di molteplici significati» 
Nessuno parlò per qualche istante e l'unico rumore nella stanza era quello della dita di Sadie che picchiettavano sullo schermo del cellulare.
«Vuoi smetterla di usare quel coso per un istante?» sbottò Harrison rivolgendole uno sguardo bieco «Sei stata tu a chiedere di poter partecipare»
La donna replicò senza neanche alzare il capo: «Il primo quadro s'intitola "Notte" e l'autore non ha mai voluto darne spiegazione. Secondo alcuni critici la strada rappresenta la vita -sai che fantasia- e l'oscurità sarebbe sinonimo delle difficoltà da affrontare, mentre i lampioni accesi sono il supporto lungo la via. Il secondo quadro s'intitola "Denaro" e l'artista ha confessato che gli ingranaggi rappresentano degli orologi e in questo modo voleva raffigurare che anche il grande tiranno dell'uomo, il tempo, è diventato economia tramite la vendita degli orologi»
Harrison le rivolse un sorrisetto strafottente come risposta e si voltò a guardare le fotografie dei dipinti: «Certo che ce ne vuole di fantasia per anche solo concepire un quadro del genere»
«Io lo trovo carino» commentò Sadie fissando assorta la fotografia di "Denaro".
«Anche a me piace» si aggiunse Gibson guardando la donna e lei gli sorrise.
Harrison fece roteare gli occhi e tornò ad accasciarsi sulla propria sedia in una posa non proprio elegante.
«Quindi tornando ai significati, cosa vogliono dirci i nostri assassini amanti d'arte?» domandò il detective guardando gli altri due.
Gibson scrollò le spalle: «Nel primo quadro risalta molto la luce dei lampioni in confronto all'oscurità, quindi viene messo in primo piano il conforto che può nascere in qualsiasi situazione»
«Non ti facevo così sentimentale» ironizzò Harrison e l'altro gli rivolse il dito medio.
Sadie si schiarì la voce: «Nel secondo quadro è evidente la protesta dell'artista nei confronti della società moderna e sul suo modo di puntare sempre al guadagno»
Harrison fece una smorfia: «Non so voi, ma a me sembra che questi due quadri non abbiano nulla a che fare l'uno con l'altro»
Gli altri due tacquero e anche se sul volto di Gibson si vedeva un'espressione contrariata, l'uomo non sapeva come replicare, perché l'altro detective aveva fatto centro.
Harrison si alzò in piedi e si avvicinò con nonchalance alle fotografie.
«Si potrebbe presupporre che ci sia un legame tra i quadri e le vittime. Collins era un uomo onesto e amava più di tutti la propria famiglia, i lampioni del dipinto, mentre Grisham era un critico d'arte, quindi la criticità che si rispecchia nel dipinto» l'uomo s'infilò le mani in tasca e alzò le spalle: «Oppure trovate voi qualsiasi significato vi piaccia, ma non è questo ciò che importa»
Gibson incrociò le braccia al petto e assunse l'aspetto di un rottweiler che studia un intruso.
«Che cosa proponi di fare, piccolo genio?» gli chiese ironico. 
Harrison gli rivolse uno sguardo tagliente, trattenendosi a stento dal replicare con lo stesso tono pungente. Dato che aveva una decina di anni in meno di Gibson, il collega gli aveva affibbiato quell'appellativo da tempo, sempre accompagnato da una pesante dose di sarcasmo.
«Questi collegamenti ci aiutano a capire come ragionano i criminali, ma non chi sarà la loro prossima vittima. Collins e Grisham non avevano nulla in comune, abbiamo già controllato a fondo, quindi possiamo presupporre che lo schema di omicidi è a noi ignoto oppure casuale»
«Chi si premura di organizzare così degli assassinii non lascia nulla al caso» lo contraddice Gibson.
«Giusto» acconsentì Harrison «Ma il nostro scopo primario, al momento è impedire un altro omicidio e se possibile anche un furto»
«Per questo abbiamo bisogno di capire come ragionano» protestò l'altro detective «Al momento non sappiamo nulla per poter prevedere le uccisioni»
«Ma possiamo prevedere i furti» aggiunse Sadie con un'espressione di colpo attenta. Fissò lo sguardo sulla parete oltre gli uomini, ragionando.
«La mostra alla Galleria, era stata pubblicizzata a lungo, mentre l'asta privata era molto conosciuta tra gli interessati. Dobbiamo solo stabilire l'area di miglia entro cui agiscono questi criminali e cercare il prossimo evento»
Lo sguardo di Harrison s'illuminò: «Certo! Sei un angelo, Sadie!»
La donna accettò il complimento con un sorrisetto di soddisfazione e qualche istante più tardi si era già appropriata del computer sulla scrivania dell'ufficio.
Digitò velocemente sulla tastiera e cominciò a sfogliare le pagine che le si presentavano sullo schermo.
Harrison e Gibson si sistemarono dietro di lei e l'aiutarono a scartare o prendere in considerazione le notizie.
Un'ora più tardi si trovavano al punto di partenza. 
Nelle seguenti due settimane non c'erano eventi nell'arco delle miglia che avevano stabilito, più le altre aggiunte per sicurezza.
Nulla.
   
 
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