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Autore: Manto    29/11/2016    15 recensioni
Il cuore di Clitemnestra è sempre stato avvolto dall'oscurità: le storie che la riguardano trasudano sangue, rancori mai svaniti e sogni infranti dal filo di una Sorte infelice, che si svela in un disegno dalla trama cupa.
Ma la regina di Micene è ben di più che donna vendicativa; nel suo sguardo si agita una presenza antica, pronta a portare giustizia là dove questa viene estirpata... e a svelare la forza di una madre violata.
(Anche se in ritardo, buon compleanno, Flos Ignis!)
Genere: Angst, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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La Dea Bianca




A Flos Ignis, mia stella e guida,
e alla dolce Leaina.





I – D’Amore e Ombra





Ancora oggi si narra che Elena fosse nata quando l’alba già allungava le rosee dita sulle tenebre: ed era per questo che nel suo sguardo danzava il bagliore delle stelle morenti.
Si narra che il Sole rifulgesse con più forza a ogni sorriso, e che a ogni movimento degli eleganti piedi, le rose si intrecciassero intorno alle sottili caviglie; che nella calda e multiforme luce che attraversava i suoi capelli si scorgessero le onde del mare, e la sua voce fosse pacata e soave come l’avvento dell’Aurora.
Si narra questo sulla splendida Elena; ma su di me,
sull’altra, si racconta una storia diversa.
Elena fu sempre parte solamente di metà del mondo: viveva fra la luce e i colori, tra le risate e i canti, e fin da bambina, quando il buio calava, lei si rifugiava nelle sue stanze, attendendo sotto la protezione dei tripodi sfavillanti l’avvento di un nuovo mattino.
Sulla soglia della Notte, a fissare i corni della Luna che ferivano il suolo e salivano nel cielo, rimanevo solamente io.
Clitemnestra dai lunghi riccioli bruni.
Clitemnestra con le ombre nello sguardo e il silenzio sulle labbra.
Clitemnestra dalla pelle nivea, dal volto severo.
Clitemnestra, che nacque al crepuscolo, che spinse la Luna ad
abbandonare il cielo per avvicinarsi a Sparta.
La prima volta che ascoltai queste parole sorrisi senza dare loro troppa importanza; ma era ancora troppo presto per capire.
Fu solo anni dopo, infatti, che vidi per la prima volta quella che, ora lo posso dire con certezza, sarebbe stata la mia Sorte: essa comparve in un sogno come una piccola statua raffigurante una donna dai seni pieni, lasciati scoperti dalla veste; lunghi erano i suoi capelli, bianche le mani che stringevano con forza due serpenti, quasi a strangolarli,
domarli. [1] Riposava nel ventre pietroso di un maestoso palazzo dalle sfumature porpora [2], ma i suoi occhi non erano intrappolati dal buio: lo sguardo vinceva ogni vincolo, osservava le onde e le albe, le montagne e le loro genti, e dove questo si posava fiori e piante crescevano in abbondanza, le belve feroci si acquietavano, i fiumi impetuosi scorrevano senza far rumore e la Luna sorgeva, portando la pace.
Veloce e inaspettato com’era giunto, il sogno cessò; mi ritrovai a balzare nel letto, il petto che doleva come se non avessi respirato per lunghi istanti, la mente e gli occhi pieni di ciò che avevo visto.
Mi alzai, scossa e confusa, e mi avvicinai alla finestra per cercare il sollievo del vento:
Lei era già alta tra le stelle, i suoi raggi una pioggia d’argento che bagnava la mia finestra.
In quell
’istante compresi che tutti i racconti erano veri... e che Lei non aveva mai smesso d’osservarmi.







Tutto ebbe inizio quando il giovane Tantalo [3], re della quieta Pisa [4], giunse al palazzo di mio padre; Sparta lo accolse quando il Sole era alto, e splendente come quel giorno era il suo destriero, dorata la chioma, pari per bellezza alle opali celesti degli occhi.
Chiamate al fianco di nostro padre, Elena, cresciuta tra gli elogi e le promesse d’amore, lanciò verso di lui solamente un’occhiata prima di abbassare il capo con finto pudore, sdegnosa e tentatrice; io, invece, non smisi di fissarlo, come sempre facevo con gli uomini. Mi piaceva osservare la loro espressione mentre le ombre rifulgevano nelle mie iridi, quasi sfidandoli; e ogni volta, quando gli sguardi inquieti si spostavano dal mio viso a quello di Elena, io sapevo di aver instillato un poco di quel timore che si prova davanti a una fiera, a un Dio… o una
Dea.
E tuttavia… tuttavia Tantalo le mie ombre le
abbracciò. Il suo sguardo incontrò il mio, non lo lasciò per lunghi istanti; io lessi in quegli occhi una domanda e poi vidi nascere l’interesse, il desiderio.
Arrossii con violenza, allora, e chinai il volto; quando lo rialzai, mio padre mi fissava con intensità. Annui lievemente a ciò che i suoi occhi dicevano, e un sorriso gli si dipinse sul volto.
Il mattino seguente, ancor prima che sorgesse il Sole, il mio matrimonio fu celebrato. Sparta mi attese nelle strade per salutarmi, danzò e cantò per me, e l’eco delle sue benedizioni mi seguì fino alle porte di Pisa, la mia nuova dimora.

Ti mancherò, sorella mia?
La voce di Elena, le sue ultime parole, continuavano a risuonarmi nella mente, e nemmeno le grida di giubilo, la vista dei palazzi della città o le carezze del mio sposo riuscivano a tacitarle. “Forse meno di quanto tu pensi”, mormorai più volte in risposta, cercando di ignorare il pungolo che mi pizzicava il fianco e incrinava un poco la gioia.


Ben presto Pisa si rivelò essere il rifugio e la pace che il mio cuore anelava: ogni notte attendevo di scorgere le stelle che rilucevano su di essa e ogni mattino cercavo la fragranza dei fiori che circondavano le mura... e, come imparai ad amare la sua semplice bellezza, in ugual modo mi innamorai del suo custode.
Tantalo era nobile quanto passionale, le sue mani gentili ma desiderose quando mi spogliavano di ogni cosa, lasciando che solo il chiarore delle fiamme nei bracieri mi ricoprisse la pelle; ma erano i suoi occhi a tenermi incatenata, quello sguardo bruciante e colmo di vita che mi possedeva ancor prima della carne, che mi faceva sentir degna di essere amata.
Per quanto poco più di un fanciullo, era saggio, legato alla sua gente e capace di portare ragione e luce in ogni dove, anche tra le mie inquietudini; la sua devozione mi riscaldò come un mantello, e tra le sue braccia sbocciai come un fiore di croco, liberandomi da molte amarezze e rancori: al suo fianco iniziai a risplendere, a
vivere.
Mentre dormivi, un petalo d’ombra ha lasciato la tua chioma, mia dolce Clitemnestra”, mi sussurrava il re al sorgere del giorno, quando mi svegliava divorandomi il collo e il petto di baci.
Alcune di queste ombre sono parte del mio stesso corpo”, cercavo di rispondere mentre le sue labbra scendevano a tracciare un sentiero bollente sul mio ventre, spezzando i pensieri.
Le tramuterò in luce, una ad una”, rispondeva, e io morivo e rinascevo ogni mattino, desideravo che quegli istanti solo nostri si prolungassero per ore e ore, diventando un’intera esistenza.
Fu in uno di quei lenti giorni, mentre controllavo l’operato delle ancelle, che mi accorsi di
lei. Il portamento e la bellezza le permettevano di dominare sulle altre come una rosa tra umili viole, quindi mi avvicinai, sicura che il suo volto mi fosse sconosciuto.
Mi sorrise, senza abbassare il capo, e allora le feci cenno di seguirmi, conducendola nei giardini.
Conosco tutti coloro che abitano questa casa, eppure il tuo nome è per me come nebbia”, esordii quando fui certa che eravamo sole.
Lei non rispose per un lungo istante, poi schioccò la lingua. “Sei potente, signora: il tuo re ha fatto ciò che il glorioso Tindaro non è mai riuscito a compiere.”
Non voglio lusinghe”, ribattei, “voglio sapere chi sei, e qual è il tuo compito qui.”
Un altro sorriso, poi la donna abbassò lo sguardo sul mio ventre. I suoi occhi si illuminarono, la sua voce mutò. “È Luna piena, giovane regina. In una terra lontana le donne invocano la Dea: è
grande il suo amore per noi, femmine e madri, e la sua mano non esita a consolare chi chiede il suo aiuto. È Luna piena, Luna gravida; tu sia benedetta”, mormorò, voltandosi.
Scossa da quelle parole, rimasi immobile a guardarla andarsene nell
’aria chiara. Successivamente rientrai nel palazzo, interrogai coloro che incontrai, ma nessuno sembrava averla vista o conoscerla; decisi allora di mantenere quell’incontro un segreto, in attesa di comprendere che cosa ne sarebbe seguito. Grandi cose attendono gli uomini quando gli Dèi fanno la loro comparsa tra di essi, e la mia immagine era appena stata riflessa da uno sguardo immortale.
Qualche giorno dopo scoprii che il mio ventre ospitava un
’altra vita; e quando quel dono si rivelò essere un maschio, un forte e bellissimo principe, danzai per notti intere nel chiarore delle stelle, senza riuscire a frenare la gioia. Quanto era grande, allora, la mia sconsideratezza; infatti, come la Luna cambia volto, così la mia Sorte stava per intrecciarsi con le nubi di una spietata tempesta, e mutare la propria trama.



Tutti, in Acaia [5], conoscevano il nome dell’Atride Agamennone: la sua potenza sulle genti era immensa, pari solamente alla brama di ricchezze e all’amore per la guerra. Così, quando i suoi passi risuonarono nel mégaron [6], un mattino così freddo da strangolare i fiori nei campi, nessuno poté reprimere un brivido.
L’aspetto del re di Micene, per quanto gradevole, era di
tenebra: scuri i capelli, notturni gli occhi arroganti e nera la cicatrice che partiva dalla fronte e, sfiorando l’occhio sinistro, terminava sulla tempia; anche la pelle, seppur bianca, sembrava emanare il buio. Era tuttavia il suo sorriso, affilato come una lama, a spaventarmi di più.
Tantalo si mostrò rispettoso verso le regole dell’ospitalità, lo accolse con calore; ma la tensione prendeva forma istante dopo istante, ammorbava l’aria di silenziose minacce e sibili.
Mentre guardavo l’Atride fissarci tutti con superiorità, ghignando della giovane età del mio sposo, desiderai che il velo che mi copriva le chiome mi celasse e insieme con me avvolgesse anche Tantalo, portando entrambi via da quel luogo; e nonostante le brevi occhiate rivolte a me, per tutto il giorno continuai poi a sentire il suo respiro sulla pelle, quasi la sua ombra si fosse staccata da lui per unirsi alla mia.
Il re rimase una notte sotto il mio tetto, trattenendo mio marito lontano dal talamo; non seppi mai le parole che si scambiarono, ma quando l’alba venne e il carro di Agamennone svanì nella polvere, fu come se fosse ritornata la Primavera.
I mesi che seguirono furono tranquilli; ma sul volto di Tantalo si agitava spesso uno spettro di timore, nella notte i suoi occhi guizzavano alle mura della città, come se le stesse valutando.

Infine, un giorno le parole che la gente mormorava tra le strade e nel silenzio delle loro alcove presero forma: l’esercito dell’Atride giunse alle porte, unito da un solo grido.
Guerra
.


In poche ore, le nostre certezze si sfaldarono come cenere nel vento, lasciandoci sgomenti e vuoti di ogni pensiero.
Nelle case risuonavano preghiere e lamenti, clangore d’armi; nel palazzo, invece, si udiva solo la voce di Tantalo mormorare parole che comprendevo solamente dopo lunghi istanti.
Non deve averti. Qualsiasi cosa succeda… non deve averti.”
Qualsiasi cosa succeda… qualsiasi cosa succeda. Perché? Che cosa deve accadere?
Non oso nemmeno pensare a quello... quello che potrebbe farti.”
Il Sole era ancora alto, eppure a me sembrava già il crepuscolo.
Ritorna”, dissi dopo istanti di silenzio. “Ritorna da me ogni notte. Questo mi basterà.”
Lo sguardo del re si posò su di me, e nei suoi occhi vidi riflessi i miei, vacui, le iridi un’unica nube di buio.
Clitemnestra...” Un sospiro. “C’è un segreto che vorrei rivelarti: una galleria, costruita sotto il palazzo. In caso di pericolo potrebbe essere l’unica via di salvezza… per te e nostro figlio.”
Non morire.
Strinsi con forza i pugni.
Non morire.
Ritorna da me
.
Sono solamente una donna…”, risposi, “… ma vorrei essere il tuo scudo e la tua spada, i Numi che pregherai, la notte che calerà e porrà fine alle battaglie, la forza che ti permetterà di ritornare e ritrovare la strada di casa… vorrei… vorrei...”
I miei stessi pensieri mi resero impossibile proseguire, e quasi non sentii la mano di Tantalo posarsi sui miei capelli. Lui non replicò alle mie parole, il suo cuore era quello di un guerriero: non avrebbe pianto, non avrebbe implorato; avrei versato io le sue lacrime.
Mostramela”, mormorai allora, “mostrami la galleria”.
Nei mattini seguenti, essa divenne il mio rifugio: tra le viscere del suolo, celata al mondo, ascoltavo ogni sussurro che si inseguiva nel palazzo, ogni richiamo e parola strozzata, ottenendo così le risposte a ciò che non avrei mai osato guardare.
A qualche distanza da me, oltre le mura, ribollivano gli scontri; se smettevo di respirare potevo udire l’eco delle armi che si scontravano, il rumore delle ruote dei carri, le grida.
Quando ero sul punto di svenire ingoiavo quanta più aria potessi, e poi ricominciavo: ascoltavo, inspiravo e respiravo; ascoltavo, inspiravo… respiravo. E intanto, pregavo.
Mio figlio era sempre con me, addormentato sul mio grembo: non poteva comprendere quello che accadeva, e ciò lo salvava.
Nutrirmi d’aria, interrogarla; sperare, piangere, rabbrividire, un mantello di freddo e paura a coprire le membra esauste: così tessevo e disfacevo i miei interminabili attimi.
Poi, infine, la Luna compariva e le battaglie cessavano; Pisa risuonava dei singhiozzi strazianti delle vedove e delle madri private dei figli, oppure dei pianti sollevati di chi ancora vedeva ritornare il marito, il fratello, il padre, e ringraziava i Beati.
Io attendevo; china sul suolo, cuore a cuore con il mio bambino, tentavo ogni cosa pur di addormentarmi e al risveglio trovare il volto di Tantalo a vegliarmi.
Per molte volte ciò accadde: le sue mani odorose di sangue e ferro mi sfioravano i capelli, e io mi ridestavo a poco a poco; riconoscevo le sue dita, le afferravo, le baciavo. Insieme ci trascinavamo fuori dalle tenebre, nei bagni, e con pazienza lavavo via ogni lacrima purpurea dal suo corpo, un unico intreccio di cicatrici e ferite.
Non parlavamo se non per consolarci e lasciavamo la notte morire nel sonno o tra i baci, sul letto intriso di sudore e promesse.
Poi, il mattino giungeva rapido e il tormento ricominciava, tanto
che a volte imploravo di morire: morire, per smettere di sentire il mio cuore spaccarsi per il terrore, per non impazzire; e poi mi insultavo, mi gridavo di resistere. “Rafforza il cuore”, urlavo, “costruisci una corazza e combatti, Clitemnestra, combatti!”
Anche quel pomeriggio non sembrava diverso da ogni altro; fino a quando, improvvisamente, il silenzio calò sulla città.
Drizzai il capo, inquieta: perché nessun rumore turbava più il vento? Ero forse divenuta sorda, o… o era tutto finito?
Appoggiai mio figlio al suolo, mi alzai e avanzai verso l’imboccatura della galleria: uno spiraglio di luce si infilava nel pavimento del piano superiore e mi avvolgeva, riscaldandomi.
Dopo qualche tempo, lenti passi risuonarono nel
mégaron; infine li udii avvicinarsi a me, nella galleria.
Con il cuore in tumulto, avanzai verso Tantalo in silenzio: volevo fosse lui a dirmi che la guerra era ormai lontana.
Mio re!”, gridai quando lo sentii a pochi passi da me; ma la lingua fu più veloce della comprensione. Questo… questo non è il suo passo, mi accorsi dopo un istante, indietreggiando istintivamente.
Dall’ombra spuntarono due occhi neri; quindi, il corpo possente di Agamennone comparve davanti al mio sguardo pieno d’orrore. Le sue braccia… le sue braccia sorreggevano un corpo, avvolto in un mantello blu,
il colore dei suoi occhi, dal quale colavano copiosi rivoli di sangue.
I ragazzini dovrebbero lasciare la guerra agli uomini”, esordì il re di Micene, violando il silenzio e il mio cuore, “e tuttavia, lui ha combattuto a lungo e con valore.” Appoggiò il corpo al suolo e io caddi in ginocchio, mi trascinai verso di esso. L’incredulità mi rendeva impossibile parlare, reagire. “Valoroso, ma non saggio quanto si diceva; avrebbe dovuto circondarsi di persone fedeli… non di traditori come quello che mi ha rivelato dove si trovi il tesoro di questa casa.”
Chinai il capo. Le nostre ricchezze avevano perso per me ogni valore; nessun gioiello, nessuna veste, né oro né argento valevano un respiro del mio dolce re. “Prenditi pure tutte le ricchezze di Pisa. Non mi servono e non le voglio”, mormorai, sfiorando il volto di Tantalo attraverso la stoffa di quell’orrido sudario.
Le dita di Agamennone mi sfiorarono il polso, lo strinsero. “Sei
tu il tesoro che ho bramato fin dai primi attimi.”
Il fiato mi si spezzò nel petto, e ancor prima che il terrore mi colpisse con tutta la sua forza, il figlio di Atreo si protese verso di me e mi afferrò il volto, la bellezza dei tratti distorta dalla bramosia. “Tu, la degna sposa di un grande re”, mi sussurrò, avvinghiandomi nelle sue braccia. “Questi occhi non meritano di essere ammirati da gente senza gloria: devono brillare nella reggia di Micene, per me. Quanto, quanto ho desiderato di poterti rivedere, stupendo fiore.”
Detto questo mi gettò al suolo, sotto il suo peso, e sordo alle mie grida mi spogliò di ogni cosa, per poi togliersi il suo mantello e con quello ricoprirmi. Per tutto il tempo tentai di oppormi e implorai di morire, che qualcuno avesse pietà di me e mi uccidesse; nessuno giungeva a liberarmi da quel tormento, e nonostante questo io continuai a gridare, fino a indebolire la voce.
In quegli istanti, tutto ciò che Tantalo aveva fatto sbocciare si chiuse per sempre, soffocato dalle spine dell’odio: una fiera che avrei nutrito per molto, molto tempo… neppure immaginavo quanto.

Tu sia maledetto
, fu il mio ultimo pensiero mentre tutto, intorno a me, si confondeva e svaniva, tu sia per sempre maledetto.




NOTE


[1] La figura qui rappresentata è quella della Potnia, “Signora”, dea della natura e dominatrice di fiere. In tutta l’area mediterranea e anche in quella asiatica si riscontrano figure di dee legate alla vegetazione e alla luna, le “Dee Madri”, il che ha fatto nascere delle ipotesi riguardo l’originaria presenza di culti matriarcali, a cui sarebbero seguiti quelli patriarcali. Alcuni studiosi vedono una reminiscenza di ciò nella caratterizzazione delle divinità femminili nei vari pantheon, le quali avrebbero “adottato” prerogative che un tempo la figura della Dea Madre raggruppava.
Secondo la visione di Untersteiner, anche Clitemnestra e il mito che la vede protagonista rappresenterebbero questa concezione.


[2] Si tratta dell’antico palazzo di Cnosso, a Creta.


[3] Omonimo del più famoso Tantalo che venne condannato a un infinito supplizio nel Tartaro.


[4] Città dell’Elide, nel Peloponneso.


[5] Antico nome della Grecia.


[6] La parte principale del palazzo miceneo, dove il re riceveva ospiti e supplicanti e dove si trovava il focolare.



ANGOLO AUTRICE


Salve a tutti!
Allora, inizialmente questa doveva essere una shot… ma stava diventando davvero lunga, quindi ho ritenuto opportuno dividerla in più capitoli.
Era da tanto che volevo scrivere qualcosa su lei, Clitemnestra, questa splendida figura resa immortale dai tragediografi; il mio interesse verso la sua vicenda è aumentato ancor di più quando mi sono imbattuta nell’interpretazione di Untersteiner, e il fatto che pochi conoscano le sue vicende prima dell’incontro con Agamennone mi ha dato un’ultima spinta… e quindi eccoci qui.
Qualche spiegazione aggiuntiva: per l’aspetto di Elena e Clitemnestra mi sono rifatta alla descrizione che Valerio Massimo Manfredi, nel suo romanzo “Il mio nome è Nessuno – il Giuramento”, fa di loro: la prima una meraviglia di luce, la seconda descritta come bella, ma inquietante.
Nel testo ho insistito molto sia sul legame della regina con la luna, simbolo di potere femminile, sia sul fatto che lei sia particolare e, secondo la concezione del tempo, anomala: Eschilo la definisce “donna dal cuore d’uomo”, che assume su di sé le prerogative di un re… come poi, lo vedrete, farà.
Pochissimo si sa sulla figura di Tantalo, e il mito non dice perché l’Atride gli fece guerra; quindi ho tenuto la questione misteriosa.
Per tutto il resto, se avete dubbi, curiosità, chiarimenti e osservazioni da presentare, non esitate a farlo.
Alla prossima ^^


Manto

   
 
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