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Autore: Horror_Vacui    01/12/2016    3 recensioni
Il ricordo di Stiles del primo vero appuntamento con Malia.
(Primo dei ricordi legati alla fanfiction Hidden Truth)
Dal testo:
"Gli capitava di fermarsi a guardarla, chiedendosi come sarebbe stata la sua vita se lo sceriffo non avesse deciso di risolvere i vecchi casi archiviati. E se lui non avesse deciso di trascorrere tre giorni ad Eichen House? L'unica cosa di cui non riusciva a pentirsi era di averla incontrata e di averla amata su quel vecchio divano polveroso."
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Malia Hale, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fragments [Stalia]'
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First Date

by Horror_Vacui

- - -

Era agitato.
Nello stomaco non aveva dolci farfalle, ma feroci formiche rosse che lo stavano torturando dall'interno. Tossì un paio di volte per sciogliere il nodo in gola e si guardò di nuovo allo specchio.
Non riusciva a decidere cosa mettere e non faceva che cambiare combinazione di vestiti.
Tutte le felpe, le magliette e le camicie in suo possesso erano ammonticchiate sul letto in un'accozzaglia di stoffe senza senso, mentre i capelli, che aveva pettinato con cura solo dieci minuti prima, erano di nuovo sparati in ogni direzione.
Ok Stiles, puoi farcela. Smettila di pensare e fidati del tuo istinto.” si disse mentalmente.
Indossò una camicia a quadri neri e verdi, la abbottonò in fretta e, per evitare di cadere in tentazione, iniziò a riporre gli altri indumenti nell'armadio.
Tuttavia, lo svantaggio del lavoro manuale era che i pensieri dopo un po' andavano a briglia sciolta: servivano i rinforzi. Prese il cellulare e si lasciò cadere sull'unico angolo di materasso libero.
«Pronto?»
«Scott, questa è un'emergenza» disse con tono lugubre.
«Che succede?!» chiese allarmato l'altro.
«Oggi è il giorno e non riesco a smettere di pensare a tutte le cose sbagliate che potrei fare. Il fatto che lei non segua le convenzioni rende tutto più complicato. E se la offendessi? E se...?»
«Stiles! Stiles, fai un bel respiro profondo»
«No, non capisci...»
«STILES!»
«Okay...» inspirò ed espirò tre volte, con calma, finché non sentì Scott dargli la sua approvazione dall'altro capo del telefono.
«Bene! Ora stai zitto e lascia parlare me» fece una breve pausa. «Andrà tutto bene finché sarai te stesso, non fingere di essere ciò che non sei. Lei lo apprezzerà. E se hai ancora dei dubbi, ricordati che è sempre rimasta... nonostante tutto».
Non giudicherò.
Era quello che Malia gli aveva detto ad Eichen House e si era dimostrata dannatamente sincera. Non l'aveva giudicato, il sorriso che gli rivolgeva non era cambiato, la luce nei suoi occhi non si era spenta. Ringraziò l'amico e chiuse la telefonata con il cuore più leggero.
Malia era arrivata all'improvviso, inattesa come un raggio di sole in una triste giornata d'inverno, e gli aveva mostrato i motivi per cui andare fiero di se stesso. Lo accettava così com'era, senza la pretesa di cambiarlo; nelle occasioni in cui gli altri alzavano gli occhi al cielo, lei lo ascoltava con interesse e se serviva prendeva le sue difese.
Gli capitava di fermarsi a guardarla, chiedendosi come sarebbe stata la sua vita se lo sceriffo non avesse deciso di risolvere i vecchi casi archiviati. E se lui non avesse deciso di trascorrere tre giorni ad Eichen House? L'unica cosa di cui non riusciva a pentirsi era di averla incontrata e di averla amata su quel vecchio divano polveroso.
Avevano passato molte giornate insieme, ma non erano ancora usciti ufficialmente come coppia.
E infatti quello era
il giorno, il giorno del loro primo appuntamento e Stiles voleva che fosse perfetto.
Arrotolò le maniche della camicia, passò le dita tra i capelli per dar loro una sistemata, indossò la giacca e poi scese giù per le scale. Arrivato alla porta si rese conto di aver dimenticato la cosa più importante.

Lo sceriffo Stilinski era un uomo onesto e rispettabile, pur essendo in una posizione di comando non aveva mai sfruttato il suo distintivo e le sue conoscenze per ottenere dei favori. Si guadagnava da vivere, giorno dopo giorno, senza dover dire grazie a nessuno. Lo stipendio però non era così alto e, se di solito riusciva a farselo bastare, da quando alle spese consuete si erano aggiunti i debiti con l'ospedale e la clinica psichiatrica, far quadrare i conti era diventata una vera impresa.
Stiles era cosciente delle difficoltà economiche, perciò chiedere dei soldi extra a suo padre gli sarebbe costata una certa fatica.
Varcò la soglia del salotto, dove lo sceriffo guardava la tv, e gli si avvicinò in punta di piedi.
«Papà?» lo chiamò incerto.
«Ehi, figliolo, pronto per la serata romantica?»
No, dai non fare quella faccia, rendi tutto più complicato...
«Ehm, sì. Proprio di questo volevo parlarti» inconsciamente intrecciò le mani in segno di preghiera.
«Avevo messo da parte un po' di soldi, ma poi ieri ho bucato una delle gomme della Jeep e insomma li ho dovuti usare per sostituirla. Lo so che il momento non è dei migliori...»
Noah sorrise bonario e, scuotendo la testa, prese il portafogli dalla tasca dei pantaloni e gli porse alcune banconote.
«Tieni, sono quaranta dollari, non molti a dire il vero ma spero che bastino».
In realtà non avrebbe potuto nemmeno sedersi al tavolo con quaranta dollari, ma l'ultima cosa che voleva era mortificare suo padre. Sentì un moto d'affetto così forte nei suoi confronti che dovette trattenersi dall'abbracciarlo.
«Grazie, papà» gli diede una pacca sulla spalla.
«Per stasera pensa solo a divertirti, okay?»
«Sì, ci vediamo dopo, non aspettarmi alzato»
«Va bene. Ah e attento agli artigli!» lo sentì urlare quando ormai si stava chiudendo la porta alle spalle.

La prima volta che era stato a casa di Malia lei e suo padre erano sul portico e si stavano riabbracciando dopo lunghi anni di separazione.
Li ritrovò lì entrambi, stavolta però erano seduti sui gradini davanti all'ingresso. Era già buio e attorno alle lampade accese gravitavano lucciole e falene, Malia le osservava annoiata reggendosi il viso tra le mani, mentre il padre sorseggiava una birra ghiacciata.
Quando lo videro arrivare solo Malia si mosse dalla sua posizione, saltando giù con un balzo.
Indossava un grazioso cappottino scuro, da cui riuscì a intravedere il tessuto avorio di un vestito con la gonna corta a campanella. I capelli erano più disciplinati del solito e cadevano in morbide onde sulle spalle. Era certo che ci fosse lo zampino di Lydia.
Il signor Tate invece mise da parte la birra con calma studiata e aspettò che lui scendesse dalla macchina, poi si alzò e mise una mano sulla spalla di Malia.
«B-buona... buonasera» disse Stiles a disagio, lo sguardo del papabile suocero puntato addosso.
«Ehi» lo salutò Malia con il sorriso radioso che era solita dedicare solo a lui.
Se avesse potuto si sarebbe scavato da solo la fossa, lì, in quel preciso istante, mentre Henry Tate lo fulminava con gli occhi.
«Ciao» gli disse con tono gelido. «Andrò subito dritto al punto: se la farai soffrire ti farò fuori e lo farò sembrare un incidente».
Malia si voltò di scatto verso il padre. «Papà! Anche io capisco che non dovresti dire cose del genere!»
«Non dovrebbe, giusto?» chiese conferma a Stiles e, quando lui scosse la testa, tornò a guardare suo padre in cagnesco.
Henry si limitò ad alzare le spalle «Non fate tardi» disse poi, prima di rientrare.
Era andata meglio del previsto.
Il signor Tate aveva smesso di guardarlo con gratitudine da quando lui e Malia avevano iniziato a frequentarsi. Come ogni buon padre, era convinto che Stiles volesse approfittarsi della sua “bambina” e il fatto di averla ritrovata dopo otto anni non aiutava per niente.
«Scusa, ti ha messo in imbarazzo? Vuoi... rimandare?» gli chiese Malia, titubante.
Perso com'era nelle sue elucubrazioni mentali non si era accorto che lei aveva indietreggiato e lo stava fissando preoccupata, le mani dietro la schiena e la testa bassa.
«Cosa? No, non se ne parla!» disse con foga. Ok, forse troppa foga, ma Malia non sembrò farci troppo caso e anzi fu felice di quella risposta.
«Bene, allora andiamo!» disse dirigendosi verso l'auto.
Stiles si diede dell'imbecille: avrebbe voluto fare il gentleman e aprirle la portiera.
«Dove mi porti?» gli domandò una volta partiti.
Cominciava a temere l'effetto domino, la sua paranoia stava prendendo il sopravvento e gli urlava che presto tutto sarebbe andato storto.
«Mmh be', vedrai» disse, ma in realtà sperava di riuscire a inventarsi qualcosa prima di arrivare in città. Aveva prenotato in un ristorante piuttosto carino in centro, ma non poteva più pagare la cena nemmeno per sé, figurarsi per due.
«Stai mentendo» gli rispose con tono neutro. Il suo candore riusciva sempre a spiazzarlo.
«No, ma che dici?» sorrise nervoso.
«Il tuo cuore va più veloce quando dici bugie»
Ti ha scoperto, è fatta. Non puoi moltiplicare i dollari, né farti arrestare da tuo padre per non aver pagato il conto.
«È difficile da spiegare, non so da dove iniziare»
«Inizia dalla verità» lo incoraggiò, accarezzandogli la mano che teneva sul cambio.
Si scambiarono uno sguardo d'intesa e allora Stiles si rilassò e le spiegò la situazione, senza omettere nulla. Malia rimase in silenzio ad ascoltare, annuendo di tanto in tanto.
«E quindi in questo momento sei preoccupato per la cena?» disse seria quando lui finì il suo racconto.
«Sì, insomma so che per potrà sembrare una cosa stupida, ma...»
«No, invece. Quello che mi hai detto riguardo tuo padre mi fa sentire» si fermò a soppesare le parole «dispiaciuta! Ecco, mi dispiace. L'unica cosa stupida sono le regole»
«Quali regole?» aggrottò le sopracciglia.
Erano ormai arrivati in città e Stiles accostò accanto a un marciapiedi.
«Quelle che tutti vi siete auto-imposti e che ti fanno star male. A me non importa che tu faccia le cose che fanno gli altri i ragazzi, io voglio... io voglio stare con te, il resto non conta».
Per la prima volta Malia gli sembrò in imbarazzo. Lei, che era solita dire cose fuori luogo senza batter ciglio, in quel momento teneva lo sguardo basso e torturava una ciocca di capelli tra le dita.
«E quindi, mi chiedevo... ti va di andare al McDonald's qui vicino?» sollevò appena gli occhi nella sua direzione. Sembrava una bambina in attesa di un rimprovero.
«Voglio dire, so che non è il posto più romantico del mondo, ma è da giorni che mi chiedo che sapore abbia la Coca Cola, con il tempo l'ho dimenticato. Mio padre è un salutista, odia tutti i cibi spazzatura da che ne ho memoria» un sorriso malinconico sbocciò sul suo viso. «Ricordo la prima volta che mia madre portò di nascosto me e mia sorella al fast food. Comprammo tre happy meal e un bicchiere gigantesco di Coca Cola a testa. Uscite da lì puzzavano così tanto che fummo costrette a fare una lunga passeggiata sulla spiaggia, ma mio padre riuscì comunque a scoprirci» ridacchiò, ma il suo tono era chiaramente carico di nostalgia.
«Non so perché tra tanti ricordi io abbia conservato proprio questo, ma per me è...
speciale».
Stiles non disse niente, sentì che ogni parola sarebbe risultata superflua. Mise in moto e in breve furono davanti al vecchio fast food.
Era ancora lì, dopo tanti anni, a vendere diabete e colesterolo in graziose confezioni dai colori sgargianti. Metà dell'insegna gialla sfarfallava, minacciando di spegnersi da un momento all'altro, e l'interno, visto attraverso le vetrate, non prometteva certo di meglio.
Una volta attraversate le porte automatiche Stiles non riuscì a trattenere un sospiro affranto: tavoli vecchi e graffiati, sedie spaiate, pareti sporche e puzza di olio strafritto a impregnare ogni centimetro quadrato. L'idea di farsi arrestare da suo padre cominciava ad allettarlo più che mai.
Si era quasi arreso allo squallore, quando Malia gli strinse la mano e, sollevandosi in punta di piedi gli sussurrò: «E se saltassimo questo passaggio?»



La spiaggia più vicina distava solo qualche chilometro dal centro e quando arrivarono i panini erano ancora caldi. Le temperature non erano poi così basse, ma decisero che era meglio restare in auto.
«Ecco a lei signorina, il suo Happy Meal e la sua lattina di Coca Cola, un concentrato di zuccheri e grassi idrogenati per cui mi potrei beccarmi una pallottola in fronte» disse Stiles, facendola ridere.
«Grazie, ma stai tranquillo, nessuno potrà mai farti del male» disse Malia aprendo la scatola di cartone. Stiles la imitò e prese una manciata di patatine fritte.
«Mah, non ci metterei la mano sul fuoco» disse con la bocca piena.
«Dovresti invece, perché io non lo permetterei!» esclamò lei risentita.
La sorpresa gli fece andare il boccone di traverso. Tossì un paio di volte, ma senza ricevere aiuto da Malia.
«Ben ti sta» disse imbronciata.
«C-cosa?» sputacchiò lui incredulo e a corto d'aria «Perché?!»
«Io lo so che non ci conosciamo da molto, ma sono sicura, sento che...» sbuffò seccata, portandosi le mani ai capelli. Quelle parole dovevano costarle un certo sforzo, ma Malia lo guardò comunque dritto negli occhi prima di riprendere a parlare.
«Tu sei importante per me e sono stanca di doverlo ribadire di continuo. Tutti mi trattano sempre come se fossi ancora un animale privo di sentimenti o emozioni. Ti prego, non farlo anche tu».
Il cuore di Stiles fece una capriola e il corpo si mosse da solo.
Le labbra di Malia erano soffici e fresche e i suoi capelli profumavano di lavanda; il tocco delle sue dita gelide sulla nuca gli procurò un brivido di freddo ed eccitazione lungo la schiena.
Non era bravo con le dichiarazioni, ma desiderava farle sapere quanto il sentimento fosse reciproco: le cose cominciavano a farsi serie o, forse, lo erano sempre state.
Quando sentì i polmoni bruciare alla ricerca d'aria, Stiles abbandonò il dolce rifugio delle sue labbra e appoggiò la fronte contro quella di Malia. Si guardarono, ma non dissero altro, entrambi senza fiato.
«Ho sete» sussurrò poi lei con voce roca e Stiles si ricordò il motivo per cui erano lì.
Aprì una delle lattine di cola e gliela porse facendole l'occhiolino. Malia ne annusò il contenuto con diffidenza e le bollicine frizzanti la fecero starnutire.
Stiles allora fu costretto a tapparsi la bocca con entrambe le mani per non scoppiare a ridere: come poteva essere così tenera e innocente?
«Oh, andiamo, non ridere di me!»
Stiles provò a darsi un contegno e scosse la testa, tenendo la bocca ben serrata, poi però Malia bevve il primo sorso e la smorfia che ne seguì fu
così buffa che non riuscì più a trattenersi.
Rise di gusto, come non gli succedeva da mesi, si appoggiò al sedile asciugandosi le lacrime con una mano, mentre con l'altra stringeva un fianco che cominciava a fargli male.
Quando riuscì a fermarsi rivolse lo sguardo a Malia, temendo di averla offesa.
«Scusa scusa scusa» ripeté velocemente e le baciò il dorso della mano, ma lei era tutto fuorché infastidita, anzi sembrava quasi che le avesse fatto piacere.
Quali che fossero i suoi pensieri, però, restarono celati a Stiles dietro quel sorriso enigmatico.
«Ha un sapore strano, ma mi piace» affermò convinta.
«Mmh, bene. Adesso passiamo alla parte più divertente» disse lui e tirò fuori dalle scatole i regali in omaggio con l'Happy Meal. Erano due pupazzetti portachiavi, gadget di un film d'animazione molto popolare.
«Chi sono?» chiese Malia incuriosita, rigirandoseli tra le mani.
«Oh, giusto ancora non l'abbiamo visto insieme. Questo è Ralph, tutti lo ritengono cattivo e fuori controllo, quindi decide di volersi riscattare e dimostrare a tutti di poter essere buono. Lungo la strada incontra lei» indicò l'altro pupazzo «Vanellope, anche lei una reietta in cerca di rivalsa e insieme, credendo l'uno nell'altra, riescono ad emergere».
Malia guardò le bamboline con il volto coperto da un velo di malinconia.
«Perché tutti pensano che Ralph sia cattivo?»
«Be' perché la sua natura lo porta a distruggere le cose. È per questo che vive da solo nella discarica di oggetti che ha distrutto, lontano dagli altri».
Malia sollevò la testa di scatto, l'espressione accigliata e triste.
«Uhm... ti dispiace se prendo io Ralph?»
La richiesta non lo sorprese.
«Certo, puoi prenderli entrambi se ti va»
«No, ti prego tieni tu l'altro» disse porgendogli la piccola e coloratissima Vanellope e poi, senza aggiungere altro scese dalla macchina.
Stiles la seguì preoccupato, a volte trovava difficile interpretare i comportamenti bizzarri di Malia.
«Ehi, tutto bene?» le chiese raggiungendola.
Stava ritta in piedi, le mani affondate nelle tasche del cappotto e lo sguardo fisso sull'ultimo quarto di Luna.
«Sì, mai stata meglio» disse, la punta del naso già rossa e un sorriso radioso a illuminarle il viso.
«Sicura? È che sei andata via così all'improvviso che...»
«Volevo ringraziare la Luna. Non ti allarmare, dev'essere una cosa da mannari, anche Scott le parla spesso»
«Davvero?» le chiese a metà tra il divertito e lo scettico, ma Malia non colse quella sfumatura nel suo tono di voce.
«Sì, me l'ha detto qualche giorno fa» sospirò tornando con lo sguardo al cielo.
«E per cosa la stai ringraziando?»
Malia gli si avvicinò e poggiò la testa sulla sua spalla.
«Per avermi portato a te».

   
 
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