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Autore: PeterJRaf    01/12/2016    0 recensioni
La storia parla di una semplice ragazza proveniente da una piccola cittadina della California. A causa di un progetto scolastico è costretta a lavorare insieme a dei calciatori della squadra locale. Tra tutti i componenti finirà per approfondire la relazione con uno in particolare. Differenze sociali travolgeranno entrambi, ma si sa quando c'è l'amore di mezzo tutto è possibile..almeno la maggior parte della volte!
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4° Capitolo: One chance


Mi svegliai di soprassalto, senza fiato, madida di sudore e tremante. Mi stropicciai gli occhi rendendomi conto che era solamente un incubo; con fatica girai la testa verso l’orologio e mi accorsi che erano le tre del pomeriggio. Tra meno di un’ora sarei dovuta essere sul campo da calcio, così già con la mancanza del letto nel cuore mi avviai verso il bagno. Appoggiai la testa vicino le mattonelle mentre il mio corpo godeva del getto d’acqua caldo infrangersi sulla pelle. La stridente suoneria del telefono invase la vaporosa intimità del bagno ''Via!'' gridai, ma l'apparecchio continuò a suonare fino all'inserimento della segreteria telefonica. “Piccola sono Marilyn, oggi vengo a vedere la partita. Voglio vederti all’opera! Spero di riuscirti a salutare, ciao!” Sospirai uscendo dalla doccia, notando le nuvole di vapore che si erano formate in giro per la stanza. La partita ancora non era iniziata ma ero in un tremendo ritardo. Mi vestii, indossando una tuta per essere comoda per tutti i movimenti necessari. Scendendo in cucina, bevvi un succo d’arancia per darmi più energia e mangiai un paio di biscotti al cioccolato e corsi fuori.
Prima di aspettare il fischio dell’arbitro che comunicasse l’inizio della partita, entrai negli spogliati e augurai a tutti un buona fortuna. “Se vinciamo sarai la nostra ospite d’onore alla festa che abbiamo organizzato, berremo per festeggiare” disse Kevin, uno dei giocatori. “E se perdete?” I giocatori si guardarono tra di loro e ribadirono in coro “Beviamo per dimenticare.” Ridemmo tutti quanti insieme finché non si intromise Derek iniziando un discorso motivazionale. A sentire quelle sue parole iniziai a capire l’importanza del calcio verso certe persone, non era solamente uno sport dove rincorrere un pallone ma un modo per divertirsi veramente, esprimere i propri sentimenti, per sfogare la propria rabbia o distrarre la mente dal mondo reale. “Ascoltate. Non abbiamo niente da perdere, se ci rilassiamo possiamo fare diversi goal. Dobbiamo combattere. Lo dobbiamo ai tifosi. Non lasciate che la vostra testa tremi. Abbiamo lavorato tanto per essere qui, battuto tante buone squadre. Lottate per 90 minuti. Se segniamo, siamo in corsa. Se credete che possiamo farcela, ce la possiamo fare. Avete la possibilità di essere eroi. I tifosi sono con noi, loro sono dietro di noi“. 
Si misero tutti in cerchio stendendo il braccio verso il centro. Quando si fece una mini torretta formata dalle mani urlarono in coro “Siamo i campioni”.
All’inizio del secondo tempo stavano perdendo 0 a 1 ma dopo un po’ Bobby riuscii a fare il primo goal pareggiando il risultato. Avevo un nodo in gola che non riuscivo a mandare giù, non mi ricordavo che le partite trasmettessero così tanta preoccupazione. In certi momenti mi dimenticavo anche di stare lì per fotografarli per un incarico scolastico e mi immedesimavo nei panni di una giovane tifosa venuta a vedere la propria squadra del cuore. Scossi la testa cercando di trascorrere quegli ultimi momenti in modo imparziale, di questo passo neanche in un mese sarei riuscita a portare a termine il compito. 
Ormai eravamo alla fine, l’arbitro aveva dato 3 minuti di recupero e dopo esserne trascorsi la metà iniziai a sudare, sentendo una strana morsa al livello del petto. Pareggiare non era il nostro obiettivo. Mi diressi velocemente verso porta della squadra avversaria sperando in un goal all’ultimo secondo. Da lontano vidi Javier prendere il possesso palla e con tutte le sue forze iniziò a correre verso la porta. Un’emozione in me iniziò a crescere e sperai con tutta me stessa che sarebbe riuscito nella sua impresa. Una volta arrivato alla porta, un gesto inaspettato accadde: si fermò. “Katy Morris, vuoi uscire con me?” Iniziò a palleggiare sul posto, cercando di allontanare i difensori con le braccia spalancate. Di colpo la mia mente si bloccò completamente, è pazzo pensai.
“Si, ti prego segna però!” gridai, d’impulso. Lui mi rivolse un gran sorriso e con destrezza fisica lanciò il pallone verso la porta, il portiere si buttò cercando di pararla ma lo sfiorò di un centimetro. Quando il pallone entrò, colpendo con violenza la rete, fu seguito subito dopo dal fischio dell’arbitro che enunciava la fine della partita. Con le lacrime agli occhi raggiunsi tutti gli altri giocatori della squadra che stavano esultando. Vidi Javier venirmi incontro, senza maglia e con la pelle lucida a causa dell’effetto del sudore. Mi bloccai, alzando gli occhi al cielo, faceva caldo a causa del sole o per la bella vista? “Tu sei pazzo!” affermai, avvicinandomi a lui “I pazzi sono i migliori.” Alzò le spalle di scatto rispondendomi con naturalezza. 

“Tra cinque minuti sono arrivato sotto casa tua!” mi informò Javier. “Va bene” farfugliai prima di staccare la telefonata. Mi sedetti sul divano in salone, abbassai gli occhi sul grembo e intrecciai le mani l’una l’altra. Cercai di respirare profondamente nel tentativo di calmare la mente e quando la tensione iniziò ad essere impercettibile sciolsi le dita distendendole un po’. Quando sentii un suono del clacson, mi alzai di scatto e intravidi una macchina attraverso le tendine della finestra che dava al giardino. Prima di varcare la soglia, mi avvicinai allo specchio e osservai ogni parte del mio corpo in modo distaccato. Ero nervosa.. chiusi gli occhi e raccomandai a me stessa “E’ solamente un ragazzo, che trovi semplicemente carino. Cena e poi subito a casa!” Stampandomi un sorriso sul viso, uscii da casa e mi diressi verso il cancello cercando di non far scappare Tyson. 
Rimasi stupita dalla bellezza della sua macchina, un Audi R8 tinta di un rosso Ferrari, non era una ragazza che si intendesse di automobili ma sicuramente quella costava quanto la mia casa, se non di più. Mi avvicinai alla parte posteriore e con il dito ne accarezzai le curve. Javier uscii dalla macchina e, parlando di curve, lui non era da meno. Indossava un completo classico stretto nero, mettendogli in risalto i pregi del proprio corpo tonico e muscoloso. Mi sentii a disagio, non ero abituata ad uscite così eleganti. Avvolta nei miei pensieri, Javier si avvicinò a me, mi posò una mano dietro la schiena e mi stampò un delicato bacio sulla guancia. “Sei bellissima” sussurrò facendomi gelare il sangue all’istante. Da fare da gentiluomo mi aprii la portiera e accettando l’invito mi sedetti su comodi sediolini rivestiti in pelle che emanavano un dolce profumo, notai gli interni minimalisti avente una strumentazione totalmente digitale. “Ti vedo tesa” rivolgendo lo sguardo verso il finestrino sorrisi “Sono abituata alla berlina di mio padre” intento nel mettere in funzione la macchina, sogghignò. 
Per l’intero tragitto effettuato all’andata l’unico rumore che spezzava il silenzio imbarazzante che si era formato fu il suono quasi irrilevante della radio. Il mio sguardo era bloccato sulla strada, per ragioni a me sconosciute mi sentivo come un pesce fuor d’acqua. Nella mia mente cercavo costantemente qualcosa da dire, mi sarei accontentata pure di una semplice affermazione ma l’unica cosa che era presente nella mia testa era il vuoto totale. 
Dopo circa una decina di minuti finalmente arrivammo a destinazione. Raggiungemmo un piccolo ristorante situato su una ripida collina; “Da Antonio” riportava l’insegna, il proprietario era ormai come un fratello per mio padre. Quando realizzai dell’ottima scelta che produsse Javier mi si allentarono i nervi mettendomi automaticamente più a mio agio. Una volta usciti dalla macchina, immergendomi nei miei pensieri iniziai a fissarlo creando una sfera di imbarazzo, lui cercò di deviarlo  semplimente con un sorriso e silenziosamente varcammo la soglia del ristorante. 
Fin dalla prima volta che entrai in quel luogo non era mai cambiato, successivamente all'entrata vi era un enorme salone che comprendeva una ventina di tavoli in legno, la superfice era ricoperta da una soffice tovaglia a scacchi casalinga. Il muro era dipinto di un azzurro che ricordava tanto un cielo in piena estate trasmettendoti incosciamente serenità. Su di esso vi era riportato a caretteri cubitali la frase preferita del proprietario o come lui stesso definiva la sua filosofia di vita "La vita non è acquistare e avere, ma dare e essere." 
l'illuminazione era di tipo indiretta in quanto la luce fioca emessa dai lampadari rifleddendosi sulle pareti chiare aumentava d'intesità producendo comunque nitida visibilità  in tutto il locale. 
"Katy piccerella mia, erano mesi che non ti vedevo." Intenta a scrutare il locale non mi ero accorta della presenza di Antonio Genovese, il proprietario. "Vedo che sei in compagnia" sempre con un soffice livello di imbarazzo ci abbracciammo calorosamente. "Mi sei mancato e ad essere onesta anche la tua cucina" con fare svenevole alzò gli occhi al cielo e con le dita della mano sinistra si arricciò il baffo arruffato che si era fatto crescere negli ultimi mesi. In un secondo momento si rivolse al mio accompagnatore "Buonasera giovanotto! Io conosco la sua famiglia meglio di chiunque altro quindi se durante la serata e anche dopo verrò a sapere che sei stato irrispettoso nei suoi confronti ti brucerò e userò la tua carne per fare il ragù" Non potei fare a meno di scoppiare in una breve risata, il suo aspetto non incuteva nessun tipo di terrore tantomeno nell'atto della minaccia. Javier sorrise e con tono di voce tranquillo dichiarò "La tratterò con la stessa delicatezza e affetto con cui voi cucinate i vostri piatti e sono a conoscenza che voi ci mettete il cuore a differenza di tante altre persone." Antonio per qualche secondo rimase a guardarlo come se avesse visto d'un tratto il Creatore e poi si rivolse a me "Questo ragazzo mi piace, misà che ti ama già" sospirai, divertita dal momento ma anche curiosa degli obiettivi di Javier ma non curante della dichiarazione ammisi di avere una gran fame così incitai di scegliere un tavolo per sederci. 
Dopo aver scelto direttamente i primi piatti decisi che il primo argomento della serata sarebbe stato diretto a scoprire la sua storia. Scavando nel suo passato ero intenta di capire realmente chi era il ragazzo seduto di fronte a me, non volevo sbagliare di nuovo prima che fosse stato troppo tardi. Dopo avergli porto la prima domanda lui serrò i denti riflettendo sulla risposta "La mia infanzia" sospese il discorso e si morse ripetutamente il labbrò "Beh se devo essere sincero non amo parlarne ma come tu ti sei aperta con me, io farò altrettanto" mi rivolse un sorrise auto-rassicurante e sospirò "Sono di origine brasiliana, io e la mia famiglia ci siamo trasferiti qui quando avevo due anni. Abbiamo cercato di condurre una vita serena ma mio padre cadde nel vizio del gioco e lo ammazzarono davanti a me quando avevo sei anni, ne sono passati più di quattordici  ma ricordo i dettagli come se fosse accaduto un giorno fa. E qual'è il rimedio più funzionale per una madre per mandare avanti tre figli, una casa con debiti, senza l'aiuto di un marito e senza un lavoro?" attese la mia risposta che non arrivò mai in quanto avevo colto la sua nota di duro sarcasmo. "Mia madre morì per overdose, per pagare velocemente le bollette iniziò a prostituirsi ma i soldi che guadagnava non erano diretti a sfamarci ma alla droga, l'eroina se l'è portata via, lei la considerava come una buona amica...I miei fratelli Santiago e Abelardo mi hanno mantenuto fino ai miei sedici anni e poi mi hanno abbandonato per condurre la loro vita. Così ho intrapreso questa professione, era la mia unica passione, l'unica cosa che veramente mi piaceva fare. Giocavo a pallone quando vedevo mia madre venire a casa con altri uomini, giocavo a pallone quando lei morì, quando i miei fratelli stanchi dal lavoro litigavano a vicenda. Per me il calcio è come un antidoto ad una vita infelice. Ora la mia famiglia è la squadra, i miei fratelli si sono trasferiti chissà dove, non li sento più da tempo. Ecco questa è la mia storia!." Senza accorgermene rimasi con la bocca socchiusa ad ascoltarlo, involontariamente gli accarezzai la mano in segno di conforto creando così  una strana intesa interrotta, ahimè, dall'arrivo del cameriere con i nostri piatti.

-Spero vi sia piaciuto!


 
  
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