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Autore: noctue    02/12/2016    0 recensioni
"Sentiva il calore, la vita scivolare via dal suo corpo, diretti chissà dove in quell'universo di anime perdute. Le palpebre si facevano sempre più pesanti, ma sapeva che non avrebbe dovuto chiudere gli occhi, sapeva che avrebbe dovuto combattere. Era una di quelle cose che imparavi in fretta in orfanotrofio: devi combattere, se vuoi ottenere qualcosa."
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una notte buia e fredda quella in cui per la prima volta venne a conoscenza dei suoi poteri. Il tempo pareva essersi fermato, ogni rumore fu nascosto dal silenzio. Il manto erboso che ricopriva il terreno era nascosto da un velo di foglie appena cadute e un leggero strato di brina imperlava ogni cosa. Seduta, con la schiena appoggiata contro un albero e le gambe piegate a coprirsi il petto, stava una ragazzina. Indossava una leggera vestaglia bianca, resa pesante come un'armatura dall'umidità che riempiva quell'aria notturna, troppo pesante per quel piccolo corpo esile. Si copriva le orecchie con le mani, gli occhi sigillati, era terrorizzata, furiosa, confusa. Delle parole le vorticavano nella mente in un vortice di ricordi che avrebbe voluto solo dimenticare: urla, tante urla che le facevano sentire un vuoto nel petto che avrebbe potuto scavarla all'interno fino a farla crollare. “Strega” “Figlia del demonio” quanta cattiveria poteva esserci nelle parole della gente? Quanto si poteva essere crudeli nei confronti di una bambina? A quanto pare troppo. Sentiva quelle parole come delle lame che le squartavano le viscere. Era furiosa, odiava quel mondo, odiava quegli uomini che l'avevano fatta stare così male, odiava chiunque fosse in grado di fare del male. Delle folate di vento gelido la colpivano come delle lame affilate e ogni folata era una pugnalata in più. Si sentiva il corpo stanco, la voglia di chiudere gli occhi e di lasciarsi andare, la sensibilità delle gambe che andava a mano a mano svanendo. Sentiva il calore, la vita scivolare via dal suo corpo, diretti chissà dove in quell'universo di anime perdute. Le palpebre si facevano sempre più pesanti, ma sapeva che non avrebbe dovuto chiudere gli occhi, sapeva che avrebbe dovuto combattere. Era una di quelle cose che imparavi in fretta in orfanotrofio: devi combattere, se vuoi ottenere qualcosa. Lei quella notte voleva vivere.

Non chiudere gli occhi si ripeteva nella mente, una cantilena continua che la obbligava a restare sveglia. Allungò una mano verso la piccola borsa di stoffa con i suoi pochi averi, era leggera. Se la avvicinò e la appoggio sulle gambe nella speranza di riuscire a riscaldarsi leggermente, ma quella stoffa era fredda e umida per il contatto con il terreno, la poggiò di nuovo a terra. Guardandoci dentro trovò l'oggetto del suo desiderio. Sul fondo, sotto una vasta quantità di ciarpame, era nascosto un piccolo blocco da disegno, con una matita incastrata tra i fogli. Lo prese tra le mani e un leggero profumo di carta sovrastò per qualche istante quello di foglie bagnate e pioggia. Sentiva la carta ruvida solleticarle i polpastrelli e la matita le scivolò tra le dita con una mossa familiare. Era sempre stata una delle sue valvole di sfogo, poggiare la matita sulla carta e disegnare, per lei, era come entrare in un mondo nuovo, un po' più misericordioso, dove non esiste il male, un mondo in cui era lei a dettare le regole e dove le linee storte, potevano essere cancellate.

Il freddo continuava a indebolirla e delle lacrime cominciarono a scivolare sulle guance soffici e pallide di quella bambina dai folti capelli neri e i profondi occhi azzurri. Sentiva che probabilmente non ce l'avrebbe fatta e le venne da piangere, ma non tanto per la tristezza, quanto per la rabbia. La rabbia che l'aveva obbligata a scappare da quel maledetto istituto, la rabbia per quel mondo tanto ingiusto, quella rabbia che la stava logorando dentro. Poggiò la matita sul foglio e cominciò a disegnare calcando le linee spesse, come se avesse potuto entrare nel suo foglio e poter raggiungere anche lei quel suo piccolo mondo. Pianse, pianse forte e in un istante di disperazione urlò, un grido che squarciò il silenzio della notte. Sapeva che nessuno poteva sentirla, sapeva che nessuno sarebbe corso da lei. Continuava a disegnare premendo la matita sempre più forte, disegnò un lupo, il pelo scuro talmente ispido da sembrare acuminato. Disegnò le fauci spalancate, i denti chiari che risaltavano sul nero. In quel momento avrebbe voluto essere come lui, forte, ancora in piedi e pronta a combattere. Avrebbe voluto avere le sue zampe possenti e non quelle piccole gambe che l'avevano costretta a fermarsi, avrebbe voluto continuare a correre, ma non poteva, chiuse gli occhi. Qualche istante dopo sentì il foglio tra le sue mani diventare mano a mano più caldo e per qualche istante pensò di essere impazzita, ma quando la carta cominciò a bruciare tra le sue mani allontanò il pezzo di carta lanciandolo lontano e rimase a guardare quella scena che la lasciò a bocca aperta. La carta prese fuoco, una fiamma cerulea, delicata, che prese a danzare leggiadra in movimenti tanto ipnotici da lasciarla non lasciare spazio a nessuna parola. In un istante si fece cenere, dei piccoli sbuffi alzarono dei piccoli residui di polvere dal terreno umido e un attimo dopo, nello stesso punto in cui era arso il fuoco, qualcosa sorse dalle tenebre. La bambina tentò di arretrare, ma la superficie ruvida della corteccia dietro di sé la frenò. Guardò terrorizzata quella scena e trattenne un urlo quando vide issarsi davanti a lei, su quattro possenti zampe, un lupo dal manto nero, gli occhi gialli puntati nei suoi, la postura elegante.

La ragazzina non seppe cosa fare, così semplicemente rimase immobile, pietrificata. La bestia si diresse verso di lei, il passo leggero e possente allo stesso tempo. Man mano che si avvicinava, si dimostrava ancora più grande di quanto le fosse sembrato da lontano, ancora più pericoloso. L'animale si fermo di fronte alla piccola, che lo guardava con quei suoi occhi azzurri in una muta preghiera di pietà. La bestia chinò il capo e piegando una zampa fece una cosa che la ragazzina non si seppe spiegare: piegò la zampa anteriore in un regale inchino... alla sua creatrice.

-Tu eri...- disse la bambina con la sua flebile voce, resa roca dal freddo e dal forte grido precedente, indicando il punto in cui poco prima aveva lanciato il pezzo di carta. Il lupo alzò lo sguardo verso il suo e annuì. La bambina non si spiegò quel gesto tanto umano, anche se ormai non riusciva più a spiegarsi un sacco di cose. Allungò una mano verso la bestia, non sapendo cosa aspettarsi, esitò un attimo prima di sentire il pelo ispido della creatura sotto le dita. Le poggiò la piccola manina pallida, un contrasto evidente sul nero corvino del pelo dell'animale, in mezzo agli occhi, mentre il lupo rimaneva immobile, obbediente.

-Puoi correre?- chiese la bambina, lo sguardo un misto tra la decisione e la preghiera. L'animale annuì di nuovo, allora la bambina facendo forza sulle deboli braccia tentò di alzarsi in piedi e rimanere dritta sulle gambe diventate deboli. Tentò un passo barcollante prima di cadere sulle ginocchia, uno scivolone patetico. Il lupo le si avvicinò, porgendole il fianco, richiedendole un ultimo singolo sforzo, l'ultimo prima di crollare. La bambina gli salì in groppa e strinse le mani attorno ad alcune ciocche di pelo per sorreggersi, sentì il calore dell'animale irradiarsi nel suo piccolo corpo, come se fossero stati direttamente connessi da un canale invisibile, un canale che quella notte le salvò la vita.

Il lupo cominciò a correre e non si fermò fino a che anche le sue zampe, forti e possenti, caddero sotto il peso della stanchezza.

  
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