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Autore: Rota    03/12/2016    0 recensioni
Esistono persone non pazienti per natura, che hanno la necessità fisiologica di far quadrare tutto secondo aspettative o piani, sostenendo un eventuale e personale diritto alla perfezione solo in merito al duro lavoro svolto e alla presunta ricompensa che il fato dovrebbe elargire loro. Persone che poco tollerano che qualcosa a questo mondo interferisca con la simmetria di karma e destino, o che sfasi i piani studiati ad arte e su misura per un’esigenza tutt’altro che generosa e tranquilla.
Insomma, persone che troverebbero alquanto fastidioso un viso non brillante di contentezza al proprio addio al nubilato – e che hanno persino la presunzione di considerarlo quasi un affronto personale, giacché non riescono a concepire un motivo valido per tale atto di pura ribellione all’equilibrio del mondo.
D’altronde, dopo una settimana pazza a sistemare tutto quello che si doveva sistemare, tra lavoro di routine in sartoria e la preparazione di cerimonia, pranzo, ballo e luna di miele, Shu Itsuki aveva pensato di passare una bella serata in compagnia degli amici di sempre come non si faceva da parecchio tempo. Non chiedeva troppo dalla vita, almeno dal suo punto di vista.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eichi Tenshouin, Kuro Kiryu, Shu Itsuki, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando vede Tetora comparire all’ingresso in fondo alla navata principale, la sua immensa ira si placa un poco, ma soltanto perché il pensiero sta cercando di elaborare una singola domanda che possa riassumere tutto quello che lo perplime e che vuole assolutamente sapere.
Kuro è provvisto di notevole pazienza, ma si è anche abituato ad avere a che fare con una persona che definire scrupolosa vorrebbe dire sminuire i disturbi di tutte le persone che soffrono di manie di perfezionismo. Quindi, non sapere dove si trova il proprio promesso sposo, da ben cinquanta minuti, è una dura prova per i suoi nervi.
Ed ora, ecco arrivargli accanto Tetora, con il vestito stropicciato e fin troppe storie da raccontare nell’espressione, tra le pieghe delle borse sotto gli occhi.
Cosa è successo.
Dove sei stato.
Sai dove si trova Shu.
Perché diamine stai respirando a quella maniera.
Ma Tetora non gli permette di dire alcunché, né di esprimere qualsivoglia perplessità in merito, per quando si becchi un’occhiataccia che metà sarebbe bastata per annientare un uomo normale.
Parte la musica nelle casse, una marcia nuziale composta dallo stesso Shu che lui ha sentito e risentito per diverso tempo – nota come anche Mika sia apparso all’improvviso, alla parte sinistra del palco, lì dove dovrebbero esserci i testimoni della sposa, sbucato da chissà dove proprio al momento opportuno.
Qualcosa gli fa intuire che Shu sia giunto. E come lui, anche gli invitati paiono averlo capito, mentre raggiungono in fretta i posti a loro assegnati.
C’è quel tipo di attesa che pare insopportabile, a quel punto. Ancora più che per tutta il tempo fino a quel momento.
Dopo una scenata del genere, Kuro non ha neanche idea del come guarderà Shu. La preoccupazione ha lasciato posto all’irritazione, perché nell’agitazione della cosa ha potuto concludere che solo un ragazzino immaturo può arrivare a non farsi sentire e a far attendere tutti a quel modo senza dare notizia di sé.
Insomma, o quello o a Shu è successo qualcosa che lo fa ritardare, e dopo un’attenta analisi avrebbe quasi preferito dargli dell’infantile.
Ma si è sbagliato, se ne accorge subito.
Quando Wataru apre il corteo delle damigelle entrando per primo nella sala, spinge la carrozzina con sopra Eichi che sparge, cestello alla mano, petali di fiori rosa, con un sorriso così tanto gioviale che pare un piccolo faro. Quel qualcuno che pare accasciarsi per un improvviso malessere, nella parte dei suoi testimoni, dev’essere Keito che come lui non si sa spiegare bene la presenza di quell’inaspettato ospite, ma Kuro lo può guardare soltanto con la coda dell’occhio perché, ecco, arriva finalmente il turno di Shu, dopo che il tappeto di petali di fiori è stato rifinito anche dalle mani di Kanata e di Rei.
È splendido.
È riuscito ad armarsi del suo miglior sorriso e della sua più dolce espressione: se non fosse stato per Kuro, non ne sarebbe stato assolutamente capace. Ma anche la consapevolezza di essere la causa della quiete che lo fa risplendere, almeno in una piccola parte, certo non lo aiuta a chiudere la bocca di fronte al suo arrivo, né a fargli battere le palpebre che magari è il caso, gli occhi potrebbero cominciare a fargli male.
Lo fissa mentre cammina, a ritmo della musica. È tutto ben orchestrato e perfetto, non c’è neppure il più piccolo dettaglio che stoni in tutto il quadro. Neppure Eichi stona, a quel punto, coperto di fiori come si ritrova a essere, parcheggiato davanti al gradino più basso del palco, non troppo lontano dall’altare – accanto a Wataru e a Mika, insomma.
Shu arriva finalmente davanti a lui, e Kuro non è ancora riuscito a sbattere le palpebre. Vorrebbe quasi concedersi un’espressione di vittoria, lo sposo vestito di bianco, perché la fatica della preparazione è valsa quello sguardo così stupefatto. Interviene però il funzionario, che schiarendosi un poco la voce li richiama sull’attenti: avrebbe perso altro tempo a guardarsi negli occhi e basta, perché niente è tanto importante.
Shu mantiene all’altezza del grembo, con le braccia appena piegate, il bouquet dai colori chiari, lo sguardo alto e un’aurea radiosa. Si mette accanto a lui Kuro, vestito nerissimo e capelli pettinati verso il basso che gli addossano almeno dieci anni in più, rendendogli una bellezza matura che farebbe sbigottire chiunque.
Non è una cerimonia lunga, proprio in quanto non ha molto di religioso. L’uomo al di là del palco legge funzioni e diritti, per lo più, alternando anche qualche poesia che Kuro ha pensato di inserire nel programma, giusto perché non fosse soltanto una formalità di pochi minuti: sarebbe stato uno spreco, e Shu non avrebbe avuto la sua parte di sorpresa. Quando gli viene chiesto se ha gradito o meno, diventa quasi rosso per l’imbarazzo e la sua espressione si fa corrucciata, quasi offesa, perché si sente preso alla sprovvista; Kuro sghignazza, e la cosa si fa decisamente più leggera.
Vengono chiesti gli anelli: Mika li porta su un cuscino orlato dalle mani di Shu, ovviamente, su cui sono appoggiate le loro due fedi.
Una, quella per Kuro, oro bianco pulitissimo. L’altra, quella per Shu, è il vecchio anello della signora Kiryuu che per tanto tempo è stato appeso al collo di Kuro, l’anello con cui l’uomo ha fatto la sua proposta quasi un anno addietro.
Nel rivederlo, Shu diventa ancora più rosso in viso, e crea questa sorta di momento imbarazzante in cui rimangono semplicemente a fissare entrambi le fedi senza sapere bene come agire. Lo scambio degli anelli è un po’ goffo, anche perché le mani di Shu sono gonfie di calore e sudore – deve aver fatto qualcosa che gli ha procurato molta ansia, pensa Kuro, perché di solito non sono così spesse, ma ben più sottili e lisce.
Non ha importanza, nel momento in cui tutto è fatto.
Shu è raggiante, poche altre volte lo ha visto così contento. Trema nel pronunciare la propria promessa, nel leggere la lettera che gli ha scritto, piena di buone intenzioni e amore. Lui in compenso si blocca tre volte nel leggere la propria, perché non regge le lacrime di lui né le proprie.
Sono momenti magici.
L’atto finale è un bacio, come da copione, e l’intero corpo degli ospiti che applaude fragorosamente; Mika è sciolto dalle proprie lacrime, e così pure Tetora.
È tutto esattamente perfetto, come lo voleva Shu, e non perché gli addobbi sono del colore e nella collocazione giusti, o perché i vestiti delle damigelle e dei testimoni sono combinati tra di loro nella giusta maniera. Ma perché Kuro è felice, è suo marito, e gli sta stringendo forte le mani nonostante stia tremando senza riuscire a trattenersi.
Un altro bacio a fiordilabbra ed è ancora tutto più perfetto.
 
 
Quando alza lo sguardo dalla tavola e vede la carrozzina di Eichi parcheggiata accanto alla sedia del proprio testimone, Shu prova un brivido di freddo per reazione, perché il ricordo di quella voltante della polizia che è passata a tutta velocità accanto alla macchina che ha trasportato i due sposi fino al ristorante prenotato non gli è piaciuta per niente.
Beve il proprio champagne troppo velocemente e tossicchia per non soffocare nelle bollicine, richiamando l’attenzione del marito.
Kuro, d’altra parte, non si sente molto a proprio agio da quella posizione. Almeno per quanto riguarda il ristorante e il menù del pranzo ha potuto avere voce in capitolo, e ha insistito per concordare assieme a Shu tutto quello che andava fatto, giusto per non sentirsi completamente escluso da quanto stava accadendo; tuttavia, si è comunque lasciato convincere per la disposizione dei tavoli, e ammette che in quel momento ritrovarsi su un piano rialzato, al centro della sala, dove tutti lo possono guardare mentre mangia, non gli dona una bella sensazione. Benché il cibo sia ottimo e lui si senta al settimo cielo.
Ma per fortuna c’è Shu, che non si scompone neppure quando se lo ritrova a cinque centimetri dal viso.
-Hai del riso tra i capelli.
-Ancora?
Scuote i capelli con la mano, appena appena per non spettinarsi, ma deve intervenire direttamente Kuro perché il chicco bianco venga rimosso. E dopo averglielo fatto vedere, come a dire “ho sconfitto il nemico per te”, l’uomo lo appoggia sul ripiano orizzontale, accanto al proprio piatto, e lì lo lascia.
Permettendosi un appunto che avrebbe voluto fare un sacco di tempo prima.
-Ti avevo detto che quella cosa era stupida.
-Fa parte della tradizione.
-Come dire a tutti che sei vergine?
Shu gonfia le guance rosse, fintamente offeso col mondo.
-Cos’hai contro il mio vestito? Non ti piaccio?
Sposta la sedia di un poco, per farsi guardare meglio dall’altro. Qualcuno nella platea li sta guardando, ma poco importa: Kuro ha occhi soltanto per il suo sposo, e in realtà neanche troppa voglia di bisticciare con lui.
Non adesso, non dopo che si sono scambiati le fedi da meno di due ore.
Quindi gli sorride felicissimo, facendolo arrossire per ben altro motivo che non la stizza.
-Sei meraviglioso.
Ma non basta un semplice complimento per far abbassare la guardia a Shu, che imperterrito lo stuzzica.
-E allora?
Kuro ricerca la sua mano e la trova, la stringe tra le proprie. Questo contatto caldo fa una certa presa sul marito, che finalmente abbassa le armi e risponde al suo sorriso.
Neanche lui ha voglia di rimanere stizzito, ora che può godere del contatto con lui.
-Niente. Sono solo troppo felice.
-Sei perdonato, allora.
Si avvicina a lui, fino a toccargli la spalla con la propria. Vorrebbe abbracciarlo come ha fatto prima, appena fuori dall’edificio dove si è svolta la cerimonia, mentre tutti gli invitati buttavano loro addosso una quantità non prevista di riso e altre cose – probabilmente quello che era restato dei petali di fiori dei cestini. Si trattiene solo perché sono a tavola, e c’è luogo e occasione per ogni cosa.
Prende però un pezzo di carne e glielo porta alle labbra, imboccandolo gentilmente. Kuro prende il boccone dalla sua forchetta e mastica piano, guardato attentamente dall’altro. Come se fosse un idolo da venerare.
È così in imbarazzo che sente davvero l’urgenza di cambiare argomento.
Indica un punto preciso della platea, verso il tavolo dei testimoni dello sposo vestito di bianco, e subito Shu indovina l’oggetto della sua domanda.
-Ne vogliamo parlare?
-Non so se ne ho voglia, ora.
-Mi hai fatto preoccupare tutta la mattina.
-Ora non vorrai farmi sentire in colpa!
Un po’ sì, in verità, anche se non osa dirglielo ad alta voce.
Shu fa un verso strano con le labbra, di nuovo un poco stizzito, e alza gli occhi al cielo. Non molla la sua mano, in compenso, e questo dovrebbe essere segno che in realtà sta soltanto facendo un po’ di scena.
Come al solito.
-Ho pensato che fosse una buona idea.
Kuro riesce a essere sarcastico, perché quell’affermazione gli pare fin troppo paradossale.
-Eichi Tenshouin? Al tuo matrimonio? Una buona idea?
- Proprio perché è Eichi Tenshouin al mio matrimonio è una buona idea.
Gli pare stranito, per cui si spiega meglio.
-Ho pensato che tutti debbano avere la possibilità di essere felici almeno una volta, prima di morire.
Kuro guarda l’ospite: in effetti non ha smesso un solo secondo di ridere, da quando lo ha visto entrare nell’edificio comunale. La cosa lo rincuora, perché razionalmente avrebbe potuto temere che tutta la situazione, com’era naturale che fosse, lo mettesse a disagio. O mettesse a disagio Shu.
Invece, pareva tutto fin troppo tranquillo.
-Beh, credo che Tenshouin sia stato felice anche altre volte.
-Questo lo so benissimo. Ma sai che smacco potrebbe essere se io, proprio io, fossi la causa della sua felicità ultima.
-Così però sta perdendo tutta la bellezza.
Kuro sorride, Shu un po’ meno. Picchietta le dita sul dorso della mano di lui e arriccia appena il naso, in una smorfietta piccola, che subito il marito ruba con un bacio leggero sulla guancia.
Sfregano tra di loro le fronti, in un gesto di tenerezza che di solito si scambiano quando sono stanchi e appagati dalla presenza l’uno dell’altro; si concedono una serie di coccole, in quei casi, poiché manca la necessità e il desiderio, quasi da sempre, di un tipo di contatto più fisico e profondo: Shu non ha mai particolarmente amato l’idea di fare sesso, e Kuro non ha mai sentito il bisogno di spingerlo oltre questo suo modo d’essere.
Ma le coccole e le carezze abbondano, così come i baci e diverse forme di complimento.
Sospira contro il suo viso, con lo sguardo basso ma le parole sicure.
-Ero partito con l’idea di farti rimangiare quello che hai detto ieri sera. Che io sono un essere privo di sentimenti e di pietà umana. Probabilmente sono sempre stato troppo orgoglioso per ammettere le mie colpe, e lo riconosco. Non ho un buon carattere. Ma di fronte alla persona concreta, non so se mi manca il coraggio oppure è soltanto ostinazione tenace: non riuscirei mai ad augurare a cuor leggero la morte a qualcuno. Né ne potrei godere.
Shu guarda verso la platea, verso il principale oggetto di tutto quel lungo pensiero. Eichi è tranquillo, pare essersi avvicinato al testimone dello sposo vestito di nero – il quale sembra davvero star scaricando nell’alcool tutta la tensione accumulata – e lo sta consolando con alcune pacche sulla spalla. Non sa bene come giudicare una scena del genere, certo lo lascia alquanto perplesso.
Non vede lo sguardo di Kuro, non lo vuole vedere, perché non sa bene come potrebbe affrontare quei sentimenti che l’altro sente. Ammirazione, passione, sincero affetto.
Si lascia accarezzare però dalla sua mano, il cui pollice passa più volte sulla curva dello zigomo, in un gesto davvero tanto intimo e premuroso.
Forse un po’ troppo: deve ripristinare l’ordine.
-Detto questo non ho intenzione di perdonarlo dei suoi peccati. Se ne andrà comunque con rimpianti e rimorsi!
-Va bene così.
A Kuro scappa un sorriso a vederlo sempre così reattivo e vivace. È anche quella una forma di tenerezza.
E a sentirlo a quella maniera, tranquillo e allegro, sinceramente felice, e capire il suo vero stato d’animo di fronte alle cose, porta a galla un pensiero che ha formulato soltanto nel posto più segreto del proprio cuore. Perché Kuro non riesce a essere davvero severo con Shu, è la sua più grande debolezza.
-Sono stato duro con te, ieri sera. Conosco ciò che ti lega a Tenshouin, eppure io non sono stato in grado di-
Il marito però lo ferma prima che possa dire qualcosa di davvero stupido, con un dito sulle labbra.
-Tu non hai fatto niente di sbagliato, Kuro. Sei sempre stato l’unico che mi diceva quello che andava detto, senza né cattiveria né indulgenza. È per questo motivo che mi sono innamorato di te e che ti amo tutt’ora.
Kuro arrossisce, si deve allontanare un poco da lui per guardarlo storto.
-Parli d’amore come se fosse normale.
Shu risponde a tono, alzando le sopracciglia e prendendo il bicchiere ancora mezzo pieno di champagne, con quel fare splendido che sembra volerlo sfidare a dire il contrario di una innegabile e palese verità.
-Siamo sposati ora. Non ti sembra che lo sia, normale?
Il marito non può che dargli ragione, a quel punto.
 
 
Shu, un tempo come adesso, odiava davvero tanto le folle. Lo mettevano a disagio, perché doveva tenere conto delle opinioni e delle aspettative di un numero di teste che non sapeva calcolare precisamente, e avendo una sola possibilità di espressione essendo unicamente se stesso, la formulazione di così tanti verdetti lo faceva impazzire – e la loro vicinanza fisica, anche, che sembrava quasi una violazione della sua intimità spaziale.
Lo sanno tutti gli invitati, in quanto amici piuttosto stretti o comunque conoscenti a cui l’onore di una confidenza è stato donato dalla sua incredibile generosità.
Per questo motivo tutti, davvero tutti, sono incredibilmente contenti di vederlo scendere dalla pedana degli sposi e unirsi, nella pausa lunga tra le portate del primo e del secondo, al karaoke che le altre Oddballs presenti hanno organizzato. Ha permesso loro, negli accordi di inviti e organizzazione dell’evento, di prendersi una piccola area della grande sala del ristorante per fare quello che volevano, in un tempo limitato concesso loro. E se c'è sempre stato qualcosa che li ha uniti, quella è la musica: è indiscutibile.
Decidere chi può cantare prima e chi invece deve farlo dopo, ecco, forse non è così semplice, anche perché con le personalità vivaci che si ritrovano difficilmente cedono il passo, pur trovandosi tra amici a una festa. Anche se, nel momento in cui appare Shu in tutta la sua baldanza e in tutta la sua meraviglia, Kanata molla la presa sul prezioso microfono che è riuscito a ottenere, con spargimenti di sangue e minacce di morte, e la consegna allo sposo con un gran sorriso, senza opporre la minima resistenza.
Shu vorrebbe sembrare convincente in quell’alzata di spalle un poco supponente, ma la verità è che gli sta sorridendo così tanto contento che è difficile davvero credergli. Si avvicina all’addetto della musica, un ometto dello staff che lo guarda tutto gentile, e si fa dire cosa quei tre manigoldi senza gusto hanno inserito nella playlist.
Infatti deve rileggersi due volte la lista prima di trovare qualcosa adatto a sé, che possa essere degno di far vibrare le proprie corde vocali – non chiede all’ometto di prendere un’altra canzone solo perché sa che sarebbe un gesto troppo poco carino, e lui vuole bene ai suoi amici, vuole che si sentano gratificati anche in una giornata del genere.
Non sa di aver scelto una canzone proposta da Rei, non vorrebbe neanche saperlo. Chiede solo, ecco, che non gli venga sparata nelle orecchie mentre delizia la platea con la sua performance, che a furia di sentire tutto quel tecnopop e quella robaccia semi-metal stava quasi diventando sordo anche restando lassopra assieme al suo caro marito. La vicinanza certo non aiuta.
In molti restano in silenzio a godersi la scena, quelli che non lo fanno sono semplicemente distratti o troppo impegnati a non morire per il troppo cibo troppo buono ingerito in fretta e furia. Eichi è uno di quelli che persino sorride, mentre ascolta Shu Itsuki schiarirsi la voce troppo vicino al microfono e quindi iniziare a seguire le lettere colorate proiettate sul muro – quello che deve cantare, insomma, nel caso molto improbabile non se lo ricordi.
Voce melodiosa, voce poetica. Voce soave, voce incantatrice.
Voce che è il motivo per cui una volta è stato ritenuto una delle più grandi promesse di una scuola di prodigi.
Mentre canta, Shu si sente felice e pieno; forse, non provava un’emozione del genere, così a lungo, da tantissimo tempo, e questo un po’ lo stordisce: è il motivo, probabilmente, per cui si ritrova a cantare di fronte a così tante persone sentendosi rilassato e per niente nervoso. Non li guarda, non guarda nessuno tranne il suo Kuro di tanto in tanto, e Mika che sta saltellando poco distante perché è troppo contento e lo distrae, anche se riesce a toccare ognuna delle loro anime in modo così semplice e diretto, in modo così chiaro.
Li ama tutti, in quel momento, e vuole condividere qualcosa che dovrebbe essere solo suo.
Un’emozione vera.
Quanta magia può esserci in qualcosa di così semplice.
 
 
Kuro si inchina davanti a lui, quando tutto il mondo ha smesso di vorticare – e anche loro, assieme alla musica del primo ballo. Come un cavaliere nobile e altissimo, gli bacia la mano coperta dal guanto bianco, e con quello sguardo meraviglioso lo fissa in viso e gli sorride.
È il suo prezioso, la ragione per cui tutto quello è così speciale.
Ovviamente i fischi e le ovazioni partono nel giro di mezzo nanosecondo, perché niente e nessuno fa passare liscia una roba del genere, così plateale e pubblica. Shu diventa ancora più rosso di quello che era già prima, perché tra imbarazzo e commozione è difficile districarsi, specialmente per uno come lui.
Ha ballato per quasi mezz’ora ininterrottamente, in mezzo a tutto quel chiasso. Stretto nel suo abbraccio, guardando soltanto il suo viso così vicino.
Non si sono baciati soltanto perché c’era gente attorno, ma hanno corso il rischio di rimanere così indifferenti a tutto da non percepire davvero più niente oltre che a se stessi e al rumore dei loro cuori impazziti.
Nel rialzarsi, Kuro si dirige verso la sorella minore, cercando la sua mano e la sua compagnia, per poter continuare a ballare. E con la testa che ancora vortica e un po’ lo confonde, con tutti quei profumi di persone e quegli abiti che si muovono, Shu cerca rifugio e la sedia del primo tavolo che trova disponibile.
Proprio quello in cui è ancora seduto Eichi Tenshouin.
-È una bella festa, non c’è che dire.
Shu è troppo stanco per far fronte anche a un irrigidimento muscolare – più che stizza, è la sorpresa a prenderlo e a freddargli i muscoli, perché ha pensato a tutt’altro per troppo tempo e non si ricordava proprio di quel particolare in più che lui stesso ha così tanto faticato ad aggiungere.
Eichi e la sua meravigliosa sciarpina rosa, ancora ben allacciata al collo.
Strano, d’altra parte, che non ci sia quell’Hasumi antipatico in giro, non si è schiodato dal suo fianco per metà della cerimonia, assieme a Wataru. Forse lo ha convinto che se continuava a respirare la sua stessa aria poteva cascare a terra a causa di una mancanza di ossigeno ingente, o forse qualcuno lo ha semplicemente invitato a ballare in mezzo alla folla. Non lo sa e non lo vuole sapere.
Eichi sembra essere un po’ provato, ha l’aria stanca e il capo che pende un poco di lato, ma comunque un sorriso tranquillo sulle labbra, e la solita voglia di battibeccare con lui.
-Si stanno divertendo tutti.
-Ovviamente è una festa perfetta. Non poteva essere altrimenti.
-Sembra quasi che io sia l’unico neo, qui.
-Non lo sei affatto.
-Mi stai dicendo che sono un ospite gradito?
Shu cede e non risponde, guarda da un’altra parte perché pare che Eichi abbia capito tutto quello che deve capire già dal suo silenzio.
Non c’è motivo, comunque, nel continuare una finta scortesia. E poi ha già rimarcato tutto quello che doveva, né più e né meno, quindi magari Eichi dovrebbe proprio smetterla di fare quella faccia stralunata, che nessuno lì crede nella sua finta innocenza, tantomeno lui.
Battibeccare in un certo senso piace molto anche a Shu.
-Sono pronto a scommettere, Tenshouin, che appena assaggerai la mia torta rimarrai senza parole. Non riuscirai più ad aprire bocca!
-Beh, io invece spererei di sì, altrimenti come faccio a fare il bis?
-Stare vicino a Wataru ti ha reso divertente quanto lui.
-Ovvero, non mi ha reso divertente?
-Esatto.
Sghignazza, con una mano prontamente portata a coprire la bocca. Occhi socchiusi e una grazia personale che non riesce a svilirsi neanche in mezzo a tutto quel movimento e a quella situazione poco abituale.
Shu nota solo in quel momento che sulla sedia a rotelle è stata posizionata una copertina leggera, un’altra, pronta per l’utilizzo in caso di bisogno. Gli fa pensare che forse sta ancora peggio di quello che mostra, e non gli piace molto come cosa.
Lo fa sentire apprensivo verso una persona che non voleva neanche guardare, e questo crea una punta di disagio in lui, tra il senso di colpa e l’inaspettato.
Eichi gli sorride, per nulla turbato dal suo continuare a fissarlo.
-Non ti ho ancora ringraziato, mi pare. Mi permetti di farlo?
L’uomo si rende conto della scortesia attuata e abbassa lo sguardo a terra per un istante.
-No. Non ancora. Il matrimonio non è ancora finito.
Mano di nuovo sul bracciolo della sedia, un po’ più di morbidezza sulle spalle.
Eichi è tranquillo vicino a lui, anche se a distanziarli ci sta un tavolo di superficie – e alcuni piatti ancora sporchi di residui di cibo, che i camerieri non hanno finito di fare il giro con il carrello delle stoviglie usate, trovandosi dall’altra parte della sala.
Anche in mezzo alla musica, Eichi riesce a farsi sentire fin troppo bene.
-Hai ragione. La giornata è ancora lunga. E nel caso, ci saranno anche altre occasioni per parlare meglio, anche di noi.
Shu non comprende subito, perché qualcosa blocca il suo cervello. E intanto l’altro seguita a parlare, piuttosto libero da compromessi o regole di qualche gioco d’interazione artificialmente costruito.
-Devo ammettere che sono curioso, sei sempre stato un essere umano interessante.
Shu lo guarda in viso e vede la stanchezza della malattia: la vede davvero tutta, nelle pieghe rugose attorno alla sua bocca e nelle borse negli occhi, nel colore spento della pelle e nella desolazione pesante dei suoi capelli lunghi.
Qualcosa gli è sfuggito, fin dall’inizio, ma ora gli sta tornando alla mente. È stato così sicuro di sé fin dal principio che non si è mai posto neanche il dubbio, ma bastano poche parole perché la semplice verità gli piombi tutta tra capo e collo e lo faccia sentire un perfetto cretino.
-Cosa c’è? Ho detto qualcosa che ti ha indisposto?
Perché, forse, neppure Eichi Tenshouin ha così poco tatto da scherzare a quella maniera sulla propria morte, in particolar modo al suo matrimonio, in particolar modo dopo che sono riusciti a parlarsi come due esseri umani normali e non come due gatti dal pelo gonfio. Gli è bastato davvero poco per riacquistare fiducia nel genere umano, a Shu, perché forse mantiene ancora quell’animo da fresco fanciulletto che non è mai diventato grande.
Shu non risponde subito, considerando l’idea di andare ad affogare dentro la panna della torta nuziale – ce n’è abbastanza perché ci riesca, effettivamente, quindi l’idea non gli pare poi così stupida. Come, come ha potuto credere anche per un solo secondo alle parole di Wataru, come ha fatto a non questionarsi affatto sulla veridicità concreta delle sue paure e del suo dolore. In così tanti anni non ha imparato proprio nulla, quindi.
E tutta la sua fatica, tutta la sua gentilezza, tutto il suo buon cuore sono nati soltanto da uno stupido fraintendimento, da una parola detta di troppo e capita male.
Lo ucciderà appena possibile, questo è sicuro.
Si sente meschino, neanche la felicità di avere un anello al dito riesce ad annullare questa sensazione. Per fortuna, Eichi gli parla ancora, e gli fa la grazia di cambiare argomento.
-Sai, Itsuki-kun, mi rendo conto che è piuttosto maleducato presentarsi a un matrimonio senza neanche un regalo per la sposa. Direi quasi imperdonabile.
Shu finalmente alza gli occhi di nuovo su di lui – vorrebbe tanto dirgli che una cosa del genere è stupida persino da pensare, considerando che lo avrebbe portato lì con la forza, anche nel caso avesse avuto intenzione di opporre resistenza – e in qualche modo gli esce una smorfia sul viso.
-Non è necessario, non voglio niente da parte tua.
-Questo è piuttosto sgarbato da dire, non ti pare?
-Sono soltanto sincero.
Ma Eichi non è soddisfatto, no di certo. Non vuole rimanere con un debito con lui, non vuole sentire la gratitudine per quell’essere pungolargli per sempre l’animo. E fa qualcosa di davvero sgarbato, che è imporgli una gentilezza non voluta, e che Shu è costretto a sentire se vuole ancora rimanere ancorato a quella sedia come si presuppone.
-Hai vinto. Sul piano artistico e sul piano umano, credo che tu possa definirti vincitore, tra di noi.
Se non fosse mortificato per altre questioni, non ci penserebbe molto a schiaffeggiarlo con un guanto oppure riprenderlo a male parole. Lo irrita oltre ogni limite, e forse anche la sensibilità del momento acuisce la ricettività e diminuisce la poca resistenza che possiede.
Ma proprio perché è quel momento, e lui ne è consapevole, si impone di non lasciarsi vincere dai propri sentimenti: l’orgoglio è ancora vivo, e non c’è umiltà che tenga neppure di fronte al senso di colpa, nel momento in cui si riceve uno sgarbo simile. Non che avesse intenzione di rinfacciargli qualsivoglia credito, e se l’idea originale era farlo cadere ai suoi piedi pieno di riconoscenza, ora anche il solo pensiero di sentire delle parole del genere provenire dalla sua bocca gli dà il voltastomaco.
Fa una smorfia ancora peggiore, e poi rilassa il corpo, più stanco del dovuto. Ballare così tanto, in mezzo a tanta gente, forse non gli ha fatto così bene.
-Non avevo dubbi sul piano artistico, non c’è mai stata una vera e propria sfida, Tenshouin. Ma perché anche sul piano umano? Alla fine, non sono che uno sposo vestito di bianco.
C’è un briciolo di rassegnazione nel suo tono, che quasi sembrerebbe il suono di una sconfitta annunciata.
Eichi però lo spiazza, dicendo l’unica verità che li può ancora unire, sottolineando quanto la sincerità d’intenti possa fare molto anche in un rapporto come il loro.
-Io non avrei mai pensato di volerti fare felice.
Forse, è un po’ troppo persino per l’orgoglio di Shu.
-Tenshouin, ti ho solo usato.
-Questo lo so. Ma rimane il fatto che mi hai portato qui, ti sei impegnato così tanto per farlo.
-Tenshouin.
-E questo, pur considerando quanto fosse a tuo vantaggio una cosa del genere, e di certo hai guadagnato più tu che io in termini materiali, rimane un atto gentile nei miei confronti.
Abbassa lo sguardo, perché sulle prime non sa bene cosa rispondere.
Se effettivamente dirgli la verità oppure no – se effettivamente spezzare quel bel artefatto su cui si regge ogni dare e ogni ricevere, fragile e imperfetto. Ma Eichi, ancora, gli fa capire di essere un passo avanti.
-Senza contare poi che, proprio perché era un gesto interessato, al principio non era mosso da pietà.
Perché lui ha davvero, fin dal principio, capito ogni cosa. Si è fatto beffe di lui, forse, e del suo volere a tutti costi fare lo splendido con il futuro marito. Non parlerebbe di pietà, se così non fosse, specialmente non in quei termini. Ci sarebbe da chiedersi come mai non abbia detto nulla, e ancora si rifiuti a dirlo in maniera esplicita, ma con ogni probabilità egli stesso era partito con un sentimento e poi le tempistiche e i fatti lo hanno modificato fino a renderlo vera gratitudine.
Insomma, sono stati meschini in due, senza distinzione. È un bel gioco di cui entrambi però sono a conoscenza, e che possono giocare ad armi finalmente pari.
E proprio per questo, Shu non può in alcun modo mostrare gratitudine, né si sente di riceverla dall’altro. In compenso, prova per lui un’empatia profonda come mai è riuscito a fare: è questo, il vero regalo di nozze di Eichi Tenshouin.
Al suo sorriso angelico, risponde con l’ennesimo cruccio e il naso tutto stropicciato.
-Non so se ritenere sospetto il fatto che tu mi stia parlando a questa maniera, Tenshouin.
-Sempre all’erta, vero? Fai bene.
Sghignazza ancora, con la mano di nuovo sulle labbra. Anche Shu riesce a sorridere, in qualche modo, e a rilassarsi sulla sedia; si porta all’indietro, tutto contro lo schienale bianco, e fa cascare la testa all’indietro, guardando il vuoto.
L’arrivo nelle vicinanze di un cameriere da ricordare qualcosa all’ospite, di davvero importante.
-Continuo ad aspettare la torta con enorme impazienza, Itsuki-kun.
Shu ignora la richiesta e affonda ora che sembra aver la guardia abbassata – sempre nel ricevere e nel dare che si sta susseguendo dall’inizio della giornata, anche lui sceglie appositamente i momenti in cui parlare. E poi, non ha intenzione di dirgli che deve aspettare almeno altre tre ore prima di vedere anche solo l’ombra di un dolce: ci sono altri due secondi prima di gozzovigliare, e checché ne possa dire il suo stomaco provato da povero ricoverato d’ospedale, li dovrà mangiare tutti.
Altrimenti troverà un altro ottimo motivo per essere infastidito a morte dalla sua sola esistenza.
-Sei diventato un uomo rispettabile.
Pausa, perché è appena finita una canzone; Shu riprende con una precisazione senza pietà appena dopo.
-Pur con una lingua fin troppo lunga.
-Temo che questo difetto mi accompagnerà per sempre.
Kuro volteggia ancora sulla pista da ballo, si avvicina a loro con probabile intenzione di vedere se Shu sta pensando di mettere le mani addosso al proprio interlocutore, anche se gli basta un’occhiata di sfuggita per capire che no, il suo sposo non ha intenzione di muovere un solo muscolo dalla posizione assunta. Eichi poi incrocia il suo sguardo e lo saluta pure, con tutta la sfacciataggine e la grazia e l’innocenza del mondo – Kuro ghigna al suo solito modo, per poi allontanarsi tenendo ancora tra le braccia il suo compagno di ballo, Tetora.
E vedendo l’altro, Eichi trova un ottimo argomento di conversazione, perché davvero gli dispiacerebbe far calare il silenzio tra lui e Itsuki, ora che ha raggiunto quel momento di sintonia.
-Dimmi una cosa. Ti va di sentire come ha fatto Nagumo-kun a rubare quell’ambulanza?
Di come sia riuscito a rubare la divisa di un infermiere a caso entrando nello spogliatoio del personale, di come sia riuscito a dimenticarsi le proprie scarpe per la festa entro l’armadietto del tale – uno scambio equivalente, dopotutto, per comprare il suo eventuale silenzio – di come sia riuscito a sgattaiolare entro il magazzino delle chiavi con un’abilità degna di un ninja e la moralità degna di un ladro. E tutto questo facendo tacere la coscienza che gli ricordava le aspirazioni improbabili da eroe che gli sono sempre state proprie.
Shu si sente attratto dalla sottile malignità della sua voce, potentemente. Si mette composto sulla propria sedia, quindi, ed è tutto pronto per il racconto.
-Ti ascolto attentamente, Tenshouin.
 
 
Uno scaffale ripieno di cioccolatini assortiti, ordinati e disposti con precisione su file colorate che formano quasi onde brillanti per tutta la parete, dall’inizio alla fine, è posto in uno dei quattro atri che circondano la sala principale, ed è la meta prima del pellegrinaggio di tutti quegli invitati che si sono un poco stancati di vorticare a destra e a sinistra a ritmo delle note di qualche strana canzone. Tutto cioccolato europeo, di quello davvero buono.
L’orchestra ora suona musica lenta e liscia, accompagna la stanchezza dei ballerini più caparbi e li culla in  un ballo tranquillo, fatto per lo più di abbracci e ondulazioni. I due sposi si sono rifugiati ormai da tempo sul loro palco, ad ammirare amici e parenti divertirsi da quella posizione privilegiata, che fa godere loro una visuale più completa del tutto senza che debbano necessariamente farne parte.
Shu continua a sorridere, tra le braccia di Kuro, e ha l’aria sognante e stanca di chi è troppo preso da se stesso per ricordarsi che, in effetti, l’ora della torta sta per arrivare – ma forse è il cibo nel suo stomaco che lo frena, forse i piedi che lo stanno insultando in tutte le lingue del mondo. È sfatto almeno quanto Eichi Tenshouin, il ché è tutto dire.
C’è chi li guarda da lontano, sorseggiando il resto dello champagne contenuto in un boccale troppo stretto – e allungando la mano su quello che resta di una scia verde, scruta con quel certo cipiglio compiaciuto quello che è il luogo di un futuro e impareggiabile misfatto: ad acuire il senso del piacere che sta provando, un’onda di pistacchio sulla lingua, e della granella di nocciola appena croccante.
Con un fazzoletto davanti alla bocca, Rei si china in avanti e formula una domanda veloce.
-Tutto pronto?
Il tono della sua voce contiene a stento tutto il divertimento che prova, e Kanata lo percepisce bene, anche se il suo sorriso sempiterno, sporco di cioccolato, non sembra badare o anche solo registrare qualche cambiamento d’umore.
Forse le sue dita tutte sporche di crema scura sì, ma quello è un dettaglio trascurabile.
-Sì, stai tranquillo. Shu-kun non sospetta di nulla.
-Meno male. Sarebbe davvero brutto rovinargli la sorpresa.
-Non sarà l’unico a portare persone non previste, a fine serata.
-Zitto, Kanata-kun. Potrebbe sentirci.
-Ma è dall’altra parte della pista da ballo.
-Non si sa mai, sai com’è fatto.
Kanata si pulisce con un tovagliolo, sbuffando appena appena. Guarda con golosa cupidigia la scia violetto, il cioccolato aromatizzato ai frutti di bosco, e se non fosse per l’occhiata che Rei gli rivolge si abbufferebbe ancora. Invece, ferma un cameriere dal vassoio quasi vuoto e prende l’ultimo calice che sta portando in giro, occupando lo stomaco con altro.
Rei sembra piuttosto orgoglioso della propria trovata. Non che il regalo che ha fatto manchi di qualcosa: a Shu sarebbe bastato forse un fazzoletto di pizzo, tanto poco era importante per lui quella convenienza, e quindi è stato davvero splendido notare la sua meraviglia di fronte a quel pacco gigantesco di lenzuola e federe per ogni tipo di letto, anche uno di più piccola portata che non matrimoniale. Solo uno come Shu, vecchio dentro da sempre, avrebbe gradito così tanto una cosa del genere, considerando poi tutto l’orlo fatto a mano da una vera sarta, pagata tantissimo, e il ricamo rifinito e perfetto.
Ma Rei si è quasi trattenuto per il gran finale, che sta per giungere. Poco prima dell’arrivo della torta, giusto in tempo per assaggiarne una fetta, qualcuno di molto importante deve fare la sua apparizione. E quello sarà il vero regalo di tutti loro, dei suoi amici più cari.
Già istruito i camerieri, già avvisato chi di dovere – persino lo sposo vestito di nero è stato avvisato, perché non corra addosso allo sconosciuto giunto all’improvviso e lo uccida con un pugno.
E sarebbe davvero tutto perfetto, il tempo dell’attesa pregustato con immane piacere, se non fosse che all’improvviso compaiono nel campo visivo del maggiore dei fratelli Sakuma e di Kanata un duo davvero poco solito e non troppo gradito, a dire il vero.
Come di consueto, Keito dice subito ciò che va detto.
-C’è un problema.
Ha lo sguardo serio, ma Keito Hasumi ha sempre lo sguardo serio, e quindi né Rei né Kanata fiutano la gravità della situazione. Poco importa che lì dietro ci sia un Wataru in evidente disagio, non è a lui che rivolgono la prima attenzione.
-Hai cominciato a divertirti anche tu e lo trovi troppo strano?
Keito fa una smorfia a quella domanda impertinente, e per non dover replicare in maniera altrettanto sarcastica alza la mano ai propri occhiali, sistemandoseli sopra il naso. Una volta fatto questo e preso un profondo respiro, esplica quando in precedenza annunciato.
-Sembra che la polizia si stia finalmente dirigendo qui.
Un leggero campanello d’allarme. Rei appoggia sul tavolo che ha accanto il calice che tiene tra le dita, ormai vuoto, ed esibisce un’espressione appena incuriosita – Kanata, da canto suo, ha smesso di leccarsi la punta delle dita, e pare un attimo più presente di prima.
Wataru si guarda intorno, caso mai dovesse apparire qualcuno all’improvviso, come se in effetti fosse davvero possibile.
-Perché mai?
-Forse non ti è chiaro, Sakuma-san, che Eichi non dovrebbe trovarsi in questo luogo, ma da tutt’altra parte, dove dovrebbe ricevere cure mediche adeguate al suo stato di salute.
Kanata lancia uno sguardo alla pista da ballo e vede come Kuro abbia letteralmente preso in braccio Eichi e lo stia facendo volteggiare come una trottola senza peso; l’ospite sta ridendo come un matto, e tossendo pure come un matto, mentre lo sposo continua la propria opera incurante di quanto lo stia schiacciando alla vita e di quanto, in effetti, tutto quello lo avvicini a una concreta morte.
Shinkai alza le spalle, tornando a guardare Keito.
-A me pare stia piuttosto bene.
L’altro lo guarda non male, ma malissimo. Probabilmente sta pensando a come fargli capire che l’ironia non è molto gradita in quel contesto – sorvolando che Kanata non riuscirebbe proprio mai a fare dell’ironia, ma che ogni parola che pronuncia è pensata e accorata, anche se sembra la più grande delle fregnacce.
Questo è il problema con gli artisti come loro: perdono di vista ciò che è effettivamente la realtà, e necessitano di qualcuno che li renda partecipi della tale. Con le buone o con le cattive maniere.
-Il punto è che risulta rapito.
Eichi intanto vola, finendo quasi a terra: per fortuna Kuro è ancora abbastanza svelto e lo acchiappa al volo, sbattendo i gomiti e il petto per terra per salvargli la vita, e da come batte le mani e si agita pare sia ancora tutto intero. Pare.
Shu dal suo palco guarda la scena come se stesse assistendo a un omicidio, ma risulta indeciso su come e quando intervenire. È turbato dal tutto e troppo stanco per muoversi.
Assistendo a ciò, le parole di Keito sembrano quasi perdere di valore, tanto che persino lui se ne rende conto e deve rimarcare un altro dei concetti fondamentali della sua tesi. Ovvero l’invalidità della volontà del rapito, in virtù dei suoi innumerevoli tentativi di fuga.
-Prima che qualcuno lo dica. Il fatto che sia stato consenziente all’atto non significa niente.
Wataru è sempre più a disagio, non riesce neanche a pensare a quante ossa avrebbe potuto rompersi Eichi tra decollo, volo e schianto, lo fissa soltanto che riprende a volteggiare, questa volta però tra le braccia di Shu, che ha deciso di dare il cambio al marito – la differenza però sta che Shu non ha neppure un quinto della forza di Kuro, e quindi anche i suoi movimenti sono abbastanza limitati.
Keito, nelle orecchie del magicante, continua a parlare, almeno finché non viene zittito da Rei.
-Inoltre, a quanto ne so, Itsuki e Nagumo hanno anche rubato un’autovettura di proprietà dell’ospedale e questo-
-Sappiamo tutti quanti la storia, Hasumi-kun.
Eichi ha già provveduto a raccontare agli intimi, ovvero tutta la corte delle damigelle più i vari testimoni, le peripezie che lo hanno visto protagonista, sottolineando quando Shu sia stato in effetti molto eroico a provvedere a tutto per lui, dal trasporto alla presenza, passando per la vita minacciata da un’insidiosa ape. Qualcuno di loro ha riso; qualcuno, tra cui ovviamente Keito, decisamente no.
-Ottimo. Quindi non c’è bisogno che io esplichi chiaramente la gravità della situazione.
Kanata beve tutto d’un sorso il proprio champagne, rendendosi conto di essere forse un po’ troppo presente sulla scena proprio mentre avrebbe tanto voluto estraniarsene. Guarda altrove, giusto per rimarcare che se hanno bisogno di lui, forse non c’è. O forse sì, dipende un po’ dal tipo di intervento richiesto.
-Hai un piano?
Wataru risponde al posto di Keito: gli stanno tremando le mani, perché è stato lui a vedere la volante della polizia passare per la terza volta davanti al ristorante per poi fermarsi nei pressi del parcheggio – dopo tutte le volte che hanno recuperato Eichi Tenshouin, forse le sue guardie del corpo hanno anche imparato a individuare con più precisione i luoghi che lo attraggono facilmente, ovvero feste, balli e cose inerenti.
-Portiamo via Eichi da qui. Prima che lo trovino e incrimino Shu.
È piuttosto impaurito, e non sta esagerando affatto la propria agitazione. La cosa contagia anche gli altri quando, dall’entrata principale, entra uno di quelli in divisa, e comincia a guardarsi attorno.
Di gente non c’è n’è tanta in giro, e fortunatamente Shu ed Eichi hanno smesso di ballare proprio al centro della stanza. Forse Eichi ha avuto bisogno di vomitare, o forse ne ha avuto bisogno Shu dopo tutti quei giri.
Rei entra nella giusta modalità, e di conseguenza anche le altre due OddBalls, legati a lui nell’animo e nella sensibilità.
-Probabile si siano messi apposta all’ingresso del ristorante.
-Quindi la soluzione sarebbe portarli lontani da lì, giusto?
Keito interviene soltanto per sbuffare e per tentare di ridimensionarli, perché quella è la sua forma d’ansia e non riesce proprio a frenarsi.
-Non credo basti un qualche trucco di magia per distrarli.
Ma Rei gli sorride, con lo stesso compiacimento con cui lo ha accolto non più di cinque minuti prima: ha già pensato a tutto.
-Niente magia. Solo un po’ di sana cortesia, Hasumi-kun. E una buona dose di tempismo.
Gli altri due lo capiscono bene, e questo preoccupa ancora di più Keito. Non è sicuro che Eichi riuscirà davvero a cavarsela, questa volta, e tanto meno lo sposo che lo ha portato lì.
 
 
Il tragitto che devono fare, assieme, per arrivare a casa dalla macchina, è giusto la distanza che percorre il vialetto dal cancelletto in poi, senza intralci o indugi. Ed è quasi l’alba del nuovo giorno quando lo percorrono, un poco barcollando.
C’è stato il taglio della torta a cinque piani, fatta con un coltellino talmente piccolo che era piuttosto evidente quanto simbolico fosse tutto il gesto – ma Shu ha sempre amato queste cose, e tutti lo sanno, quindi l’intera platea ha applaudito quando, l’uno tra le braccia dell’altro, i due sposi hanno tagliuzzato un lato coperto di panna di quella montagna di zuccheri e derivati del latte.
C’è stata anche la distribuzione delle bomboniere, fatta personalmente dai due sposi, che con cestini di vimini, altri cestini rispetto a quelli che contenevano i petali di fiori s’intende, sono andati in giro a ogni singola persona per consegnare confetti bianchi e un piccolo pensierino che andava da un centrotavola di pizzo fatto a mano a una bambolina di pezza, anche quella fatta a mano.
C’è stato anche il lancio del bouquet, molto spassoso, che è volato tra le mani di Mika dopo essere stato conteso da quelle di Kanata e la sorellina di Kuro, entrambi piuttosto coinvolti dalla cosa, tanto che alla fine sono andati a consolarsi a vicenda con il bis della torta.
E poi i ringraziamenti, i baci, le innumerevoli lacrime, gli abbracci e i saluti. Qualcuno che persino ha pensato che fosse una buona idea dire a Shu che gli era colato tutto il trucco dal viso e chissà dove era finito – forse un po’ sulle labbra di Kuro ma nessuno ha osato dirlo – e quindi si è beccato l’unica vera occhiataccia da parte sua da qualche ora a quella parte. E tutto si è concluso, con il gestore del ristorante che ringraziava gli sposi e augurava loro ogni felicità e la partenza da quel luogo di sogno.
Perché ora c’è qualcosa di meglio, da vivere.
Come passare il viaggio in macchina, dacché la limousine è ancora nel parcheggio dell’ospedale, dal ristorante alla loro dimora con le labbra di uno incollate a quelle dell’altro, per esempio. C’è quell’enorme stanchezza in entrambi loro che rende tutto ancora più dolce e melenso, molle e lento; Shu è tra le braccia di suo marito, lo guarda sognante giusto quei pochi frangenti di secondo che schiude le palpebre e interrompe il contatto tra le loro bocche, per respirare, mentre Kuro gli accarezza piano il profilo del viso. La felicità e la spossatezza hanno il medesimo effetto sui loro corpi e suoi loro gesti, in quel momento, anche se la dolcezza di fondo e il sentimento che li muove è sempre uguale – soltanto, forse, palesata con meno timidezza.
E quando finalmente l’autovettura arriva a destinazione, il primo a scendere è Kuro, ma solo perché così può aiutare l’altro a scendere e prenderlo, all’improvviso, in braccio. Proprio come se fosse la sua sposa.
Shu è troppo impegnato a guardarlo piuttosto interdetto, quindi lo lascia fare: Kuro saluta e ringrazia l’autista, uno degli invitati ancora abbastanza lucidi per reggere un volante, che sorride loro e parte per tornarsene alla propria dimora, sparendo nella notte in modo fin troppo silenzioso.
E quindi, restano soltanto loro due.
-Se ti spacchi la schiena in questo modo così stupido, sappi che mi rifiuterò di prendermi cura di te.
Kuro sorride e lo guarda, con le sopracciglia alzate e un’aria un po’ tanto furbetta.
-Ormai devi prenderti cura di me. In salute e malattia.
Shu fa una smorfia, perché sperava davvero che fosse troppo stanco per ribattere – e non solo quello, Kuro rincara la dose.
-Hai firmato da te il contratto, è tutta colpa tua.
Quindi schiocca le labbra e fa finta di essere un po’ stizzito, prima di mettergli le braccia al collo per reggersi un pochino meglio.
-Maledizione. Dovevo vedere bene tutte le clausole prima.
Kuro grugnisce in quello che dovrebbe essere una risata venuta male.
In realtà, è tutto molto tenero. Un po’ preoccupante anche, ma considerando la massa muscolare del marito, Shu può permettersi di non pensarci troppo: la presa che lo sostiene è piuttosto salda, non sembra affatto risentire dell’ora e di tutto il resto. Quindi respira e socchiude gli occhi, ancora per qualche passo.
Poi Kuro si ferma. E fa un altro grugnito.
Shu apre gli occhi e si accorge del problema esistente, perché uno non ha le mani libere per aprire e l’altro rimane troppo distante dalla serratura per farlo. Alza lo sguardo al proprio sposo, con uno sguardo un po’ troppo saputello.
-Forse è il caso che mi lasci andare.
Ma Kuro non è della stessa opinione. Sporge in avanti il busto e con quello anche Shu, in modo che sia appena appena più vicino alla porta.
-Le chiavi sono nel mio borsello. Prendile. E usale.
Shu borbotta tanto, tantissimo, anche se alla fine fa quello che l’altro vuole, e impiega diversi minuti per riuscire nel proprio intento, col pericolo di capitolare a terra e farsi davvero molto male. La porta viene aperta e quindi spalancata dalla spalla di Kuro però, che più o meno trionfale entra con il suo tesoro nella loro dimora.
Sono cose già viste e già vissute, sono già pregne del loro odore e non c’è niente di nuovo – tranne gli occhi e gli spiriti che le ammirano e le respirano, che sono quelli di due persone che ormai appartengono legalmente e socialmente l’una all’altra. Gli anelli che portano al dito hanno un significato così importante che riescono a trasformare tutto il resto.
I due si sorridono e sono ancora sul ciglio della porta di casa quando si scambiano un bacio, l’ennesimo augurio per quella nuova vita. Non vorrebbero che finisse mai, neppure quando la porta di ingresso viene chiusa con un calcio non troppo leggero, ma Shu è quasi costretto a picchiettare la spalla di Kuro, per farsi lasciare: certo non può permettergli di portarlo di sopra, oltre le scale per il piano superiore, in quel modo.
Anche se il signor Kiryuu vuole fare esattamente quell’idiozia, e non c’è picchiettio o ripresa che lo possa fermare – solo un attimo quando arriva al soggiorno, quando scorge un buco sospetto nel vetro della veranda grande dietro la poltrona di pelle che non ricordava affatto esserci; decide in un attimo che non vuole fare domande a riguardo, perché ha davvero paura delle eventuali risposte ed è un po’ troppo tardi per ricevere altre cose per cui preoccuparsi. Sono già abbastanza fortunati che niente sia stato rubato, a quel punto, e che ci sia ancora un tetto sopra le loro teste.
Il buio non aiuta molto nella faccenda – e neppure il tentativo un po’ imbranato di accendere qualche luce con il gomito, che finisce con l’essere solo l’ennesima collisione tra il suo corpo e una superficie dura. Ogni scalino è un’impresa, per le sue gambe e le sue ginocchia. Shu però non reagisce quando sente le ossa scricchiolare un po’, lo guarda sorridendo con tutta la tenerezza del mondo, aspettando di arrivare a destinazione come è evidentemente nei piani dell’altro.
Non si sa bene come, ma alla fine riescono persino a giungere alla meta: Shu viene più o meno buttato sul letto, e mentre il suo corpo rimbalza un paio di volte sul materasso lui riesce persino a trovare la cosa divertente e quindi ridere. E poi arrotolarsi tra le coperte.
Non gli interessa più niente manco del vestito che indossa.
A vederlo così, nasce un sorriso dolcissimo e spontaneo sulle labbra di Kuro; l’uomo si toglie giusto la giacca di dosso, poi gattona sul letto con mani e ginocchia e arriva a posizionarsi proprio sopra il marito. La penombra della stanza, che non riesce a schiarirsi neanche con le primissime luci del giorno, gli impediscono di scorgere per bene le fattezze di lui, e il rossore di ebrezza che ha sulle guance, ma il profumo e il rumore del respiro lo sente benissimo. Sente anche il suo invito.
-Baciami, stupido.
Invito gentilissimo come sempre.
Gli si stende di fianco, con solo parte della spalla addosso, per non gravargli in modo eccessivo ma lasciargli comunque la possibilità di abbracciarlo stretto – ed è quello che Shu fa, senza neanche pensarci.
Si baciano a lungo proprio lì, nel loro letto, anche se il senso di soddisfazione che ne dovrebbe derivare è stemperato dalla spossatezza e dovranno aspettare almeno qualche ora di sonno prima di realizzare anche con i fatti concreti quello che è successo. Non è cambiato il loro modo di guardarsi e amarsi, assolutamente: all’interno di quelle mura, sono sempre gli stessi. Potranno però cominciare a chiamarsi con nuovi vezzeggiativi, e fare gli idioti su questioni di possesso e competenza, come se prima rinunciassero alla cosa soltanto per un impedimento artificiale.
Quando Kuro sente le membra davvero troppo stanche e pesanti, abbandona la bocca di uno Shu un po’ riluttante e si mette al suo fianco, disteso dalla propria parte del letto. Shu ovviamente rotola contro di lui e si lascia avvolgere dal suo abbraccio, rimanendo calmo con la guancia contro il suo petto.
Almeno finché non gli viene voglia di sospirare una piccola rimostranza in tutta la perfezione della giornata.
-Mi dispiace che alla fine Tenshouin non sia riuscito a mangiare il suo pezzo di torta.
Ed è strano che lo dica proprio lì, proprio in quel letto, a poco più di ventiquattro ore dall’ultimo giudizio sputato con cattiveria, proprio con Kuro, riguardo quella medesima persona. È strano e particolare – Kuro ne sorride, stringendolo un pochino di più.
-Dev’essere stato molto triste, per lui.
-Ci teneva tanto.
Si china a baciargli i capelli con dolcezza, accarezzandogli il fianco. Pian piano, comincia anche a slacciargli la giacca e la camicia, per prepararlo per la notte.
-Quando gli porterai la bomboniera, gli porterai anche un pezzo di torta.
Shu sorride e si lascia accarezzare con gusto.
È stata una bella sorpresa, dopotutto, quella a cui ha assistito, di certo il più bel regalo che i suoi amici potevano dargli. L’arrivo di Natsume dal cielo, accompagnato da fumo e da schintille luminose di ogni colore, ha catturato l’attenzione sua e di quei poliziotti che si erano infiltrati nel suo corteo come se nulla fosse – lui vedeva tutto e sentiva tutto, nella sala di quel ristorante, non era davvero possibile che un dettaglio del genere potesse sfuggirgli.
Non gli è neanche sfuggita l’abile fuga pianificata davvero male dalle altre OddBalls, che sono riusciti per miracolo e un po’ tanta fortuna a portare via Eichi dalla sala, con tanto di carrozzina e le due coperte, prima che le autorità troppo impegnate a lasciarsi catturare dalla piacevolezza del giovane Sakasaki potessero notare quell’invalido in fuga, tra scorta e accompagnatori.
Magico davvero. Ma non ha potuto neanche salutarlo a dovere.
Sbuffa un po’ e si lascia ancora coccolare dal suo sposo, che finalmente è riuscito a denudargli il busto e ha cominciato a trafficare con la sua cintura.
Lo bacia sulla fronte e si lascia vincere dalla propria stanchezza.
-Sei stato bravo, oggi.
Shu sbuffa di nuovo e un po’ si ritrae – ma solo per agevolarlo nel lavoro, perché sia mai che faccia effettivamente qualcosa per non fare tutta la fatica a lui.
-Non ho bisogno dei tuoi omaggi poco sinceri, signor Itsuki Kuro.
-Fatti fare i complimenti senza rompere, per una volta.
Sbuffa e sbuffa, si lascia prendere e muovere per qualche momento, tornando infine tra le sue braccia quando sono entrambi nudi e possono mettersi sotto le coperte fresche.
Kuro sembra essersi addormentato sotto di lui: è pesante e ha il cuore calmo. Shu sente la testa scoppiargli di sonno, ma anche con le palpebre chiuse non riesce a trovare la giusta modalità per lasciarsi andare.
E poi, quando le mani di lui lo stringono di nuovo le sue spalle, è piacevole sentirlo borbottare con quella voce grave impastata di sonno e incoscienza.
-Mio marito.
Dolce. Dolcissimo.
-Mio uomo. Mio compagno. Mio miglior amico. Mio tutto.
-La stanchezza ti rende un po’ troppo smielato.
In realtà, però, è solo un po’ imbarazzato – anche se è paradossale che lo sia, dopo tutto quello che è successo e dopo tutto quello che sono diventati. Ma Kuro ha la particolare capacità di rendere tutto speciale, anche le cose più ovvie, e lui non è ancora così bravo a gestire i propri sentimenti.
-Che ne dici di dormire?
-Vorrei poterlo non fare.
-Non essere sciocco. Se non dormi poi diventi intrattabile e più burbero del solito.
-Anche tu non sei molto carino quando passi le notti in bianco.
Riesce a trovare la forza, da qualche parte, per sbuffare ancora. Incredibile.
Ma ormai è rilassato, e il sonno gli attanaglia il cervello e le membra. È sempre bellissimo, d’altronde, dormire tra le sue braccia, con il suo calore e il suo profumo a cullargli i sensi.
E da quel giorno in poi, ancora più di prima, lo farà per sempre.
Sta più sognando che altro, quando chiude in bellezza l’evento più bello della sua vita, almeno fino a questo momento.
-Sai? Spero solo che domani Mika non abbia intenzione di rivelarmi di essere fidanzato con quel Narukami da anni. Altrimenti lo licenzio e lo defenestro.
Sottinteso, “tanto lo so già da tempo e non è molto bello che me lo dica solo in questa occasione, in più pretendo di avere per primo il biglietto d’invito per il loro matrimonio”.
E Kuro capisce, come capisce sempre tutto – per questo, la sua risata meravigliosa, cristallina e pura, è l’ultima delle cose che sente, prima di addormentarsi definitivamente.
   
 
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